αποφθεγμα Apoftegma
A
chiunque prende su di sé il giogo della Torah
viene tolto il giogo del regno
terreno
e il giogo delle occupazioni mondane;
ma a chiunque scuote da sé il
giogo della Torah
viene imposto il giogo del regno terreno
e delle occupazioni
mondane.
Pirquei Avot III,5
COMMENTO CATECHETICO
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Matteo 11, 28-30
In quel tempo, rispondendo Gesù disse: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».
AMMANSITI SOTTO IL GIOGO DOLCE DI CRISTO
Forse
anche oggi ci sentiamo “affaticati e oppressi” dalla stessa Parola di Dio alla
quale non possiamo obbedire perché, come Esaù, “uomo della steppa”, abbiamo
perduto la primogenitura della vita divina che, invece, ha acquistato Giacobbe,
“uomo tranquillo che dimorava sotto le tende”. Quando, infatti, “Esaù arrivò sfinito dalla
campagna”, di fronte alla minestra di lenticchie cotta dal fratello, pur di
mangiare e ritemprarsi, non ci pensò due volte a vendere quanto di più caro
avesse, la sua stessa identità e dignità: “Lasciami mangiare un pò di questa minestra rossa, perché io
sono sfinito. Giacobbe disse: "Vendimi subito la tua primogenitura".
Rispose Esaù: "Ecco sto morendo: a che mi serve allora la
primogenitura?". Giacobbe allora disse: "Giuramelo subito".
Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. A tal punto Esaù
aveva disprezzato la primogenitura”. Il Targum (traduzione in aramaico della Bibbia ebraica) ci
rivela come l’Israele contemporaneo di Gesù comprendeva questo testo: “Esaù era
estenuato perché aveva commesso, in quel giorno, cinque peccati: si era
abbandonato all’idolatria, aveva versato sangue innocente, si era accostato a
una giovane fidanzata, aveva negato la vita del mondo avvenire e aveva disprezzato
il diritto di primogenitura” (Targum Pseudo Jonathan). Commenti rabbinici
successivi hanno interpretato così questo pensiero di Esaù “ecco, sto per
morire”: “Il significato semplice è che Esaù andava tutti i giorni per i campi
a caccia di selvaggina, e metteva la sua vita in pericolo; quindi pensò: come
faccio a sapere che erediterò da mio padre? Si può invece essere sicuri che tu
(Giacobbe), seduto serenamente nella casa di studi, vivrai ed erediterai. A
cosa mi serve la primogenitura?”. Ecco la stoccata finale del demonio! Dopo aver vagato e
peccato molto, come un toro ormai sfinito, siamo preparati ad essere infilzati
con un colpo secco che scende dritto fin dentro il cuore: che mi importa della
vita eterna e del paradiso, ora sono “affaticato” e sto morendo sfinito
accidenti! A che mi serve continuare ad andare in chiesa e partecipare alle
liturgie? Mi sazierà ora che sono “oppresso” da mille problemi ascoltare,
pregare e accostarmi ai sacramenti? E così, dopo una lunga serie di passi
posati nella “steppa”, vendiamo per un piatto di lenticchie la nostra chiamata.
Cadiamo nella trappola del demonio come accadde ad Esaù che, vedendo quelle
lenticchie “rosse” come i suoi capelli credette fossero proprio quelle ciò che
avrebbe potuto saziarlo, l’unico cibo adeguato a lui. Come lo sono per noi il
farci giustizia, serbare un rancore e rifiutare il perdono, chiuderci alla vita
e molte altre attitudini che ci sembrano dare “ristoro” alle nostre forze e “riposo”
alle nostre anime inquiete. E invece sperimentiamo il vuoto assoluto e la morte
interiore perché abbiamo “imparato” dal maestro della menzogna che ci ha insegnato a disprezzare l’amore e la Grazia con la quale il Padre ci ha creati come i suoi primogeniti. Ventiquattro ore al giorno per 365 giorni all'anno infatti, una voce fastidiosa ma così suadente ci ripete: no! Perché devi obbedire, piegarti, sottometterti al giogo e servire? E' un vero e proprio stress. La ascoltiamo, e soccombiamo, perché in fondo va a toccare sempre i nervi scoperti dalle piccole e grandi ingiustizie che subiamo o crediamo di subire: la frecciata insolente, lo sguardo ironico, il letto dei bambini da rifare mentre stai già per uscire, il dentista sadico, o l'amministratore di condominio che ti viene a chiedere i soldi giusto quando avevi dimenticato la sua esistenza e già stavi pensando di cambiare finalmente il frigorifero. L'orgoglio
ci ha gettato fuori di casa, e, come il figlio prodigo, ci siamo inselvatichiti. Per noi esistono
ormai solo i bisogni primari, mangiare, bere, dormire, fare sesso e soddisfare
tutto ciò che, istintivamente, stuzzica la carne. Vaghiamo lontano, proprio
come animali allo stato brado: cerchiamo nutrimento ovunque, e non ci rendiamo
conto che stiamo rovistando tra i rifiuti, incapaci di ascoltare e obbedire.
Gesù sa che siamo morti dentro e che per questo la Legge non può salvarci, anzi,
essa diventa per lui un giogo insopportabile. Non ti
meravigliare dunque se tuo figlio sembra uno yeti, incapace di stare fermo,
ascoltare e obbedire: è inutile ripetergli come un mantra la lista dei doveri
che neanche tu puoi adempire. Abbiamo tutti bisogno di ascoltare una voce che
abbia il potere di destarci dal sonno della morte, di farci rientrare in noi
stessi, ci rialzi per fare ritorno a casa, il luogo dove imparare a custodire e
a vivere la nostra primogenitura. Abbiamo bisogno ogni giorno di ascoltare la
voce del Maestro buono che ha il potere di far tacere quella del cattivo
maestro. Il “giogo” della Torah, che non a caso significa
“insegnamento”, si fa leggero e dolce solo portandolo con Cristo: saremo liberi
dal “giogo del regno terreno e dal
giogo delle occupazioni mondane” (Avot III,5) solo "imparando" da Lui nella Chiesa, la casa dove la ascoltare la Torah con
la quale Dio si è legato a noi come già a Israele, e dove, passo dopo passo, sperimentare come Lui la
incarni e la compia in noi. L'umiltà e la mitezza,
infatti, si "ascoltano" nella storia. Per questo oggi Gesù ci
dice di “imparare da Lui” che è “mite e umile di cuore”. Etimologicamente,
la “mansuetudine” o mitezza è la caratteristica dell'animale “ammansito” perché
sia docile nel sottoporsi al giogo. La carne di Gesù è l’unica “domata”
perché ha "imparato ad obbedire dalle cose che ha patito”. Per
questo Gesù non ci impone nulla, non insegna
dall'alto della sicumera. Il cuore “umile” di Gesù ha “umiliato” la sua carne
per deporla accanto alla nostra, senza scandalizzarsi della nostra, schiava
della superbia."Imparate
da me": il termine adottato rimanda a un rapporto, a una relazione
profonda, quella tra Didaskalo e Discepolo. “Imparare”
dunque è la coniugazione di un'intimità. E' conoscersi, secondo
l’etimologia biblica del termine; è donare e ricevere, è amare
nell'amore con cui si è amati. E’, ad ogni passo, “nascere con” Cristo
come creature nuove dal suo fianco squarciato per amore nelle viscere di
misericordia della Chiesa. E’ camminare sulle sue orme, dove e come Lui ha
imparato, ovvero dalle cose che patì. Per
questo ci invita a “prendere su di noi il suo giogo”, la Torah che proprio su
di esso Egli ha compiuto. La sua carne accanto alla nostra per abbracciarci e
accoglierci sulla Croce che distrugge il peccato e ci rende “miti e umili di
cuore”. La Croce con la quale ci ammaestra, infatti, ha le nostre misure: è
adatta a tutte le manifestazioni del nostro orgoglio, parole, progetti, schemi,
atteggiamenti, per potarle dolcemente nel suo amore. Se Lui è accanto a noi
portando il giogo con noi, significa che ogni passo che faremo sarà immerso
nella misericordia e nell'amore. La Croce è l'unica scuola adatta a noi;
ciò che ci umilia e ci sembra assurdo e inaccettabile nella nostra vita è
l'unico “giogo” adeguato a noi, per mezzo del quale imparare l'obbedienza,
unica porta al vero “riposo”. Diversamente saremo sempre assaliti da scrupoli e
dubbi. Chi non obbedisce non è mai certo di fare la cosa giusta, perché solo
chi obbedisce ama. Il “suo
giogo” abbassato anche oggi sul nostro collo è “leggero e soave” perché solo in
esso troviamo la nostra realizzazione che è compiere la volontà di Dio, l'unica
pace. Abbracciati da Cristo sapremo distendere liberi le nostre braccia per la
moglie, il marito, i figli e per ogni uomo. E’ nella nostra vita concreta,
infatti, che Gesù viene a farsi carne. Per questo, l’Avvento ci chiama a
offrire il “giogo” di Gesù a chi ci è accanto, scendendo ovunque si trovi, per
adattarlo alle sue misure. A “imparare” da Gesù nell’intimità della comunità
cristiana per uscire con Lui da noi stessi e donarci all’altro. Come il
Cireneo porteremo la Croce con Cristo. Forse inconsapevoli, ma aggrappati alla
sua Croce; mentre crediamo di portarla scopriremo che è proprio essa a portarci
alla pace e al riposo.
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