Giovedì della XV settimana del Tempo Ordinario


Il Buon Ladrone di Tiziano



αποφθεγμα Apoftegma

Lasciati portare dal legno della Sua umiltà. 

Sant'Agostino



Mediante l'umiltà viviamo con Dio, 
e Dio vive con noi in una vera pace; 
in essa si trova il fondamento vivo di ogni santità.
L'uomo umile rinuncia alla propria volontà 
e si abbandona spontaneamente nelle mani di Dio. 
Così diviene una sola volontà e una sola libertà 
con la volontà divina. 
E questo è proprio il fondo dell'umiltà. 
La volontà di Dio, che è la libertà, 
ci toglie ogni spirito di timore 
e ci rende liberi e vuoti da noi stessi. 
Allora Dio ci dà lo Spirito degli eletti, 
che ci fa gridare con il Figlio : «Abba, Padre». 

Beato Jan Ruysbroeck





COMMENTO CATECHETICO





GESU' E I DUE LADRONI. DAL FILM "THE PASSION"











L'ANNUNCIO



Dal vangelo secondo Matteo 11, 28-30

Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.
Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». 
















Crocifissione di Rubens.
Il Buon Ladrone che trova pace mentre l'altro si dimena

UMILIATI COME IL BUON LADRONE POSSIAMO OGGI ENTRARE NEL RIPOSO PRENDENDO CON CRISTO IL SUO GIOGO


Tutti siamo stati creati nella Parola d'amore di Dio. Per questo, il compimento della nostra vita che significa il riposo dell'anima è frutto dell'obbedienza alla Parola nell'amore. Ma, ingannati dal demonio, abbiamo rifiutato di prendere il giogo della Legge e di seguire la volontà di Dio. Per questo siamo stanchi e oppressi dai nostri fallimenti che la stessa Parola ci illumina, ricordandoci che non siamo stati creati per seguire le concupiscenze. Se non amiamo il nostro cuore non può riposare, perché nella frustrazione del nostro essere più intimo c'è solo agitazione e ira. Ma Gesù ci conosce e ci chiama anche oggi nella Chiesa, per imparare la mitezza e l'umiltà, le qualità del suo cuore. L'umiltà del condannato con Gesù alla stessa infamante morte di Croce che implora il suo perdono. In quel momento l'ultimo della terra ha incontrato Colui che per lui si era fatto ultimo, prendendo su di sé la stessa condanna, la nostra, che ci preclude gioia e riposo. Disma, il ladrone pentito, accetta i suoi peccati e quella Croce che lo fa piccolo inchiodandolo alle conseguenze delle sue scelte. E, crocifisso sulla stessa Croce di Cristo, ne implora la misericordia che vede fatta carne in quell'uomo che riconosce come Signore, perché era l'unico che, caricando l'ingiustizia della sua stessa giusta condanna, si offriva a lui. Così, prendendo il giogo di Gesù, trova il riposo del Regno. In quell' "oggi" in cui morirà crocifisso, sperimenterà il perdono e la morte del suo uomo vecchio e l'ingresso con Cristo nel riposo della volontà del Padre, il Paradiso della vita nuova nell'amore. Accettata, anche la nostra croce diviene un giogo leggero perché su di essa Cristo rende leggero il carico delle nostre colpe nel suo perdono. Nella Chiesa, illuminati dalla Parola creatrice, possiamo riconoscerci peccatori e, accogliendo la Buona Notizia della risurrezione e del perdono, accettare il giogo della storia che ci umilia, e così, attraverso i sacramenti, sperimentare che Cristo lo ha preso prima di noi per salvarci e farci entrare con Lui nel riposo dei figli di Dio. Essi imparano da Lui seguendolo nella vita nuova che porta il giogo della Torah entrando ogni giorno negli eventi da cui vorremmo sfuggire, per gustare in essi la presenza e l'amore dello Sposo, primizie del riposo celeste preparato per noi. Perché è solo crocifissi con Lui, quando cioè gli eventi e le relazioni ci superano, che possiamo riposare dalle nostre opere e lasciare operare il Signore, che trasforma la nostra debolezza nel tabernacolo della sua potenza. 


COMMENTO COMPLETO
Il Buon Ladrone
entra nel Paradiso
Gesù ci chiama anche oggi, per imparare la mitezza e l'umiltà, le qualità del suo cuore. Basta ascoltare e andare. E' questa la volontà di Dio per noi. Andare e fermarsi presso di Lui. Vedere dove Lui abita, stare con Lui, imparare con l'orecchio aperto come un discepolo. Ai suoi piedi, cercando e desiderando l'unica cosa buona, la sua Parola, la sua vita, il suo amore. In questo atteggiamento del cuore, e solo in esso, troveremo ristoro, riposo per il nostro intimo, per le nostre anime. Perché così entreremo nel suo riposo, nello shabbat preparato per noi; unica condizione, un cuore docile. Se oggi ascoltiamo la sua voce non induriamoci, lasciamoci sedurre dalla sua misericordia. E riposa solo chi ha presente sempre la verità: "Sappi [tre cose,] da dove vieni: da una goccia putrefatta; dove vai: verso un luogo di polvere, di larve e di vermi; e davanti a chi dovrai rendere conto: davanti al Re, il Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia" (Avot 3,1). Sapere queste tre cose è la verità che libera dall'orgoglio e dall'arroganza di dover condurre la propria vita con lo sforzo e l'angoscia di chi presume di sé ed esige dagli altri. Sapere che, senza di Lui, non siamo nulla, schiavi del giogo del mondo, esigente e senza misericordia. Il suo Giogo invece, ovvero la Croce d'ogni giorno, è il vero cammino al riposo. Allora, prendere la Croce che la storia ci presenta, è il modo per andare al Signore: e questo cammino è già imparare ad essere miti e umili di cuore. Il mite infatti, come recita il salmo 37, possiede già la terra perché la croce pota l'orgoglio, riduce la menzogna a polvere e fa brillare la verità. Nella storia di oggi possiamo conoscere la nostra debolezza senza scandalizzarci, e lasciarci condurre, vivendo dell'autentico alimento: "Ricordati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provar la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore"(Deut. 8,2-3). Così, l'umiltà figlia della verità, conduce all'abbandono totale alla Parola. L'umiltà del condannato con Gesù alla stessa infamante morte di Croce e implora il suo perdono. Ecco, in quel momento l'ultimo della terra ha incontrato Colui che per lui si era fatto ancora più ultimo, prendendo su di sé la stessa condanna. Crocifisso sulla stessa Croce di Cristo trova il riposo del Regno in quello stesso "oggi" in cui morirà al mondo umiliandosi nell'accettazione delle proprie colpe. E quella Croce diviene un giogo leggero perché Cristo è sceso a prenderlo per portarlo con lui, rendendo leggero il carico delle sue colpe nel suo perdono. Quel ladrone aveva preso il giogo di Cristo su di sé sperimentando che per primo era stato Lui a prendere il suo. E per questo la sua anima ha trovato il ristoro del Cielo, dopo aver sofferto tanto a causa dei peccati. Sant'Ambrogio, afferma addirittura che Gesù stesso si era fatto "buon ladrone" per riscattare ogni "cattivo ladrone". Dopo aver stigmatizzato la crudeltà di "crocifiggere come un malfattore (quasi latronem) il Redentore di tutti", dice: "Ma nel mistero - cioè nell'interpretazione più profonda, che attinge alla pienezza del mistero della salvezza - Egli [Gesù, il Redentore] è un eccellente malfattore (bonus latro), perché ha teso un agguato al diavolo e gli ha portato via la sua roba". 



In un manoscritto ebraico scoperto nel 1898 nel cosiddetto Cairo Genizah, il luogo dove in una sinagoga del Cairo venivano “sepolti” i manoscritti logori contenenti le Sacre Scritture, è stato trovato questo frammento: "Venite a me, voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia casa di studio [beit midrash]. Quanto tempo volete rimanere privi di queste cose, mentre la vostra anima ne è tanto assetata? Ho aperto la bocca e ho parlato della sapienza: Acquistatela senza denaro. Sottoponete il collo al suo giogo, e permettete alla vostra anima di portare il suo carico. Essa è vicina a quelli che la cercano e la persona che dà la sua anima la trova. Vedete con gli occhi che poco mi faticai, ma ho perseverato fino a quando non l’ho trovata". Dunque il "giogo" di Gesù è la "casa di studio" dove Lui insegna e dove possiamo imparare: nel greco originale, infatti, "imparate" (màthete) significa proprio "studiate"L'umiltà e la mitezza si studiano, e il libro è Cristo, la sua stessa vita incarnata nella nostra esistenza. Studiare le sue parole, il suo pensiero, i suoi sentimenti, sino ad assumerli e a farli nostri. Nulla di sentimentale o moralistico, piuttosto il com-prendere, il prendere-con noi, su di noi, il giogo della Torah, il carico leggerissimo dello straordinario compiuto in Cristo. Prendere con noi una vita inchiodata a letto, o stretta nella precarietà; prendere con noi una relazione difficile, dalla quale è sparito l'incanto della passione; prendere con noi un lavoro senza gratificazioni umane, con colleghi che ti fanno la guerra; prendere con noi anche una depressione, come gli altri un giogo pesantissimo per chi non conosce Cristo. Un giogo che, senza la Grazia, schiaccia e uccide: e questo spesso accade anche nelle nostre parrocchie, invase dallo spirito mondano, dove tutto è esigenza: esigenza di legalità, esigenza di coerenza, esigenza di impegno, solidarietà. Ce lo vorrebbero imporre da fuori, dalle cattedre e dai giornali dei maestri del pensiero unico che determina la cultura della società civile; ce lo vorrebbero imporre anche da dentro, quando i parroci si sentono frustrati e cominciano ad esigere dai parrocchiani che facciano, facciano, partecipino, si tirino su le maniche. E riducono la Chiesa un luogo di leggi, di obblighi, di volontariati asfissianti: "Gli scribi e i Farisei seggono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque ed osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le opere loro; perché dicono e non fanno. Difatti, legano dei pesi gravi e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito" (Mat. 23:2-4). Ciò significa che, proprio mentre si esige impegno si scappa dalla storia. E' l'esatto contrario del cristianesimo. Non così "Mosè", che "era un uomo molto umile, più di ogni altro uomo sulla faccia della terra.” (Numeri 12,3). E perché? Perché aveva conosciuto se stesso, fragile, incoerente, mascalzone, ma eletto, chiamato a prendere il "giogo" di Cristo, e aprire al Popolo il cammino nel deserto. E' mite, infatti, chi ha imparato che la lotta d'ogni giorno non è contro le creature di carne, contro suocere o mariti o mogli o figli o colleghi di lavoro o coinquilini di condominio. Il combattimento, invece, è contro il demonio, il padre della menzogna e dell'orgoglio. In questa lotta occorre imbracciare le armi della fede, la Parola, lo zelo per il Vangelo, il suo amore infinito. La fede, la speranza e la carità, i doni del Cielo riservati a chi reclina il proprio capo sul petto di Gesù, assumendo lo stesso "giogo", l'unico che darà senso e compiutezza alla vita. Esattamente come il "giogo" serve agli animali per compiere il loro lavoro. Il Signore ci chiama a immergere la nostra mente nel suo cuore, la fonte della mitezza e dell'umiltà, la porta al riposo e alla pace. 


Simei tira i sassi al Re Davide
Ci aiuta la figura di Davide, un peccatore che non ha mai dubitato dell'amore di Dio; e ha preso il "giogo" su di sé, che significa anche accettare le conseguenze dei propri peccati senza esigere un perdono che cancelli la realtà. Dio perdona, e i peccati non esistono più. Certo, ma le conseguenze restano. Per questo Davide, di fronte a Simei che lo insultava mentre scappava da Gerusalemme braccato da suo figlio Assalonne, accetta l'umiliazione, il "giogo" legato al perdono (leggi 2 Sam 16). E non si ribella, sperando che proprio l'umiliazione lo possa condurre alla conversione e alla misericordia. Ecco, nella trama della storia, vi sono disseminate le occasioni per convertirci. Abbiamo tanto peccato, ed è una Grazia che, sul cammino, ci si accostino tanti Simei a lanciarci pietre e a inveire contro di noi: a casa, a scuola, al lavoro, ogni occasione di umiliarci è un dono di Dio. Attraverso di esse potremo imparare l'umiltà e la mitezza di fronte alla storia. Impariamo allora la mitezza caricandoci del giogo di Cristo, che ci dona l'audacia di ritornare a Dio: è questa l'umiltà, la mitezza autentica, il cuore secondo Dio che Lo conosce e non dubita di Lui, mai. Neanche davanti alla caduta più atroce, mai. Neanche dinanzi alla contraddizione più umiliante, mai. Nella certezza che, crocifissi con Cristo, nulla e nessuno potrà mai separarci dal suo amore.




IL BUON LADRONE DISMA ENTRA NEL PARADISO SECONDO L'ICONOGRAFIA BIZANTINA DEL GIUDIZIO FINALE. 


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"Lo vedi crocifisso e lo chiami re. Credi che colui che sopporta scherno e sofferenza giungerà alla gloria divina" (San Giovanni Crisostomo, Commento a Luca, omelia 153). 

"Costui pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso. La vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo là c’è il Regno" (S. Ambrogio. Esposizione del Vangelo secondo Luca, 10,121). 


































ALTRE IMMAGINI DEL "BUON LADRONE"




 La vita è stare con Cristo, perché dove c'è Cristo là c'è il Regno

Sant'Ambrogio




APPROFONDIMENTI SUL BUON LADRONE



Ambrogio comincia col descrivere loro la tattica usata dai lottatori nelle gare allo stadio: essi infatti "si abbassano sotto gli attacchi e i colpi e danno l'impressione di poter essere sconfitti; ma improvvisamente, quando pare che siano ormai schiacciati dal peso dell'avversario, ecco che, con abile mossa, si rivoltano e atterrano l'avversario che stava sopra. Quello che stava sopra cade e quello che stava sotto viene a trovarsi sopra e a schiacciare a sua volta". 
Nessuno ci toglie il sospetto che il nostro vescovo, quando ancora era governatore o anche nella sua precedente giovinezza romana, abbia assistito a queste scene, seguendole con gusto e rimanendone vivamente colpito. Ma ora che tutto gli serve per insegnare un'esperienza più grande e più incisiva per la vita umana, eccolo compiere una vivace trasposizione: "Allo stesso modo, in una lotta spirituale, il Signore Gesù, con i nostri pesi addosso, si è abbassato sotto l'attacco della sua passione ed è parso debole, perché l'avversario lo ritenesse uomo al pari di tutti gli altri, facile da sconfiggere: così ha deposto le armi della divinità per difendersi con lo scudo da uomo". Che cosa è allora accaduto grazie a questa umiliazione e annichilimento, nel quale la divinità si è nascosta nella kènosis dell'umanità assunta? 
È a questo punto che, nel commento di Ambrogio, vediamo ancora affiorare l'immagine dell'inganno salutare, compiuto per noi dal bonus latro Gesù: "Con la sicumera del vincitore, il tentatore si è avvicinato ancor di più; lo ha voluto ferire alla costola con la lancia del soldato (cfr Giovanni, 19, 34), pensando di poter sconfiggere anche lui, come Adamo, nella costola. Ma, ferito al costato, il Signore Gesù ha sprizzato vita dalla ferita; ha annientato ogni peccato; ha abbattuto l'avversario, a cui ha sottratto la morte del ladrone e, in quella morte, in quella sepoltura corporale, quando sembrava schiacciato a terra, si è rivoltato per forza propria; è caduto l'avversario; il Signore è risorto" (13: Sancti Ambrosii episcopi Mediolanensis opera, 8, pagina 47). 


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San Giovanni Crisostomo in qualche modo si meraviglia e si rivolge al ladrone così: “Che cosa strana, inaudita! La croce è sotto i tuoi occhi e tu parli di regalità! Che cosa vedi che ti possa far ricordare la dignità regale? Un uomo crocifisso, contuso dagli schiaffi, schiacciato dalle beffe e dalle accuse, coperto dagli sputi, lacerato dai flagelli: è da questi segni che tu riconosci un re?”.

Il ladrone non si ferma all’apparenza, vede con gli occhi della fede.

Ecco come si esprime sant’Agostino: “Che fede! Ad una tal fede io non so che cosa si potrebbe aggiungere. Coloro che hanno visto Cristo risuscitare dai morti hanno vacillato; egli invece ha creduto in colui che vedeva appeso al legno accanto a sé. Nell’istante stesso in cui i primi hanno vacillato, egli ha creduto. Che bel frutto ha colto questo bandito sul legno secco!”.

In verità, in verità, ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43). Alla preghiera del buon ladrone Gesù offre una risposta pronta, breve ma solenne e sorprendente.
Tale risposta si apre con una formula che impegna solennemente la parola data, carica di tutto il peso della propria autorità, dignità e credibilità.

Secondo il termine aramaico pronunciato da Gesù usato raramente e da Luca soltanto qui, significa: è vero, sono sicuro, lo garantisco.
Osserva W. Trilling “nessun uomo aveva ricevuto da parte di Gesù questa garanzia strettamente personale di vivere con lui in paradiso”.
Il buon ladrone aveva chiesto un ricordo Gesù invece gli risponde: “Oggi sarai con me”.
Commenta sant’Agostino: “Sperava di ottenere la salvezza soltanto in futuro, si contentava di riceverla in un lontano domani, ed ecco che ode la risposta: “Oggi stesso”, “Oggi tu entrerai con me in paradiso”.
E’ da notare come l’oggi sia un termine presente in continuità nel Vangelo di Luca, dove riveste un particolare rilievo e significato. E’ l’oggi della salvezza: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore”, dice l’angelo del Signore ai pastori di Betlemme (Lc 2,11);
Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” proclama Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,20);
Oggi la salvezza è entrata in questa casa” dice il Signore a Zaccheo (Lc 19,9). Come si può notare questo oggi appartiene a Gesù in quanto è il Salvatore, in un certo senso coincide con Gesù stesso. Proprio per questo l’oggi penetra e pervade ogni tempo, il passato il presente e il futuro. L’autore degli Ebrei dice: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (Eb 13,8). Per il buon ladrone il giorno della sua morte in croce diventa il giorno dell’inizio della vita piena e della gloria definitiva.

San Giovanni Crisostomo suggerisce: “E’ un grande onore entrare in Paradiso, ma è un onore ancora più grande entrarvi con il Signore”. Essere con Cristo significa profonda comunione di vita, intimo rapporto d’amore e d’amicizia, piena partecipazione della sua regalità. Sant’Ambrogio vescovo di Milano, nel suo commento al vangelo di Luca, fa notare come nella risposta di Gesù alla preghiera del ladrone “il dono superi sempre in abbondanza la domanda” … “Il Signore dà sempre di più di quanto gli chiediamo. Colui pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: … oggi sarai con me nel Paradiso; la vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è il Regno”.

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SAN DISMAS

Alcuni vangeli apocrifi (ripresi da diversi autori cristiani) tracciano una vaga biografia di Disma il pagano (l’egiziano), che in alcuni testi è chiamato Tito. Secondo queste biografie, egli nacque in Egitto da un famigerato ladro e fu addestrato in questa professione e nel suo esercizio. Fu a capo di malfattori che derubavano viandanti, privandoli a volte anche della vita.
I testi narrano anche che la santa Vergine, mentre fuggiva in Egitto con Gesù e Giuseppe, si imbatté in Disma e nei suoi complici decisi a derubare la Sacra Famiglia. Ma l’uomo, intenerito dalla bellezza e dall’umiltà di Maria, sopraffatto dallo stupore, li ospitò addirittura nella propria casa e se ne prese cura. Uno di questi vangeli narra ancora che Disma aveva un figlioletto lebbroso; egli chiese alla Madonna di poter immergere il suo bambino nella stessa acqua dove poco prima Ella aveva lavato Gesù. Fu una speranza ispirata da Dio perché le carni piagate del figlio del ladro risanarono. Mentre la Sacra Famiglia si allontanava, Gesù avrebbe fissato i suoi occhi in quelli del buon ladrone, uno sguardo che sarebbe tornato più là, in tutt’altre circostanze, una promessa di Paradiso. Sono racconti leggendari e insieme poetici, che sono stati cari a tanta tradizione cristiana, tanto da trovarne eco negli scritti di alcuni santi. Secondo questi testi, abituato al vizio, Disma non abbandonò la sua scellerata professione; fu catturato e rinchiuso nelle prigioni di Pilato, crocefisso alla destra di Gesù, anche lui, come il Nazareno, con una iscrizione che ne indicava il motivo della condanna: Hic est Disma latronum dux (Questo è Disma, comandante dei ladri – o assassini -). Teofilo, uno degli autori che riprende gli apocrifi, racconta che, agonizzante, Disma fu prima bestemmiatore, ma che in un attimo, volgendo lo sguardo al Nazareno si fece predicatore dell’innocenza di Cristo e per questo conquistò il Paradiso.
Ovviamente Disma è il patrono dei condannati a morte, ma anche dei ladri (o dei ladri pentiti), che nella misericordia del Signore hanno anche un loro patrono, secondo un diritto che non è di questo mondo ma appartiene alla misericordia di Dio. I Padri della Chiesa hanno composto commenti bellissimi su di lui, come quello di San Bernardo: «Oh quanto è buono e amoroso Gesu! Con la risposta data al buon ladrone Egli volle dimostrarci che subito esaudisce, subito promette, subito concede! (De Passione Domini)»; e Sant’Ambrogio, in un commento al passo del Vangelo di Luca: «Disma chiese a Gesù solo che si ricordasse di lui. Nella sua umiltà si credette indegno di chiedere di più. Ma Gesù sorpassò la preghiera e gli concesse molto di più della domanda, perché Nostro Signore concede sempre più di quanto gli si chiede». E il buon ladrone è, insieme ai santi innocenti, uno dei santi prediletti di Teresina di Lisieux, perché, come i bambini di Betlemme uccisi da Erode, non ha fatto nulla per guadagnare il cielo, lo ha rubato.
Ma se sembra naturale leggere tali parole da questi illustri santi, meno scontato è che Simon Weil scelga Disma come modello della sua umiltà. Filosofa divisa tra il pensiero di Platone e quello di Marx, tra la cultura greca e la tradizione cristiana, conobbe l’orrore del nazismo e la deportazione ad Auschwitz; nei suoi quaderni un appunto stupendo: «Se non potrà essermi concesso di meritare di condividere un giorno la croce di Cristo, spero mi sia data quella del buon ladrone!». E ancora: «Il miracolo del buon ladrone non fu che abbia pensato a Dio, ma che riconobbe Dio nel suo vicino». Più “estremista” è Søren Kierkegaard quando scrive: «Il buon ladrone fu l’unico cristiano contemporaneo di Gesù». Anche la musica si è cimentata con la figura di Disma: di profonda grazia la II sonata di Franz Joseph Haydn nelle Ultime sette parole di Cristo sulla croce, dal titolo Hodie mecum eris in Paradiso, caratterizzata da una melodia dolce e distesa, che canta la speranza della salvezza.
Ma se è relativamente facile scrivere del buon ladrone, quanto deve essere stato difficile per un artista rappresentarlo, dipingerlo, scolpirlo! Il cattivo, il brutto, il disperato è raffigurabile come un personaggio sgraziato, con forme grossolane, con colori pesanti, scuri, senza luce. Disma è il miracolo di un istante, complicato da fermare su tela o su marmo: l’incallito malfattore e bestemmiatore che in attimo di misericordia, è reso giusto.

Vincenzo Foppa, pittore del Quattrocento, nella tavola I tre crocefissi, realizzata nel 1456, dipinge un ladrone con il capo chino di fronte a Gesù, placato, in pace dopo la conversione e disegna, invece, l’altro malfattore, quello che inveisce contro il Signore, in contorsione dolorosa sulla croce. Foppa gli pone sul capo un piccolo demone, che gli tira i capelli in modo da impedirgli di volgere la testa e gli occhi a Cristo, per impedire che quello sguardo gli guadagni, come all’altro compagno di sventura, quell’ultimo pentimento. Il Pordenone, nel 1521, nella Crocifissione conservata nel Duomo di Cremona, rappresenta Disma come un omone che sembra voler spezzare le corde che lo legano per volare verso Gesù, che gli ha appena promesso la vita eterna. Così come pare volersi muovere e prendere il volo il buon ladrone dipinto da Tiziano (1563): una mano alzata verso il cielo, l’altra che quasi sembra voler prendere la mano di Gesù per andare insieme con Lui nel Suo cielo. La luce colpisce Gesù, ma una più tenue illumina anche il buon ladrone, ormai libero dai vincoli della croce e del peccato.
Indimenticabile è Disma raffigurato da Rubens, intorno al 1620, conservato al Museo Reale delle Belle Arti di Anversa. Nella sua Crocifissione Il ladrone pentito non si dibatte, al contrario dell’altro. E seppure soffre, non c’è disperazione in quella sofferenza: la Croce non è fardello insopportabile, ma scala che porta dritta in cielo. Se la mano destra sembra voler fermare la lancia del soldato romano che sta per colpire Gesù, come a tentare un’inutile quanto umana difesa del suo vicino di croce, la sinistra si tende per afferrarsi a Lui, al suo Salvatore.
E ancora la musica, in tempi più moderni. Nella Buona novellaFabrizio De Andrè, nella sua canzone Il testamento di Tito, fa dire al ladrone pentito: «Ma adesso viene la sera e il buio mi toglie il dolore dagli occhi e scivola il sole aldilà delle dune, a violentare altre notti; io nel vedere quest’Uomo che muore, madre, io provo dolore. Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore».
La pietà di Gesù che non condanna, ma fino all’ultimo spera, attende quello sguardo, quel moto del cuore, anche nell’ultima pena. Così che in qualche modo quel povero diavolo ha dato conforto a Dio, quando Gesù, abbandonato da tutti, riceve una prima risposta alla sua indicibile attesa; sorta di anticipo della resurrezione, quando le porte del Cielo si schiuderanno a tutti i suoi eletti.
Disma che, salito in Cielo, Dio mette a custodia del suo Paradiso, in attesa dei tanti poveri peccatori che verranno a bussare alla sua porta. È una bellissima immagine che si trova nell’Ufficio Bizantino, in una preghiera composta da Romano il Melodo. A Pietro, rattristato dal suo tradimento, il Signore rivolge queste parole: «Tu hai il buon ladrone a confortarti, il custode del Paradiso  […] Attraverso voi Adamo ritorna a me dicendo “Il Creatore ha posto per me il ladrone a guardia della porta e a guardia delle chiavi Cefa”».
Disma, il buon ladrone, un santo caro ai tanti poveri peccatori ai quali, in questo tempo di Quaresima, è dato di guardare la croce di Gesù con quella stessa povera domanda, la stessa consolante speranza. Partecipi per grazia della preghiera di san Tommaso nell’Adoro Te devote: «peto quod petivit latro penitens» (chiedo quel che chiese il ladrone pentito).

Piccole Note

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LA CONVERSIONE DEL BUON LADRONE
di Mons. Jean-Joseph Gaume (1802 - 1879)

Tal era circa al mezzo dì l'aspetto del Calvario. Sulla più elevata cima del colle la Croce del Figlio di Dio: un po'al di sotto a destra, quella di Disma, a sinistra in pari altezza, l'altra del cattivo ladrone. Intorno alle tre croci un largo guardato dalla coorte Romana: a piè delle croci, i soldati addetti alla guardia immediata dei crocifissi: poco più lungi, Maria, Giovanni e le pietose donne, da un misterioso privilegio autorizzate a star presso la Croce del salvatore: juxta Crucem stabant, al di fuori di quel cerchio, una turba tumultuosa di popolo, che andava e veniva affin di godere dello spettacolo, e che simile a flutti incalzati da flutti cambiava continuamente di luogo, per far meglio intendere alla divina Vittima le bestemmie che contro di essa lanciava: praetereuntes blasphemabant.

Qui tutto è mistero. Mistero in quell'ammasso di sarcasmi che cadono sulla santa Vittima: è questo il letterale compimento delle profezie. Mistero nel luogo che Gesù tiene in mezzo dei condannati: è questa la manifestazione della sua gran qualità di Mediatore; qualità distintiva che Egli ha nel Cielo, che ebbe sulla terra, così nel corso della sua vita, e come alla sua morte, e che avrà il giorno del giudizio universale, e per tutta l'eternità.

"Il luogo proprio di un mediatore, dice s. Efrem, è nel mezzo; ed è, nel mezzo dei due condannati del Calvario, che Gesù si fa conoscere mediatore universale. Sempre e per ogni dove Egli è nel mezzo.

In cielo è tra il Padre e lo Spirito Santo; sulla terra nasce in una stalla fra ali angeli e gli uomini; ed è locato come la pietra angolare in mezzo ai popoli. Nell'antica alleanza sta in mezzo alla legge ed ai profeti, de'quali riceve gli omaggi: e nella nuova Ei mostrasi sul Taborre tra Mosè ed Elia. Sul Calvario è in mezzo a due ladroni, e al buono si fa conoscere Dio. Giudice eterno, Egli è collocato tra la vita presente e la futura; in mezzo ai vivi e i morti, principio della doppia vita del tempo e dell'eternità"[1].

E che fa Egli posto così nel mezzo? "Egli fa due cose, risponde s. Cirillo. Egli frena i malvagi e francheggia i buoni, e a traverso di tutti i secoli , e presso tutti i popoli fa quel che faceva la colonna nel deserto. Oscura e luminosa, impediva che le due armate nemiche si confondessero fra loro; arrestava l'Egitto e proteggeva Israele. La provvidenza volle che sul Calvario il Cristo si trovasse in mezzo a'due ladroni, l'uno che si converte e si salva; l' altro che rimane impenitente, e si danna; immagine di tutti gli eletti e di tutti i reprobi"[2].

Ora egli è di fede che al giorno del giudizio gli eletti saranno alla destra del divino giudice, ed alla sinistra i reprobi. "E si raduneranno, dice l'Evangelio, dinanzi a lui tutte le nazioni, ed Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecorelle dai capretti e metterà le pecorelle alla sua destra, e i capretti alla sinistra"[3]. E perchè nulla manchi alla esattezza della profetica immagine del Calvario, il Buon Ladrone era alla destra del Salvatore, ed il malvagio alla sinistra. Questa particolarità, è vero, non rilevasi dal Vangelo, ma come di tante altre la tradizione ce ne avvisa e non vi è luogo a dubbio. Su questo punto tutti i Padri sono di sentimento unanime, ed in prova ascoltiamo solamente s. Agostino e s. Leone.

"Se ponete mente, dice il primo, la Croce stessa fu un tribunale. Nel mezzo sta il giudice: dall'un dei lati il ladrone che crede ed è salvato; dall'altro il ladrone che insulta ed è condannato. Così Gesù anticipatamente annunziava ciò che farà dei vivi e dei morti, collocati gli uni alla destra e gli altri alla sinistra. Il buon Ladrone figura quelli che saranno alla destra, ed il cattivo quelli che saranno alla sinistra. Il Figlio di Dio era giudicato, e minacciava il giudizio"[4].

Il vicario stesso del divino Crocifisso, s. Leone, aggiunge: "Gesù Cristo, Figlio di Dio, è sospeso alla croce che portò egli medesimo sulle spalle. I due ladroni son crocifissi con lui, l'uno a destra, a sinistra l'altro; a fine, di figurare fin sul patibolo la separazione di tutti gli uomini, che avrà luogo nel giorno dell'universale giudizio. Il ladrone che crede è l'immagine degli eletti; ed il ladro bestemmiatore è figura dei reprobi"[5].

Eco, non meno fedele della tradizione, le lingue orientali, chiamano ancora Lass al Jeminil ladrone della mano destra, quello che noi conosciamo col nome di Buon Ladrone[6].

Frattanto elevati sulla croce erano i condannati, e la folla dei dotti e dei ricchi, più ancora che degli ignoranti e de' poveri poteva pascersi dello spettacolo di loro angosce. Fino a quel punto Nostro Signore non avea risposto ai sarcasmi ed alle bestemmie che con un sublime silenzio. Quando quasi temendo che la folgore non iscendesse ad incenerire i colpevoli, alza gli occhi al cielo, e dalle moribonde sue labbra si lascia sfuggire queste misericordiose parole: "Padre perdona loro, perché non sanno quel che fanno".

Come tutti gli spettatori, Disma le ha intese e cessa tosto di bestemmiare. Nè di ciò pago volgesi al suo compagno, e lo sgrida dicendo: "Nemmen tu temi Iddio trovandoti nello stesso supplizio? e quanto a noi certo che con giustizia: perché riceviamo quel che era dovuto alle nostre azioni: ma questi nulla ha fatto di male". Qual è il senso di queste si inaspettate parole? Eccolo. "Che tutti costoro che son qui liberi, né come noi alla loro ultima ora, non temano Dio, ed insultino al Giusto che soffre, è sempre una empietà, una bassezza; ma che noi al momento di spirar l'anima, coi nostri insulti aggraviamo le pene del nostro compagno di supplizio, questo è più che bassezza, è crudeltà, è odioso attentato. Ché se noi siam condannati, l'abbiam meritato; ma questi non ha mai fatto alcun male, e muore innocente".

Qual'è mai, o Disma, questo strano mistero? Che tu condanni ciò che poc'anzi ti parea bene, e nel tuo complice riprovi severamente quel che or ora ti permettevi senza scrupolo alcuno? Chi ti ha messo tali sensi nel cuore, e sulle labbra simiglianti parole? Che avvenne mai? Qual'oracolo ti ha parlato ? Qual miracolo vedesti tu? Ma ecco altro soggetto di sorpresa maggiore del primo. Dopo di aver sgridato il suo compagno, Disma rivolgesi al personaggio ignoto crocifisso accanto a lui, e gli dice: "Signore, ricordati di me giunto che tu sia nel tuo regno". E Gesù gli risponde: "In verità ti dico che oggi sarai meco nel paradiso"[7].

Qui la ragione si smarrisce. Come! o Disma, questo personaggio sconosciuto che insultavi poc'anzi lo chiami ora signore, lo proclami re, e gli chiedi un posto nel suo regno? E questo crocifisso che è presso a morire, coperto di piaghe e di sputi, abbeverato di oltraggi, spogliato di tutto fino anche della sua ultima veste, te lo promette per quel medesimo giorno! "Anche una volta, domanda s. Leone, che è questo mistero? Chi ha istruito questo ladrone? Chi gli ha dato ad un tratto la fede? Qual predicatore gli parlò? Pure egli proclama re e Signore il suo compagno di supplizio"[8].

"Non vi faccia meraviglia, risponde Disma; io continuo il mio mestiere di ladro, e Gesù il suo compito di Redentore. Io ho veduto al mio fianco un ricco personaggio, possessore di tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio, ed ho fatto a suo riguardo ciò che tante volte nel corso della mia vita feci con altri. L'occasione mi parve propizia; l'ho arrestato prima che egli partisse e l'ho spogliato facendomi ricco delle sue spoglie"[9].

Ecco ciò che fece il Buon Ladrone; e i Padri, della Chiesa non hanno che una voce per lodarlo di questo ultimo atto di brigantaggio. "L'avventuroso ladro, esclama s. Ambrogio, vede che potea fare una ricca preda, e non perde un istante. Sulla via del cielo arresta il Signore, e alla maniera dei briganti lo spoglia"[10]. S. Agostino di gran cuore si congratula con esso lui. "Fu ben fortunato questo ladrone. Sì, ben fortunato; egli non si contenta di tendere insidie lungo la via, ma arresta Colui che è la stessa via, il Cristo. Genere affatto nuovo di brigantaggio! In un batter d'occhio, s'impadronisce della vita, e morendo si rende possessore immortale, della sua preda"[11].

Un dei più grandi poeti cristiani, Sedulio, canta questa nuova impresa con un entusiasmo più schietto e meglio giustificato di quello col quale i poeti pagani celebravano le glorie degli antichi trionfatori. "Ei non cangiò professione, un'ultimo atto di brigantaggio lo ha posto in possesso del regno dei cieli"[12].

Conosciamo già il brigante nell'esercizio del suo mestiere. Ma come poté Disma conoscere il ricco passeggero? Chi gl'ispirò l'audacia di assaltarlo?

Chi potè rivelargli il segreto di rubargli? L'ignoriamo ancora. Il divino Crocifisso esercitando l' officio di Redentore, fin sul patibolo ce lo insegnerà.

NOTE
[1] Orat. in sepulcr. Christi.

[2] Lib III, De adorat.

[3] Matth., XXV, 32, 33.

[4] «Tamen et ipsa crux, si attendas, tribunal fuit: in medio enim judice constituto, unus latro, qui, credidit, liberatus; alter, qui insultavit, damnatus est. Jam significabat quod facturus est de vivis et mortuis; alios positurus ad dexteram, alios ad sinistram; similis alter latro futuris ad dexteram, similis alter futuris ad sinistram judicabatur, et judicium minabatur». In Joan. Tract. XXXI, n. 11, ad fin, Opp., t. III, p. alter., p. 2023.

[5] «Jesus Christus, Filius Dei, cruci, quam ipse gestarat, affixus est, duobus latronibus, uno ad dexteram ipsius, alio ad sinistram similiter crucifixus; ut etiam in ipsa patibuli specie monstraretur illa quae in judicio ipsius omnium hominum est facienda discretio, cum et salvandorum figuram fides credentis latronis exprimeret, et damnandorurn figuram blasphemantis impietas prenotaret». Ser. IV. De Pass.

[6] D'Herbelot, Bibl. orient., p. 512, in fol.

[7] Luc. XXIII, 42, 43.

[8] « Quae istam fidem exhortatio persuasit? quae doctrina imbuit? quis praedicator accendit? Tamen Dominum confitetur et Regem, quem videt supplicii sui esse consortem». Serm. 11, De Pass. Dom.

[9] «Vidisti quomodo neque in cruce artis suae obliviscitur, sed per ipsam confessionem praedatur regnum». S. Chrysost. Ser. in Parasc.

[10] «Aggreditur in itinere Dominum, et more latronum eum spoliare nititur». Serm. V in Dom. III Adv.

[11] «Ille autem beatus latro, beatus, inquam, non jam juxta viam insidias tendens, sed viam ipsam in Christo tenens, ac vitae praedam subito rapiens, immutato genere et nova spolia do morte propria reportans». Ser. XLV. in append. Apud Orilia, par. II, c. I. p. 54.

[12] Abstulit iste suis coelorum regna rapinis.- Carm. VPaschal.




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