αποφθεγμα Apoftegma
Noi uomini viviamo alienati,
nelle acque salate della sofferenza e della morte;
in un mare di oscurità senza luce.
La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte
e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita.
Non vi è niente di più bello che essere raggiunti,
sorpresi dal Vangelo, da Cristo.
Non vi è niente di più bello che conoscere Lui
e comunicare agli altri l’amicizia con lui
Benedetto XVI, Omelia di inizio Pontificato
QUI UNA CATECHESI SUL DISCERNIMENTO
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Matteo 13,47-53
In quel tempo, Gesù disse alla folla: “Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?”. Gli risposero: “Sì”.
Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.
Terminate queste parabole, Gesù partì di là.
Siamo
stati pescati dalla rete di Cristo. La sua Croce ci ha salvati
dall'abisso della morte. Ma non è finita. Siamo pesci buoni, come il
grano buono, e bello. Pesci puri, "commestibili" secondo la Legge,
lavati, salvati, santificati dal sangue di Cristo. Ma conviviamo con
quelli cattivi, impuri secondo la traduzione dell'originale, segni di morte
che nessun ebreo poteva mangiare. Sono accanto a noi, i pesci cattivi
che rendono impuri, che tagliano fuori dal popolo della promessa, che
sottraggono l'eredità promessa. I pensieri, i desideri, gli sguardi, le
concupiscenze. La carne senza lo Spirito. Accanto a noi, dentro di noi.
E' il combattimento d'ogni giorno, nel quale però, come scriveva Péguy,
“il Padre ha messo nelle nostre deboli mani, la sua speranza eterna”. La
speranza donata a Pietro dalle mani di Cristo che lo tiravano fuori
dall'abisso nel quale era caduto per la sua incredulità. Anche Pietro,
come ciascuno di noi, prima d'essere pescatore, ha sperimentato cosa
significhi essere pescato dal fondo della debolezza, della carne e
dell'incredulità. Anche oggi vi saranno angeli inviati dal Padre a
separare il buono dal cattivo, il puro dall'impuro. Anche oggi
messaggeri della Buona Notizia ci incontreranno per salvarci. Che oggi,
anticipo della fine dei tempi, il Signore ci faccia ancora suoi, e getti
nella fornace tutto quello che in noi ci separa da Lui, le nostre
impurità che ci impediscono di vivere santamente come in una liturgia di
lode e di amore. E ci doni la misericordia e la pazienza di fronte alla
storia, nella quale è Lui che agisce. La pazienza della speranza, la
perseveranza dell'amore. Appoggiati alla sua fedeltà, che è il sigillo
profetico che ci svela l'autenticità e la credibilità della vita eterna,
la Terra Promessa per entrare nella quale siamo stati pescati
dall'angoscia e dall'impurità dell'Egitto. Capire tutte queste cose è
vivere la promessa - le cose antiche - illuminata dall'amore di Cristo -
la cosa nuova - che non delude. In pace, pieni di una gioiosa speranza,
entriamo anche oggi in questo nuovo giorno dove il vecchio del nostro
passato non ci schiaccia, perché, nel discernimento della fede che
separa come in una nuova creazione il bene dl male, ciò che ci fa bene
da ciò che ci fa male, ogni istante della storia raggiunto dalla sua
misericordia, è un passo verso Lui, da deporre nella storia con la
speranza che non delude: "Per incontrare la speranza, bisogna essere
andati al di là della disperazione. Quando si arriva fino al colmo della
notte, si incontra un’altra aurora. Non sperano se non coloro che hanno
avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne nelle
quali trovavano una sicurezza che essi prendevano falsamente per
speranza” (George Bernanos).
Pazienza e misericordia, timore e pietà scandiscono il tempo del nostro pellegrinaggio. Siamo pellegrini in terra straniera, le cose a cui incolliamo i nostri cuori e i nostri sensi non ci soddisfano. Siamo nel mondo, ma non siamo del mondo.Viviamo nella carne, ma non viviamo per la carne. E' il mistero della nostra vita. Come pesci tratti dal mare cerchiamo un'acqua che, in apparenza, assomiglia alla vita vera per la quale siamo stati creati. Ma non è così. Siamo una specie unica e del tutto particolare. Siamo nati e salvati per un'altra Patria, per il Cielo. Gli inganni, le menzogne, le tentazioni ci sospingono con irruenza verso l'abisso da cui siamo stati tratti. Mentre nel nostro intimo lo Spirito Santo ci sussurra "Vieni al Padre". Benedetto XVI, inaugurando il suo pontificato, ricordava un'immagine cara ai Padri: "Per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio.Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui" (Benedetto XVI, Omelia di inizio Pontificato). Per questo ogni istante che ci è dato è l'attesa d'un compimento. La chiave della nostra vita è tutta qui: un'attesa che geme come nei travagli del parto. Siamo stati pescati dalla rete di Cristo. La sua Croce ci ha salvati dall'abisso della morte. Ma non è finita. Siamo pesci buoni, come il grano buono, e bello. Pesci puri, "commestibili" secondo la Legge, lavati, salvati, santificati dal sangue di Cristo. Ma conviviamo con quelli cattivi, impuri secondo la traduzione dell'originale, segni di morte che nessun ebreo poteva mangiare. Sono accanto a noi. Pesci cattivi che rendono impuri, che tagliano fuori dal popolo della promessa, che sottraggono l'eredità promessa. I pensieri, i desideri, gli sguardi, le concupiscenze. La carne senza lo Spirito. Accanto a noi, dentro di noi. E' il combattimento d'ogni giorno, nel quale però, come scriveva Péguy, “il Padre ha messo nelle nostre mani, nelle nostre deboli mani, la sua
speranza eterna”. La speranza donata a Pietro dalle mani di Cristo che lo tiravano fuori dall'abisso nel quale era caduto per la sua incredulità. Anche Pietro, come ciascuno di noi, prima d'essere pescatore, ha sperimentato cosa significhi essere pescato dal fondo della debolezza, della carne e dell'incredulità.
COMMENTO COMPLETO
Pazienza e misericordia, timore e pietà scandiscono il tempo del nostro pellegrinaggio. Siamo pellegrini in terra straniera, le cose a cui incolliamo i nostri cuori e i nostri sensi non ci soddisfano. Siamo nel mondo, ma non siamo del mondo.Viviamo nella carne, ma non viviamo per la carne. E' il mistero della nostra vita. Come pesci tratti dal mare cerchiamo un'acqua che, in apparenza, assomiglia alla vita vera per la quale siamo stati creati. Ma non è così. Siamo una specie unica e del tutto particolare. Siamo nati e salvati per un'altra Patria, per il Cielo. Gli inganni, le menzogne, le tentazioni ci sospingono con irruenza verso l'abisso da cui siamo stati tratti. Mentre nel nostro intimo lo Spirito Santo ci sussurra "Vieni al Padre". Benedetto XVI, inaugurando il suo pontificato, ricordava un'immagine cara ai Padri: "Per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio.Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui" (Benedetto XVI, Omelia di inizio Pontificato). Per questo ogni istante che ci è dato è l'attesa d'un compimento. La chiave della nostra vita è tutta qui: un'attesa che geme come nei travagli del parto. Siamo stati pescati dalla rete di Cristo. La sua Croce ci ha salvati dall'abisso della morte. Ma non è finita. Siamo pesci buoni, come il grano buono, e bello. Pesci puri, "commestibili" secondo la Legge, lavati, salvati, santificati dal sangue di Cristo. Ma conviviamo con quelli cattivi, impuri secondo la traduzione dell'originale, segni di morte che nessun ebreo poteva mangiare. Sono accanto a noi. Pesci cattivi che rendono impuri, che tagliano fuori dal popolo della promessa, che sottraggono l'eredità promessa. I pensieri, i desideri, gli sguardi, le concupiscenze. La carne senza lo Spirito. Accanto a noi, dentro di noi. E' il combattimento d'ogni giorno, nel quale però, come scriveva Péguy, “il Padre ha messo nelle nostre mani, nelle nostre deboli mani, la sua
speranza eterna”. La speranza donata a Pietro dalle mani di Cristo che lo tiravano fuori dall'abisso nel quale era caduto per la sua incredulità. Anche Pietro, come ciascuno di noi, prima d'essere pescatore, ha sperimentato cosa significhi essere pescato dal fondo della debolezza, della carne e dell'incredulità.
Anche oggi vi saranno angeli inviati dal Padre a separare il buono dal cattivo, il puro dall'impuro. Anche oggi messaggeri della Buona Notizia ci incontreranno per salvarci. Che il Signore ci conceda di non indurire il nostro cuore, di lasciarci amare e riconciliare, di essere strappati alle menzogne e ai veleni del nemico. Che oggi, anticipo della fine dei tempi, il Signore ci faccia ancora suoi, che getti nella fornace tutto quello che in noi ci separa da Lui, tutto quello che ci impedisce di amarlo e lodarlo, le nostre impurità. E ci doni la misericordia e la pazienza di fronte alla storia, nella quale è Lui che agisce. La pazienza della speranza, la perseveranza dell'amore: "Quando Cristo ha guardato la Maddalena con uno sguardo furtivo per la strada, era una cosa semplice: era un richiamarla con una semplicità ad una semplicità in cui la purità dominava, ridominava; contraria alla sua storia, ma non contraria alla sua possibilità presente" (Mons. Luigi Giussani). La pazienza di sapersi ogni giorno bisognosi di essere ri-pescati, ogni giorno strappati alla carne e alla memoria di una storia impura per sperimentare la nuova, pura e feconda possibilità presente. Appoggiati alla sua fedeltà, che è il sigillo profetico che ci svela l'autenticità e la credibilità dell'eterna. Capire tutte queste cose è vivere la promessa -le cose antiche - illuminata dall'amore di Cristo - la cosa nuova - che non delude. In pace, pieni di una gioiosa speranza, entriamo anche oggi in questo nuovo giorno dove ci attende il nostro destino, il nostro dolcissimo Signore. "Per incontrare la speranza, bisogna essere andati al di là della disperazione. Quando si arriva fino al colmo della notte, si incontra un’altra aurora […] Non sperano se non coloro che hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne nelle quali trovavano una sicurezza che essi prendevano falsamente per speranza” (George Bernanos). E Lui è alle porte, e bussa anche ora. E' questa la novità più bella. La nostra felicità.
Pazienza e misericordia, timore e pietà scandiscono il tempo del nostro pellegrinaggio. Siamo tutti parrocchiani, ovvero pellegrini in terra straniera, le cose a cui incolliamo i nostri cuori e i nostri sensi non ci soddisfano. Siamo nel mondo, ma non siamo del mondo. Viviamo nella carne, ma non viviamo per la carne. E' il mistero che tende la nostra vita come una corda di violino. Come pesci tratti dal mare cerchiamo ancora l'acqua che, in apparenza, assomiglia alla vita per la quale siamo stati creati. Ma non è così: apparteniamo a una specie unica e diversa da tutte le altre. Siamo i fratelli di Gesù, il pesce pescato all'amo della Croce, come lo raffiguravano i cristiani delle origini (Icthys, che significa in greco pesce, dalla frase ‘Iesus Cristos Théou Uios Soter, ovvero Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore). Siamo nati e salvati per un'altra Patria, per il Cielo. Gli inganni, le menzogne, le tentazioni ci sospingono con irruenza verso l'abisso da cui siamo stati tratti. Mentre nel nostro intimo lo Spirito Santo ci sussurra "Vieni al Padre". Benedetto XVI, inaugurando il suo pontificato, ricordava un'immagine cara ai Padri: "Per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui" (Benedetto XVI). Per questo, ogni istante che ci è dato è l'attesa d'un compimento. La chiave della nostra vita è tutta qui: un'attesa che geme come nei travagli del parto. Siamo stati pescati dalla rete di Cristo. La sua Croce ci ha salvati dall'abisso della morte. Ma non è finita. Siamo in cammino per raggiungere la "riva", la terra promessa, la vita nuova dei figli di Dio, primizia di quella eterna. Siamo chiamati ad essere "pesci buoni", come il grano buono, e bello. Pesci puri, "commestibili" secondo la Legge, perché lavati, salvati, santificati dal sangue di Cristo. Ma con noi è pescata "una grande quantità di pesci", e dobbiamo convivere con quelli "cattivi", "impuri" secondo un significato dell'originale, segni di morte che nessun ebreo poteva mangiare. Pesci cattivi che si rendono impuri, tagliati fuori dal popolo della promessa; pesci ai quali il demonio ha nascosto l'eredità. Sono accanto a noi, come un segno; sono i fratelli dal cuore indurito che, nonostante siano stati salvati dalla morte, continuano a mormorare, giudicare; gelosi delle "cose vecchie" rifiutano le "nuove", perché, come i farisei e gli scribi, si illudono nella loro superbia di poter fare a meno di Gesù. Anzi, pervertono la salvezza ottenuta per Grazia spacciandola a se stessi e agli altri come un frutto della loro buona volontà, del loro impegno, della loro alta moralità; i "pesci cattivi" sono affetti dal cosiddetto "pelagianesimo dei pii. Essi non vogliono avere nessun perdono e in genere nessun vero dono di Dio. Essi vogliono essere in ordine: non perdono ma giusta ricompensa. Vorrebbero non speranza ma sicurezza. Con un duro rigorismo di esercizi religiosi, con preghiere e azioni, essi vogliono procurarsi un diritto alla beatitudine. Manca loro l'umiltà essenziale per ogni amore, l'umiltà di ricevere doni a di là del nostro agire e meritare... Così questo pelagianesimo è un'apostasia dall'amore e dalla speranza, ma in profondità anche dalla fede" (J. Ratzinger). "Apostasia" di chi è già nella "rete" della Chiesa, ma ha rinnegato la Grazia, nella quale sono donate le virtù che definiscono un "pesce buono", ovvero un cristiano. Possono essere preti, suore, come padri e madri di famiglia. Per l'ipocrisia, infatti, non c'è altra appartenenza che la menzogna... A loro sono dirette le parole che Paolo scrisse ai Galati: "Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla grazia" (Gal 5,4). Ecco, chi dimentica da dove è stato pescato, chi non vede la grazia della rete che lo ha colto mentre nuotava nel mare della morte, non ha più nulla a che fare con Cristo. La cosa più terribile che possa accadere, la morte. Sono "morti" che camminano, hanno dentro un vuoto insopportabile, e sono affetti dalla terribile schizofrenia dell'anima che significa essere "pesci cattivi"; questa è, infatti, una contraddizione in termini: non si può essere nella rete di Cristo e non appartenergli, non si può servire a due padroni, perché si amerà l'uno e si disprezzerà l'altro. Per questo li trovi sempre in piedi a giudicare, a farsi vanto della loro presunta giustizia, e si siedono sulle cattedre e impongono leggi, mentre nel cuore nascondono abomini e rapine: giudizi, passioni, maldicenze, avarizia, violenza. Sono ormai "impuri", non possono accedere al culto "nuovo" in spirito e verità; proprio loro, che invece si ritengono gli unici puri, gli impegnati, quelli che stanno salvando il mondo, sempre in prima fila nelle liturgie, a leggere, a raccogliere le offerte, "perché se non ci fossi io, questa parrocchia come finirebbe"; e giudicano, con dentro il cuore di Marta prima che incontrasse davvero Gesù, e così vanificano la Croce di Cristo che li ha salvati gratuitamente. "Pesci cattivi" come tanti preti sempre ad esigere impegno in parrocchia dal gregge loro affidato; o come le madri e i padri, i fratelli, che tanto si prodigano, in apparenza sono stupendi, ligi, ma nel loro cuore abita lo stesso demone che aveva afferrato il fratello maggiore della parabola del figlio prodigo. Ecco, questi è proprio un'immagine fedele di chi sia un "pesce cattivo": vive in "casa" con il Padre, è "sempre con Lui", e tutto di Lui gli appartiene; ma non si sente figlio. Il demonio gli ha fatto credere che il Padre fosse un mostro, un senza cuore: è geloso, e finisce con il giudicare suo Padre, perché prima aveva disprezzato e cancellato il fratello minore. E' un "pesce" che, una volta nella "rete" si è "adirato"; credeva, infatti, di averne il diritto solo lui, e non quello scapestrato del fratello. Si indigna e scandalizza per la bontà del Padre, perché non così dovrebbero andare le cose, non c'è giustizia: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo ordine, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici". I "pesci cattivi" hanno ancora il cuore "fuori dalla rete"; desiderano "far festa con gli amici" di prima: non sono mai passati alla fede, non hanno rinunciato agli idoli, non hanno cambiato mentalità, sono ancora in Egitto, del quale rimpiangono agli e cipolle. Per questo il figlio maggiore "non voleva entrare" di nuovo in casa: chiamato a diventare figlio, era rimasto abbracciato al suo ego, schiavo della superbia e dell'idolatria. Le stesse malattie mortali dell'anima che affliggono chi si corrompe dopo essere stato salvato: "corruptio optimi pessima" scriveva S. Gregorio Magno, ovvero "Ciò che era ottimo, una volta corrotto, è pessimo". Ed è un pericolo che è sempre accanto a noi, vicinissimo: "La vergogna della Chiesa! Ma ci siamo vergognati di quegli scandali, di quelle sconfitte di preti, di vescovi, di laici? La Parola di Dio in quegli scandali era rara; in quegli uomini e in quelle donne la Parola di Dio era rara! Non avevano un legame con Dio! Avevano una posizione nella Chiesa, una posizione di potere, anche di comodità. Ma la Parola di Dio, no! "Ma, io porto una medaglia"; "Io porto la croce"… Portavano l'arca come i leviti, ma senza il rapporto vivo con Dio e con la Parola di Dio! Mi viene in mente quella Parola di Gesù per quelli per i quali vengono gli scandali… E qui lo scandalo è venuto: tutta una decadenza del popolo di Dio, fino alla debolezza, alla corruzione dei sacerdoti" (Papa Francesco). Ecco, il Vangelo di oggi è anche una chiamata serissima alla vigilanza, all'ascolto della Parola con un cuore docile e aperto alla sua realizzazione in noi. All'obbedienza alla Chiesa, all'umiltà di chi non presume d'essere un "pesce buono" grazie alle sue forze, rigettando la stoltezza di sentirci a posto, senza bisogno di convertirci. Non dimentichiamolo, il diavolo come un leone ruggente ci gira intorno cercando chi divorare; anche lui è un cercatore di perle, e punta a quelle di "grande valore", i cristiani amati e pescati da Cristo... Coraggio allora, non allontaniamoci mai dal Memoriale della nostra salvezza, l'Eucarestia che ci ricorda la pesca del Signore, il suo mistero pasquale nel quale siamo stati salvati, e che lo realizza ancora nell'oggi nel quale lo celebriamo. Coraggio, camminiamo umilmente con il nostro Dio, guardiamo con il santo timore di Lui i "pesci cattivi", pensiamo come i padri del deserto, che si ritenevano gli ultimi e i peggiori della terra; guardiamo ai "pesci cattivi" e pensiamo che essi si salveranno e noi no, se non resteremo uniti a Cristo indissolubilmente. E preghiamo per loro, e per loro offriamo le nostre sofferenze. E attenzione a non ergerci a giudici dei fratelli! A non trasformarci in pubblici ministeri impegnati costantemente nelle indagini di una malsana operazione "anime pulite". Ciò che nella Chiesa anima i "pesci buoni" nelle relazioni con quelli "cattivi" è la pazienza che nasce dall'amore e dallo zelo di custodire l'unità; è la stessa carità di Cristo effusa in loro, quella che li rende appunto "buoni" nella bontà del "pescatore", lo stesso amore testardo di Dio che non vuole che nessuno si perda: "Il Signore stesso è un esempio straordinario di pazienza: sopportò la presenza del demonio addirittura fra gli stessi dodici Apostoli, fino alla passione. Non per questo, tuttavia, ritenne che dovesse essere soppressa ogni disciplina nella Chiesa; anzi raccomandò di farne uso quando disse: Fate attenzione: se tuo fratello ha commesso una mancanza contro di te, vai e riprendilo fra te e lui solo. Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. Ma oggi noi vediamo uomini che considerano solo precetti rigorosi che ordinano di reprimere i perturbatori, di “non dare le cose sante ai cani”, di “trattare come un pubblicano” chi disprezza la Chiesa, di staccare dal corpo il membro che dà scandalo. Il loro zelo inopportuno turba la Chiesa, perché vorrebbero togliere la zizzania prima del tempo e l’ accecamento li rende essi stessi nemici dell’unità di Gesù Cristo... Stiamo attenti che nel nostro cuore non cresca l'empia e funesta presunzione per la quale pensiamo di doverci separare da loro per non essere contaminati dai loro peccati, cercando poi di trascinarci dietro un codazzo di discepoli puri e santi. Non faremmo che rompere l’unità, col pretesto di non frequentare i cattivi. Piuttosto, ci vengano in mente quelle parabole, quelle divine predizioni e quegli esempi così chiari delle Scritture con i quali è stato manifestato e preannunziato che i cattivi saranno mescolati ai buoni nella Chiesa fino alla fine del tempo, fino al momento del giudizio e che, in questa unitaria partecipazione ai Sacramenti, essi non saranno di alcun danno per i buoni che non diventeranno complici delle loro azioni" (S. Agostino). Non siamo chiamati a "separare e gettare nella fornace"; in questa tentazione si rivede quella originale, quando il serpente indusse Adamo ed Eva a farsi come Dio, per conoscere il bene e il male e così giudicare da se stessi chi fosse buono e chi cattivo. E' ciò che hanno fatto tutte le dittature, ma è tutta farina del demonio, perché per i cristiani la misericordia ha sempre la meglio nel giudizio. La carità tutto copre, tutto scusa, tutto crede, a costo di far passare per deboli e stolti i "pesci buoni".
La carità di Cristo spinge a cercare un varco, una fessura, un micron di apertura nel cuore dei "pesci cattivi", per entrare in relazione con loro e stanare l'opera del demonio con l'annuncio di quella misericordiosa di Dio: "siamo chiamati ad "aprirci agli altri, al prossimo. Ad uscire da sé. E quando io esco da me, incontro Dio e incontro gli altri. Come li incontro gli altri? Da lontano o da vicino? Occorre incontrarli da vicino, la vicinanza. Vicinanza è una parola chiave: essere vicino. Non spaventarsi di niente. Essere vicino. L’uomo di Dio non si spaventa. Si tratta di vicinanza a una cultura, vicinanza alle persone, al loro modo di pensare, ai loro dolori, ai loro risentimenti. Tante volte questa della vicinanza è proprio una penitenza, perché dobbiamo sentire cose noiose, cose offensive. E’ quella vicinanza prudente, che sa fino a dove si deve arrivare. Ma, vicinanza significa pure dialogo; bisogna leggere nella Ecclesiam Suam, la dottrina sul dialogo, poi ripetuta dagli altri Papi. Il dialogo è tanto importante, ma per dialogare sono necessarie due cose: la propria identità come punto di partenza e l’empatia con gli altri. Se io non sono sicuro della mia identità e vado a dialogare, finisco per barattare la mia fede. Non si può dialogare se non partendo dalla propria identità, e l’empatia, cioè non condannare a priori. Ogni uomo, ogni donna ha qualcosa di proprio da donarci; ogni uomo, ogni donna, ha la propria storia, la propria situazione e dobbiamo ascoltarla. Poi la prudenza dello Spirito Santo ci dirà come rispondervi. Partire dalla propria identità per dialogare, ma il dialogo, non è fare l’apologetica, anche se alcune volte si deve fare, quando ci vengono poste delle domande che richiedono una spiegazione. Il dialogo è cosa umana, sono i cuori, le anime che dialogano, e questo è tanto importante! Non avere paura di dialogare con nessuno. Si diceva di un santo, un po’ scherzando – non ricordo, credo fosse San Filippo Neri, ma non sono sicuro – che fosse capace di dialogare anche con il diavolo. Perché? Perché aveva quella libertà di ascoltare tutte le persone, ma partendo dalla propria identità. Papa Benedetto ha un’espressione tanto bella: “La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione”. E cosa è l’attrazione? È questa empatia umana che poi viene guidata dallo Spirito Santo" (Papa Francesco). Sono parole stupende, magari le potessimo accogliere e farle nostre, sino a viverle in casa, quando il coniuge, o un figlio si trasformano in "pesci cattivi"; o nelle nostre comunità, quando un fratello si lascia ingannare dal demonio. O con un amico, un parente, un collega, perché è anche vero che solo Dio sa sin dove arriva la sua rete di misericordia. Noi sappiamo che è arrivata sino a noi, peccatori e lontani... E, nell'amore che supera i confini giuridici, sino a ogni uomo. Certo, vi è una "rete" visibile, senza la quale nessuno potrebbe salvarsi. Ma non dimentichiamo mai che essa è sacramento di salvezza per tutti gli uomini. A loro siamo inviati, attraverso l'annuncio della Verità e la vicinanza, la pazienza e la misericordia; con amore, amore, amore verso ogni "pesce cattivo". Perché chi non lo è stato? E chi non ha sofferto il moralismo senza carità di chi ci ha giudicato ed emarginato? E chi, invece, non ha sperimentato almeno una volta la fermezza dolce dell'amore di Cristo, attraverso una Chiesa che ci ha detto sì la verità sui nostri peccati, ma per annunciarci il perdono capace di rigenerare anche il "pesce più cattivo"? E se per caso ci rendessimo conto di essere tra i "pesci cattivi", coraggio! Il Vangelo di oggi è una Buona Notizia: c'è speranza! Se hai scoperto di avere giudizi, di essere ancora attaccato ai beni di questo mondo, soprattutto al denaro; se lo spirito malvagio di questa società si è infilato in te trasformandoti in un giustiziere implacabile, in un indignato, prostrato dinanzi agli idoli culturali che scambiano il bene con il male; se stai mormorando contro Dio, c'è speranza: convertiti oggi e apriti al perdono che la Chiesa ti offre. E accetta il combattimento che ci attende ogni giorno. In esso però, come scriveva Péguy, “il Padre ha messo nelle nostre mani, nelle nostre deboli mani, la sua speranza eterna”. La speranza donata a Pietro dalle mani di Cristo che lo tiravano fuori dall'abisso nel quale era caduto per la sua incredulità. Anche Pietro, come ciascuno di noi, prima d'essere pescatore di uomini, ha sperimentato cosa significhi essere un uomo pescato da Cristo, cioè tratto dal fondo della debolezza, della carne e dell'incredulità. Coraggio allora, perché anche oggi vi saranno angeli inviati dal Padre a separare il buono dal cattivo, il puro dall'impuro. Anche oggi i messaggeri della Buona Notizia ci incontreranno per salvarci. Che il Signore ci conceda di non indurire il nostro cuore, di lasciarci amare e riconciliare, di essere strappati alle menzogne e ai veleni del nemico. Che oggi, anticipo della fine dei tempi, il Signore ci faccia ancora suoi, gettando nella fornace tutto quello che in noi ci separa da Lui, tutto quello che ci impedisce di amarlo e lodarlo, le nostre impurità. E ci doni la misericordia e la pazienza di fronte alla storia, nella quale è Lui che agisce. La pazienza della speranza, la perseveranza dell'amore: "Quando Cristo ha guardato la Maddalena con uno sguardo furtivo per la strada, era una cosa semplice: era un richiamarla con una semplicità ad una semplicità in cui la purità dominava, ridominava; contraria alla sua storia, ma non contraria alla sua possibilità presente" (Mons. Luigi Giussani). La pazienza di sapersi ogni giorno bisognosi di essere ri-pescati, ogni giorno strappati alla carne e al peccato che in essa abita, e liberati dalla memoria avvelenata della nostra storia impura per sperimentare la nuova, pura e feconda possibilità presente. Appoggiati alla sua fedeltà, che è il sigillo profetico che ci svela l'autenticità e la credibilità dell'eterna. "Capire tutte queste cose" è vivere la promessa, già deposta mentre eravamo sul fondo del mare, quando eravamo schiavi del peccato - le cose antiche - illuminata dall'amore di Cristo - la cosa nuova - che non delude. Entriamo in pace e pieni di una gioiosa speranza in questo nuovo giorno dove ci attende il nostro destino, il nostro dolcissimo Signore. Ieri hai litigato con tua moglie? Coraggio, l'annuncio del Vangelo ti ha preso nella rete le cui maglie sono una fitta trama di misericordia; lasciati pescare, e trascinare via dal risentimento, dai giudizi, dal rancore. Lasciati portare sull'altra riva, fai Pasqua con Cristo, accetta il suo perdono e chiedi perdono. In Lui tutto può ricominciare, ogni giorno. Attraverso la "rete gettata" dalla Chiesa attraverso la Parola che ci annuncia ogni giorno e i sacramenti con i quali ci rigenera in Cristo, possiamo passare dall'oscurità delle profondità marine nella quale vive l'uomo vecchio, che è "cattivo", "impuro", incapace di verità e tenerezza, pazienza e amore, alla luce senza tramonto dell'alba pasquale dove la barca della comunità cristiana, e le braccia dei fratelli, ci trascinano per respirare l'ossigeno della vita eterna. Così non inciamperemo, e arriveremo, di "riva" in "riva", sino all'ultima, quella del Paradiso: "Per incontrare la speranza, bisogna essere andati al di là della disperazione. Quando si arriva fino al colmo della notte, si incontra un’altra aurora […] Non sperano se non coloro che hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne nelle quali trovavano una sicurezza che essi prendevano falsamente per speranza” (G. Bernanos).
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