Venerdì della II settimana del Tempo Ordinario


αποφθεγμα Apoftegma

Se gli apostoli sono veramente con Lui, 
allora sono sempre anche in cammino verso gli altri, 
allora sono in ricerca della pecorella smarrita, 
allora vanno lì, devono trasmettere ciò che hanno trovato, 
allora devono farLo conoscere, diventare inviati. 
E viceversa: se vogliono essere veri inviati, 
devono stare sempre con Lui,
per arrivare a conoscerlo, per ascoltarlo, 
per lasciarsi plasmare da Lui; 
devono andare con Lui, 
essere con Lui in cammino, 
intorno a Lui e dietro di Lui. 

Benedetto XVI





UN ALTRO COMMENTO






L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Marco 3,13-19.

Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.







CHIAMATI A STARE CON GESU' NELL'INTIMITA' FECONDA DELLA CROCE DALLA QUALE PREDICARE IL VANGELO E SCACCIARE I DEMONI DI QUESTA GENERAZIONE


Gesù chiama quelli che “vuole". In spagnolo amare e volere si esprimono con la stessa parola, “querer”. E’ salito sul monte Golgota perché solo inchiodato sulla Croce dai nostri peccati poteva conoscere e così volere e amare ciascuno di noi “così come siamo”. Che follia... Gesù vuole e sceglie in base al requisito che chiunque rifiuterebbe. Non ci ha scelto per le nostre capacità ma per quello che nascondiamo. Come ha voluto e scelto quei dodici uomini perché conosceva il loro cuore e sapeva che l’avrebbero vigliaccamente tradito: ha voluto e scelto la povertà e la debolezza dei peccatori, tu ed io, per poterli amare. E’ questo il senso di ogni chiamata. Per questo proprio dalla Croce che oggi ci limita e umilia nella nostra realtà, il Signore ci attira a sé per strapparci alla superbia che ci obbliga a essere il dio che non siamo accogliendoci senza riserve nel suo amore. L'abbandono del ministero, come il divorzio, le fughe di ogni giorno dal sacrificio e dalla sofferenza nascono sempre da un errore di prospettiva che ci fa scambiare Colui che chiama con colui che è chiamato. Quando entriamo in crisi dinanzi alla nostra debolezza per l’orgoglio con cui il demonio vorrebbe rubarci la chiamata, occorre tornare sempre alla sua origine che è Cristo e lo stare stare con Lui nella Chiesa, dove sperimentare il suo amore che assume la nostra realtà per trasfigurarla. Come ha fatto con Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, ai quali diede il nome di Boanèrghes, figli del tuono. Come ti chiamerà oggi il Signore? Lucia “figlia della burrasca” per la tua nevrosi? Giuseppe “pentola di fagioli” per la tua pignoleria che ti fa puntualizzare su tutto? Claudio “topo gigio” perché sempre timoroso a causa delle sofferenze patite? Marisa “nuvole e sole” per i cambiamenti di umore repentini? Ebbene, proprio i difetti e le debolezze, le sofferenze della storia che nel mondo attirano ironia e spesso disprezzo e rifiuto sono il nome nuovo - il suo - che Gesù imprime in noi unendoci a Lui sulla Croce dove ci "fa" apostoli. Attraverso la Parola, i sacramenti e la comunione con i fratelli, come un artigiano, plasmando la materia grezza che gli offriamo crea in noi la sua immagine. Apostolo infatti significa inviato, in ebraico “shaliah”, ovvero un altro se stesso di colui che lo inviava. Come la Sposa dell’Agnello, senza macchia né ruga, bella della bellezza del suo Sposo; la comunità che ci accoglie e della quale, fondati sulla fede degli Apostoli, siamo chiamati ad essere le porte sempre aperte per offrire al mondo la salvezza. Niente più paura, perché Cristo ha vinto la morte e la notte non esiste più; nella Chiesa Egli ha il potere di trasformare tutte le debolezze in pietre preziose e meravigliose attraverso le quali risplende la luce del giorno eterno sul mondo. Sì, sulla Croce le lacrime, i lutti, il pianto, tutto di noi rifulge della gloria della resurrezione, predicazione credibile del Regno che pregustiamo e vessillo di vittoria capace di scacciare i demoni che tengono schiavi gli uomini con la paura della morte.



COMMENTO COMPLETO


Gesù ha chiamato a sé "quelli che Egli volle", perché ogni vocazione scaturisce esclusivamente dal suo volereIl Signore vuole proprio noi, con i nostri nomi, con le nostre storie, così come siamo. Ci conosce e per questo ci chiamaIl Signore non è il responsabile umano dell'ufficio risorse umane della Chiesa, non assume in base al curriculum. Gesù chiama "quelli che vuole" perché i suoi occhi vedono quello che nessun occhio umano è capace di captare; Lui sceglie in base al requisito che chiunque rifiuterebbe, si innamora di quello che nessun ragazzo o ragazza vorrebbe mostrare di sé alla persona di cui sono innamorati: Gesù cerca la debolezza, la stoltezza secondo il mondo, ciò che è nulla agli occhi "intelligenti" della carne. Non ci ha scelto per le nostre capacità, per la pazienza, l'arguzia, la forza, per presunte disposizioni umane alla santità... Come fu per Davide, come per tutti i profeti, Dio non guarda all'apparenza, ma al cuore. Se ha guardato quei dodici uomini è perché conosceva profondamente il loro cuore, anche quello di chi lo avrebbe tradito. E se Lui non ha problemi con noi, anzi, perché averne noi? Guardare alle nostre capacità, all'adeguatezza delle nostre risorse umane e spirituali è come tradire il Signore. Quando entriamo in crisi dinanzi alla nostra debolezza è per orgoglio. Il demonio, infatti, attacca quelli che Dio chiama sempre allo stesso modo: li afferra per il bavero delle proprie debolezze per spingerli prima verso la sfiducia, e poi nella disperazione. Al contrario la Parola di oggi è una buona notizia che ci invita ad aver pazienza con noi stessi, a non voler farci santi e adeguati stringendo i pugni, ad accettare le imperfezioni, i difetti, e a scacciar via come subdola tentazione ogni immagine illusoria di quello che vorremmo essere. E' il Signore che porterà fedelmente a compimento la sua volontà in noi. Perché tutto è racchiuso dentro la sua chiamata gratuita. Possiamo riposare in essa perché è l'unica garanzia che ci difende dalle tentazioni. Per questo, quando ci assalgono, occorre tornare sempre alle radici della chiamata. Nel matrimonio, nel presbiterato, nella vita religiosa, e poi nel lavoro, nello studio, in tutto vi è una chiamata che ci precede e su cui Dio ha fondato la nostra vita. Non siamo noi il fondamento, è Lui! In questa gratuità che disarma il nostro orgoglio possiamo ricominciare ogni giorno, anche se siamo passati attraverso una tempesta di peccati che sembra aver distrutto tutto. 

L'abbandono del ministero, il divorzio, le fughe di ogni giorno dal sacrificio e dalla sofferenza nascono sempre da un errore di prospettiva che ci fa scambiare la sabbia con la roccia, il figlio con il Padre, colui che chiama con colui che risponde. Il compimento di ogni missione, invece, si fonda sull'amore gratuito che ci raggiunge, seduce e accoglie nella sua intimità. Non sarà mai un apostolo chi non ha conosciuto e non rimane nell'amore di Cristo. E' interessante notare come nella lingua spagnola amare e volere si dicano con la stessa parola: querer. Gesù "vuole" noi perché ci "ama", e nell'amore ci "fa" apostoli, come recita l'originale greco. "Costituire" gli apostoli significa farli, crearli, plasmarli, sino ad essere immagine di Lui"Apostolo", infatti, significa "inviato" e, secondo l'etimologia ebraica, esso costituiva un altro se stesso di colui che lo inviava. Per questo la chiamata di Gesù è sempre il primo passo dell'"andare a Lui" in un cammino di conversione nel quale "lo stare con Lui" ci fa assomigliare ogni giorno di più a Lui, ad avere il suo stesso pensiero di Cristo, il suo cuore, il suo sguardo, sino a diventare un "Alter Christus", come San Francesco. Non si tratta di fare molte cose, ma di camminare dietro a Lui in una compagnia, come fecero gli apostoli. E ciò si realizza essenzialmente nella comunità cristiana che è il suo Corpo vivo nella storia. Accanto ai momenti di preghiera personale siamo chiamati a "stare con Lui" nella Chiesa, dove possiamo ascoltarLo e parlarGli nelle liturgie, accogliere e sperimentare il suo amore anche attraverso la comunione con le sue membra che sono i fratelli. In essa siamo al riparo dalle fughe pseudo mistiche destinate ad evaporare al sorgere delle difficoltà e delle persecuzioni: "Il cristiano non è una monade, ma appartiene a un popolo. Un cristiano senza Chiesa è una cosa puramente ideale, non è reale. E’ una cosa di laboratorio, una cosa artificiale, una cosa che non può dar vita" (Papa Francesco). La missione, infatti, si fa feconda quando lo "stare con Lui" si fa più intenso e autentico: sulla Croce, ovvero nei momenti di più grande debolezza. Come ha sperimentato il Signore stesso, che ha salvato ogni uomo quando non ha potuto far altro che gettarsi, nella morte, tra le braccia del Padre. Stare con Gesù è dunque essere crocifisso con Lui. Allora comprendiamo perché ci ha scelti così deboli e fragili, incoerenti e nevrotici: per insegnarci ad abbandonarci a Lui e così poter operare in noi con illimitata libertà, facendo di noi un vessillo di speranza innalzato per tutti i peccatori. In quanto crocifissi, poveri, deboli, ultimi nel mondo, siamo inviati a portare ad ogni uomo i segni dell'amore del Padre, le piaghe benedette del Figlio impresse nelle nostre vite. Non a caso gli esorcismi si compiono mostrando ai demoni la Croce. Ecco, siamo un esorcismo sbattuto in faccia al demonio di questa generazione: con le sofferenze, i fallimenti, le frustrazioni lo "scacciamo". Sì, proprio quando agli occhi del mondo sembriamo soccombere al figlio, al collega, al coniuge, è il momento in cui, crocifissi con Cristo, esercitiamo con amore il "potere di scacciare i demoni" per dischiudere loro il "Regno" che "predichiamo" con zelo inesausto. 


APPROFONDIMENTI

Benedetto XVI. Perché stessero con Lui...

Incontro con i seminaristi di Freiburg im Breisgau, sabato, 24 settembre 2011

Mi colpisce sempre più di tutto il modo in cui san Marco, nel terzo capitolo del suo Vangelo, descrive la costituzione della comunità degli Apostoli: “Il Signore fece i Dodici”. Egli crea qualcosa, Egli fa qualcosa, si tratta di un atto creativo. Ed Egli li fece, “perché stessero con Lui e per mandarli”: questa è una duplice volontà che, sotto certi aspetti, sembra contraddittoria. “Perché stessero con Lui”: devono stare con Lui, per arrivare a conoscerlo, per ascoltarlo, per lasciarsi plasmare da Lui; devono andare con Lui, essere con Lui in cammino, intorno a Lui e dietro di Lui. Ma allo stesso tempo devono essere degli inviati che partono, che portano fuori ciò che hanno imparato, lo portano agli altri uomini in cammino – verso la periferia, nel vasto ambiente, anche verso ciò che è molto lontano da Lui. E tuttavia, questi aspetti paradossali vanno insieme: se essi sono veramente con Lui, allora sono sempre anche in cammino verso gli altri, allora sono in ricerca della pecorella smarrita, allora vanno lì, devono trasmettere ciò che hanno trovato, allora devono farLo conoscere, diventare inviati. E viceversa: se vogliono essere veri inviati, devono stare sempre con Lui. San Bonaventura disse una volta che gli Angeli, ovunque vadano, per quanto lontano, si muovono sempre all’interno di Dio. Così è anche qui: come sacerdoti dobbiamo uscire fuori nelle molteplici strade in cui si trovano gli uomini, per invitarli al suo banchetto nuziale. Ma lo possiamo fare solo rimanendo sempre presso di Lui. Ed imparare ciò, questo insieme di uscire fuori, di essere mandati, e di essere con Lui, di rimanere presso di Lui, è – credo – proprio ciò che dobbiamo imparare... Il modo giusto del rimanere con Lui, il venire profondamente radicati in Lui – essere sempre di più con Lui, conoscerLo sempre di più, sempre di più non separarsi da Lui – e al contempo uscire sempre di più, portare il messaggio, trasmetterlo, non tenerlo per sé, ma portare la Parola a coloro che sono lontani e che, tuttavia, in quanto creature di Dio e amati da Cristo, portano nel cuore il desiderio di Lui.


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