Il Vangelo e il commento di oggi. Giovedì della VIII settimana del Tempo Ordinario

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"Questo racconto, nell’essenzialità dei suoi passaggi, evoca l’itinerario del catecumeno verso il sacramento del Battesimo, che nella Chiesa antica era chiamato anche "Illuminazione". La fede è un cammino di illuminazione: parte dall’umiltà di riconoscersi bisognosi di salvezza e giunge all’incontro personale con Cristo, che chiama a seguirlo sulla via dell’amore. Nei luoghi di antica evangelizzazione, dove è diffuso il Battesimo dei bambini, vengono proposte ai giovani e agli adulti esperienze di catechesi e di spiritualità che permettono di percorrere un cammino di riscoperta della fede in modo maturo e consapevole, per assumere poi un coerente impegno di testimonianza. Quanto è importante il lavoro che i Pastori e i catechisti compiono in questo campo! La riscoperta del valore del proprio Battesimo è alla base dell’impegno missionario di ogni cristiano, perch? vediamo nel Vangelo che chi si lascia affascinare da Cristo non può fare a meno di testimoniare la gioia di seguire le sue orme. In questo mese di ottobre, particolarmente dedicato alla missione, comprendiamo ancor più che, proprio in forza del Battesimo, possediamo una connaturale vocazione missionaria".

Benedetto XVI, Angelus del 29 ottobre 2006



Dal Vangelo secondo Marco 10,46-52.

E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». E Gesù gli disse: «Và, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.



IL COMMENTO


La nostra vita è racchiusa in questo cieco ai bordi d'una via, mendicando qualcosa per vivere. Ci avviciniamo agli altri, parliamo, lavoriamo, facciamo amicizia, siamo mariti, mogli, preti, religiosi, figli e genitori, ma sempre mendicanti. Allunghiamo le mani delle parole, degli sguardi, dei compromessi, delle paure, del detto e non detto, degli ammiccamenti, dei regali e dagli aiuti. Facciamo perfino salti mortali di splendida carità, pur di raggranellare un po' d'affetto che ci permetta sfangare un'altra giornata un pochino al riparo dalla solitudine.
E passa Gesù. La sua PASQUA, il Suo passaggio scuote la vita. Ora sta passando, accanto a me, a te. E' Lui che accende la fede, i suoi passi scuotono il cuore dal torpore, ed è già fede, è già certezza che Lui può cambiare la nostra vita. Il Suo incedere scioglie la nostra lingua muta in un grido di supplica grondante speranza, forse l'ultima, l'unica, la vera.
Possiamo recuperare la vista, alzare lo sguardo e ritrovare il cielo aperto, dischiuse le porte del Paradiso, ora. Quelle porte un tempo sprangate dai cherubini a gettar fuori noi e i nostri peccati d'orgoglio, noi e la nostra superbia della carne che ci ha fatto precipitare nell'abisso d'una solitudine mendicante, schiava d'un po' d'ossigeno affettivo, son porte spalancate dai passi di Gesù.
Ma il Signore ci chiama, ha ascoltato il nostro grido di vera umiltà , "abbi pietà, son morto nei miei peccati, son schiavo e cieco, tutto mi sembra buio e assurdo, Signore pietà". Il cuore contrito e umiliato, innescato dai Suoi passi ha fatto breccia nel cuore di Cristo, ha bloccato il Signore nel bel mezzo della Sua Pasqua, del Suo passaggio. Ed ecco ci chiama, ci attira fin dentro al Suo cammino dalla morte alla vita. "Che cosa desideri, che cosa vuoi?". La fede è tutta qui, gridare sapendo, per la luce della Grazia, a Chi chiedere e che cosa chiedere.
La fede che salva è vedere prima con il cuore e la mente. E' un dono celeste che scioglie le labrra ad esprimere il grido del cuore. Desiderare il bene supremo, occhi aperti per vedere l'amore di Dio in Cristo Gesù, ed in esso il Cielo, la Vita, tutto risplendente della tenerezza del Padre. La fede ci salva, il dono immenso dei Suoi passi di misericordia anche oggi a riscattare la nostra vita: E' lui che ci ama, che ci cerca, ci chiama, ci libera dalle catene e ci fa liberi, per seguirlo, felici, ricolmi, benedicendo e lodando Dio. Riconciliati, da mendicanti a dispensatori.
Gratuitamente, esattamente come riceviamo tutto da Lui, sempre. La fede che muove i passi nella sequela del Signore, odiando tutto e tutti quando si frappongono tra i nostri passi dietro al Signore, la fede che ci fa rinnegare noi stessi, rinunciare ad ogni nostro avere, a non cercar tane dove nascondersi, senza luogo dove reclinare il capo, la fede che ci fa guardare avanti senza tornare al passato, che lascia i morti seppellire i propri morti. La luce che apre gli occhi per riconoscere le orme di Gesù dinnanzi ai nostri passi, tracce del Suo amore a schiudere le nostre labbra alla lode. La nostra vita seguendo il Signore, una liturgia di lode verso il Cielo.




APPROFONDIMENTI


TESTI SULLA PREGHIERA DEL CUORE:

TESTI E DOCUMENTI SULL'ESICASMO E LA PREGHIERA DEL CUORE

SPAZIO STARETS: LA VITA E L'INSEGNAMENTO DEI PIU' GRANDI STARTSI

LA PRATICA ESICASTA E LA PREGHIERA DI GESU



Benedetto XVI:
La fede è un cammino di illuminazione


Cari fratelli e sorelle,

nel Vangelo di questa Domenica (Mc 10,46-52) leggiamo che, mentre il Signore passa per le vie di Gerico, un cieco di nome Bartimeo si rivolge verso di Lui gridando forte: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". Questa preghiera tocca il cuore di Cristo, che si ferma, lo fa chiamare e lo guarisce. Il momento decisivo è stato l’incontro personale, diretto, tra il Signore e quell’uomo sofferente. Si trovano l’uno di fronte all’altro: Dio con la sua volontà di guarire e l’uomo con il suo desiderio di essere guarito. Due libertà, due volontà convergenti: "Che vuoi che io ti faccia?", gli chiede il Signore. "Che io riabbia la vista!", risponde il cieco. "Va’, la tua fede ti ha salvato". Con queste parole si compie il miracolo. Gioia di Dio, gioia dell’uomo. E Bartimeo, venuto alla luce - narra il Vangelo - "prese a seguirlo per la strada": diventa cioè un suo discepolo e sale col Maestro a Gerusalemme, per partecipare con Lui al grande mistero della salvezza. Questo racconto, nell’essenzialità dei suoi passaggi, evoca l’itinerario del catecumeno verso il sacramento del Battesimo, che nella Chiesa antica era chiamato anche "Illuminazione".

La fede è un cammino di illuminazione: parte dall’umiltà di riconoscersi bisognosi di salvezza e giunge all’incontro personale con Cristo, che chiama a seguirlo sulla via dell’amore. Su questo modello sono impostati nella Chiesa gli itinerari di iniziazione cristiana, che preparano ai sacramenti del Battesimo, della Confermazione (o Cresima) e dell’Eucaristia. Nei luoghi di antica evangelizzazione, dove è diffuso il Battesimo dei bambini, vengono proposte ai giovani e agli adulti esperienze di catechesi e di spiritualità che permettono di percorrere un cammino di riscoperta della fede in modo maturo e consapevole, per assumere poi un coerente impegno di testimonianza. Quanto è importante il lavoro che i Pastori e i catechisti compiono in questo campo! La riscoperta del valore del proprio Battesimo è alla base dell’impegno missionario di ogni cristiano, perchè vediamo nel Vangelo che chi si lascia affascinare da Cristo non può fare a meno di testimoniare la gioia di seguire le sue orme. In questo mese di ottobre, particolarmente dedicato alla missione, comprendiamo ancor più che, proprio in forza del Battesimo, possediamo una connaturale vocazione missionaria.

Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria, affinchè si moltiplichino i missionari del Vangelo. Intimamente unito al Signore, possa ogni battezzato sentire di essere chiamato ad annunciare a tutti l’amore di Dio, con la testimonianza della propria vita.

Angelus 26 novembre 2006



Simeone il Nuovo Teologo (circa 949-1022), monaco ortodosso
Etica 5

« Figlio di Davide, abbi pietà di me »

Hai imparato, amico mio, che il Regno di Dio è dentro di te (Lc 16,21) se lo vuoi, e che tutti i beni eterni sono nelle tue mani. Affrettati dunque a vedere, ad afferrare e ad ottenere in te i beni tenuti in serbo per te... Gemi ; prostrati. Come una volta il cieco, di’ ora anche tu : « Abbi pietà di me, Figlio di Davide, e apri gli occhi della mia anima, affinch? io veda la Luce del mondo che sei tu, o Dio mio (Gv 8,12), e diventi anch’io figlio di quella luce divina (Gv 12,36). O clemente, manda il Consolatore anche su di me, affinchè lui stesso mi insegni (Gv 14,26) ciò che riguarda te e ciò che è tuo, o Dio dell’universo. Dimora anche in me, come hai detto, affinch? io diventi a mia volta degno di dimorare in te (Gv 15,4). Dammi di saper entrare in te e di sapere che ti possiedo dentro di me. O invisibile, degnati di prendere forma in me, affinchè, vedendo la tua bellezza inaccessibile, io porti la tua immagine, o celeste, e dimentichi ogni cosa visibile. Dammi la gloria che il Padre ti ha dato (Gv 17,22), o misericordioso, affinchè, simile a te come tutti i tuoi servi, io condivida la tua vita divina secondo la grazia e che io sia con te continuamente, ora e sempre e per tutti i secoli ».





Guglielmo di Saint-Thierry (circa 1085-1148), monaco benedettino poi cistercense
La Contemplazione di Dio, 1-2 ; SC 61

« Che vuoi che io ti faccia ? »


«Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe perché ci indichi le sue vie» (Is 2,3). Voi tutti, intenzioni, desideri intensi, volontà e pensieri, affetti e tutte le energie del cuore, venite, saliamo sul monte, giungiamo al luogo dove il Signore vede e si fa vedere. Ma voi, preoccupazioni, sollecitudini e inquietudini, fatiche e schiavitù, aspettateci qui... finché, andati fin lassù, ritorniamo poi da voi, dopo aver adorato (cfr Gen 22,5). Dovremo infatti tornare, e ahimé, troppo presto.

Signore, Dio della mia forza, rivolgici a te: «Rialzaci, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi» (Sal 79,20). Ma Signore, quanto è inopportuno, temerario, presuntuoso, contrario alla regola portata dalla parola della tua verità e della tua sapienza, pretendere di vedere Dio con un cuore impuro! O sovrana bontà, bene supremo, vita dei cuori, luce dei nostri occhi interiori, a motivo della tua bontà, Signore, abbi pietà.

Eccola la mia purificazione, la mia fiducia e la mia giustizia: la contemplazione della tua bontà, Signore buono! Tu, mio Dio, hai detto alla mia anima, come sai fare: «La tua salvezza, sono io» (Sal 34,3). Rabbunì, sovrano Maestro e insegnante, tu l'unico medico capace di farmi vedere ciò che desidero vedere, di' al tuo mendicante cieco: «Che vuoi che io ti faccia?» E sai bene, tu che mi dai questa grazia..., con quale forza il mio cuore ti grida: «Ho cercato il tuo volto; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto» (Sal 26,8).



Commento di padre Raniero Cantalamessa


PRESO TRA GLI UOMINI E COSTITUITO PER GLI UOMINI


Il brano evangelico narra la guarigione del cieco di Gerico Bartimeo… Bartimeo è uno che non si lascia sfuggire l’occasione. Ha sentito che passava Gesù, ha compreso che era l’occasione della sua vita e ha agito con prontezza. La reazione dei presenti (“lo sgridavano perch? tacesse”) mette in luce la inconfessata pretesa dei “benestanti” di tutti i tempi che la miseria resti nascosta, non si mostri, non disturbi la vista e i sonni di chi sta bene.

Il termine “cieco” si è caricato di tanti sensi negativi che è giusto riservarlo, come oggi si tende a fare, alla cecità morale dell’ignoranza e dell’insensibilità. Bartimeo non è cieco, è solo un non-vedente. Con il cuore ci vede meglio di tanti altri intorno a lui, perch? ha la fede e nutre la speranza. Anzi, è questa vista interiore della fede che l’aiuta a recuperare anche quella esteriore delle cose. “La tua fede ti ha salvato”, gli dice Gesù.

Mi fermo qui nella spiegazione del vangelo perch? mi preme sviluppare un tema presente nella seconda lettura di questa domenica, riguardante la figura e il ruolo del sacerdote. Del sacerdote si dice anzitutto che è “preso di tra gli uomini”. Non dunque un essere sradicato o calato dal cielo, ma un essere umano che ha alle spalle una famiglia e una storia come tutti gli altri. “Preso di tra gli uomini” significa anche che il sacerdote è fatto della stessa pasta di ogni altra creatura umana: con i desideri, gli affetti, le lotte, le esitazioni, le debolezze di tutti. La Scrittura vede in questo un vantaggio per gli altri uomini, non un motivo di scandalo. In tal modo egli sarà infatti più preparato ad avere compassione, essendo rivestito anche lui di debolezza.

Preso di tra gli uomini, il sacerdote è poi “costituito per gli uomini”, cioè ridonato ad essi, posto a loro servizio. Un servizio che tocca la dimensione più profonda dell’uomo, il suo destino eterno. San Paolo riassume il ministero sacerdotale con una frase: “Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1). Questo non significa che il sacerdote si disinteressa dei bisogni anche umani della gente, ma che anche di questi si occupa con uno spirito diverso da quello dei sociologi e dei politici. Spesso la parrocchia è il più forte punto di aggregazione, anche sociale, nella vita di un paese o di un quartiere.

Questa che abbiamo tracciato è una visione in positivo della figura del sacerdote. Non sempre, sappiamo, è così. Ogni tanto le cronache ci ricordano che c’è anche un’altra realtà, fatta di debolezza e infedeltà…Di essa la Chiesa non può fare altro che chiedere perdono. C’è però una verità che va ricordata a parziale consolazione della gente. Come uomo, il sacerdote può sbagliare, ma i gesti che compie come sacerdote, all’altare o in confessionale, non risultano per questo invalidi o inefficaci. Il popolo non è privato della grazia di Dio a causa dell’indegnità del sacerdote. È Cristo infatti che battezza, celebra, perdona; lui è solo lo strumento.

Mi piace ricordare, a questo proposito, le parole che pronuncia prima di morire il “Curato di campagna” di Bernanos: “Tutto è grazia”. Anche la miseria del suo alcolismo gli appare grazia, perch? lo ha reso più misericordioso verso la gente. A Dio non preme tanto che i suoi rappresentanti in terra siano perfetti, quanto che siano misericordiosi.



Gesù ci indica il modo di seguirlo

Il nostro Redentore, prevedendo che gli animi dei suoi discepoli si sarebbero turbati a causa della sua Passione, predisse loro con molto anticipo sia lo strazio della Passione che la glo- ria della sua Risurrezione, affinch?, vedendolo morente, cos? come era stato predetto, non avessero dubitato che sarebbe anche risorto. E siccome i discepoli erano ancora carnali e del tutto inca- paci di comprendere le parole del mistero, il Signore operò un miracolo. Davanti ai loro occhi, un cieco riacquistò la vista, per- ch? coloro che non capivano le parole dei misteri celesti per p mezzo dei fatti celesti venissero consolidati nella fede. Però, fra- telli carissimi, i miracoli del Signore e Salvatore nostro vanno considerati in modo tale da credere che non soltanto accaddero realmente, ma vogliono altres? insegnarci qualcosa con il loro simbolismo. I gesti di Ges?, invero, oltre a provare la sua divina potenza, con il mistero insito in loro ci istruiscono. Noi non sappiamo in verità chi fosse quel cieco, però sappiamo cosa egli significa sul piano del mistero. Il cieco è simbolo di tutto il gene- re umano, estromesso dal paradiso terrestre nella persona del Primo padre Adamo. Da allora, gli uomini non vedono pi? lo splendore della luce superna, e patiscono le afflizioni della loro . condanna. E nondimeno, l'umanità è illuminata dalla presenza del suo Salvatore si da poter vedere - almeno nel desiderio - il gaudio della-luce interiore, e dirigere cos? i passi delle buone opere sulla via della vita. Una cosa è degna di nota a questo punto ed è il fatto che il cieco riacquista la vista allorch? Ges? si avvicina a Gerico. Gerico sta per luna, e luna, secondo la Scrittura, indica le deficienze della umana natura. Il motivo è forse da ricercare nel fatto che essa va soggetta ogni mese a fenomeni di decrescenza, cosicch? è stata designata quale espressione della fragilità della nostra carne mortale. Sta di fatto che mentre il nostro Autore si appressa a Gerico, il cieco riacquista la vista. Il che vuol dire che allorch? il Signore assunse la debolezza della nostra natura, il genere umano riacquistò la luce che aveva perduto. La risposta al gesto di Dio, che incomincia a patire le umane debolezze, è il nuovo modo di essere dell'uomo, elevato ad altezze divine. Ecco perch?, a buon diritto, il Vangelo dice che il cieco sedeva lungo la via a mendicare. Ges?, infatti, che è la Verità, afferma: Io sono la via (Gv. 14, 6). Chi perciò ignora lo splendore dell'eterna luce è cieco; se, però, già crede nel Redentore, egli siede lungo la via; se però, pur credendo, trascura di pregare per ricevere l'eterna luce, è un cieco che siede lungo la via, senza mendicare. Solo se avrà cre- duto e avrà conosciuto la cecità del suo cuore, pregando per rice- vere la luce della verità, egli siede come cieco lungo la via e mendica. Chiunque perciò riconosce le tenebre della propria ceci- tà, chiunque comprende cosa sia questa luce di eternità che gli fa difetto, invochi con le midolla del cuore, invochi con tutte le espressioni dell'anima, dicendo: Ges?. Figlio di David, abbi pietà di me. Ma occorre anche ascoltare quanto segue al clamore del cieco: Coloro che gli camminavano innanzi lo rimproveravano afinche tacesse con più forza gridava: Figlio di David, abbi pietà di me! (Lc. 18, 39). Vedete? Quello stesso che la turba rimproverava per-ch? tacesse, grida con lena centuplicata, a significare che tanto pi? molesto risulta il tumulto dei pensieri carnali, tanto pi? dobbiamo perseverare nella preghiera. S?, la folla ci impone di non gridare, perch? i fantasmi dei nostri peccati spesso ci mole-stano anche nel corso della preghiera. Ma è assolutamente neces-sario che la voce del nostro cuore tanto pi? vigorosamente insista quanto pi? duramente si sente redarguita. In tal modo, non sarà difficile aver ragione del tumulto dei pensieri perversi e, con la sua assidua importunità, la nostra preghiera perverrà alle orecchie pietose di Dio. Ritengo che ognuno potrà trovare in se stesso la testimo-nianza di quanto vado dicendo. Quando ritraiamo l'anima dal mondo per orientarla a Dio, quando ci votiamo all'orazione, suc-cede che molte cose, fatte per l'innanzi con piacere, ci diventino pesanti, moleste e importune nella preghiera. Allora, s? e no riu-sciamo a scacciare il pensiero di tali cose, allontanandole dagli occhi del cuore, pur usando la mano del santo desiderio. S? e no riusciamo a vincere certi molesti fantasmi, pur levando gemiti di penitenza. Però, allorch? insistiamo con vigore nella preghiera, fermia-mo nella nostra anima Ges? che passa. Per questo viene aggiunto: Ges? si fermò è ordinò che il cieco gli fosse condotto dinnanzi (Lc. 18, 40). Ecco, colui che prima passava, ora sta. È cosf, per-ch? fintanto che sopportiamo le turbe dei fantasmi, sentiamo quasi che Ges? passa. Quando invece insistiamo con forza nel-l'orazione, Ges? si ferma per ridarci la luce. Infatti, se Dio si ferma nel cuore, la luce smarrita è riacquistata... Ma ormai è tempo di ascoltare cosa fu fatto al cieco che domandava la vista, o anche cosa fece egli stesso. Dice ancora il Vangelo: Subito recuperò la vista e si mise a seguire Ges? (Lc. 18, 43). Vede e segue chi opera il bene che ha conosciuto; vede, ma non segue chi del pari conosce il bene, epperò disdegna di farlo. Se pertanto, fratelli carissimi, conosciamo già la cecità del nostro peregrinare; se, con la fede nel mistero del nostro Redentore, già stiamo seduti lungo la via; se, con la quotidiana orazione, già domandiamo la luce del nostro Autore; se, inoltre, dopo la cecità, per il dono della luce che penetra nell'intelletto, siamo illuminati, sforziamoci di seguire con le opere quel Gesù che conosciamo con l'intelligenza. Osserviamo dove il Signore si dirige e, con l'imitazione, seguiamone le orme. Infatti, segue Ges? solo chi lo imita... E siccome noi scadiamo dall'interiore gaudio verso il piacere delle cose sensibili, egli volle mostrarci con quale sofferenza si debba ritornare a quel gaudio. Che cosa non dovrà patire l'uomo per il proprio vantaggio, se Dio stesso ha tanto patito per gli uomini? Chi dunque ha già creduto in Cristo, ma va ancorà die- tro ai guadagni dell'avarizia, monta in superbia per la propria dignità, arde nelle fiamme dell'invidia, si sporca nel fango della libidine, o desidera le prosperità mondane, disdegna di seguire quel Ges? nel quale ha creduto. Uno al quale la sua Guida ha mostrato la via dell'asprezza, percorre una strada diversa, perciò, se ricerca gioie effimere e piaceri.

(Gregorio Magno, Hom. in Ev., 2, 1-5.8)



Cristo è l'autentica luce del mondo


Cristo è dunque la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv. 1, 9), e la Chiesa, illuminata dalla sua luce, diventa essa stessa luce del mondo, che illumina coloro che sono nelle tenebre (Rom. 2, 19), come Cristo stesso attesta quando dice ai suoi discepoli: Voi siete la luce del mondo (Mt. 5, 14). Di qui deriva che Cristo è la luce degli apostoli, e gli apostoli, a loro volta, sono la luce del mondo... E come il sole e la luna illuminano i nostri corpi, cos? da Cristo e dalla Chiesa sono illuminate le nostre menti. Quanto- meno, le illuminano se noi non siamo dei ciechi spirituali. Infat- ti, come il sole e la luna non cessano di diffondere la loro luce sui ciechi corporali che però non possono accogliere la luce, cos? Cristo elargisce la sua luce alle nostre menti, epperò non ci illu- minerà di fatto che se non vi si oppone la cecità del nostro spi- rito. In tal caso, occorre anzitutto che coloro che sono ciechi seguano Cristo dicendo e gridando: Figlio di David, abbi pietà di noi (Mt. 9, 27), affinch?, dopo aver ottenuto da Cristo stesso la vista, possano successivamente essere del pari irradiati dallo splendore della sua luce. Inoltre, non tutti i vedenti sono egualmente illuminati da Cristo, ma ciascuno lo è nella misura in cui egli può ricevere la luce. Gli occhi del nostro corpo non sono egualmente illuminati dal sole: pi? si salirà in alto, pi? si alzerà  lo sguardo contemplerà la sua levata, e meglio si percepirà anche il chiarore e il calore; analogamente, pi? il nostro spirito, salendo ed elevandosi, si sarà avvicinato a Cristo, esponendosi pi? da vici-no allo splendore della sua luce, pi? magnificamente e brillante-mente si irradierà il suo fulgore, come rivela Dio stesso per mez-zo del profeta: Avvicinatevi a me e io mi avvicinerò a voi, dice il Signore (Zac. 1, 3); e dice ancora: Io sono un Dio vicino e non un Dio lontano (Ger. 23, 23). Non è però che tutti andiamo a lui nella stessa maniera, bens? ciascuno va a lui secondo le proprie possibilità (cf. Mt. 25, 15). 0 andiamo a lui insieme alle folle e allora ci ristora in parabole (cf. Mt. 13, 34), solo perch? il prolungato digiuno non ci faccia soccombere lungo la via (cf. Mt. 15, 32; Mc. 8, 3); op-pure, rimaniamo continuamente e per sempre seduti ai suoi pie-di, non preoccupandoci che di ascoltare la sua parola, senza lasciarci turbare dai molti servizi, scegliendo la parte migliore che non ci verrà tolta (cf. Lc. 10, 39 s.). Avvicinandosi cos? a lui (cf. Mt. 13, 36), si riceve da lui molta pi? luce. E se, al pari degli apostoli, senza allontanarci da lui sia pure di poco, restiamo sempre con lui in tutte le sue tribolazioni (cf. Lc. 22, 28), allora egli ci espone e spiega nel segreto ciò che aveva detto alle folle (cf. Mc. 4, 34) e ci illu-mina con maggiore chiarezza. E anche se si è capaci di andare a lui fino alla sommità del monte, come Pietro, Giacomo e Giovanni (cf. Mt. 17, 1-3), non si verrà illuminati solamente dalla luce di Cristo, ma anche dalla voce del Padre in persona.

(Origene, Hom. in Genesim, 1, 6-7)





VISITA PASTORALE A COLLEVALENZA, ORVIETO E TODI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA DIOCESI DI TODI

Piazza del Popolo
Todi, 22 novembre 1981


Mi piace ora lasciarvi anche un pensiero che vi serva come ricordo e come proposito. Ciò che fa più impressione oggi, nella società moderna in cui viviamo, è forse la perdita in molti del vero senso della vita. In un vasto settore dell’odierna società si è oscurato o talvolta è stato smarrito il significato trascendente dell’esistenza. E, non conoscendo più perch? e per chi si vive, è facile essere travolti dall’impeto delle passioni, dall’egoismo, dalla crudeltà, dall’anarchia dei sensi, dalla distruzione della droga, dalla disperazione.
Dobbiamo rivolgere lo sguardo a Cristo: solo Lui “è la luce che splende nelle tenebre; Egli è la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,5.9).

Gesù è il Verbo incarnato, il Rivelatore e il Redentore, che annunzia con parola assoluta e definitiva, perch? divina, il senso autentico della vita, dono prezioso dato da Dio, che è l’Amore misterioso e misericordioso, che dobbiamo accettare e far fruttificare, in funzione e nella prospettiva della felicità eterna. “lo sono la luce del mondo – disse Gesù – chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). È di questa luce fondamentale ed essenziale che hanno vivo bisogno gli uomini, sempre, ma particolarmente oggi. Come il cieco di Gerico, ricordato dal Vangelo, l’uomo moderno deve rivolgersi a Gesù, con totale fiducia. “Che cosa vuoi che io faccia per te?” – gli domandò il Divino Maestro; il cieco rispose: “Signore, che io possa di nuovo vedere!”. E Gesù lo guarì, dicendogli: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato!” (cf. Lc 18,35-43).

Solo Cristo può illuminarci in modo pieno sul problema della vita e della storia: siatene sempre convinti e testimoniate con coerenza e coraggio questa vostra fede!





IL CIECO BARTIMEO: Mc 10,46-52


Il racconto, come ha evidenziato lo schema, conclude la sezione del cammino verso Gerusalemme (Mc 8,27-10,52), di cui presentiamo brevemente le caratteristiche principali.

Dal punto di vista spaziale questa sezione del vangelo[14] si dispiega tutta nell'espressione "lungo la via", che segna una grande inclusione tra 8,27 e 10,52 ad indicare il cammino verso Gerusalemme che Gesù percorre procedendo, tra lo stupore e la meraviglia dei suoi seguaci, avanti a tutti (10,32)[15] . Potremmo chiamarla "la sezione della via".

Tematicamente è dedicata prevalentemente all'istruzione dei discepoli, alla tematica della sequela[16] . In questa prospettiva il termine "via" oltre al suo significato spaziale, deve essere letto come la via del discepolato, della sequela di Gesù.

Come nota caratteristica di 8,27-10,52 troviamo i tre annunci della passione-morte- risurrezione di Gesù (8,31-9,1; 9,30-50; 10,32-45), di cui l'ultimo (10,32-45) precede immediatamente la guarigione di Bartimeo. I tre annunci presentano uno sviluppo simile:

  1. annuncio di Gesù della sua passione-morte- risurrezione (8,31; 9,30-31; 10,32-34)
  2. reazione negativa dei discepoli (8,32; 9,32-34; 10, 35-37)
  3. insegnamento di Gesù (8,33-9,1; 9, 35-50; 10,38-45)
Questa regolare ripetizione dei tre elementi, predizione-incomprensione-insegnamento, è l'elemento che struttura l'intera sezione. I tre brani a loro volta sono seguiti da altro materiale. La struttura della sezione si presenta in questo modo:

8,27-30 Gesù parte verso i villaggi intorno a Cesare di Filippo. Pietro riconosce la messianicità di Gesù: centro del vangelo di Marco.

Seguono tre sotto sezioni ben distinte:

1.

  • Primo annuncio della passione e risurrezione ai discepoli: 8,31
  • Incomprensione di Pietro e dei discepoli: 8,32-33
  • Insegnamento di Gesù sulla sequela alla folla e ai discepoli: 8,34-9,1
  • Trasfigurazione davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni: 9,2-13
  • Guarigione di un indemoniato e insegnamento ai discepoli: 9,14-27.28-29 2.
2.

  • Secondo annuncio della passione e risurrezione ai discepoli: 9,30-31
  • Incomprensione dei discepoli: 9,32-34
  • Insegnamento di Gesù ai Dodici: 9,35-50
  • Insegnamento sul matrimonio e divorzio in pubblico. 10,1-12
  • Altri insegnamenti ai discepoli: 10,13-16 (l'accoglienza dei bambini)
  • La pericope della chiamata del ricco ossia "Povertà e sequela": 10,17-31 3.
3.

  • Terzo annuncio della passione e risurrezione ai Dodici: 10,32.33-34
  • Incomprensione dei due figli di Zebedeo:10,35-40
  • Insegnamento di Gesù ai Dodici: 10,41-45
  • Guarigione e sequela di Bartimeo: 10,46-52
Come abbiamo fatto per la prima parte del vangelo, cerchiamo di penetrare nel racconto e di coglierne lo sviluppo.

L'avvenimento di Cesarea costituisce, dicevamo, il climax cristologico della prima parte del vangelo. La confessione di fede di Pietro, "tu sei il Cristo" (8,27-30), costituisce la risposta e lo scioglimento di una tensione lungamente accumulatasi nella prima parte attraversata fondamentalmente da una domanda: "Chi è Gesù?" [17].

Emerge ora, nella sezione del cammino verso Gerusalemme un carattere parenetico che è largamente riconosciuto dagli studiosi: i discepoli hanno riconosciuto la messianicità di Gesù, ora si tratta di seguirlo! Ma occorre fare attenzione, in quanto, rimane presente e forte la tematica cristologica, cioè, l'interesse per la persona di Gesù. Emerge, infatti, un nuovo aspetto dell'identità di Gesù che ora i discepoli devono capire e cioè, la necessità della sua passione e risurrezione. L'evento di Cesarea è fondamentale, necessario, ma non è sufficiente per capire chi è Gesù! Egli, infatti, risponde alla proclamazione di fede di Pietro col divieto di parlare di lui a nessuno. Che cosa manca ancora alla piena comprensione di Gesù? La risposta si coglie immediatamente: è necessaria la passione e risurrezione del Figlio dell'uomo (8,31ss) [18].

Il carattere parenetico della sezione, cioè, la concentrazione sul tema della sequela, dunque, rimane sempre collegato e subordinato col tema cristologico, che costituisce l'interesse principale del vangelo! E' in questo intreccio di kerigma (chi è Gesù?) e parenesi (come seguirlo?) che dobbiamo inquadrare la guarigione di Bartimeo che, non dimentichiamolo, è posto al termine della sezione.

Un primo piano sui tre annunci di Gesù nella loro dinamica di annuncio-incomprensione-insegnamento ci condurrà al significato della guarigione e dell'intera sezione. Gesù per tre volte annuncia la passione-morte-risurrezione del Figlio dell'uomo (8,31-32a; 9,31; 10,33-34). All'annuncio segue ogni volta l'incomprensione' dei discepoli-Dodici (8,32b-33; 9,32-34; 10, 35-37), incomprensione che non si presenta più come ignoranza della messianicità di Gesù (cc. 1-8!), ma "come incapacità di comprendere la necessità della sua passione e risurrezione"[19] ; tale incomprensione si manifesta in un atteggiamento sbagliato dei discepoli: Pietro rimprovera Gesù (8,32b); i discepoli discutono su chi è il grande (9,34); i figli di Zebedeo chiedono a Gesù di sedere a destra e sinistra di Gesù nel Regno (10,37). Tale incomprensione provoca un intervento di Gesù (8,33-9,1; 9, 35-50; 10,38-45) con il quale invita i discepoli alla sequela col rinnegare se stesso (8,34), farsi ultimo (9,33-37), servo (10,43).

In tale contesto di 'cecità' nel comprendere questo nuovo elemento del Messia, che si esprime in una sequela sbagliata, seguito dalle esortazioni alla sequela non secondo una logica umana, anzi alla conclusione di tale contesto si colloca la guarigione del cieco Bartimeo, che una volta guarito "lo seguiva lungo la via" (10,52b). Emerge chiaramente in tale contesto una valenza simbolica della guarigione, quasi universalmente riconosciuta[20]. Così dice V. Fusco: "L'episodio diventa un segno di speranza: la cecità dell'uomo potrà essere vinta, la sequela di Gesù nella via della croce sembra impossibile, ma potrà realizzarsi per un miracolo della potenza di Dio"[21] .

Marco allora non racconta un semplice brano di guarigione. Bartimeo, che con la sua fede ottiene la guarigione e segue Gesù, può essere visto come il discepolo che ha ottenuto da Gesù la guarigione dalla incapacità di riconoscere e seguire Gesù nella verità e completezza della sua persona[22] . Questo giustifica e spiega nel brano quei particolari che tanto fanno discutere[23] , cioè la presenza nel brano di elementi comuni con i racconti di chiamata: la cura particolare con cui è stato descritto Bartimeo, il particolare del gettito del mantello, la menzione della sua sequela espressa con un verbo all'imperfetto, come anche il fatto che nel miracolo si insiste maggiormente sulla fede di Bartimeo, piuttosto che sulla guarigione in s?.

Se l'inserimento del brano nel suo contesto ci ha condotti a una comprensione migliore dello stesso brano, è vero anche che lo stesso brano illumina la sezione. La sequela di Gesù non emerge principalmente come difficoltà umana, incapacità esistenziale o come mero sforzo umano, se pur necessario, ma innanzitutto come difficoltà cristologica, come difficoltà ad accettare il mistero della sofferenza prima della risurrezione, difficoltà che potrà essere superata da un intervento divino e che renderà possibile la sequela. Il seguire Gesù, senza nulla perdere della sua serietà di radicale impegno richiesto all'uomo, è essenzialmente dono, grazia; scaturisce dall'incontro con Cristo e può essere realizzato solo in una continua comunione con lui [24].

In questo modo il brano illumina e la preserva l'intera sezione da una lettura moralistica: "Riscattata dal rischio di una lettura moralistica, non è più un susseguirsi di imperativi affidati alla buona volontà dell'uomo. Gesù non è soltanto il Maestro che ha detto delle cose grandi e personalmente ha avuto anche il coraggio di viverle, ma senza riuscire a farsi seguire dagli altri. La sequela è un dono; non è un cammino puramente morale, portato avanti dall'uomo con le sue forze, o aperto a pochi più qualificati. E' un cammino pasquale, sacramentale, in cui i passi incerti dell'uomo sono sostenuti dalla potenza di Dio: un cammino non solo sulle orme di Gesù, ma insieme a Gesù" [25].

Sulla base di queste considerazione non ci sembra esagerato affermare che il brano è in qualche modo una sintesi dell'intera sezione dedicata prevalentemente all'istruzione sulla sequela. Ciò è confermato anche da altri contatti con alcuni brani della sezione. Con il racconto del ricco (Mc 10,17ss) notiamo come elementi di somiglianza che l'inizio della pericope di Bartimeo ripete l'inizio della pericope dell'uomo ricco: "Mentre usciva per mettersi in viaggio" (10,17); "E mentre usciva da Gerico..." (10,46); notiamo, poi, che entrambi i personaggi manifestano fretta di incontrare Gesù: l'uomo ricco "corre incontro a Gesù" (10,17), Bartimeo "balza in piedi" (10,50). I due racconti si collegano anche per alcuni elementi di contrasto: Bartimeo che lancia via il proprio mantello e dopo la guarigione rimane con Gesù, sembra prendere il posto del ricco che "se ne andò afflitto perch? aveva molti beni (10,22). Il brano presenta dei richiami anche con l'episodio dei due figli di Zebedeo e precisamente con la domanda di Gesù, identica in entrambi i racconti: "Cosa volete che io faccia per voi (10,36); "Cosa vuoi che io faccia per te" (10,51). A questa domanda si oppone, però, la diversità della richiesta: i due Figli di Zebedeo chiedono di sedere nella gloria di Gesù, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra (10,37); il cieco, non più seduto, chiede la vista per seguire (10,52-52)[26] .


[14] Per i particolari: K. STOCK, Il cammino di Gesù verso Gerusalemme: Mc 8,27-10,52 (Roma 1993); V. FUSCO, "Marco", 892; ID., Parola e Regno 129-131.

[15] La parola "via", "cammino" compare in questa sezione sette delle sedici ricorrenze in Marco.

[16] Nella sezione (8,27-10,42) il termine "discepoli" si trova 13 volte, 10 in quella precedente (6,6b-8,26) e 4 nella seguente (11,1-13,37).

[17] Cf: "Che cos'è tutto questo?" (1,27); "Perch? costui parla così?" (2,7); "Chi è dunque costui?" (4,41); "Da dove gli vengono queste cose, e che cos'è questa sapienza che gli è stata data, e i miracoli così grandi che avvengono attraverso le sue mani?" (6,2).

[18] In Marco il grido del centurione sotto la croce è una vera e propria confessione di fede che segna finalmente il disvelamento dell'identità di Gesù, rimasta inaccesibile durante tutto il ministero terreno (15,59).

[19] V. FUSCO, Parola e Regno 130.

[20] V. K. ROBBINS, "The Healing of Blind Bartimaeus (10,46-52) in the Marcan Theology", JBL 92 (1973) 236-243; E.S. JOHNSON, "Mark 10,46-52: Blind Bartimaeus", CBQ 40 (1978) 198-204; V. FUSCO, "Un racconto di miracolo: la guarigione del cieco Bartimeo: Mc 10,46-52 parr.", in A.A.V.V., Logos. Corso di studi biblici, M LACONI e collaboratori, Vangeli Sinottici e Atti degli Apostoli (Logos; Corso di Studi Biblici 5) (Torino 1994) 215; ID., "Prospettiva pasquale, trasparenza e simbolismo nella narrazione evangelica", Rivista liturgica 67 (1980) 610-611; J. KILGALLEN, A Brief Commentary on the Gospel of Mark (New York/Mahwah 1989) 201-202; K. STOCK, "Gesù è il Cristo", 244; J. GNILKA, Marco (Commenti e studi biblici; Assisi 1987) 584; P. LAMARCHE, Evangile de Marc (Paris 1996) 262. Più moderati: V. TAYLOR, Marco. Commento al Vangelo messianico (Assisi 1977) 523; R. PESCH, Il Vangelo di Marco (CTNT II, 1.2; Brescia 1980.1982) 267-268. Contrario: R.H. GUNDRY, Mark: a Commentary on His Apology for the Cross (Grand Rapids 1993) 595.

[21] V. FUSCO, "Un racconto di miracolo" , 215.

[22] Ben visto da SCHWEIZER: "La storia è stata presentata a questo punto e narrata da Marco in funzione della sequela e, nelle ultime parole, come immagine della sequela": E. SCHWEIZER, Il Vangelo secondo Marco (Brescia 1999) 182.

[23] cf. nota 1.

[24] Ben visto da H.J. ECKSTEIN, "Markus 10,46-52 als Schüsseltext des Markusevangelium", ZNW 87 (1996) 50: "Die Erkenntnis Christi ergibt sich nicht erst aus der Nachfolge, sondern sie ist vielmehr deren Voraussetzung"; (il riconoscimento di Cristo non segue la sequela, piuttosto essa è una conseguenza) [traduzione propria]. Dinamica che nella nostra pastorale, catechesi...non dobbiamo dimenticare: l'imperativo morale è subordinato all'indicativo salvifico!

[25] V. FUSCO, "Il discepolo", 425.

[26] Altri contatti, li possiamo vedere con il seguito della narrazione. L'arrivo e l'uscita da Gerico sono seguiti dall'avvicinamento (11,1-10) e dall'ingresso a Gerusalemme (11,11) che danno inizio a una nuova sezione del vangelo, quella dell'attività di Gesù a Gerusalemme (11-13). Come contatti tra la pericope di Bartimeo e quella dalla cavalcata di Gesù tra le ovazioni della folla (11,1-10) riveliamo: la successione geografica delle indicazioni spaziali: Gerico (10,46), Betfage e Betania presso il Monte degli Ulivi, Gerusalemme (11,1); la corrispondenza del "grido" di Bartimeo (10,47.48) e della folla (11,9) e l'analogia tra la proclamazione di Gesù "Figlio di Davide" (10,47.48) e quella dell'avvento del "regno del nostro padre Davide" (11,10); la menzione dei "mantelli", che Bartimeo getta per andare da Gesù (10,50), i discepoli pongono sull'asinello (11,7) e la folla stende sulla strada (11,8). Questi elementi di contatto mostrano che il nostro brano funziona anche da transizione alla sezione seguente. Non manca chi considera 10,46-52 inizio della nuova sezione (10,46-13,37): cf. J. GNILKA, Marco 580.

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