Libro III, Cap. 15, §§ 190-199
CAPITOLO 15
Maria santissima conosce che è volontà del Signore che vada a visitare santa Elisabetta; chiede licenza a san Giuseppe, senza manifestargli altro.
190. Dalle parole del messaggero celeste san Gabriele, Maria santissima conobbe come la sua parente Elisabetta, che era ritenuta sterile, aveva concepito un figlio e già si trovava al sesto mese della sua gravidanza. In seguito l'Altissimo, in una delle visioni intellettuali che ella ebbe, le rivelò che il figlio che santa Elisabetta doveva partorire sarebbe stato grande davanti al Signore e sarebbe stato profeta e precursore del Verbo incarnato che ella portava nel suo grembo verginale. Le rivelò pure altri grandi segreti circa la santità ed i misteri di san Giovanni. In questa visione ed in altre, la purissima Regina comprese che era gradito al Signore che ella andasse a visitare la sua parente Elisabetta, affinché tanto lei quanto il figlio che portava in grembo fossero santificati dalla presenza del loro Redentore; sua divina Maestà, infatti, voleva applicare gli effetti della propria venuta nel mondo ed i propri meriti al suo stesso precursore, comunicandogli la sua divina grazia, cosicché egli fosse una primizia della redenzione.
191. Conoscendo questo nuovo mistero, la prudentissima Vergine ne rese grazie al Signore con ammirabile giubilo, poiché egli si degnava di fare quel favore all'anima di colui che doveva essere suo profeta e precursore, nonché a sua madre Elisabetta. Offrendosi prontamente a compiere la volontà divina, parlò con sua Maestà e gli disse: «Altissimo Signore, principio e causa di ogni bene, il vostro nome sia eternamente glorificato e sia conosciuto e lodato da tutte le nazioni. Io, la più piccola delle creature, con umiltà vi ringrazio per la misericordia che tanto generosamente volete mostrare con la vostra serva Elisabetta e con suo figlio. Se vorrete degnarvi di indicarmi in che cosa io debba servirvi in quest'opera, sono pronta, Signore mio, ad ubbidire sollecitamente ai vostri divini comandi». L'Altissimo le rispose: «Colomba ed amica mia, eletta fra le creature, in verità ti dico che per la tua intercessione e per amore tuo avrò cura, come Padre e Dio liberalissimo, di tua cugina Elisabetta e del figlio che deve nascere da lei, scegliendolo come mio profeta e precursore del Verbo in te fatto uomo. Io li guardo entrambi come cose tue proprie e congiunte a te. Così, voglio che il mio e tuo Unigenito vada a visitare la madre ed a riscattare il figlio dalla schiavitù della prima colpa, affinché, prima degli altri uomini, risuoni al mio orecchio la voce delle sue parole e delle sue lodi e alla sua anima santificata siano rivelati i misteri dell'incarnazione e redenzione. Per questo, sposa mia, voglio che tu vada a visitare Elisabetta, perché noi, Persone divine, abbiamo eletto suo figlio per opere grandi di nostro beneplacito».
192. A questo comando del Signore l'ubbidientissima Madre rispose: «Sapete bene, padrone e Signore mio, che tutto il mio cuore ed i miei desideri sono rivolti al vostro divino beneplacito e voglio con diligenza adempiere ciò che ordinate alla vostra umile serva. Consentitemi, mio Bene, di domandare anche l'assenso del mio sposo Giuseppe e di fare questo viaggio con la sua approvazione. Frattanto, affinché io non mi allontani dalla vostra volontà, guidate durante questo viaggio tutte le mie azioni e dirigete i miei passi alla maggiore gloria del vostro santo nome. Ricevete a tal fine il mio sacrificio di uscire in pubblico, lasciando la solitudine del mio ritiro. Anzi, re e Dio della mia anima, vorrei in questo offrirvi ben più che i soli miei desideri, trovando da patire per amore vostro tutto ciò in cui possa servirvi e compiacervi, affinché l'anelito dell'anima mia non rimanga inoperoso».
193. Quando la nostra grande Regina uscì da questa visione, chiamò i mille angeli della sua custodia, i quali subito le si manifestarono sotto forma corporea; dichiarò loro l'ordine dell'Altissimo, pregandoli di assisterla in quel viaggio con molta diligenza e sollecitudine, insegnandole ad obbedirgli nel modo a lui più gradito, e di difenderla e preservarla dai pericoli, affinché ella operasse perfettamente in tutto quanto le sarebbe accaduto in quel cammino. I santi principi si offrirono con ammirabile sottomissione per ubbidirle e servifla. La Maestra di ogni prudenza ed umiltà soleva fare la stessa cosa in altre occasioni; infatti, anche se nell'operare ella era più saggia e più perfetta che gli stessi angeli, considerato lo stato di viatrice e la condizione della sua natura inferiore, per dare alle sue opere tutta la pienezza della perfezione, consultava e chiamava in aiuto i suoi santi angeli, i quali, benché a lei inferiori in santità, la custodivano ed assistevano. Così, con la loro direzione disponeva le sue azioni, le quali peraltro erano già tutte guidate dall'ispirazione dello Spirito Santo. Gli spiriti divini le ubbidivano con la prontezza e la puntualità proprie della loro natura e dovute alla loro Regina e signora. Parlavano con lei, tenendo colloqui dolcissimi, che alternavano con cantici a lode dell'Altissimo. Altre volte parlava dei misteri del Verbo incarnato, dell'unione ipostatica, della redenzione, dei trionfi che egli avrebbe conseguito ed anche dei frutti e benefici che gli uomini avrebbero ricevuto dalle sue opere. Mi dilungherei, però, troppo se dovessi scrivere tutto ciò che in questa parte mi è stato manifestato.
194. L'umile sposa determinò subito di chiedere il consenso di san Giuseppe, per mettere in opera ciò che l'Altissimo le aveva comandato. Per questo, senza palesargli l'ordine ricevuto, essendo in tutto prudentissima, un giorno gli disse queste parole: «Signore e sposo mio, per divina luce ho conosciuto come la benignità dell'Altissimo ha favorito Elisabetta mia cugina, moglie di Zaccaria, esaudendo la sua preghiera di concepire un figlio. Spero nella sua bontà infinita che, essendo mia cugina sterile ed avendole egli concesso questo singolare beneficio, tutto riuscirà di grande compiacimento e gloria del Signore. Io giudico che in una circostanza come questa ragionevolmente abbia l'obbligo di andare a visitarla ed a parlare con lei di alcune cose convenienti alla sua consolazione ed al suo bene spirituale. Se questa opera, signore, è di vostro gradimento, la farò con vostra licenza, stando però in tutto soggetta alla vostra disposizione e volontà. Considerate voi ciò che è meglio e comandatemi ciò che devo fare».
195. Al Signore furono molto graditi questa discrezione e questo silenzio di Maria santissima, tanto piena di umiltà nel sottomettersi quanto capace e degna che fossero deposti nel suo cuore i grandi segreti del re. Per questo e per la fiducia nella fedeltà con cui questa grande Signora operava, sua divina Maestà dispose il cuore purissimo del santo Giuseppe, infondendogli la sua luce divina quanto a ciò che doveva fare, conformemente alla volontà del Signore. È questo il premio dell'umile il quale domanda consiglio: trovarlo sicuro e con felice riuscita. Ed anche il darlo con prudenza quando viene richiesto è cosa voluta da uno zelo santo e giudizioso. Così illuminato e diretto, il santo sposo rispose: «Già sapete, signora e sposa mia, che tutti i miei desideri sono rivolti a servirvi con ogni mia attenzione e diligenza, perché per la vostra grande virtù ho fiducia, come devo, che la vostra rettissima volontà non si volgerà a cosa alcuna che non sia di maggiore compiacimento e gloria dell'Altissimo. Credo che questo viaggio sarà tale; ma, affinché non sembri strano che lo facciate senza il vostro sposo, io vi accompagnerò con molto piacere per servirvi durante il cammino. Stabilite dunque il giorno, affinché andiamo insieme».
196. Maria santissima gradì la premura del suo prudente sposo Giuseppe e l'attenzione con cui cooperava alla volontà di Dio, servendolo in ciò che sapeva essere a sua gloria. Così, decisero entrambi di partire immediatamente per la casa di Elisabetta, preparando senza indugio il necessario per il viaggio. Tutto si ridusse a poca frutta, a un po' di pane, ad alcuni piccoli pesci e ad un asino che san Giuseppe cercò in prestito per portare tutto il bagaglio e la sua santissima sposa, Regina dell'intero creato. Dopo aver fatto questi preparativi, partirono da Nazaret per la Giudea. Riferirò nel capitolo seguente i particolari del viaggio. Per ora, dico solo che, uscendo dalla sua povera casa, la grande Signora del mondo s'inginocchiò ai piedi del suo sposo san Giuseppe e gli domandò che la benedicesse, per iniziare il viaggio in nome del Signore. Al santo si strinse il cuore al vedere la rara umiltà della sua sposa, di cui aveva già molte volte fatto esperienza; per questo si tratteneva dal benedirla. La mansuetudine e le dolci insistenze di Maria santissima, però, lo vinsero, cosicché il santo la benedisse in nome dell'Altissimo. Ai primi passi, poi, l'umilissima Signora alzò gli occhi al cielo ed il cuore a Dio, disponendosi a compiere la volontà divina, portando in sé l'Unigenito del Padre e suo, per santificare Giovanni nel grembo di Elisabetta.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
197. Figlia mia carissima, ti confido e paleso molte volte l'amore del mio cuore, perché desidero grandemente che si accenda nel tuo e che tu approfitti dell'insegnamento che ti do. Felice è l'anima a cui l'Altissimo manifesta la sua volontà santa e perfetta; ma ben più felice e beata è quella che, conoscendola, la mette in pratica. In molti modi Dio insegna ai mortali i sentieri della vita eterna: per mezzo dei Vangeli e delle sante Scritture, per mezzo dei sacramenti e delle leggi della santa Chiesa, per mezzo di altri libri e degli esempi dei santi e specialmente per mezzo dell'ubbidienza ai suoi ministri, dei quali sua Maestà disse: Chi ascolta voi, ascolta me, cioè che ubbidire a loro è ubbidire al medesimo Signore. Quando, dunque, per qualcuna di queste strade giungerai a conoscere la volontà divina, voglio da te che con leggerissimo volo, servendoti come ali dell'umiltà e dell'ubbidienza, e come un raggio velocissimo tu sia pronta ad eseguirla, adempiendo il beneplacito divino.
198. Oltre a questi modi di insegnamento, l'Altissimo ne usa altri per orientare le anime, facendo conoscere in modo soprannaturale la sua volontà perfetta e rivelando così loro molti sacri arcani. Questa conoscenza ha i suoi gradi, e molto differenti; non tutti sono ordinari né comuni alle anime, perché l'Altissimo dispensa la sua luce con misura e peso. Alcune volte parla al cuore e alle facoltà con forza, altre corregge, ammonisce ed insegna; altre volte muove il cuore perché esso lo cerchi, altre ancora indica chiaramente ciò che desidera ed altre infine mostra come un chiaro specchio misteri grandi che l'intelletto veda e la volontà ami. Sempre, però, questo grande Dio e sommo bene è dolcissimo nel comandare, potente nel dare forza per eseguire il suo volere, giusto nei suoi ordini, sollecito nel disporre le cose per essere ubbidito ed efficace nel vincere gli impedimenti, perché si compia la sua santissima volontà.
199. Ti voglio, figlia mia, molto attenta nel ricevere questa luce divina e molto sollecita e diligente nell'attuare ciò che ti mostra. Per ascoltare il Signore e percepire questa voce tanto delicata e spirituale, è necessario che le facoltà dell'anima siano purificate dalla grossolanità terrena e che tutta la creatura viva secondo lo Spirito, perché l'uomo naturale non comprende le cose alte e divine'0. Attendi, dunque, al tuo intimo e dimentica tutto quello che è al di fuori; ascolta, figlia mia, porgi l'orecchio distaccata da tutto ciò che è visibile. Se vuoi essere diligente, ama, perché l'amore è fuoco e non sa differire i suoi effetti dove trova disposta la materia; voglio che il tuo cuore sia sempre pronto. Quando, poi, l'Altissimo ti ordinerà o insegnerà qualcosa a beneficio delle anime, principalmente per la loro salvezza eterna, offriti con sottomissione, perché esse sono il prezzo assai stimabile del sangue dell'Agnello e dell'amore divino. Non creare ostacoli a te stessa con la tua viltà e timidezza, ma supera il timore che ti abbatte. Se, infatti, tu vali poco e sei inutile per ogni cosa, l'Altissimo è ricco, potente, grande e da solo fece tutte le cose. La tua prontezza ed il tuo affetto non saranno privi di premio, benché io voglia che tu ti muova soltanto per compiacere il tuo Signore.
Libro III, Cap. 16, §§ 200-214
CAPITOLO 16
Viaggio di Maria santissima per visitare santa Elisabetta ed ingresso nella casa di Zaccaria.
200. In quei giorni - dice il sacro testo - Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Questo alzarsi della nostra santissima Regina e signora non fu solo il suo disporsi esteriormente e partire da Nazaret, ma indica anche il movimento del suo spirito e della sua volontà, con cui, per l'impulso e l'ordine divino, si alzò interiormente da quell'umile posto che occupava per la bassa stima di se stessa. Da qui si alzò come dai piedi dell'Altissimo, dove aveva aspettato di conoscere il suo beneplacito per adempieflo, come la più vile serva - secondo quanto disse Davide - tiene gli occhi rivolti alle mani della sua padrona, attendendo che le comandi. Alzandosi alla voce del Signore, indirizzò il suo affetto dolcissimo a compiere la sua santissima volontà, per affrettare senza dilazione la santificazione del precursore, che stava nel grembo di Elisabetta come incarcerato nella cattività del primo peccato. Tale era il fine di questo felice viaggio. Per esso si alzò la Principessa dei cieli e camminò con la fretta e la diligenza che dice l'evangelista san Luca.
201. Lasciando, dunque, la casa dei loro padri e dimenticando il loro popolo, i castissimi sposi Maria e Giuseppe si posero in cammino, avviandosi verso la casa di Zaccaria sulle montagne di Giuda, che distavano ventisette leghe da Nazaret; e gran parte della strada era dura e difficile per una così delicata e giovane donna. Tutta la comodità per una fatica così grande consisteva in un umile giumento, sul quale cominciò e proseguì il suo viaggio. Sebbene fosse destinato al sollievo e servizio di lei, la più umile e modesta tra le creature ne smontava molte volte e pregava il suo sposo Giuseppe di voler dividere con lei la fatica e l'agio e di prendersi un po' di riposo servendosi a tale scopo dell'animale. Il prudente sposo non lo permise mai; solo per accondiscendere un po' alle preghiere dell'umilissima Signora, consentiva che per qualche tratto di strada ella andasse con lui a piedi, quanto gli pareva potesse sopportare senza affaticarsi troppo. Quindi, subito con grande decoro e riverenza le chiedeva che non ricusasse quel piccolo sollievo; e la Regina celeste ubbidiva, proseguendo in sella.
202. Queste umili discussioni tra Maria santissima e Giuseppe si presentavano più volte nel corso delle loro giornate, che trascorrevano senza sciupare un solo istante. Camminavano soli senza compagnia di creature umane; ma li assistevano i mille angeli che custodivano la lettiga di Salomone, Maria santissima. Sebbene servissero in forma visibile la loro Regina e il Figlio santissimo che portava in grembo, ella sola li vedeva. Con uguale attenzione agli angeli e a san Giuseppe suo sposo, la Madre della grazia camminava riempiendo le campagne ed i monti di fragranza soavissima con la sua presenza e con le lodi di Dio in cui senza interruzione stava assorta. Alcune volte discorreva con i suoi angeli e si alternava con loro nei cantici divini, con motivi differenti, sui misteri della Divinità e sulle opere della creazione e dell'incarnazione; in questo di nuovo quel candido cuore della purissima Signora si infiammava di amore per Dio. A tutto ciò si prestava san Giuseppe, suo sposo, con il moderato silenzio che osservava, concentrando il suo spirito in se stesso con alta contemplazione e permettendo che - a suo credere - facesse lo stesso la sua devota sposa.
203. Altre volte Maria e Giuseppe parlavano fra sé di molte cose riguardanti la salvezza delle loro anime e le misericordie del Signore, nonché la venuta del Messia, le promesse che di lui erano state fatte agli antichi Padri ed altri misteri dell'Altissimo. Durante questo viaggio, accadde una cosa ammirabile per il santo sposo Giuseppe. Egli amava teneramente la propria sposa con amore santo e castissimo, infusogli con grazia speciale dall'amore divino; per un altro privilegio non minore, poi, il santo era di indole nobilissima, cortese, piacevole ed affabile. Tutto questo produceva in lui una sollecitudine prudentissima ed amorevole, alla quale lo muoveva fin dal principio la stessa santità e grandezza che conosceva nella sua prudentissima sposa, come oggetto prossimo a quei doni del cielo. Perciò, il santo andava prendendosi cura sollecita di Maria santissima, domandandole molte volte se si sentisse affaticata e stanca ed in che cosa potesse darle sollievo e servirla. Siccome, però, la Regina del cielo portava già nel suo talamo verginale il fuoco divino del Verbo incarnato, il santo Giuseppe, senza saperne la causa, per le parole e la conversazione della sua amata sposa sentiva nella sua anima nuovi effetti, in forza dei quali si riconosceva più infiammato nell'amore per Dio e pieno di altissima conoscenza dei misteri dei quali parlavano, con una fiamma interiore ed una nuova luce che lo spiritualizzavano e lo rinnovavano tutto. Quanto più, poi, proseguivano nel cammino e nei discorsi celesti, tanto più crescevano questi favori, dei quali erano strumento le parole della sua sposa, che penetravano il suo cuore ed infiammavano la sua volontà nell'amore per Dio.
204. Era così grande questa novità che il giudizioso sposo Giuseppe non poté evitare di riflettervi molto. Anche se conosceva che tutto procedeva da Maria santissima e nella sua meraviglia si sarebbe consolato se ne avesse saputo la causa senza ricercarla con curiosità, per la sua grande modestia non ardi farle alcuna domanda, disponendo così il Signore, perché non era ancora tempo che egli conoscesse il segreto del re, che stava nascosto nel grembo verginale. La prudentissima Principessa guardava il suo sposo, vedendo tutto quanto passava nel suo intimo; mentre, poi, rifletteva fra sé nella sua prudenza, le venne in mente che naturalmente era necessario che si venisse a manifestare la sua gravidanza, senza che la potesse nascondere al suo carissimo e castissimo sposo. La grande Signora non sapeva allora in che modo Dio avrebbe regolato questo mistero; però, sebbene non avesse ricevuto ordine di tenerlo celato, la sua divina discrezione le insegnò quanto fosse bene nasconderlo, come mistero grande, ed il maggiore tra tutti. Così, lo tenne segreto, senza farne parola alcuna con il suo sposo, né in questa occasione, né prima al tempo dell'annuncio dell'angelo, né in seguito in mezzo ai timori dei quali diremo, cioè quando arrivò il tempo in cui il santo Giuseppe conobbe la gravidanza.
205. Oh, discrezione ammirabile e prudenza più che umana! La grande Regina si abbandonò tutta alla Provvidenza divina, aspettando ciò che avrebbe disposto. Tuttavia, provò pena, prevedendo quella che il suo santo sposo avrebbe ricevuto e considerando che non poteva anticipatamente liberarlo da essa o rimuoverla. Questa preoccupazione cresceva ancora più al vedere la grande attenzione che il santo usava nel servirla e nel prendersi cura di lei con amore; ciò meritava uguale corrispondenza in tutto quello che prudentemente fosse possibile. Pregò, perciò, in modo speciale il Signore, presentandogli il suo ansioso affetto, la sua brama di agire con sicurezza e ciò di cui aveva bisogno san Giuseppe nella circostanza che lo sovrastava, chiedendo per tutto l'assistenza e la direzione divina. In questa sospensione sua l'Altezza eseguì ed esercitò grandi ed eroici atti di fede, speranza, carità, prudenza, umiltà, pazienza e fortezza, dando pienezza di santità a tutto quello che le capitava, perché in ogni cosa operava sempre ciò che era più perfetto.
206. Questo viaggio fu il primo pellegrinaggio che il Verbo incarnato fece nel mondo, quattro giorni dopo essere entrato in esso; infatti, il suo ardentissimo amore non poté sopportare ulteriore dilazione per cominciare ad accendere il fuoco che veniva a diffondere sulla terra, dando così principio alla giustificazione dei mortali nel suo divino precursore. Comunicò questa prontezza alla sua Madre santissima, affinché in fretta si alzasse ed andasse a visitare Elisabetta. In questa circostanza l'umile Signora servì da baldacchino al vero Salomone, ma più ricco, ornato e leggero del primo. Così, questo viaggio fu più glorioso ed avvenne con maggiore giubilo e magnificenza dell'Unigenito del Padre, perché egli camminava riposando dolcemente nel talamo verginale di sua Madre e traendo diletto dall'amore con cui ella lo adorava, lo benediceva, lo contemplava, si rivolgeva a lui, lo ascoltava e gli rispondeva. Ella sola, insomma, divenuta allora l'archivio reale e la depositaria di un così magnifico mistero, lo venerava e gli si mostrava riconoscente per sé e per tutto il genere umano, molto più che tutti gli uomini e gli angeli insieme.
207. Nel corso del cammino, che durò quattro giorni, i pellegrini Maria santissima e Giuseppe esercitarono non solo le virtù che hanno Dio come oggetto ed altre interion, ma anche molti atti di carità verso il prossimo, perché questa non poteva rimanere inoperosa dinanzi a quanti erano bisognosi di soccorso. Non trovavano in tutti gli alloggi uguale accoglienza, perché alcuni, da rozzi, immersi nella loro naturale inavvertenza, rifiutavano di ospitarli, mentre altri, mossi dalla grazia divina, li accoglievano con amore. A nessuno, però, la Madre della misericordia negava la pietà che poteva esercitare, per cui stava sempre attenta se potesse visitare o incontrare poveri, infermi ed afflitti, e tutti soccorreva e consolava o risanava dai loro mali. Non mi trattengo a riferire tutti i casi che quanto a ciò le capitarono. Dirò solo la buona sorte di una povera donna inferma, che la nostra grande Regina incontrò in un luogo attraverso il quale passava nel primo giorno del viaggio. Sua Maestà la vide e si mosse a tenerezza e compassione della sua infermità, che era gravissima; per questo, usando il potere che aveva come signora delle creature, ordinò alla febbre di lasciare quella donna e al suo organismo di riprendere il suo regolare funzionamento. In forza di questo comando e della dolce presenza di Maria purissima, l'inferma si trovò all'istante libera, del tutto sana dalla malattia del corpo e migliorata nello spirito. Anzi, in seguito avanzò tanto nel bene che giunse ad essere perfetta e santa, perché le rimase impressa nella memoria l'immagine dell'autrice del suo bene e nel cuore le restò un intimo amore verso di lei, anche se non vide mai più la grande Signora né il miracolo si divulgò.
208. Continuando il loro viaggio, Maria santissima e san Giuseppe suo sposo giunsero il quarto giorno alla città di Giuda, dove abitavano Elisabetta e Zaccaria. Come specifica l'evangelista san Luca, questo nome era proprio della città, anche se i predicatori del Vangelo comunemente hanno creduto che fosse nome comune della provincia che si chiamava Giuda o Giudea, dalla quale prendevano il nome anche le montagne della Giudea, che sì estendono a 'sud di Gerusalemme. A me, però, è stato manifestato che era la città stessa che si chiamava Giuda e che l'Evangelista la nominò con il suo nome proprio, sebbene i dottori e i predicatori abbiano inteso con il nome di Giuda la provincia a cui apparteneva. Ciò è avvenuto perché quella città andò in rovina alcuni anni dopo la morte di Cristo Signore nostro e gli studiosi, non avendo trovato memoria di essa, hanno ritenuto che san Luca con il nome di Giuda avesse voluto significare la provincia, non il luogo. Da questo ha avuto origine la diversità delle opinioni su quale fosse la città dove avvenne la visitazione di Maria santissima a santa Elisabetta.
209. Poiché l'ubbidienza mi ha ordinato di spiegare più esattamente questo punto per la sorpresa che può causare, dico inoltre che la casa di Zaccaria ed Elisabetta, dove avvenne la visitazione, si trovava nel medesimo luogo dove adesso questi divini misteri sono venerati dai fedeli e dai pellegrini che accorrono o vivono nei santi luoghi della Palestina. Anche se la città di Giuda andò in rovina, il Signore non permise che si cancellasse del tutto la memoria di luoghi così venerabili, dove erano stati compiuti tanti misteri e che erano stati consacrati dai piedi di Maria santissima, di Cristo Signore nostro, del Battista e dei suoi santi genitori. Così, gli antichi fedeli, che edificarono quelle chiese e ripararono i luoghi santi, ricevettero luce divina per conoscere con essa e mediante qualche tradizione la verità su tutto e rinnovare la memoria di così ammirabili misteri, affinché godessimo del beneficio di venerarli ed adorarli noi fedeli che viviamo adesso, professando e confessando la fede cattolica nei sacri luoghi della nostra redenzione.
210. Per maggiore conoscenza di questo si sappia che il demonio, dopo che alla morte di Cristo Signore nostro l'ebbe conosciuto come vero Dio e redentore degli uomini, pretese con incredibile furore di cancellare, come dice Geremia, la sua memoria dalla terra dei viventi, e così pure quella della sua Madre santissima. Quindi, una volta procurò che la santissima croce fosse nascosta e sotterrata ed un'altra volta che fosse trafugata in Persia; con questo medesimo intento fece in modo che andassero in rovina e fossero dimenticati molti luoghi santi. Fu per questo che gli angeli santi trasportarono tante volte la venerabile e santa casa di Loreto, perché lo stesso drago, che perseguitava questa santissima Signora aveva già disposto gli animi degli abitanti di quella terra affinché abbattessero quel sacro oratorio, che era stato il luogo in cui si era compiuto l'altissimo mistero dell'incarnazione. Fu per tale astuzia del nemico che venne distrutta l'antica città di Giuda, in parte per negligenza degli abitanti che andarono diminuendo e in parte per disgrazie ed infortuni avvenuti, anche se il Signore non permise che andasse completamente in rovina la casa di Zaccaria, per i misteri che vi si erano celebrati.
211. Come ho detto, questa città era distante ventisei leghe da Nazaret e circa due da Gerusalemme. Era situata dove ha la sua sorgente il torrente Sorec, sulle montagne della Giudea. Dopo la nascita di san Giovanni e la partenza di Maria santissima e di san Giuseppe per ritornare a Nazaret, santa Elisabetta seppe per illuminazione divina che era imminente una grande rovina e calamità per i bambini di Betlemme e dei suoi dintorni. Sebbene tale rivelazione fosse generale e senza altra specificazione, mosse la madre di san Giovanni a ritirarsi con Zaccaria suo marito a Ebron, distante circa otto leghe da Gerusalemme; e così fecero, perché erano ricchi e nobili e possedevano case e beni non solo in Giuda ed in Ebron, ma anche in altri luoghi. Per questo, quando Maria santissima e Giuseppe, fuggendo da Erode, andarono esuli in Egitto alcuni mesi dopo la nascita del Verbo e più mesi dopo quella del Battista, santa Elisabetta e Zaccaria si trovavano a Ebron. Zaccaria mori quattro mesi dopo la nascita di Cristo Signore nostro, cioè dieci dopo la nascita di suo figlio san Giovanni. Ciò mi pare sufficiente per chiarire questo dubbio circa la casa della visitazione, che non fu in Gerusalemme, né in Betlemme, né in Ebron, ma nella città che si chiamava Giuda. Ho conosciuto questo innanzitutto con la luce del Signore, con cui ho appreso gli altri misteri di questa divina Storia; poi, di nuovo me lo ha dichiarato l'angelo santo, quando per ubbidienza l'ho interrogato un'altra volta.
212. Maria santissima e san Giuseppe giunsero alla casa di Zaccaria. Per annunciare il loro arrivo, il santo sposo andò alcuni passi avanti e salutò dicendo: «Il Signore sia con voi e riempia le vostre anime della sua grazia divina». Santa Elisabetta era già preparata, perché il Signore stesso le aveva rivelato che Maria di Nazaret sua parente partiva per visitarla. Da questa visione, però, aveva conosciuto solo che la divina Signora era molto gradita agli occhi dell'Altissimo, perché il mistero della sua dignità di Madre di Dio non le fu rivelato se non quando si salutarono in disparte. Elisabetta uscì subito con alcuni della sua famiglia per ricevere Maria santissima, la quale però, più umile e più giovane, prevenne sua cugina nel saluto e le disse: «Il Signore sia con voi, mia carissima cugina». «Lo stesso Signore - rispose Elisabetta - vi ricompensi di essere venuta a darmi questa consolazione». Dopo questo saluto, salirono alla casa di Zaccaria e, quando le due cugine si furono ritirate in disparte, avvenne ciò che racconterò nel capitolo seguente.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
213. Figlia mia, quando la creatura stima adeguatamente le opere buone e l'ubbidienza al Signore che gliele comanda per sua gloria, seguono per lei una grande facilità nell'operarle, una soavissima dolcezza nell'intraprenderle ed una diligente prontezza nel continuarle e proseguirle. Questi effetti sono un'evidente prova della verità ed utilità che è in esse. L'anima, però, non può sperimentare questo effetto se non sta molto sottomessa al Signore, sollevando a lui gli occhi per ascoltare con gioia il suo divino beneplacito ed eseguirlo con sollecitudine, dimenticandosi della propria inclinazione e comodità, appunto come il servo fedele, che vuole fare solamente la volontà del suo Signore e non la sua. Questo è il modo di ubbidire fruttuoso che tutte le creature devono a Dio, e molto più le religiose che così hanno promesso. Tu, o carissima, per conseguiilo perfettamente, considera la stima con cui Davide parla spesso dei precetti del Signore, delle sue parole e della sua salvezza, nonché gli effetti che causarono in lui e producono ora nelle anime. Egli, infatti, confessa che rendono saggio il semplice, fanno gioire il cuore, danno luce agli occhi dell'anima, sono lampada per i suoi passi , sono più dolci del miele e più stimabili dell'oro e delle pietre preziose. Questa prontezza e questo abbandono alla volontà divina ed alla sua legge resero Davide conforme al cuore di Dio, perché sua Maestà vuole tali i suoi servi ed amici.
214. Attendi dunque, figlia mia, con grande stima alle opere di virtù e di perfezione che sai gràdite al tuo Signore; non volere disprezzarne alcuna, né resistere, né cessare di intraprenderle per quanta violenza tu possa sentire nella tua inclinazione e debolezza. Confida nel Signore ed impegnati a metterle in pratica; subito il suo potere vincerà tutte le difficoltà e ben presto conoscerai con felice esperienza quanto dolce è il giogo e quanto leggero il carico del Signore e che sua divina Maestà non volle ingannarci nell'affermarlo, come suppongono i tiepidi e negligenti, che con la loro infingardaggine e diffidenza contraddicono tacitamente questa verità. Voglio similmente che per imitarmi in questa perfezione consideri il beneficio che mi fece la benignità divina, dandomi pietà ed affetto soavissimo verso le creature, come opere di Dio, partecipi della sua bontà e del suo essere. Con questo affetto io desideravo consolare, sollevare ed incoraggiare tutte le anime e con una compassione naturale procuravo loro ogni bene spirituale e corporale. Per nessuno, per peccatore grande che fosse, desideravo male alcuno; anzi, verso questi mi volgevo con grande forza del mio cuore compassionevole per procurargli la salvezza eterna. Da ciò derivò la mia ansietà per la pena che il mio sposo Giuseppe avrebbe ricevuto venendo a conoscere la mia gravidanza, perché a lui io dovevo più che a tutti gli altri. Sentivo questa soave compassione in particolare verso gli afflitti e gli infermi e mi adoperavo per ottenere a tutti qualche sollievo. In questa virtù voglio che tu mi imiti secondo la conoscenza che ne hai, usando di essa prudentemente.
CAPITOLO 16
Viaggio di Maria santissima per visitare santa Elisabetta ed ingresso nella casa di Zaccaria.
200. In quei giorni - dice il sacro testo - Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Questo alzarsi della nostra santissima Regina e signora non fu solo il suo disporsi esteriormente e partire da Nazaret, ma indica anche il movimento del suo spirito e della sua volontà, con cui, per l'impulso e l'ordine divino, si alzò interiormente da quell'umile posto che occupava per la bassa stima di se stessa. Da qui si alzò come dai piedi dell'Altissimo, dove aveva aspettato di conoscere il suo beneplacito per adempieflo, come la più vile serva - secondo quanto disse Davide - tiene gli occhi rivolti alle mani della sua padrona, attendendo che le comandi. Alzandosi alla voce del Signore, indirizzò il suo affetto dolcissimo a compiere la sua santissima volontà, per affrettare senza dilazione la santificazione del precursore, che stava nel grembo di Elisabetta come incarcerato nella cattività del primo peccato. Tale era il fine di questo felice viaggio. Per esso si alzò la Principessa dei cieli e camminò con la fretta e la diligenza che dice l'evangelista san Luca.
201. Lasciando, dunque, la casa dei loro padri e dimenticando il loro popolo, i castissimi sposi Maria e Giuseppe si posero in cammino, avviandosi verso la casa di Zaccaria sulle montagne di Giuda, che distavano ventisette leghe da Nazaret; e gran parte della strada era dura e difficile per una così delicata e giovane donna. Tutta la comodità per una fatica così grande consisteva in un umile giumento, sul quale cominciò e proseguì il suo viaggio. Sebbene fosse destinato al sollievo e servizio di lei, la più umile e modesta tra le creature ne smontava molte volte e pregava il suo sposo Giuseppe di voler dividere con lei la fatica e l'agio e di prendersi un po' di riposo servendosi a tale scopo dell'animale. Il prudente sposo non lo permise mai; solo per accondiscendere un po' alle preghiere dell'umilissima Signora, consentiva che per qualche tratto di strada ella andasse con lui a piedi, quanto gli pareva potesse sopportare senza affaticarsi troppo. Quindi, subito con grande decoro e riverenza le chiedeva che non ricusasse quel piccolo sollievo; e la Regina celeste ubbidiva, proseguendo in sella.
202. Queste umili discussioni tra Maria santissima e Giuseppe si presentavano più volte nel corso delle loro giornate, che trascorrevano senza sciupare un solo istante. Camminavano soli senza compagnia di creature umane; ma li assistevano i mille angeli che custodivano la lettiga di Salomone, Maria santissima. Sebbene servissero in forma visibile la loro Regina e il Figlio santissimo che portava in grembo, ella sola li vedeva. Con uguale attenzione agli angeli e a san Giuseppe suo sposo, la Madre della grazia camminava riempiendo le campagne ed i monti di fragranza soavissima con la sua presenza e con le lodi di Dio in cui senza interruzione stava assorta. Alcune volte discorreva con i suoi angeli e si alternava con loro nei cantici divini, con motivi differenti, sui misteri della Divinità e sulle opere della creazione e dell'incarnazione; in questo di nuovo quel candido cuore della purissima Signora si infiammava di amore per Dio. A tutto ciò si prestava san Giuseppe, suo sposo, con il moderato silenzio che osservava, concentrando il suo spirito in se stesso con alta contemplazione e permettendo che - a suo credere - facesse lo stesso la sua devota sposa.
203. Altre volte Maria e Giuseppe parlavano fra sé di molte cose riguardanti la salvezza delle loro anime e le misericordie del Signore, nonché la venuta del Messia, le promesse che di lui erano state fatte agli antichi Padri ed altri misteri dell'Altissimo. Durante questo viaggio, accadde una cosa ammirabile per il santo sposo Giuseppe. Egli amava teneramente la propria sposa con amore santo e castissimo, infusogli con grazia speciale dall'amore divino; per un altro privilegio non minore, poi, il santo era di indole nobilissima, cortese, piacevole ed affabile. Tutto questo produceva in lui una sollecitudine prudentissima ed amorevole, alla quale lo muoveva fin dal principio la stessa santità e grandezza che conosceva nella sua prudentissima sposa, come oggetto prossimo a quei doni del cielo. Perciò, il santo andava prendendosi cura sollecita di Maria santissima, domandandole molte volte se si sentisse affaticata e stanca ed in che cosa potesse darle sollievo e servirla. Siccome, però, la Regina del cielo portava già nel suo talamo verginale il fuoco divino del Verbo incarnato, il santo Giuseppe, senza saperne la causa, per le parole e la conversazione della sua amata sposa sentiva nella sua anima nuovi effetti, in forza dei quali si riconosceva più infiammato nell'amore per Dio e pieno di altissima conoscenza dei misteri dei quali parlavano, con una fiamma interiore ed una nuova luce che lo spiritualizzavano e lo rinnovavano tutto. Quanto più, poi, proseguivano nel cammino e nei discorsi celesti, tanto più crescevano questi favori, dei quali erano strumento le parole della sua sposa, che penetravano il suo cuore ed infiammavano la sua volontà nell'amore per Dio.
204. Era così grande questa novità che il giudizioso sposo Giuseppe non poté evitare di riflettervi molto. Anche se conosceva che tutto procedeva da Maria santissima e nella sua meraviglia si sarebbe consolato se ne avesse saputo la causa senza ricercarla con curiosità, per la sua grande modestia non ardi farle alcuna domanda, disponendo così il Signore, perché non era ancora tempo che egli conoscesse il segreto del re, che stava nascosto nel grembo verginale. La prudentissima Principessa guardava il suo sposo, vedendo tutto quanto passava nel suo intimo; mentre, poi, rifletteva fra sé nella sua prudenza, le venne in mente che naturalmente era necessario che si venisse a manifestare la sua gravidanza, senza che la potesse nascondere al suo carissimo e castissimo sposo. La grande Signora non sapeva allora in che modo Dio avrebbe regolato questo mistero; però, sebbene non avesse ricevuto ordine di tenerlo celato, la sua divina discrezione le insegnò quanto fosse bene nasconderlo, come mistero grande, ed il maggiore tra tutti. Così, lo tenne segreto, senza farne parola alcuna con il suo sposo, né in questa occasione, né prima al tempo dell'annuncio dell'angelo, né in seguito in mezzo ai timori dei quali diremo, cioè quando arrivò il tempo in cui il santo Giuseppe conobbe la gravidanza.
205. Oh, discrezione ammirabile e prudenza più che umana! La grande Regina si abbandonò tutta alla Provvidenza divina, aspettando ciò che avrebbe disposto. Tuttavia, provò pena, prevedendo quella che il suo santo sposo avrebbe ricevuto e considerando che non poteva anticipatamente liberarlo da essa o rimuoverla. Questa preoccupazione cresceva ancora più al vedere la grande attenzione che il santo usava nel servirla e nel prendersi cura di lei con amore; ciò meritava uguale corrispondenza in tutto quello che prudentemente fosse possibile. Pregò, perciò, in modo speciale il Signore, presentandogli il suo ansioso affetto, la sua brama di agire con sicurezza e ciò di cui aveva bisogno san Giuseppe nella circostanza che lo sovrastava, chiedendo per tutto l'assistenza e la direzione divina. In questa sospensione sua l'Altezza eseguì ed esercitò grandi ed eroici atti di fede, speranza, carità, prudenza, umiltà, pazienza e fortezza, dando pienezza di santità a tutto quello che le capitava, perché in ogni cosa operava sempre ciò che era più perfetto.
206. Questo viaggio fu il primo pellegrinaggio che il Verbo incarnato fece nel mondo, quattro giorni dopo essere entrato in esso; infatti, il suo ardentissimo amore non poté sopportare ulteriore dilazione per cominciare ad accendere il fuoco che veniva a diffondere sulla terra, dando così principio alla giustificazione dei mortali nel suo divino precursore. Comunicò questa prontezza alla sua Madre santissima, affinché in fretta si alzasse ed andasse a visitare Elisabetta. In questa circostanza l'umile Signora servì da baldacchino al vero Salomone, ma più ricco, ornato e leggero del primo. Così, questo viaggio fu più glorioso ed avvenne con maggiore giubilo e magnificenza dell'Unigenito del Padre, perché egli camminava riposando dolcemente nel talamo verginale di sua Madre e traendo diletto dall'amore con cui ella lo adorava, lo benediceva, lo contemplava, si rivolgeva a lui, lo ascoltava e gli rispondeva. Ella sola, insomma, divenuta allora l'archivio reale e la depositaria di un così magnifico mistero, lo venerava e gli si mostrava riconoscente per sé e per tutto il genere umano, molto più che tutti gli uomini e gli angeli insieme.
207. Nel corso del cammino, che durò quattro giorni, i pellegrini Maria santissima e Giuseppe esercitarono non solo le virtù che hanno Dio come oggetto ed altre interion, ma anche molti atti di carità verso il prossimo, perché questa non poteva rimanere inoperosa dinanzi a quanti erano bisognosi di soccorso. Non trovavano in tutti gli alloggi uguale accoglienza, perché alcuni, da rozzi, immersi nella loro naturale inavvertenza, rifiutavano di ospitarli, mentre altri, mossi dalla grazia divina, li accoglievano con amore. A nessuno, però, la Madre della misericordia negava la pietà che poteva esercitare, per cui stava sempre attenta se potesse visitare o incontrare poveri, infermi ed afflitti, e tutti soccorreva e consolava o risanava dai loro mali. Non mi trattengo a riferire tutti i casi che quanto a ciò le capitarono. Dirò solo la buona sorte di una povera donna inferma, che la nostra grande Regina incontrò in un luogo attraverso il quale passava nel primo giorno del viaggio. Sua Maestà la vide e si mosse a tenerezza e compassione della sua infermità, che era gravissima; per questo, usando il potere che aveva come signora delle creature, ordinò alla febbre di lasciare quella donna e al suo organismo di riprendere il suo regolare funzionamento. In forza di questo comando e della dolce presenza di Maria purissima, l'inferma si trovò all'istante libera, del tutto sana dalla malattia del corpo e migliorata nello spirito. Anzi, in seguito avanzò tanto nel bene che giunse ad essere perfetta e santa, perché le rimase impressa nella memoria l'immagine dell'autrice del suo bene e nel cuore le restò un intimo amore verso di lei, anche se non vide mai più la grande Signora né il miracolo si divulgò.
208. Continuando il loro viaggio, Maria santissima e san Giuseppe suo sposo giunsero il quarto giorno alla città di Giuda, dove abitavano Elisabetta e Zaccaria. Come specifica l'evangelista san Luca, questo nome era proprio della città, anche se i predicatori del Vangelo comunemente hanno creduto che fosse nome comune della provincia che si chiamava Giuda o Giudea, dalla quale prendevano il nome anche le montagne della Giudea, che sì estendono a 'sud di Gerusalemme. A me, però, è stato manifestato che era la città stessa che si chiamava Giuda e che l'Evangelista la nominò con il suo nome proprio, sebbene i dottori e i predicatori abbiano inteso con il nome di Giuda la provincia a cui apparteneva. Ciò è avvenuto perché quella città andò in rovina alcuni anni dopo la morte di Cristo Signore nostro e gli studiosi, non avendo trovato memoria di essa, hanno ritenuto che san Luca con il nome di Giuda avesse voluto significare la provincia, non il luogo. Da questo ha avuto origine la diversità delle opinioni su quale fosse la città dove avvenne la visitazione di Maria santissima a santa Elisabetta.
209. Poiché l'ubbidienza mi ha ordinato di spiegare più esattamente questo punto per la sorpresa che può causare, dico inoltre che la casa di Zaccaria ed Elisabetta, dove avvenne la visitazione, si trovava nel medesimo luogo dove adesso questi divini misteri sono venerati dai fedeli e dai pellegrini che accorrono o vivono nei santi luoghi della Palestina. Anche se la città di Giuda andò in rovina, il Signore non permise che si cancellasse del tutto la memoria di luoghi così venerabili, dove erano stati compiuti tanti misteri e che erano stati consacrati dai piedi di Maria santissima, di Cristo Signore nostro, del Battista e dei suoi santi genitori. Così, gli antichi fedeli, che edificarono quelle chiese e ripararono i luoghi santi, ricevettero luce divina per conoscere con essa e mediante qualche tradizione la verità su tutto e rinnovare la memoria di così ammirabili misteri, affinché godessimo del beneficio di venerarli ed adorarli noi fedeli che viviamo adesso, professando e confessando la fede cattolica nei sacri luoghi della nostra redenzione.
210. Per maggiore conoscenza di questo si sappia che il demonio, dopo che alla morte di Cristo Signore nostro l'ebbe conosciuto come vero Dio e redentore degli uomini, pretese con incredibile furore di cancellare, come dice Geremia, la sua memoria dalla terra dei viventi, e così pure quella della sua Madre santissima. Quindi, una volta procurò che la santissima croce fosse nascosta e sotterrata ed un'altra volta che fosse trafugata in Persia; con questo medesimo intento fece in modo che andassero in rovina e fossero dimenticati molti luoghi santi. Fu per questo che gli angeli santi trasportarono tante volte la venerabile e santa casa di Loreto, perché lo stesso drago, che perseguitava questa santissima Signora aveva già disposto gli animi degli abitanti di quella terra affinché abbattessero quel sacro oratorio, che era stato il luogo in cui si era compiuto l'altissimo mistero dell'incarnazione. Fu per tale astuzia del nemico che venne distrutta l'antica città di Giuda, in parte per negligenza degli abitanti che andarono diminuendo e in parte per disgrazie ed infortuni avvenuti, anche se il Signore non permise che andasse completamente in rovina la casa di Zaccaria, per i misteri che vi si erano celebrati.
211. Come ho detto, questa città era distante ventisei leghe da Nazaret e circa due da Gerusalemme. Era situata dove ha la sua sorgente il torrente Sorec, sulle montagne della Giudea. Dopo la nascita di san Giovanni e la partenza di Maria santissima e di san Giuseppe per ritornare a Nazaret, santa Elisabetta seppe per illuminazione divina che era imminente una grande rovina e calamità per i bambini di Betlemme e dei suoi dintorni. Sebbene tale rivelazione fosse generale e senza altra specificazione, mosse la madre di san Giovanni a ritirarsi con Zaccaria suo marito a Ebron, distante circa otto leghe da Gerusalemme; e così fecero, perché erano ricchi e nobili e possedevano case e beni non solo in Giuda ed in Ebron, ma anche in altri luoghi. Per questo, quando Maria santissima e Giuseppe, fuggendo da Erode, andarono esuli in Egitto alcuni mesi dopo la nascita del Verbo e più mesi dopo quella del Battista, santa Elisabetta e Zaccaria si trovavano a Ebron. Zaccaria mori quattro mesi dopo la nascita di Cristo Signore nostro, cioè dieci dopo la nascita di suo figlio san Giovanni. Ciò mi pare sufficiente per chiarire questo dubbio circa la casa della visitazione, che non fu in Gerusalemme, né in Betlemme, né in Ebron, ma nella città che si chiamava Giuda. Ho conosciuto questo innanzitutto con la luce del Signore, con cui ho appreso gli altri misteri di questa divina Storia; poi, di nuovo me lo ha dichiarato l'angelo santo, quando per ubbidienza l'ho interrogato un'altra volta.
212. Maria santissima e san Giuseppe giunsero alla casa di Zaccaria. Per annunciare il loro arrivo, il santo sposo andò alcuni passi avanti e salutò dicendo: «Il Signore sia con voi e riempia le vostre anime della sua grazia divina». Santa Elisabetta era già preparata, perché il Signore stesso le aveva rivelato che Maria di Nazaret sua parente partiva per visitarla. Da questa visione, però, aveva conosciuto solo che la divina Signora era molto gradita agli occhi dell'Altissimo, perché il mistero della sua dignità di Madre di Dio non le fu rivelato se non quando si salutarono in disparte. Elisabetta uscì subito con alcuni della sua famiglia per ricevere Maria santissima, la quale però, più umile e più giovane, prevenne sua cugina nel saluto e le disse: «Il Signore sia con voi, mia carissima cugina». «Lo stesso Signore - rispose Elisabetta - vi ricompensi di essere venuta a darmi questa consolazione». Dopo questo saluto, salirono alla casa di Zaccaria e, quando le due cugine si furono ritirate in disparte, avvenne ciò che racconterò nel capitolo seguente.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
213. Figlia mia, quando la creatura stima adeguatamente le opere buone e l'ubbidienza al Signore che gliele comanda per sua gloria, seguono per lei una grande facilità nell'operarle, una soavissima dolcezza nell'intraprenderle ed una diligente prontezza nel continuarle e proseguirle. Questi effetti sono un'evidente prova della verità ed utilità che è in esse. L'anima, però, non può sperimentare questo effetto se non sta molto sottomessa al Signore, sollevando a lui gli occhi per ascoltare con gioia il suo divino beneplacito ed eseguirlo con sollecitudine, dimenticandosi della propria inclinazione e comodità, appunto come il servo fedele, che vuole fare solamente la volontà del suo Signore e non la sua. Questo è il modo di ubbidire fruttuoso che tutte le creature devono a Dio, e molto più le religiose che così hanno promesso. Tu, o carissima, per conseguiilo perfettamente, considera la stima con cui Davide parla spesso dei precetti del Signore, delle sue parole e della sua salvezza, nonché gli effetti che causarono in lui e producono ora nelle anime. Egli, infatti, confessa che rendono saggio il semplice, fanno gioire il cuore, danno luce agli occhi dell'anima, sono lampada per i suoi passi , sono più dolci del miele e più stimabili dell'oro e delle pietre preziose. Questa prontezza e questo abbandono alla volontà divina ed alla sua legge resero Davide conforme al cuore di Dio, perché sua Maestà vuole tali i suoi servi ed amici.
214. Attendi dunque, figlia mia, con grande stima alle opere di virtù e di perfezione che sai gràdite al tuo Signore; non volere disprezzarne alcuna, né resistere, né cessare di intraprenderle per quanta violenza tu possa sentire nella tua inclinazione e debolezza. Confida nel Signore ed impegnati a metterle in pratica; subito il suo potere vincerà tutte le difficoltà e ben presto conoscerai con felice esperienza quanto dolce è il giogo e quanto leggero il carico del Signore e che sua divina Maestà non volle ingannarci nell'affermarlo, come suppongono i tiepidi e negligenti, che con la loro infingardaggine e diffidenza contraddicono tacitamente questa verità. Voglio similmente che per imitarmi in questa perfezione consideri il beneficio che mi fece la benignità divina, dandomi pietà ed affetto soavissimo verso le creature, come opere di Dio, partecipi della sua bontà e del suo essere. Con questo affetto io desideravo consolare, sollevare ed incoraggiare tutte le anime e con una compassione naturale procuravo loro ogni bene spirituale e corporale. Per nessuno, per peccatore grande che fosse, desideravo male alcuno; anzi, verso questi mi volgevo con grande forza del mio cuore compassionevole per procurargli la salvezza eterna. Da ciò derivò la mia ansietà per la pena che il mio sposo Giuseppe avrebbe ricevuto venendo a conoscere la mia gravidanza, perché a lui io dovevo più che a tutti gli altri. Sentivo questa soave compassione in particolare verso gli afflitti e gli infermi e mi adoperavo per ottenere a tutti qualche sollievo. In questa virtù voglio che tu mi imiti secondo la conoscenza che ne hai, usando di essa prudentemente.
Libro III, Cap. 17, §§ 215-230
CAPITOLO 17
Il saluto della Regina del cielo a santa Elisabetta e la santificazione di Giovanni.
215. Compiuto il sesto mese della gravidanza di santa Elisabetta, il futuro precursore di Cristo nostro bene se ne stava nel suo grembo, quando la madre santissima Maria arrivò alla casa di Zaccaria. Il corpo del bambino Giovanni era più perfetto di quello degli altri, sia per il miracolo intervenuto nel suo concepimento da madre sterile, sia perché veniva destinato a ricevere la santità più grande tra i figli di donna, che Dio gli teneva preparata. Tuttavia, la sua anima era ancora immersa nelle tenebre del peccato che aveva contratto in Adamo, come gli altri figli di questo primo e comune padre del genere umano. E non potendo i mortali, per legge comune a tutti, ricevere la luce della grazia prima di uscire a quella materiale del sole, dopo il primo peccato che si contrae con la natura, il grembo materno viene a servire come da carcere di tutti noi che fummo rei nel nostro padre e capo Adamo. Cristo Signore nostro volle graziare il suo grande profeta e precursore con il grande beneficio di anticipargli la luce della grazia e la giustificazione sei mesi dopo che santa Elisabetta l'ebbe concepito, affinché la sua santità fosse privilegiata come doveva esserlo la missione di precursore e di battista.
216. Dopo il primo saluto di Maria a santa Elisabetta, le due cugine si ritirarono insieme in disparte, come ho già detto. Subito la Madre della grazia salutò di nuovo la sua parente e le disse: «Dio ti salvi, mia carissima cugina; la sua divina luce ti comunichi grazia e vita». A queste parole di Maria santissima, santa Elisabetta fu piena di Spirito Santo e tanto illuminata nel suo intimo che in un momento conobbe altissimi misteri. Quésti effetti, come anche quelli che nel medesimo tempo sentì il bambino Giovanni nel grembo di sua madre, derivarono dalla presenza del Verbo incarnato nel talamo di Maria. Da qui, servendosi della voce di lei come strumento, cominciò a fare uso della potestà che il Padre eterno gli aveva dato per salvare e giustificare le anime come loro redentore. Siccome, poi, se ne serviva come uomo, stando nel grembo verginale quel corpicino concepito da otto giorni si mise - cosa mirabile! - in posizione umile per pregare il Padre. Chiese la giustificazione del suo futuro precursore e la ottenne dalla santissima Trinità.
217. San Giovanni nel grembo materno fu la terza persona per cui il nostro Redentore pregò in particolare, stando in Maria santissima. Sua madre fu la prima per la quale egli ringraziò, supplicò e pregò il Padre; come sposo di lei, san Giuseppe fu il secondo nelle preghiere del Verbo incarnato; il precursore Giovanni, poi, fu il terzo ad entrare nelle domande particolari per persone determinate, nominate dal Signore. Tanta fu la felicità e tali i privilegi di san Giovanni! Cristo Signore nostro presentò all'eterno Padre i meriti e la passione e morte che veniva a patire per gli uomini ed in virtù di questo domandò la santificazione di quell'anima; scelse il bambino, il quale doveva nascere santo, come suo precursore, perché rendesse testimonianza della sua venuta nel mondo e preparasse i cuori del suo popolo a conoscerlo e riceverlo. Chiese, quindi, che per un compito così sublime si concedessero a tale persona eletta le grazie, i doni ed i favori adeguati; il Padre concesse tutto ciò che il suo Unigenito incarnato domandò.
218. Questo avvenne prima del saluto di Maria santissima. Quando l'umile Signora pronunciò le parole riferite, Dio guardò con benevolenza il bambino nel grembo di santa Elisabetta e gli concesse il perfetto uso della ragione, illuminandolo con aiuti speciali della luce divina, affinché con quelli si preparasse conoscendo il bene che gli veniva fatto. Giovanni fu purificato dal peccato originale, costituito figlio adottivo del Signore e riempito dallo Spirito Santo con abbondantissima grazia e con pienezza di doni e virtù; inoltre, le sue facoltà furono santificate e rese soggette alla ragione. Si adempiva così ciò che l'angelo san Gabriele aveva detto a Zaccaria, cioè che suo figlio sarebbe stato pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre. Il fortunato bambino vide il Verbo incarnato, servendogli quasi da vetrata le pareti dell'utero e da cristallo purissimo il talamo del grembo verginale di Maria santissima; qui adorò, in ginocchio, il suo redentore e creatore. Questo fu il movimento ed il giubilo che sua madre santa Elisabetta riconobbe e senti nel suo bambino e nel suo grembo. Giovanni fece molti altri atti nel ricevere questo beneficio, esercitando le virtù di fede, speranza, carità, culto divino, gratitudine, umiltà, devozione e tutte le altre che lì poteva operare. Da quell'istante cominciò ad acquistare meriti e a crescere nella santità, senza mai perderla né cessare di operare con tutto il vigore della grazia.
219. Santa Elisabetta conobbe nel medesimo tempo il mistero dell'incarnazione, la sanrificazione di suo figlio ed il fine e i misteri di questa nuova meraviglia, nonché la purezza verginale e la dignità di Maria santissima. In questa occasione la santissima Regina, stando tutta assorta nella visione di questi misteri e di Dio che li operava nel suo Figlio santissimo, restò tutta divinizzatà e piena della luce e dello splendore delle doti di cui partecipava. Santa Elisabetta la vide con questa maestà e come attraverso un vetro purissimo contemplò il Verbo incarnato nel talamo verginale, come in una lettiga di cristallo infiammato. Di tutti questi ammirabili effetti fu strumento efficace la voce di Maria santissima, tanto forte e potente quanto dolce all'udito dell'Altissimo. Tutta questa virtù era come partecipata da quella che ebbero le onnipotenti parole Avvenga di me quello che hai detto, con le quali attirò il Verbo eterno dal seno del Padre alla sua mente ed al suo grembo.
220. Meravigliata di quello che sentiva e scopriva in misteri così divini, santa Elisabetta fu mossa tutta da giubilo dello Spirito Santo e, guardando la Regina del mondo e ciò che in lei scorgeva, ad alta voce proruppe in quelle parole che riferisce san Luca: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto ègiunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore. In queste parole profetiche santa Elisabetta riassunse la grandezza di Maria santissima, conoscendo con la divina luce quanto in lei il potere divino aveva operato ed attualmente operava e anche ciò che doveva succedere in futuro. Intese tutto ciò anche il bambino Giovanni nel grembo di lei, da dove sentiva le parole di sua madre, la quale, illuminata in occasione della santificazione di lui, magnificò Maria santissima come strumento della loro felicità in nome suo e del figlio, che ancora non poteva lodarla e benediila con la propria bocca.
221. Alle parole con cui santa Elisabetta magnificò la nostra grande Regina, la maestra della sapienza e dell'umiltà rispose riferendole tutte al loro Autore e con voce molto dolce intonò il cantico del Magnificat, che san Luca riferisce. Disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili: ha ncolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre ».
222. Come santa Elisabetta fu la prima che udì questo dolce cantico dalla bocca di Maria santissima, così pure fu la prima che lo comprese e lo commentò. Vi intese grandi misteri tra quelli racchiusi in così poche parole. Con esse lo spirito di Maria santissima magnificò il Signore per l'eccellenza del suo essere infinito, riferi e diede a lui tutta la gloria e la lode, come a principio e fine di tutte le sue opere, conoscendo e proclamando che solo in Dio si deve gloriare e rallegrare ogni creatura, poiché egli solo è tutto il suo bene e la sua salvezza. Celebrò anche l'equità e la magnificenza dell'Altissimo nel guardare agli umili e porre in essi con abbondanza il suo divino amore ed il suo spirito. Confessò, inoltre, quanto sia cosa degna che i mortali vedano, conoscano e ponderino come, per mezzo di questa umiltà, ella conseguì che tutte le nàzioni la chiamassero beata e come con essa meriteranno la medesima fortuna anche tutti gli altri umili, ciascuno nel suo grado. Lodò ancora il nome santo e ammirabile dell'Onnipotente e tutte le misericordie e grazie che le aveva concesso, chiamandole cose grandi, perché nessuna fu piccola in una capacità e disposizione tanto immensa quanto quella di questa grande Regina e signora.
223. Siccome le miseric6rdie dell'Altissimo dalla pienezza di Maria santissima ridondarono a tutto il genere umano ed ella fu la porta del cielo attraverso la quale tutti salirono e salgono e attraverso la quale noi tutti dobbiamo accedere alla partecipazione della Divinità, ella confessò che la misericordia del Signore con lei si sarebbe estesa a tutte le generazioni, comunicandosi a quelli che lo temono. Come le misericordie infinite di Dio innalzano gli uomini e cercano quelli che lo temono, così al contrario il potente braccio della sua giustizia disperde i superbi nei pensieri del loro cuore e li rovescia dai loro troni per collocare su di essi i poveri e gli umili. Questa giustizia del Signore diede le prime prove di se stessa con meraviglia e gloria in Lucifero, capo dei superbi, e nei suoi seguaci, quando il braccio onnipotente dell'Altissimo li allontanò e gettò fuori, perché essi stessi si precipitarono, da quel sublime posto nella natura e nella grazia che avevano nella volontà originaria della mente divina e del suo amore, con il quale vuole che tutti siano salvi. In verità, ciò che li fece precipitare fu il vaneggiamento con il quale pretesero di salire dove non potevano né dovevano; con questa arroganza urtarono contro i giusti ed imperscrutabili giudizi del Signore, che così allontanarono e fecero cadere il superbo angelo e tutti quelli del suo seguito. Al loro posto furono collocati gli umili per mezzo di Maria santissima, madre ed archivio delle antiche misericordie.
224. Per questa medesima ragione, la clementissima Signora afferma anche che Dio arricchì i poveri ricolmandoli dell'abbondanza dei suoi tesori di grazia e gloria. Quanto a coloro che sono ricchi di stima di sé, di presunzione e di arroganza e quanto a quelli che riempiono il loro cuore dei falsi beni che il mondo ritiene ricchezza e felicità, invece, l'Altissimo cacciò e caccia tutti costoro lontano da sé, lasciandoli privi della verità, la quale non può entrare in cuori tanto occupati e pieni di menzogna e falsità. Accolse il suo servo e figlio Israele, ricordandosi della sua misericordia, per insegnargli dov'è la prudenza, dov'è la forza, dov'è l'intelligenza, dov'è la longevità e la vita, dov'è la luce degli occhi e la pace. A lui insegnò il cammino della prudenza e gli occulti sentieri della sapienza e della disciplina, che si nascose ai capi delle nazioni e non fu conosciuta dai potenti che dominano le belve che sono sulla terra, si divertono e giocano con gli uccelli del cielo ed ammassano tesori d'argento e d'oro. E non giunsero a trovarla i figli di Agar e gli abitanti di Teman, che sono i superbi sapienti e prudenti di questo mondo. Ma l'Altissimo l'affida a quelli che sono figli della luce e di Abramo per mezzo della fede, della speranza e dell'ubbidienza, perché così promise a lui ed alla sua posterità e generazione spirituale, per il benedetto e fortunato frutto del grembo verginale di Maria santissima.
225. Santa Elisabetta all'udire la Regina' delle creature penetrò questi arcani misteri e ne intese anche molti altri maggiori ai quali non arriva il mio intelletto; non solo questi che io posso manifestare. Non mi voglio dilungare su tutto quello che mi è stato rivelato, perché estenderei troppo questo discorso. Le dolci conversazioni divine di queste due signore sante e prudenti, Maria santissima e sua cugina Elisabetta, mi rammentano i due serafini che Isaia vide davanti al trono dell'Altissimo, i quali proclamavano l'uno all'altro quel cantico divino e sempre nuovo Santo, santo, santo..., mentre con due ali si coprivano il capo, con due i piedi e con le altre due volavano. È chiaro che l'ardente amore di queste donne superava tutti i serafini; e Maria purissima da sola amava più di tutti loro. Bruciavano in questo incendio divino, stendendo le ali dei loro cuori per manifestarli l'una all'altra e per volare alla più sublime penetrazione dei misteri dell'Altissimo. Con altre due ali di rara sapienza coprivano il proprio capo, perché tutte e due proposero e concertarono di mantenere il segreto del re, custodendolo per tutta la vita, ed anche perché sottomisero e ridussero in servitù la propria ragione, credendo con docilità, senza alterigia né curiosità. Coprirono similmente i piedi del Signore ed i propri con ali di serafini, stando umiliate ed annientate nella bassa stima di se stesse alla vista di tanta maestà. E se Maria santissima racchiudeva nel suo grembo verginale il Dio della maestà, con ragione e con tutta verità diremo che copriva il trono dove il Signore aveva la sua sede.
226. Quando fu ora che le due signore uscissero dal loro ritiro, santa Elisabetta offrì alla Regina del cielo la sua persona come schiava e tutta la sua famiglia e la sua casa per il suo servizio; chiese, poi, che per sua quiete e per potersi raccogliere accettasse una cameretta che usava ella stessa per l'orazione, come più appartata ed adatta a tale scopo. La divina Principessa con umile riconoscenza accettò quella stanza e la scelse per suo ritiro e per dormirvi; così, nessuno vi entrava tranne le due cugine. Nel resto del tempo si offrì per assistere santa Elisabetta come serva; per questo, infatti, come le disse, era venuta a visitarla e consolarla. Oh, che dolce amicizia fu mai quella e quanto sincera ed inseparabile, essendo unita con il più grande vincolo dell'amore divino! Vedo che il Signore fu ammirabile nel manifestare questo grande mistero della sua incarnazione a tre donne prima che ad alcun altro del genere umano: la prima fu sant'Anna, come ho detto a suo luogo; la seconda fu sua figlia, cioè la madre del Verbo, Maria santissima; la terza fu santa Elisabetta e suo figlio con lei, però nel grembo di sua madre, per cui egli non si reputa come un'altra persona a cui sia stato manifestato. La ragione di questo fu che la stoltezza di Dio è più saggia degli uomini, come disse san Paolo.
227. Maria santissima ed Elisabetta uscirono dal loro ritiro quando già era cominciata la notte, essendovisi trattenute a lungo. La Regina vide Zaccaria che se ne stava nel suo mutismo, gli domandò la sua benedizione ed il santo gliela diede. Sebbene lo guardasse con compassione e tenerezza vedendolo muto e conoscesse il mistero che era racchiuso in quella sofferenza, per il momento non si mosse a porvi rimedio; ma pregò per lui. Santa Elisabetta, la quale già conosceva la buona sorte del castissimo sposo Giuseppe - benché egli ne fosse ancora ignaro - lo onorò e festeggiò con grande stima e riverenza. Egli, però, dopo che ebbe dimorato per tre giorni nella casa di Zaccaria, chiese alla sua umilissima sposa licenza di fare ritorno a Nazaret, lasciandola in compagnia di santa Elisabetta perché l'assistesse nella sua gravidanza. Il santo sposo prese congedo rimanendo d'accordo che sarebbe ritornato a prendere la nostra Regina quando ella gliene avesse mandato avviso. Santa Elisabetta gli offrì alcuni doni da portare a casa sua. Egli di tutto accettò molto poco, e questo poco per l'insistenza di lei, essendo uomo di Dio e non solo amante della povertà, ma anche di cuore magnanimo e generoso. Tornò, quindi, a Nazaret con l'animale che aveva portato con sé. Li lo servi, in assenza della sua sposa, una vicina, sua parente, la quale, anche quando si trovava in casa Maria santissima signora nostra, soleva prestare la sua opera portando ciò che le veniva chiesto.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
228. Figlia mia, affinché nel tuo cuore si accenda maggiormente la fiamma del tuo costante desiderio di conseguire la grazia e l'amicizia di Dio, voglio che tu conosca la dignità, l'eccellenza e la felicità grande di un'anima, quando giunge a ricevere questa bellezza. È, però, tanto ammirabile e preziosa che non la potrai comprendere, sebbene io te la manifesti; molto meno, poi, è possibile che tu la spieghi con le tue parole. Fissa lo sguardo nel Signore e contemplalo con la luce divina che ricevi; in essa conoscerai come è più gloriosa opera per il Signore giustificare un'anima sola che avere creato il cielo e la terra, con tutta la loro perfezione naturale. Se le creature, per mezzo di queste meraviglie che percepiscono in molta parte per mezzo dei sensi, conoscono che Dio è grande ed on nipotente, che cosa direbbero mai e che cosa penserebbero se vedessero con gli occhi dell'anima quanto vale e quanto conta la bellezza della grazia in tante creature capaci di riceverla?
229. Non ci sono parole adeguate per quello che è in se stessa quella partecipazione del Signore e delle sue perfezioni, che la grazia santificante contiene; è poco chiamarla più pura e bianca della neve, più risplendente del sole, più preziosa dell'oro e delle gemme, più cara, amabile e piacevole di tutti i regali e le carezze più dilettevoli, perché è più bella di tutto quanto può immaginare il desiderio delle creature. Considera similmente la bruttezza del peccato, per giungere ad una maggiore conoscenza della grazia alla vista del suo contrario, poiché né le tenebre, né la corruzione, né ciò che c'è di più orribile, spaventoso e ripugnante arriva a potersi comparare con il peccato e con il suo cattivo odore. Molto conobbero di questo i martiri ed i santi, i quali, per conseguire questa bellezza e non cascare in quella infelice rovina, non temettero il fuoco, né le fiere, i rasoi, i tormenti, le carceri, le ignominie, le pene, i dolori, né la medesima morte, né il prolungato e continuo patire; infatti, tutto questo è meno, pesa meno e vale meno che un solo grado di grazia, per conseguire il quale non si deve tenere conto di tutto il resto. Un'anima può avere questo e molti altri gradi, benché sia la più abbandonata del mondo. Non conoscono ciò gli uomini che stimano e bramano solamente la fuggitiva ed apparente bellezza delle creature e ritengono vile e spregevole colui che non ne ha.
230. Da questo conoscerai alquanto il grande beneficio che il Verbo incarnato fece al suo precursore Giovanni nel grembo di sua madre; egli lo conobbe e questo lo fece esultare di gioia. Conoscerai similmente quanto devi fare e patire per ottenere questa felicità, per non perdere né macchiare una così stimabile bellezza con colpa alcuna, per leggera che sia, e per non ritardarla con nessuna imperfezione. Voglio, inoltre, che tu, ad imitazione di quello che io feci con Elisabetta mia cugina, non accetti né stringa amicizia con creature umane e tratti solamente con coloro con i quali puoi e devi parlare delle opere dell'Altissimo e dei suoi misteri e con chi ti può insegnare il cammino vero del suo divino beneplacito. Anche se avessi grandi impegni e preoccupazioni, non devi dimenticare né lasciare le tue devozioni e l'ordine della vita perfetta; infatti, questo non si deve conservare ed osservare solo quando ci è comodo, ma anche nelle maggiori contraddizioni, difficoltà ed occupazioni, perché alla natura imperfetta basta poco per rilassarsi.
CAPITOLO 17
Il saluto della Regina del cielo a santa Elisabetta e la santificazione di Giovanni.
215. Compiuto il sesto mese della gravidanza di santa Elisabetta, il futuro precursore di Cristo nostro bene se ne stava nel suo grembo, quando la madre santissima Maria arrivò alla casa di Zaccaria. Il corpo del bambino Giovanni era più perfetto di quello degli altri, sia per il miracolo intervenuto nel suo concepimento da madre sterile, sia perché veniva destinato a ricevere la santità più grande tra i figli di donna, che Dio gli teneva preparata. Tuttavia, la sua anima era ancora immersa nelle tenebre del peccato che aveva contratto in Adamo, come gli altri figli di questo primo e comune padre del genere umano. E non potendo i mortali, per legge comune a tutti, ricevere la luce della grazia prima di uscire a quella materiale del sole, dopo il primo peccato che si contrae con la natura, il grembo materno viene a servire come da carcere di tutti noi che fummo rei nel nostro padre e capo Adamo. Cristo Signore nostro volle graziare il suo grande profeta e precursore con il grande beneficio di anticipargli la luce della grazia e la giustificazione sei mesi dopo che santa Elisabetta l'ebbe concepito, affinché la sua santità fosse privilegiata come doveva esserlo la missione di precursore e di battista.
216. Dopo il primo saluto di Maria a santa Elisabetta, le due cugine si ritirarono insieme in disparte, come ho già detto. Subito la Madre della grazia salutò di nuovo la sua parente e le disse: «Dio ti salvi, mia carissima cugina; la sua divina luce ti comunichi grazia e vita». A queste parole di Maria santissima, santa Elisabetta fu piena di Spirito Santo e tanto illuminata nel suo intimo che in un momento conobbe altissimi misteri. Quésti effetti, come anche quelli che nel medesimo tempo sentì il bambino Giovanni nel grembo di sua madre, derivarono dalla presenza del Verbo incarnato nel talamo di Maria. Da qui, servendosi della voce di lei come strumento, cominciò a fare uso della potestà che il Padre eterno gli aveva dato per salvare e giustificare le anime come loro redentore. Siccome, poi, se ne serviva come uomo, stando nel grembo verginale quel corpicino concepito da otto giorni si mise - cosa mirabile! - in posizione umile per pregare il Padre. Chiese la giustificazione del suo futuro precursore e la ottenne dalla santissima Trinità.
217. San Giovanni nel grembo materno fu la terza persona per cui il nostro Redentore pregò in particolare, stando in Maria santissima. Sua madre fu la prima per la quale egli ringraziò, supplicò e pregò il Padre; come sposo di lei, san Giuseppe fu il secondo nelle preghiere del Verbo incarnato; il precursore Giovanni, poi, fu il terzo ad entrare nelle domande particolari per persone determinate, nominate dal Signore. Tanta fu la felicità e tali i privilegi di san Giovanni! Cristo Signore nostro presentò all'eterno Padre i meriti e la passione e morte che veniva a patire per gli uomini ed in virtù di questo domandò la santificazione di quell'anima; scelse il bambino, il quale doveva nascere santo, come suo precursore, perché rendesse testimonianza della sua venuta nel mondo e preparasse i cuori del suo popolo a conoscerlo e riceverlo. Chiese, quindi, che per un compito così sublime si concedessero a tale persona eletta le grazie, i doni ed i favori adeguati; il Padre concesse tutto ciò che il suo Unigenito incarnato domandò.
218. Questo avvenne prima del saluto di Maria santissima. Quando l'umile Signora pronunciò le parole riferite, Dio guardò con benevolenza il bambino nel grembo di santa Elisabetta e gli concesse il perfetto uso della ragione, illuminandolo con aiuti speciali della luce divina, affinché con quelli si preparasse conoscendo il bene che gli veniva fatto. Giovanni fu purificato dal peccato originale, costituito figlio adottivo del Signore e riempito dallo Spirito Santo con abbondantissima grazia e con pienezza di doni e virtù; inoltre, le sue facoltà furono santificate e rese soggette alla ragione. Si adempiva così ciò che l'angelo san Gabriele aveva detto a Zaccaria, cioè che suo figlio sarebbe stato pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre. Il fortunato bambino vide il Verbo incarnato, servendogli quasi da vetrata le pareti dell'utero e da cristallo purissimo il talamo del grembo verginale di Maria santissima; qui adorò, in ginocchio, il suo redentore e creatore. Questo fu il movimento ed il giubilo che sua madre santa Elisabetta riconobbe e senti nel suo bambino e nel suo grembo. Giovanni fece molti altri atti nel ricevere questo beneficio, esercitando le virtù di fede, speranza, carità, culto divino, gratitudine, umiltà, devozione e tutte le altre che lì poteva operare. Da quell'istante cominciò ad acquistare meriti e a crescere nella santità, senza mai perderla né cessare di operare con tutto il vigore della grazia.
219. Santa Elisabetta conobbe nel medesimo tempo il mistero dell'incarnazione, la sanrificazione di suo figlio ed il fine e i misteri di questa nuova meraviglia, nonché la purezza verginale e la dignità di Maria santissima. In questa occasione la santissima Regina, stando tutta assorta nella visione di questi misteri e di Dio che li operava nel suo Figlio santissimo, restò tutta divinizzatà e piena della luce e dello splendore delle doti di cui partecipava. Santa Elisabetta la vide con questa maestà e come attraverso un vetro purissimo contemplò il Verbo incarnato nel talamo verginale, come in una lettiga di cristallo infiammato. Di tutti questi ammirabili effetti fu strumento efficace la voce di Maria santissima, tanto forte e potente quanto dolce all'udito dell'Altissimo. Tutta questa virtù era come partecipata da quella che ebbero le onnipotenti parole Avvenga di me quello che hai detto, con le quali attirò il Verbo eterno dal seno del Padre alla sua mente ed al suo grembo.
220. Meravigliata di quello che sentiva e scopriva in misteri così divini, santa Elisabetta fu mossa tutta da giubilo dello Spirito Santo e, guardando la Regina del mondo e ciò che in lei scorgeva, ad alta voce proruppe in quelle parole che riferisce san Luca: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto ègiunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore. In queste parole profetiche santa Elisabetta riassunse la grandezza di Maria santissima, conoscendo con la divina luce quanto in lei il potere divino aveva operato ed attualmente operava e anche ciò che doveva succedere in futuro. Intese tutto ciò anche il bambino Giovanni nel grembo di lei, da dove sentiva le parole di sua madre, la quale, illuminata in occasione della santificazione di lui, magnificò Maria santissima come strumento della loro felicità in nome suo e del figlio, che ancora non poteva lodarla e benediila con la propria bocca.
221. Alle parole con cui santa Elisabetta magnificò la nostra grande Regina, la maestra della sapienza e dell'umiltà rispose riferendole tutte al loro Autore e con voce molto dolce intonò il cantico del Magnificat, che san Luca riferisce. Disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili: ha ncolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre ».
222. Come santa Elisabetta fu la prima che udì questo dolce cantico dalla bocca di Maria santissima, così pure fu la prima che lo comprese e lo commentò. Vi intese grandi misteri tra quelli racchiusi in così poche parole. Con esse lo spirito di Maria santissima magnificò il Signore per l'eccellenza del suo essere infinito, riferi e diede a lui tutta la gloria e la lode, come a principio e fine di tutte le sue opere, conoscendo e proclamando che solo in Dio si deve gloriare e rallegrare ogni creatura, poiché egli solo è tutto il suo bene e la sua salvezza. Celebrò anche l'equità e la magnificenza dell'Altissimo nel guardare agli umili e porre in essi con abbondanza il suo divino amore ed il suo spirito. Confessò, inoltre, quanto sia cosa degna che i mortali vedano, conoscano e ponderino come, per mezzo di questa umiltà, ella conseguì che tutte le nàzioni la chiamassero beata e come con essa meriteranno la medesima fortuna anche tutti gli altri umili, ciascuno nel suo grado. Lodò ancora il nome santo e ammirabile dell'Onnipotente e tutte le misericordie e grazie che le aveva concesso, chiamandole cose grandi, perché nessuna fu piccola in una capacità e disposizione tanto immensa quanto quella di questa grande Regina e signora.
223. Siccome le miseric6rdie dell'Altissimo dalla pienezza di Maria santissima ridondarono a tutto il genere umano ed ella fu la porta del cielo attraverso la quale tutti salirono e salgono e attraverso la quale noi tutti dobbiamo accedere alla partecipazione della Divinità, ella confessò che la misericordia del Signore con lei si sarebbe estesa a tutte le generazioni, comunicandosi a quelli che lo temono. Come le misericordie infinite di Dio innalzano gli uomini e cercano quelli che lo temono, così al contrario il potente braccio della sua giustizia disperde i superbi nei pensieri del loro cuore e li rovescia dai loro troni per collocare su di essi i poveri e gli umili. Questa giustizia del Signore diede le prime prove di se stessa con meraviglia e gloria in Lucifero, capo dei superbi, e nei suoi seguaci, quando il braccio onnipotente dell'Altissimo li allontanò e gettò fuori, perché essi stessi si precipitarono, da quel sublime posto nella natura e nella grazia che avevano nella volontà originaria della mente divina e del suo amore, con il quale vuole che tutti siano salvi. In verità, ciò che li fece precipitare fu il vaneggiamento con il quale pretesero di salire dove non potevano né dovevano; con questa arroganza urtarono contro i giusti ed imperscrutabili giudizi del Signore, che così allontanarono e fecero cadere il superbo angelo e tutti quelli del suo seguito. Al loro posto furono collocati gli umili per mezzo di Maria santissima, madre ed archivio delle antiche misericordie.
224. Per questa medesima ragione, la clementissima Signora afferma anche che Dio arricchì i poveri ricolmandoli dell'abbondanza dei suoi tesori di grazia e gloria. Quanto a coloro che sono ricchi di stima di sé, di presunzione e di arroganza e quanto a quelli che riempiono il loro cuore dei falsi beni che il mondo ritiene ricchezza e felicità, invece, l'Altissimo cacciò e caccia tutti costoro lontano da sé, lasciandoli privi della verità, la quale non può entrare in cuori tanto occupati e pieni di menzogna e falsità. Accolse il suo servo e figlio Israele, ricordandosi della sua misericordia, per insegnargli dov'è la prudenza, dov'è la forza, dov'è l'intelligenza, dov'è la longevità e la vita, dov'è la luce degli occhi e la pace. A lui insegnò il cammino della prudenza e gli occulti sentieri della sapienza e della disciplina, che si nascose ai capi delle nazioni e non fu conosciuta dai potenti che dominano le belve che sono sulla terra, si divertono e giocano con gli uccelli del cielo ed ammassano tesori d'argento e d'oro. E non giunsero a trovarla i figli di Agar e gli abitanti di Teman, che sono i superbi sapienti e prudenti di questo mondo. Ma l'Altissimo l'affida a quelli che sono figli della luce e di Abramo per mezzo della fede, della speranza e dell'ubbidienza, perché così promise a lui ed alla sua posterità e generazione spirituale, per il benedetto e fortunato frutto del grembo verginale di Maria santissima.
225. Santa Elisabetta all'udire la Regina' delle creature penetrò questi arcani misteri e ne intese anche molti altri maggiori ai quali non arriva il mio intelletto; non solo questi che io posso manifestare. Non mi voglio dilungare su tutto quello che mi è stato rivelato, perché estenderei troppo questo discorso. Le dolci conversazioni divine di queste due signore sante e prudenti, Maria santissima e sua cugina Elisabetta, mi rammentano i due serafini che Isaia vide davanti al trono dell'Altissimo, i quali proclamavano l'uno all'altro quel cantico divino e sempre nuovo Santo, santo, santo..., mentre con due ali si coprivano il capo, con due i piedi e con le altre due volavano. È chiaro che l'ardente amore di queste donne superava tutti i serafini; e Maria purissima da sola amava più di tutti loro. Bruciavano in questo incendio divino, stendendo le ali dei loro cuori per manifestarli l'una all'altra e per volare alla più sublime penetrazione dei misteri dell'Altissimo. Con altre due ali di rara sapienza coprivano il proprio capo, perché tutte e due proposero e concertarono di mantenere il segreto del re, custodendolo per tutta la vita, ed anche perché sottomisero e ridussero in servitù la propria ragione, credendo con docilità, senza alterigia né curiosità. Coprirono similmente i piedi del Signore ed i propri con ali di serafini, stando umiliate ed annientate nella bassa stima di se stesse alla vista di tanta maestà. E se Maria santissima racchiudeva nel suo grembo verginale il Dio della maestà, con ragione e con tutta verità diremo che copriva il trono dove il Signore aveva la sua sede.
226. Quando fu ora che le due signore uscissero dal loro ritiro, santa Elisabetta offrì alla Regina del cielo la sua persona come schiava e tutta la sua famiglia e la sua casa per il suo servizio; chiese, poi, che per sua quiete e per potersi raccogliere accettasse una cameretta che usava ella stessa per l'orazione, come più appartata ed adatta a tale scopo. La divina Principessa con umile riconoscenza accettò quella stanza e la scelse per suo ritiro e per dormirvi; così, nessuno vi entrava tranne le due cugine. Nel resto del tempo si offrì per assistere santa Elisabetta come serva; per questo, infatti, come le disse, era venuta a visitarla e consolarla. Oh, che dolce amicizia fu mai quella e quanto sincera ed inseparabile, essendo unita con il più grande vincolo dell'amore divino! Vedo che il Signore fu ammirabile nel manifestare questo grande mistero della sua incarnazione a tre donne prima che ad alcun altro del genere umano: la prima fu sant'Anna, come ho detto a suo luogo; la seconda fu sua figlia, cioè la madre del Verbo, Maria santissima; la terza fu santa Elisabetta e suo figlio con lei, però nel grembo di sua madre, per cui egli non si reputa come un'altra persona a cui sia stato manifestato. La ragione di questo fu che la stoltezza di Dio è più saggia degli uomini, come disse san Paolo.
227. Maria santissima ed Elisabetta uscirono dal loro ritiro quando già era cominciata la notte, essendovisi trattenute a lungo. La Regina vide Zaccaria che se ne stava nel suo mutismo, gli domandò la sua benedizione ed il santo gliela diede. Sebbene lo guardasse con compassione e tenerezza vedendolo muto e conoscesse il mistero che era racchiuso in quella sofferenza, per il momento non si mosse a porvi rimedio; ma pregò per lui. Santa Elisabetta, la quale già conosceva la buona sorte del castissimo sposo Giuseppe - benché egli ne fosse ancora ignaro - lo onorò e festeggiò con grande stima e riverenza. Egli, però, dopo che ebbe dimorato per tre giorni nella casa di Zaccaria, chiese alla sua umilissima sposa licenza di fare ritorno a Nazaret, lasciandola in compagnia di santa Elisabetta perché l'assistesse nella sua gravidanza. Il santo sposo prese congedo rimanendo d'accordo che sarebbe ritornato a prendere la nostra Regina quando ella gliene avesse mandato avviso. Santa Elisabetta gli offrì alcuni doni da portare a casa sua. Egli di tutto accettò molto poco, e questo poco per l'insistenza di lei, essendo uomo di Dio e non solo amante della povertà, ma anche di cuore magnanimo e generoso. Tornò, quindi, a Nazaret con l'animale che aveva portato con sé. Li lo servi, in assenza della sua sposa, una vicina, sua parente, la quale, anche quando si trovava in casa Maria santissima signora nostra, soleva prestare la sua opera portando ciò che le veniva chiesto.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
228. Figlia mia, affinché nel tuo cuore si accenda maggiormente la fiamma del tuo costante desiderio di conseguire la grazia e l'amicizia di Dio, voglio che tu conosca la dignità, l'eccellenza e la felicità grande di un'anima, quando giunge a ricevere questa bellezza. È, però, tanto ammirabile e preziosa che non la potrai comprendere, sebbene io te la manifesti; molto meno, poi, è possibile che tu la spieghi con le tue parole. Fissa lo sguardo nel Signore e contemplalo con la luce divina che ricevi; in essa conoscerai come è più gloriosa opera per il Signore giustificare un'anima sola che avere creato il cielo e la terra, con tutta la loro perfezione naturale. Se le creature, per mezzo di queste meraviglie che percepiscono in molta parte per mezzo dei sensi, conoscono che Dio è grande ed on nipotente, che cosa direbbero mai e che cosa penserebbero se vedessero con gli occhi dell'anima quanto vale e quanto conta la bellezza della grazia in tante creature capaci di riceverla?
229. Non ci sono parole adeguate per quello che è in se stessa quella partecipazione del Signore e delle sue perfezioni, che la grazia santificante contiene; è poco chiamarla più pura e bianca della neve, più risplendente del sole, più preziosa dell'oro e delle gemme, più cara, amabile e piacevole di tutti i regali e le carezze più dilettevoli, perché è più bella di tutto quanto può immaginare il desiderio delle creature. Considera similmente la bruttezza del peccato, per giungere ad una maggiore conoscenza della grazia alla vista del suo contrario, poiché né le tenebre, né la corruzione, né ciò che c'è di più orribile, spaventoso e ripugnante arriva a potersi comparare con il peccato e con il suo cattivo odore. Molto conobbero di questo i martiri ed i santi, i quali, per conseguire questa bellezza e non cascare in quella infelice rovina, non temettero il fuoco, né le fiere, i rasoi, i tormenti, le carceri, le ignominie, le pene, i dolori, né la medesima morte, né il prolungato e continuo patire; infatti, tutto questo è meno, pesa meno e vale meno che un solo grado di grazia, per conseguire il quale non si deve tenere conto di tutto il resto. Un'anima può avere questo e molti altri gradi, benché sia la più abbandonata del mondo. Non conoscono ciò gli uomini che stimano e bramano solamente la fuggitiva ed apparente bellezza delle creature e ritengono vile e spregevole colui che non ne ha.
230. Da questo conoscerai alquanto il grande beneficio che il Verbo incarnato fece al suo precursore Giovanni nel grembo di sua madre; egli lo conobbe e questo lo fece esultare di gioia. Conoscerai similmente quanto devi fare e patire per ottenere questa felicità, per non perdere né macchiare una così stimabile bellezza con colpa alcuna, per leggera che sia, e per non ritardarla con nessuna imperfezione. Voglio, inoltre, che tu, ad imitazione di quello che io feci con Elisabetta mia cugina, non accetti né stringa amicizia con creature umane e tratti solamente con coloro con i quali puoi e devi parlare delle opere dell'Altissimo e dei suoi misteri e con chi ti può insegnare il cammino vero del suo divino beneplacito. Anche se avessi grandi impegni e preoccupazioni, non devi dimenticare né lasciare le tue devozioni e l'ordine della vita perfetta; infatti, questo non si deve conservare ed osservare solo quando ci è comodo, ma anche nelle maggiori contraddizioni, difficoltà ed occupazioni, perché alla natura imperfetta basta poco per rilassarsi.
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