Un suo malevolo biografo, Giovanni Baglione, teorizza un rifiuto della committenza (l’Ospedale della Consolazione) dei due lavori, ma l’informazione pare proprio inesatta. Nella cappella Cerasi, realizzata dal Maderno vi è un pala d’altare del Carracci, una Vergine Assunta le cui braccia levate al Cielo sembrano voler coinvolgere il fedele visitatore. Le ultime due tele di Caravaggio, la Conversione e la Crocifissione di Pietro, sono in grande sintonia con questo gesto della Vergine: Paolo tiene le braccia levate verso la luce che lo investe, Pietro apre le braccia sulla Croce e si rivolge all’altare, quasi per un’accorata supplica al Cristo.
Nella prima versione della Conversione di Saulo, oggi nella Collezione privata Odescalchi, l’impostazione è più articolata e teatrale, c’è una maggior abbondanza di personaggi e i rimandi al luogo che doveva contenere le opere, meno espliciti. Dunque deve essere stato un ripensamento dello stesso artista.
Nella Conversione della Cappella Cerasi l’evento è tutto interiore e investe Saulo rovesciando la prospettiva della sua vita.
Caravaggio lo dipinge accuratamente vestito, un abbigliamento dove nulla è lasciato al caso. Lo dipinge con abbondanza di rosso. Ci consegna perciò in pochi tratti un fedele ritratto di quest’uomo, tutto d’un pezzo sempre all’altezza della situazione, sicuro di essere nel giusto, passionale e portato agli eccessi: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio come oggi siete tutti voi» (At 22, 3).
Saulo è vinto da qualcosa di inaspettato, nella sua violenza dolcissimo e suadente. Forse nessuno ha descritto così bene il momento dell’incontro con Cristo come Oscar Milosz nel suo Saulo di Tarso:
Chi sei tu dunque, terribile biancore che mi parli? Cigno tu m’accechi. Cigno siimi dolce! Bel cigno, stendi la tua ala su di me. Non colpirmi. Vedi io sono piccolo piccolissimo. Giglio, giglio! Tu non sei nato, giglio, nel giardino della terra. Come sei bello che forma hai! Quand’ero un bimbo amavo i fiori. Ma i fiori non erano come te. Oh fammi tornare bambino! Perché non posso coglierti con queste grosse mani e in te c’è della rugiada come farei per non farla cadere? Ora cade: tu piangi. Non piangere, bel giglio. Mi strazia il cuore.
Caravaggio non ci permette di vedere il bel cigno che si profila nella luce, ma ci descrive il momento come un fatto tutto interiore che stampa sul volto di un giovanissimo Saulo un’aurea di pace. L’evento è tanto interiore da essere collocato addirittura dentro una stalla e non fuori sulla via, come le fonti sembrano suggerire.
Saulo cade ponendosi nella stessa direzione di chi osserva, volta le spalle al pubblico e ciò che del volto vediamo è solo lo scorcio possibile grazie alla caduta. Saulo è il primo di molti. Indubbiamente la sua cosiddetta conversione fu un evento cardine della prima cristianità. Noi, cristiani provenienti dai goim, cioè dai gentili, dai non ebrei, siamo nel Mistero grazie a Lui. Saulo è la porta al Mistero di quella luce.
Per questo Caravaggio ci impedisce di vedere ciò che Paolo vede. Noi dobbiamo vedere lui e lui solo. La fede ha una partenza fuori di noi: è un fatto, è una oggettività che sfida la soggettività dell’uomo. Niente di astratto, nessuna deduzione, nessuna proiezione; già dall’origine è l’incontro con qualcosa fuori di noi che suscita speranza (cfr Carron Esercizi Spirituali alla Fraternità 2008 pag 13).
Di fronte a un tale incontro Saulo resta lì, vinto dalla luce, con le braccia aperte. Il persecutore assume la posizione del Perseguitato. Gli dice infatti Gesù : «Saulo, Saulo perchè mi perseguiti?». Allarga Saulo le braccia come se stesse per essere crocifisso. Allarga le braccia per comprendere il mistero di una comunione assoluta fra Cristo e la Chiesa.
Gesù, infatti, dicendogli: perchè mi perseguiti? Lo istruisce immediatamente sulla assoluta unità tra se stesso, il Capo, e i suoi, i cristiani, il Corpo. Qui Saulo cambia mentalità, questa è la sua conversione. Non la conversione da un credo falso a un credo vero, non dall’idolatria alla conoscenza del vero Dio. Saulo era già nell’alleanza, Saulo già credeva e serviva Dio con zelo. Ciò che Saulo deve cambiare è il modo, la prospettiva dalla quale guardare quella verità in cui credeva fin dalla giovinezza. Potremmo dire che Saulo era già nel desiderio di Dio, ma ha dovuto pervenire alla fede reale dentro il riconoscimento di una presenza, la quale coincideva con il suo più vero desiderio.
Così Caravaggio pone il cavallo di traverso, lungo tutta la tela, posto per sbarrargli il cammino. Per dirgli:«Ciò che credi c’è ma non è come tu lo credi. Ti supera grandemente».
Il cavallo, che dolcemente solleva la zampa per non ferire Saulo, è pieno di consapevolezza. Come il giumento del profeta Balaam di Beor che vedeva l’angelo del Signore meglio del suo padrone e si arrestava laddove il profeta voleva rovinosamente andare, così il cavallo di Saulo si pone ad ostacolo verso una direzione rovinosa.
La luce che investe Saulo è soprannaturale e fioca, proviene dall’angolo destro del quadro e s’incunea dolcemente tra Saulo e il cavallo. Non c’è nulla di violento, anzi la potenza della luce la si percepisce unicamente dal corpo del giumento totalmente illuminato.
Saulo è costretto così a ribaltare le prospettive, lui che sulla strada di Damasco credeva di dar gloria a Dio, viene sorpreso dalla realtà - tanto vera da essere percepita da un animale -, eppure tanto misteriosa da poter essere vista solo con gli occhi dell’anima.
Non ci è dato di intuire l’esito di quella caduta . Sappiamo dal testo biblico che nemmeno Saulo poté fare a meno della Chiesa. Il Signore che si era compiaciuto di rivelarsi a lui direttamente non volle educare Saulo direttamente, ma si servì di Anania, un discepolo a noi ignoto se non per questo atto di grande carità. Anche per Saulo, anche per un’esperienza straordinaria di Dio come la sua, la fede resta un gesto umano che deve nascere in modo umano.
Caravaggio dice tutto questo nella grande umiltà che l’opera sprigiona, umiltà nel volto di Saulo già colmo della calma della fede. Umiltà negli occhi chiusi e nelle braccia spalancate, denuncia di una cecità bisognosa della compagnia di un altro. Umiltà nel palafreniere che regge le redini del cavallo del quale si scorge la mente e una gamba e un piede ben illuminati.
Saulo si è imbattuto in una presenza che non è rimasta astrazione: nel profilo di questo servo piace riconosce la povertà fiduciosa di una compagnia, quella della Chiesa che aiutò Saulo a diventare Paolo, a cambiare direzione e modo di pensare, indirizzando il passo sulle orme di Colui che, un tempo perseguitato, sarebbe diventato la ragione stessa del suo martirio.
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