SILVANO DEL MONTE ATHOS E LA SUA PREGHIERA PER GLI UOMINI. Divo Barsotti

Silvano nacque nel governatorato di Tambov nel 1866 e morì il 24 settembre 1938. Andò al Monte Athos nel 1892 e vi rimase fino alla morte. Non fu che un semplice monaco: dopo un breve periodo di vita solitaria rimase sempre al servizio della comunità nel più grande monastero dell'Athos dedicato a san Pantaleimone, il monastero dei russi. Lavorò al mulino, nel podere e soprattutto come economo nel magazzino dei viveri del monastero: la sua vita fu quindi la vita del monaco comune. La povertà dei fatti esteriori e la semplicità della vita interiore impedirono, finché visse, che la sua grandezza spirituale fosse riconosciuta pienamente anche dai monaci del suo stesso monastero. Il fatto più straordinario della sua vita è la sua maturazione spirituale. Umile contadino della Russia centrale, da giovane conobbe i traviamenti propri dell'ambiente e dell'età: sedusse una ragazza, accecato dall'ira colpì un suo compagno che lo beffava con un pugno così violento da provocarne la morte. Forte, violento, sensuale, sentì tuttavia nel suo cuore l'appello di Dio fin dalla giovinezza e non gli poté resistere. Dio fu più forte di lui e non gli lasciò requie finché a 26 anni, una settimanà dopo il suo ritorno dalla vita militare, non lasciò la famiglia e la patria per entrare al Monte Athos. Il suo cammino verso Dio fu segnato da tappe precise, da interventi soprannaturali. Fu prima la parola della Madre di Dio che lo distolse dalla vita impura e gli accese nel cuore un orrore invincibile per il peccato, un dolore incontenibile per l'offesa recata a Dio, sicché si sentì da quel momento come bruciare nel fuoco dell'inferno. Prima ancora di andare soldato, una notte si svegliò di soprassalto con l'impressione di avere ingoiato un serpente e nello stesso istante udì nell'intimo una voce: "Tu provi disgusto per avere in sogno inghiottito un serpente, così mi fa orrore di vedere quello che fai".
Da quel momento lottò contro il peccato e propose di farsi monaco per salvare la sua anima dall'inferno. Prima di ritornare dal servizio militare andò a Cronstadt per visitare il famoso padre Giovanni. Gli chiese di pregare per lui per ottenergli la perseveranza nella sua vocazione. Andato all'Athos, dopo un primo periodo di fervore, conobbe l'angoscia della solitudine, dell'impotenza.
Fino allora era stato protetto da un sentimento vivo di compunzione interiore: i suoi peccati gli erano sempre presenti ed egli si sentiva come avvolto dalle fiamme infernali. Ora non più. Dal suo intimo sorgevano continuamente, senza fine, pensieri ed immagini peccaminose.
S'iniziava per lui il combattimento spirituale. Non bastava il suo impegno, non era sufficiente la sua preghiera. Dio era assente. A nulla valeva il suo sforzo: Dio rimaneva in silenzio, indifferente a lui. E a Silvano sembrò di fallire: arrivò ai confini della disperazione, della bestemmia, forse della pazzia. Vedeva i demoni che ora lo blandivano, ora lo assalivano con furore. Li aveva intorno, davanti: gli impedivano la preghiera, gli toglievano la pace. Non dormiva più, mangiava pochissimo ed era gravato da un lavoro pesante al mulino.
Impossibile impetrare qualcosa da Dio! Gli sembrava di affondare nel buio.
Proprio in questo estremo tormento Dio lo soccorse. Gli apparve Gesù e Silvano non poté più dimenticare, finché visse, lo sguardo inconcepibilmente mite del Cristo. Allora «seppe» l'amore infinitamente misericordioso di Dio, svanì il dubbio e fu vinta per sempre la disperazione. Da allora la sua anima fu circondata di luce.
Una straordinaria delicatezza spirituale lo avvertiva di ogni sua imperfezione, lo faceva vigile e attento, lo teneva impegnato in una continua preghiera. Viveva in un desiderio umile, vivo, in un'aspirazione continua a Dio. Ma la prova non era finita. Quando pensò di confidare la sua anima ad uno dei padri del monastero, cercò quello che gli sembrava più avanti nelle vie dello spirito e gli aprì con candore l'anima sua.
Il padre spirituale si stupì che il giovane monaco fosse giunto già tanto avanti, più di quanto non fosse giunto lui dopo tanti anni di vita religiosa. La meraviglia di colui che doveva guidarlo nelle vie dello spirito, invece di far sentire semplicemente a Silvano che Dio lo voleva nella sua solitudine, scatenò di nuovo in lui la tempesta. Ecco: egli era dunque perfetto: pur essendo laico e assai giovane ancora, era così avanti nelle vie dello spirito da superare i più anziani monaci dell'Athos. Nel suo orgoglio egli non si difese contro le suggestioni del suo spirito, ebbe, o gli parve avere, delle visioni: si apriva il cielo sopra di lui, sentiva il canto degli angeli, contemplava i santi e si sentiva già come uno di loro. D'improvviso una luce lo avvolgeva nella notte ed egli non riusciva a combattere con perseveranza e vigore, si abbandonava a tutto questo susseguirsi di esperienze interiori che lo esaltavano per lasciarlo poi depresso. A volte la visione terminava in una tregenda bizzarra, in un ghigno satanico. Supplicava il Signore di assisterlo, ricacciava la tentazione, invocava Dio, lo implorava piangendo.
In quest'ultimo periodo del suo combattimento interiore l'anima sua non disperò mai, non dubitò mai dell'amore di Dio; egli non sapeva tuttavia in che modo liberarsi da tutte queste suggestioni importune che lo opprimevano e non gli davano requie. Se ne lamentò una notte col suo dolce Signore e finalmente ricevette la risposta di Dio che lo stabiliva per sempre nella pace, nella pace dell'umiltà e del silenzio interiore: "Tienti consapevolmente nell'inferno, gli disse il Signore, e non disperare".
La parola di Dio era comandamento, ma fu anche l'espressione che definiva per sempre la vita interiore del monaco, che Dio solo aveva guidato fino alla perfezione dell'umiltà e della pace.
Silvano ormai era giunto alla piena maturità spirituale: vi rimase umile, semplice, sereno fino alla morte. Nulla cambiò all'esterno. Era stimato e ben-voluto da tutti, ma, sebbene i monaci presentissero qualcosa della sua santità, egli non ebbe veri discepoli, rimase fino alla morte nascosto nel suo silenzio ed anche la sua morte fu silenziosa. Raccolto in Dio era divenuto, come dice il beato Tommaso da Celano di Francesco d'Assisi, una preghiera viva. La sua stessa grandezza spirituale lo isolava dagli altri, creava fra lui e gli altri monaci come una zona di protezione e di difesa. Eppure egli era diventato tutto pietà, così come era diventato tutto preghiera. Amava i suoi confratelli, li venerava come immagini del Cristo.
Soffriva per gli operai cui era preposto, umili lavoratori che avevano dovuto lasciar la famiglia per mettersi al servizio del monastero. Soffriva per tutti gli uomini e particolarmente per tutti coloro che erano nemici del Cristo e non conoscevano Dio. Nel suo cuore non vi era che un'infinita dolcezza, un'infinita pietà.
Passava le notti quasi totalmente in preghiera, pregava incessantemente piangendo il Signore nel sentimento vivo di una sua povertà spirituale, nel sentimento doloroso di una sua aridità, di una sua freddezza, ma soprattutto pregava per gli uomini.
Il loro dolore, il loro peccato gli erano sempre dinanzi, gli erano presenti nel cuore, ed egli ne era trafitto: gemeva dolcemente supplicando Dio per tutti. Discendendo nell'abisso dell'umiltà, nel fondo del proprio essere creato, egli era divenuto solidale con tutta la creazione, si era fatto uno con tutta la umanità. Non era più Silvano: egli era l'«uomo» che aveva perduto Dio e lo cercava con la pena, ma anche con l'ansia di tutta l'umanità smarrita, errante nel deserto del mondo, cacciata fuori dal paradiso di Dio, cieca, eppur bisognosa, e anelante alla pace. Forse la pagina più bella che Silvano ha scritto è precisamente quella dedicata al «lamento di Adamo». Un senso doloroso della lontananza di Dio, uno struggente desiderio di possederlo, un'ansia dolorosa d'intimità divina danno alle parole, pur tanto semplici e piane, un tono accorato, un movimento drammatico, una luce di bellezza anche poetica.

Adamo, padre dell'umanità, aveva conosciuto la beatitudine dell'amore di Dio nel paradiso, e perciò soffriva amaramente quando il peccato lo ebbe scacciato e gli ebbe fatto perdere l'amore e la pace di Dio. Si riempiva il deserto del suo lamento, e il pensiero tormentava la sua anima: ho offeso il mio Signore amato. Non tanto egli desiderava il paradiso e la sua bellezza, quanto si doleva di aver perso l'amore che attrae continuamente l'anima a Dio. Ogni anima che dopo aver conosciuto Dio nello Spirito Santo ha perso la grazia, sente come Adamo. È malata e triste per aver afflitto il Signore amato. Adamo piangeva amaramente. Non più lo rallegrava la terra, e per il deserto andava il suo grido: l'anima mia desidera il Signore e Lo cerco con lagrime. Come non cercherei il Signore? Era lieta in Lui la mia anima in pace, e in me non aveva parte il nemico. Ora invece ha acquistato potere su me lo spirito di malizia, è diventata incerta la mia anima, tribolata da lui. Perciò languisce l'anima per il Signore; fino alla morte Lo desidera. Il mio spirito tende a Dio, nulla in terra mi rallegra più, e nulla può consolare l'anima mia. Voglio vedere il Signore e in Lui essere sazio. Non Lo posso dimenticare e grido nella pienezza della mia pena: Dio, Dio mio, abbi pietà di me, abbi pietà della tua creatura caduta. Così si lamentava Adamo. Le lacrime gli correvano per la faccia, bagnavano la terra ai suoi piedi; tutto il deserto udiva il suo gemere, gli uccelli tacevano di pena. Ogni pace lasciava la terra. Quando vide Abele ucciso dal fratello Caino, non contenne più il suo dolore e piangendo gridò: Da me sorgeranno dei popoli e si moltiplicheranno, ma vivranno in inimicizia e si uccideranno. Era profondo come il mare il suo dolore: lo può capire Solo chi ha conosciuto il Signore e sa quanto Egli ci ama. Anche io ho perso la grazia e grido come Adamo: Sii misericordioso, Signore, per me. Donami Tu lo spirito dell'umiltà e dell'amore! Ti desidero e Ti cerco con lagrime. Ti sei rivelato a me nello Spirito Santo. In questa cognizione l'anima mia ti desidera. Adamo piange dicendo: Non mi è caro il deserto, non amo le alte montagne, non i prati, non le foreste né il canto degli uccelli. Porta lutto l'anima mia, ho offeso Dio. Se Dio mi richiamasse nel paradiso, io piangerei nell'afflizione; perché ho rattristato un Dio amato. Scacciato dal paradiso, Adamo soffriva, piangeva con lacrime di accoramento. Così ogni anima, avendo conosciuto Dio, languisce: dove sei Tu, Signore, dove sei Tu, mia luce? Tu hai nascosto il Tuo volto dinanzi a me. Cosa Ti è di ostacolo per abitare nella mia anima? Ecco: mi manca l'umiltà del Cristo, e non vi è nell'anima l'amore dei nemici. Adamo piangeva per il suo misfatto e l'afflizione gli riempiva il cuore. Anche le lacrime gli si esaurivano, il suo spirito ardeva per Dio, e più della bellezza del paradiso lo attraeva la forza dell'amore divino. Adamo, tu lo vedi, il mio spirito debole non può contenere la tua brama di Dio, e nemmeno può caricarsi del peso della tua penitenza. Tu vedi come io, tuo figlio, soffro in terra. È poco il fuoco dell'amore in me, è quasi spento. Adamo, cantaci il cantico del Signore, affinché l'anima nostra si innalzi e si lasci muovere a lodarlo e benedirlo, come in cielo lodano il Signore i Cherubini e i Serafini; come gli cantano il triplice canto sacro tutte le schiere degli angeli. Patriarca Adamo, cantaci il canto del Signore, affinché il mondo intero lo ascolti e tutti i figli tuoi sollevino il loro spirito a Dio, affinché tutti si ristorino nel canto celeste e dimentichino la pena terrestre. Parlaci della gloria di Dio che tu vedi, narraci della madre di Dio, e come Ella viene glorificata e benedetta nel cielo. Raccontaci della gioia dei santi nel Cielo, come stanno IImili dinanzi a Dio, raggianti nella grazia. Adamo, padre nostro, siamo nell’afflizione sulla terra, noi, tuoi figli, che tu dimentichi. Consola e rallegra le nostre anime afflitte. Ecco patisce tutta la terra intera... Non puoi nella pienezza dell’amore di Dio ricordarti di noi? Tu vedi, padre, la nostra pena in terra, di' una parola che ci consoli.

Lo Staretz vede in Adamo cacciato dal Paradiso la condizione di ogni uomo e in questo senso il lamento di Adamo è il lamento di ogni uomo che sospira per aver perduto Dio. Secondo lo Staretz nessuno potrebbe amare Dio se non lo conoscesse, ma ogni uomo porta come sepolto nel più profondo di sé il ricordo del paradiso perduto: è questo ricordo che dà all’uomo che ritorna in se stesso una così viva e dolorosa nostalgia di Dio.
La dottrina spirituale di Silvano è la dottrina del monachesimo orientale: egli l'ha appresa attraverso l'assidua lettura della Philocalia, ma anche, e soprattutto, attraverso la tradizione viva dell'Athos. Da secoli questa dottrina forma i monaci, non è insegnamento speculativo che si apprende dai libri degli antichi padri: i documenti stessi di questa spiritualità non hanno nulla di libresco, sono la testimonianza di una esperienza interiore profonda.
Quello che di nuovo, d'importante, anzi, di veramente grande noi scopriamo nella dottrina di Silvano è precisamente questo: forse egli è, non solo in questo nostro secolo, ma in tutta la storia del monachesimo orientale, uno dei più perfetti rappresentanti di una tradizione spirituale che in lui sembra riassumersi tutta. Altri insiste su qualche altro aspetto: lo vive e ne rende testimonianza in maniera particolarmente efficace: san Teodosio e san Sergio sono i santi della umiltà e della dolcezza, san Serafino è il santo della gioia pasquale. Il tema della luce, della trasfigurazione, dell'azione deificante dello Spirito sono fondamentali nella vita di quasi tutti i santi orientali ed in particolar modo dei russi, così come quello della continua preghiera.
Nella vita e nella dottrina di Silvano del monte Athos, forse più che nella vita e nella dottrina degli altri santi, è dato riconoscere una sintesi perfetta di questi temi. Non senza ragione la vita di Silvano, scritta dall'archimandrita Sofronio, si risolve in una trattazione e in una esposizione sistematica della dottrina spirituale dell'oriente cristiano. L'umiltà e la semplicità delle parole di Silvano non ci potrebbero di fatto ingannare: se escludono un procedimento dialettico, un linguaggio tecnicamente filosofico, non nascondono ad alcuno la reale ed impressionante profondità di una esperienza spirituale più unica che rara. P in questa profondità di esperienza religiosa che si è compiuta una sintesi mirabile, difficile ad analizzarsi proprio per la sua densità estrema. Meno teologo indubbiamente di tanti altri scrittori e mistici orientali, si comprende tuttavia facilmente come Silvano abbia potuto dire che, se anche si fossero perdute tutte le opere dei Padri sulla vita spirituale, vi sarebbero sempre state sul monte Athos delle anime capaci di scrivere di nuovo tutte quelle opere. Silvano forse alludeva a se stesso. Egli sentiva certo che tutte quelle opere erano la pura testimonianza della sua intima vita, non dicevano nulla di più di quanto egli viveva, di quanto la grazia di Dio gli aveva fatto realizzare.
Prima di tutto egli conosce la durezza del combattimento spirituale, egli deve sottrarsi all'impero delle passioni, deve dominarle, deve strapparsi al potere del nemico, deve vigilare costantemente per non essere preda di suggestioni sempre più sottili, sempre più insidiose; deve chiedere luce a Dio per capire i raggiri, gli inganni dell'amor proprio, per riconoscere l'azione del nemico e smascherarla. La fede e l'umiltà saranno le sue armi principali. Duro è il combattimento, continuo. L'anima, per essere salva, non deve mai sentirsi al sicuro. "I santi lottavano fortemente con i demoni, digiunavano e pregavano e vincevano il nemico con la loro umiltà".
E ancora Silvano scrive:

L'orgoglioso ha paura dei demoni o è diventato demoniaco egli stesso. Ma noi dobbiamo temere la vanità e l'orgoglio, non i demoni, altrimenti perdiamo la grazia.
Non dobbiamo trattenerci con gli spiriti maligni. affinché l'anima nostra non sia insudiciata. Chi rimane nella preghiera viene illuminato dal Signore.
La nostra battaglia è dura e rabbiosa, ma solo per gli orgogliosi e i superbi; è invece facile per gli umili, che amano il Signore; Egli dà loro un'arma potente: la grazia dello Spirito Santo. I nostri nemici temono tale arma, tale arma li brucia. Questa è la via più breve e più facile alla nostra salvezza: sii ubbidiente e casto, non giudicare, conserva il tuo spirito e il tuo cuore dai pensieri cattivi, pensa che tutti gli uomini sono buoni e che il Signore li ama.

Tante sono le armi: il digiuno, la vigilanza, la preghiera, ma l'arma più efficace di tutte è l'umiltà. Anzi l'umiltà è l'arma assolutamente efficace: "chi è umile ha già vinto l'avversario".
Sull'umiltà Silvano è inesauribile. Sembra difficile che si possano aggiungere testi alla ricchezza di una tradizione dottrinale che ha sempre insistito sull'umiltà come la virtù caratteristica del monaco e la più necessaria; ma Silvano ha conosciuto l'umiltà nello sguardo mite di Gesù, ne ha conosciuto le esigenze nelle parole profonde che un giorno memorabile gli furono rivolte dal Signore medesimo.

Quando ricevetti la grazia dello Spirito Santo, sapevo che Dio mi aveva perdonato i miei peccati. La sua grazia me lo testimoniava; e credevo di non aver bisogno di altro. Ma non bisogna pensare così. Benché i nostri peccati ci siano già perdonati, noi dovremmo ricordarli per tutta la nostra vita in compunzione e pentimento. Io, non facendo così, perdevo la compunzione e avevo da soffrire molto dai demoni. Non potevo capire cos'era avvenuto in me: la mia anima conosceva il Signore e il suo amore: perché mi venivano i cattivi pensieri? Ma il Signore ebbe pietà di me e mi mostrò la via dell'umiltà: Tienti consapevolmente nell'inferno e non disperare. Con questo viene vinto il nemico. Se io invece mi volto e lascio con la mia coscienza il fuoco dell'inferno, i pensieri cattivi riprendono vigore.

E Silvano chiese a Dio l'umiltà con lacrime incessanti; l'amò e finalmente la conobbe in una gioia pura, segreta.

O umiltà del Cristo, tu dai indescrivibile gioia all'anima! Ho sete di te, perché in te l'anima dimentica ogni cosa terrena e tende sempre più ardentemente a Dio. … Se il mondo capisse la potenza delle parole del Cristo: "Imparate da me mansuetudine e umiltà", deporrebbe ogni altra scienza per imparare solo questa celeste. … Gli uomini non conoscono la forza dell’umiltà del Cristo, e desiderano perciò le cose terrene; l’uomo non può accedere alla potenza di queste parole del Signore senza lo Spirito Santo. Chi l'ha conosciute non le lascia più, anche se gli fossero offerti tutti i tesori del mondo.

L’umiltà è la rivelazione stessa di Dio nel volto di Gesù: per Silvano, come per Francesco d’Assisi, solo l’umile può vedere Dio.

Non c'è nulla di più grande che imparare l'umiltà del Cristo. L'umile vive cieco e contento, tutto è buono al suo cuore. Solo gli umili vedono il Signore, nello Spirito Santo. L'umiltà è la luce nella quale noi vediamo Dio che è la luce: nella tua luce noi vediamo la luce. Cosa di più grande l'anima potrebbe cercare in terra? Cosa ci potrebbe essere di più grande e di più ammirabile: di un tratto l'anima conosce il suo Creatore e l'amore di Lui! Essa contempla il Signore, vede quanto è mite e umile, e non desidera altro se non di acquistare l'umiltà del Cristo. Finché sosta sulla terra, non può dimenticare questa umiltà inconcepibile.

Nulla più dell'umiltà di Gesù rivela la santità, la grandezza di Dio: l'essere Assoluto sembra aver bisogno, per rivelarsi, di questa purezza, di questo spogliamento supremo, che non nascondono Dio, non pongono un limite e una misura alla sua luce. Così Silvano sente che solo nell'umiltà egli non si oppone alla santità di Dio che vuol vivere in lui, vuol farsi presente nella sua vita, ma sente nello stesso tempo che l'umiltà cui aspira è irraggiungibile come Dio ed egli la cerca e la implora dal Signore.

O umiltà di Cristo, ti conoscevo, sì, ma non ti posso raggiungere. I tuoi frutti sono saporiti e dolci perché non sono di questo mondo! L'anima dell'umile è come un mare; se uno butta un sasso nel mare, la superficie dell'acqua si muove per un attimo, poi esso sprofonda nell'abisso. Così ogni pena è sommersa nel cuore dell'umile, perché in lui è la virtù di Dio.

La preghiera di Silvano diviene un canto:

Dove stai, anima umile? Chi abita in te? A chi paragonarti? … Tu bruci chiara come il sole, ma non ti consumi bruciando, riscaldi invece tutto con il tuo ardore. … A te è la terra dei mansueti, secondo le parole del Signore. Sei simile a un giardino di fiori, nel cui centro sta una bella casa, ove abita Dio. … Ti amano il cielo e la terra. … Ti amano i santi apostoli, i profeti, i santi e i beati. … Ti amano gli Angeli, i Cherubini e i Serafini. … Te, anima umile, ama la tutta pura Madre del Signore.
Ti ama e si rallegra di te il Signore. … Non agli orgogliosi si rivela il Signore. … Questi non possederà mai Dio, anche se possederà la scienza di tutta la terra. … Il cuore dell'orgoglioso non lascia in se posto alla benedizione dello Spirito Santo.

Discendendo nel fondo dell'umiltà, nell'abisso del suo nulla, anzi precipitando ancora di più nel sentimento vivo di una sua indegnità radicale, per rimanere consapevolmente nell'inferno, Silvano si era sentito non soltanto fatto solidale con gli uomini, ma identificato a tutta l'umanità, perché nella sua «identità» con ogni uomo egli era subitamente divenuto uno con Cristo. L'umiltà più profonda era stata così per Silvano la condizione e la misura della sua più intima unione con Dio e con gli uomini.
Caratteristica di Silvano è il senso di una sua unità con tutti gli uomini che lo fa insistere continuamente negli scritti sul comandamento dell'amore verso i nemici. L'amore dell'umile nella sua trasformazione in Cristo non tollera nessuna separazione, non conosce più che l'amore: un amore universale, un amore che esige il dono totale di sé. Se Silvano prega per gli uomini, la sua preghiera non sarà certo solo un atto, sia pure il più santo, della sua giornata, ma il suo impegno più grande sarà "dare il sangue del cuore". Chi ha raggiunto l'umiltà ottiene da Dio la sua grazia ed egli prega per i suoi nemici come per se stesso, prega per tutto il mondo con calde lacrime. Non si tratta soltanto di un amore verso i nemici personali: tale amore in Silvano è l'esigenza di un superamento di tutte le divisioni, di tutte le opposizioni che l'odio può creare tra gli uomini: per questo amore egli vuol sormontare ogni barriera, fondere ogni durezza, realizzare quella stessa unità per la quale Gesù aveva pregato alla vigilia della sua passione. Tanto grande è questo amore che nella sua preghiera lo Staretz si fa uno coi nemici stessi della Chiesa del Cristo, assume sopra di sé il loro peccato, implora per loro, come per se stesso, la misericordia di Dio. E questo tanto più è mirabile se pensiamo che la preghiera dell'umile monaco viene innalzata mentre i nemici del Cristo opprimono la sua Chiesa, uccidono i suoi sacerdoti e con odio accanito perseguono il fine di strappare Cristo da ogni anima, di fare della sua patria una terra deserta di Dio.

Ci sono degli uomini che augurano ai loro nemici ed ai nemici della Chiesa pene e tormenti nel fuoco eterno. Essi non conoscono l'amore di Dio, pensando così. Chi ha l'amore e l'umiltà del Cristo piange e prega per tutto il mondo. Tu forse dici: questi è un malfattore, deve perciò bruciare nella fiamma eterna. Ma io ti domando: Ammettiamo che il Signore ti dia un posto nel suo regno, se tu vedi nel fuoco eterno colui al quale hai augurato l'eterno tormento, non avrai compassione per lui, anche se egli fosse stato nemico della Chiesa? Hai forse un cuore di sasso? Ma nel Regno dei Cieli non c'è posto per dei sassi. Lì ci vuole l'umiltà e l'amore di Cristo, che ha compassione per tutti.

E Silvano terminava con la preghiera:

Signore, come tu hai pregato per i tuoi nemici, così insegna anche a noi per lo Spirito Santo ad amarli e a pregare con lacrime anche per loro. Ma è difficile per noi peccatori se non è con noi la tua grazia.

Tutti gli scritti di Silvano continuamente ripetono la stessa preghiera:

Misericordioso, da' la tua grazia a tutti i popoli della terra… Signore da' a tutti i popoli la virtù della tua grazia, affinché essi ti riconoscano nello Spirito Santo e ti lodino nella gioia, perché anche a me, pur essendo misero e impuro, tu hai concesso la gioia di desiderarti e la mia anima arde verso di te, in un amore inappagabile giorno e notte... Santifica. Signore, tutti i popoli per il tuo Spirito e la tua volontà sarà fatta in terra come in cielo.

L'esperienza religiosa di Silvano è soprattutto l'esperienza di un amore insaziabile, di un'ansietà, di un bisogno doloroso di universale salvezza. Lo Spirito Santo c'insegna ad amare tutti gli uomini, ad avere compassione per gli erranti, a pregare per la loro salvezza. Con una sublime semplicità egli scrive:

Il mio cuore patisce per gli uomini che non conoscono Dio. Chi abbandona il suo Creatore come supererà il giudizio universale? Dove potrebbe fuggire per nascondersi dalla faccia di Dio?

Come egli vive continuamente nella presenza di Dio, così ha presenti tutti gli uomini: si rivolge a loro, li supplica nel suo amore di aver pietà per se stessi.

Prego con insistenza Dio per voi affinché siate tutti salvati e vi rallegriate eternamente con gli angeli e i santi... Molti uomini non sanno quanto grande è la misericordia di Dio: essi non si pentono dei loro peccati e non vogliono far penitenza. E l'anima mia è triste e piange per essi, perché vede la loro condanna. … Se in un uomo abita la grazia dello Spirito Santo anche solo in misura minima, quest'uomo allora piange per tutti gli uomini è maggiormente ha pietà di coloro che non hanno conosciuto Dio e gli resistono.

L'azione di Dio in un'anima, la sua presenza hanno un segno infallibile in questo amore universale che non si dà mai per vinto e sembra voler vincere perfino Dio stesso. Silvano riporta un antico detto dei Padri: l'antica sapienza, l'antica santità dei solitari dei primi secoli si rinnovano nell'umile monaco che è nostro contemporaneo.

San Paissio pregava per un suo discepolo che aveva abbandonato il Cristo. Il Signore, volendo consolare il suo servo, gli apparve e gli disse: "Paissio, tu preghi per colui che mi ha rinnegato?". Ma il santo non smise di pregare per l'errante. "O Paissio, tu mi hai uguagliato nella carità", gli disse il Signore.
Io sono vecchio - dice Silvano - mi avvicino alla morte. Scrivo la verità per amore degli uomini per i quali il mio cuore soffre. Se aiutassi un sol uomo a trovare la salvezza ringrazierò Dio per questo. Ma la mia anima soffre per tutto il mondo; prego e piango per tutti gli uomini affinché facciano penitenza e riconoscano Dio.

L'amore verso i nemici non era in Silvano solo una libera disposizione del cuore, era l'espressione stessa indivisibile di una sua identità con tutti gli uomini: egli non poteva dividersi da alcuno, egli non poteva attestare che l'unità. Nella sua vita, in ogni suo atto, tutta l'umanità viveva il suo anelìto a Dio. La parola di Dio Amerai il prossimo tuo come te stesso, più che un comandamento etico, era divenuta per Silvano l'espressione di una unità quasi ontologica. Ma come poteva egli essere uno con tutti, se in lui non fosse vissuto il Cristo, colui cioè che, solo, dopo il peccato aveva ristabilito questa unità con la sua morte? Così Silvano viveva l'unità con tutti gli uomini, perché Gesù gli aveva dato il suo Spirito, perché egli viveva nello Spirito Santo. I suoi scritti lo attestano. Silvano aveva coscienza di vivere nello Spirito: di conoscere Dio nello Spirito, di amarlo nello Spirito, di operare in questo medesimo Spirito, sempre.

Io sono cattivo e, dinanzi al Signore, più brutto di un cane rognoso, per i miei peccati. Ma ho pregato Dio di perdonarmeli, ed egli non soltanto mi dette il perdono, ma anche lo Spirito Santo, e nello Spirito Santo io riconobbi Dio. ... Lo Spirito Santo è come una madre che ama suo figlio e sente con lui. Egli si fa conoscere nella preghiera umile, soffre con noi e perdona, sana e istruisce. … Lo Spirito Santo ci fece parenti del Signore. Se senti in te la pace divina e l'amore per tutti, la tua anima assomiglia già al Signore.

Nella semplicità di un linguaggio che non inganna, Silvano rende testimonianza di una esperienza mistica straordinaria. Le parole, nella loro povertà. hanno qualcosa di assoluto: dicono l'ineffabile.

Improvvisamente l'anima vede il Signore e lo riconosce! Chi può descrivere questa gioia e questa consolazione? Il Signore è riconosciuto nello Spirito Santo e lo Spirito Santo agisce in tutto l'uomo: nello spirito, nell'anima e nel corpo. Così viene riconosciuto Dio, tanto in cielo come sopra la terra. Nella sua infinita bontà il Signore mi dette questa grazia, a me peccatore. … L'anima per l'amore di Dio è come rapita; rimane nel silenzio e non vorrebbe parlare, guarda al mondo, assente e senza desiderio. Gli uomini non sanno che essa vede il Signore amato e ha lasciato dietro di sé e dimenticato il mondo, non trovandovi più alcuna dolcezza. Così colma d'amore divino è l'anima che ha gustato la dolcezza dello Spirito Santo. O Signore, dona questo amore a tutti noi, dallo al mondo intero. Spirito Santo, discendi nella nostra anima affinché lodiamo il Creatore in pieno consenso: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo!

Quanti testi non dovremmo rileggere! Nella loro purezza, nella loro umiltà hanno una bellezza che li allinea ai testi maggiori della mistica cristiana. Tutto divien semplice e piano per Silvano: egli cammina nella luce. Con una naturalezza che sconcerta noi che siamo così lontani dal vivere una tale unione con Dio, egli ti assicura della propria esperienza interiore come se fosse la cosa più semplice e comune.

Ecco, così come l'uomo vivo naturalmente sente se abbia freddo o caldo, così l'uomo che ha conosciuto lo Spirito Santo per la sua esperienza sa quando la grazia visita l'anima e quando lo spirito maligno la assale. … Gli uomini non sanno nulla di questo mistero, ma san Giovanni evangelista lo insegna chiaramente: noi saremo simili a Lui. Ciò non sarà soltanto dopo la morte, ma già ora, perché il Signore ha mandato lo Spirito Santo sopra la terra ed Egli è presente nella Chiesa.

Il fine della vita cristiana - diceva Serafino di Sarov - è l'acquisto dello Spirito Santo; ma Silvano, ormai, non viveva più per acquistarlo: viveva nel possesso pacifico e dolce di questo medesimo Spirito che lo penetrava tutto e trasformava ogni suo atto: il suo atto era preghiera, aspirazione fervida a Dio, abbandono umile a Lui, lode pura di amore. Tutta la sua vita era preghiera; egli cercava Dio perché lo possedeva, non cercava che Lui, non aspirava che a Lui.

È dolce la grazia dello Spirito Santo e infinita la bontà del Signore. Non lo possono descrivere le parole. L'anima tende verso di Lui, insaziabile, invasa e tutta piena dell'amore di Dio. Ha trovato in Lui la sua quiete ed ha completamente dimenticato il mondo. Non sempre il Misericordioso concede questo all'anima, spesso la lascia invece nell'amore verso il mondo. Allora l'anima piange per tutto il mondo e implora l'Onnipotente che effonda la sua grazia su ogni anima e la perdoni nella sua misericordia.

Il suo pianto era nostalgia del cielo ed era già intima dolcezza per esservi introdotto, per sentirsi come tutto inondato e sommerso dalla pace di Dio. Si liquefaceva nell'amore. Un'immensa pietà per tutti gli uomini, un desiderio insaziabile di Dio: non passava da un sentimento all'altro, da un atteggiamento all'altro: la pietà era desiderio e il desiderio era pietà. Tutto diveniva semplice, puro: tutto si riduceva all'unità di una vita che era un essere presente agli uomini e a Dio; ogni pensiero, ogni immaginazione, ogni ricordo pendevano il loro alimento e cadevano lentamente dal suo cuore. La sua vita discendeva, affondava nel silenzio di Dio. La sua morte dice fino a qual punto giungesse in questo suo puro discendere nel silenzio ineffabile. Umilmente, senza bruschi passaggi, egli se ne andò pian piano, rimanendo fisso nella preghiera, fedele sempre alla sua vocazione, nel silenzio, nella pace. Sparve senza che alcuno se ne accorgesse; la morte portava a compimento il suo passaggio da questo mondo a Dio. Alla vigilia della guerra, nell'ansia dolorosa che teneva sospesi tutti gli animi per la catastrofe imminente, egli passò in un abbandono dolcissimo a Dio.

© Divo Barsotti

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