Autore: Pagani, Roberto Curatore: Scalfi, P. Romano
Fonte: CulturaCattolica.it
Quaranta giorni dopo la Natività, la Chiesa celebra la festa della Presentazione al Tempio di Gesù, ovvero, come è chiamata nella tradizione del cristianesimo orientale, la festa dell’Incontro del Signore. È il momento in cui si conclude il tempo natalizio, rivelando e ricapitolando il pieno significato del Natale in una sequenza di gioia pura e profonda. La festa commemora e contempla un evento riportato nell’evangelo di Luca: quaranta giorni dopo la nascita di Gesù a Betlemme, Giuseppe e Maria, secondo la pratica religiosa del tempo, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, così come prescritto dalla legge mosaica.
Secondo Lv. 12, 2-8, la madre di un figlio maschio doveva presentarlo, quaranta giorni dopo la nascita, davanti al tabernacolo, e offrire in olocausto, come purificazione per sé, un agnello o, per i più poveri, una coppia di colombe o di tortore, che nell’icona della festa sono portate da Giuseppe, rimarcando le modeste condizioni economiche della Sacra Famiglia. La presentazione di un primogenito maschio aveva anche il significato di riscatto, perché apparteneva a Dio (Nm. 18, 14-18).
La prima delle tre letture dell’AT che si leggono nel Vespero (Es. 13, 1-6) formula i precetti relativi alla circoncisione e alla purificazione. La seconda (Is. 6, 1-12) descrive la visione di Isaia dei serafini dalle sei ali e del modo in cui uno dei serafini, con un carbone ardente, purifica le labbra del profeta. La terza, tratta dal 19 capitolo di Isaia, racconta la conversione degli egiziani al Dio di Israele, Signore degli eserciti, e può riferirsi alla rivelazione di Cristo, luce per illuminare le genti.
Abbiamo notizie di questa festa a Gerusalemme da Eteria, la pellegrina più famosa dell’antichità cristiana che visitò i Luoghi Santi verso la metà del sesto secolo; la festa era tuttavia già celebrata da circa un secolo, ad esempio ad Alessandria, dove Cirillo testimonia anche la processione con luci e fiaccole. A Costantinopoli viene spostata dal 14 al 2 febbraio da Giustiniano nel 534, mentre viene introdotta a Roma verso la fine del settimo secolo da papa Sergio, di origine siriana.
Giovanni Damasceno, nello stico del Lucernario che segue il Gloria al Padre, fa emergere alcuni temi della festa: “Il Verbo del Padre senza principio prende inizio nel tempo pur senza separarsi dalla sua divinità e, bambino di quaranta giorni, secondo la legge si lascia portare nel tempio dalla Vergine Madre. Il Vegliardo lo accoglie tra le braccia e dice: “Lascia andare il tuo servo, Signore, poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza!”.
Andrea di Creta, negli stichi rogazionali, ci invita a meditare sulla divina condiscendenza: “Oggi Colui che aveva dato la legge a Mosè sul monte Sinai, si sottomette ai precetti della legge, lui che per noi è divenuto come noi, nella tenerezza del suo cuore; il Dio purissimo, avendo aperto il casto seno materno come bambino santo, si offre a Se stesso, poiché è Dio, per illuminare le nostre anime liberandole dalla maledizione della legge”. “Oggi Simeone riceve tra le sue braccia il Signore della gloria che un tempo Mosè contemplò sotto la nube quando gli consegnò le tavole della legge sul monte Sinai, Colui che ha parlato attraverso i Profeti e Autore stesso della legge, Colui che ci ha annunciato Davide, temibile per tutti, ma così ricco di misericordia e d’amore”. Tutto è santificato: “La santa Vergine ha portato all’uomo santo nel santuario il bambino consacrato”. La differenza tra l’esperienza di Mosè e quella di Simeone viene ulteriormente approfondita: “Colui che aveva meritato di vedere Dio attraverso la nube e di ascoltare la sua voce nel fragore del tuono, con il volto velato, aveva rimproverato agli Ebrei l’infedeltà del loro cuore; mentre Simeone ha portato il Dio che precede i secoli, il Verbo del Padre, incarnato, e rivela la Luce delle genti, la Croce e la Risurrezione. E la profetessa Anna annuncia il Salvatore che riscatta Israele”. Colui che veniva presentato al tempio per essere riscattato, è il vero Redentore, colui che riscatta Israele, vecchio e nuovo, dal peccato.
Cosma, vescovo di Maiuma, negli stinchi conclusivi del Vespero, proietta su Maria l’immagine dell’arca dell’alleanza: “Maria, la Madre di Dio, porta sulle sue braccia Colui che è portato sul carro dei cherubini ed è esaltato nei canti dei serafini, Colui che si è incarnato in lei che non conosceva uomo, il Legislatore che adempie la prescrizione della legge, e lo consegna nelle mani del vecchio sacerdote; e questi, portando la Vita, chiede di essere sciolto dai legami della vita”. Troviamo anche una sintesi delle feste legate alla nascita di Gesù, racchiuse in un percorso che esalta la dimensione storica e reale di quanto celebrato: “Scrutate le Scritture, come nei vangeli disse il Cristo Dio nostro: in esse noi lo troviamo partorito e avvolto in fasce, allevato e allattato, circonciso e portato da Simeone, non in apparenza né come in una visione, ma apparso in verità al mondo”. Non manca il riferimento alla passione, preannunciata da Simeone a Maria: “Simeone, nell’accogliere il compimento delle promesse, benedicendo la Vergine Maria Madre di Dio, le preannuncia i segni della passione”.
Il tropario della festa canta gioiosamente: “Rallegrati, piena di grazia, Madre di Dio e Vergine: da te è sorto infatti il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, che illumina quanti sono nelle tenebra. Esulta anche tu, giusto vegliardo, che hai portato tra le tue braccia Colui che libera le nostre anime e ci dona la risurrezione”.
La festa ha un unico canone, composto sempre da Cosma. Sono frequenti i riferimenti a salmi e profezie: “Discenda la pioggia dalle nubi perché Cristo bambino, sole portato da tenue nube, riposa nel tempio su braccia immacolate.” (Is. 45, 8 e Is. 19, 1). “Rafforzatevi, mani di Simeone indebolite dalla vecchiaia, e voi, gambe vacillanti del Vegliardo, correte incontro a Cristo” (Is. 35, 3) “O cieli, che siete stati distesi con sapienza, rallegratevi; allietati, terra, perché l’Artista, Cristo, muovendo dal seno divino, è presentato dalla Vergine Madre a Dio Padre come un bambino, lui che esiste prima di ogni cosa” (Sal 135, 5 e Sal. 95, 11).
Riecheggia il tema dell’incarnazione: “Colui che prima dei secoli è primogenito del Padre, è apparso bambino primogenito di una Vergine incorrotta, per tendere la mano ad Adamo”. “Il Dio Verbo si è fatto bambino per rialzare il primo uomo creato, divenuto bambino nella mente a causa dell’inganno”
“Simeone contempla sbigottito il Verbo eterno nella carne, portato dalla Vergine come sul trono dei cherubini, il principio di tutto fatto bambino” (Sal 79, 2), e dice a Maria: “tu porti come un trono il Dio della luce che non tramonta, il Signore della pace”, (Is. 29, 6). Sempre riprendendo la visione di Isaia, dice ancora a Maria: “tu porti il fuoco, o Pura, e io tremo nell’abbracciare questo bambino”. “Isaia fu purificato ricevendo il carbone ardente del serafino, e tu mi illumini donandomi Colui che, come con molle, mi porti tra le tue mani”. Non si può non notare anche un riferimento eucaristico in quanto il termine usato per identificare le molle, lavìs in greco, è lo stesso che identifica il cucchiaio con cui l’Eucaristia, sotto le due specie del pane e del vino, viene distribuita ai fedeli durante la Divina Liturgia.
Romano il Melode, come consuetudine, delinea nell’ikos del kontàkion le antinomie tipiche della poesia orientale, siriana in particolare: “Colui che ha creato Adamo è portato come bambino; l’infinito è racchiuso tra le braccia del vegliardo; colui che è nel seno incircoscrivibile del Padre suo, è volontariamente circoscritto in quanto alla carne, non in quanto alla divinità, lui che è l’amico degli uomini”.
Il desiderio di Simeone di essere congedato da questa vita non è da intendersi come una sorta di disimpegno: “Vado nell’Ade a portare la buona novella ad Adamo ed Eva”. Ma anche “Dio andrà sino nell’Ade per liberare la stirpe terrestre e concedere la remissione ai prigionieri”. Ecco il modo scelto da Dio per scendere negli inferi, ed è sempre Simeone che lo indica a Maria: “Anche a te, o pura, una spada trafiggerà l’anima perché vedrai tuo Figlio sulla croce”. “L’Emmanuele, nato bambino dalla Vergine, è la gloria del popolo di Israele, che canta in coro davanti all’arca divina”. “Sarà segno di contraddizione, perché è Dio e bambino”.
Sono interessantissimi i brevi tropari che si cantano nella nona e ultima ode del canone: “Quanto si compie in te, o Pura, è incomprensibile per gli angeli e i mortali”. “Volendo salvare Adamo, il Creatore ha preso dimora nel tuo grembo di Vergine pura”. “Tu guardi la terra e la fai tremare: come può un vecchio stanco tenerti tra le braccia?”. “Tu, Maria, sei le mistiche molle, perché hai concepito in seno Cristo, il carbone ardente”. (Is. 6, 6).
Nelle Lodi, anche in relazione alla luce naturale del giorno che ne accompagna normalmente il canto, il tema della luce prende il sopravvento: “Tu sei apparso come luce per illuminare le genti, Signore, assiso su una nube leggera, sole di giustizia, per dare compimento alle ombre della legge e manifestare l’inizio della nuova grazia”.
Origene, nel suo commento al Vangelo di Luca, ci dice che “Simeone non era venuto al tempio per caso, ma mosso dallo Spirito di Dio. Anche tu, se vuoi tenere in braccio Gesù e stringerlo tra le mani, se vuoi essere degno di essere liberato dalla prigione, dedica ogni sforzo per essere condotto dallo Spirito e venire al tempio di Dio. Ecco, ora tu stai nel tempio del Signore Gesù, cioè nella sua Chiesa; questo è il tempio costruito di pietre vive”.
Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, uomo dell’attesa e dello Spirito Santo, esprime se stesso e la sua spiritualità in un breve inno, il Nunc dimittis, che, per la sua serena certezza, conclude i Vesperi nel rito bizantino, così come conclude la Compieta nel rito romano.
Alexander Schmemann, uno dei più eminenti teologi russi della diaspora morto poco più di vent’anni fa in America, pronunciò questa omelia quindici giorni prima di morire: “L’immagine del vecchio uomo che tiene il bambino tra le sue braccia è suggestiva e bellissima. C’è forse qualcosa al mondo di più gioioso di un incontro con qualcuno che si ama? In questa prospettiva vivere è un attesa, un protendersi verso questo incontro. Simeone non è forse un simbolo anticipatore di questo? Non è forse la sua vita simbolo dell’attesa? Questo vecchio uomo ha speso tutta la sua vita nell’attesa della luce che illumina ogni uomo che ricolma tutto con la sua gioia. E quanto inatteso, quanto inaspettato, quando bene indicibile sopraggiunge a Simeone attraverso questo bambino. Possiamo immaginare le mani tremanti di questo vecchio che accoglie tra le sue braccia un bambino di quaranta giorni con quanta più tenerezza e attenzione possibile, i suoi occhi risplendenti e la sua felice esclamazione: “ora lasciami pure andare, perché ho visto, ho stretto tra le mie braccia, ho abbracciato il senso della mia vita”. Simeone attendeva. Attendeva da tutta la vita, meditando, pregando e approfondendo quello che attendeva, rendendo la sua vita una perenne vigilia di questo gioioso incontro. Non è il caso di chiedere a noi stessi cosa stiamo attendendo? Cosa il nostro cuore ci ricorda con più insistenza? La mia vita si sta gradualmente trasformando in questa attesa di incontro con l’essenziale? In questa festa la vita umana si rivela come affascinante bellezza di un’anima matura, continuamente liberata e arricchita. Non c’è paura, nulla è sconosciuto, tutto è pace, rendimento di grazie e amore. L’Incontro del Signore celebra l’anima che incontra l’amore, incontra colui che dona la vita e mi da la forza per trasfigurarla oggi”.
Secondo Lv. 12, 2-8, la madre di un figlio maschio doveva presentarlo, quaranta giorni dopo la nascita, davanti al tabernacolo, e offrire in olocausto, come purificazione per sé, un agnello o, per i più poveri, una coppia di colombe o di tortore, che nell’icona della festa sono portate da Giuseppe, rimarcando le modeste condizioni economiche della Sacra Famiglia. La presentazione di un primogenito maschio aveva anche il significato di riscatto, perché apparteneva a Dio (Nm. 18, 14-18).
La prima delle tre letture dell’AT che si leggono nel Vespero (Es. 13, 1-6) formula i precetti relativi alla circoncisione e alla purificazione. La seconda (Is. 6, 1-12) descrive la visione di Isaia dei serafini dalle sei ali e del modo in cui uno dei serafini, con un carbone ardente, purifica le labbra del profeta. La terza, tratta dal 19 capitolo di Isaia, racconta la conversione degli egiziani al Dio di Israele, Signore degli eserciti, e può riferirsi alla rivelazione di Cristo, luce per illuminare le genti.
Abbiamo notizie di questa festa a Gerusalemme da Eteria, la pellegrina più famosa dell’antichità cristiana che visitò i Luoghi Santi verso la metà del sesto secolo; la festa era tuttavia già celebrata da circa un secolo, ad esempio ad Alessandria, dove Cirillo testimonia anche la processione con luci e fiaccole. A Costantinopoli viene spostata dal 14 al 2 febbraio da Giustiniano nel 534, mentre viene introdotta a Roma verso la fine del settimo secolo da papa Sergio, di origine siriana.
Giovanni Damasceno, nello stico del Lucernario che segue il Gloria al Padre, fa emergere alcuni temi della festa: “Il Verbo del Padre senza principio prende inizio nel tempo pur senza separarsi dalla sua divinità e, bambino di quaranta giorni, secondo la legge si lascia portare nel tempio dalla Vergine Madre. Il Vegliardo lo accoglie tra le braccia e dice: “Lascia andare il tuo servo, Signore, poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza!”.
Andrea di Creta, negli stichi rogazionali, ci invita a meditare sulla divina condiscendenza: “Oggi Colui che aveva dato la legge a Mosè sul monte Sinai, si sottomette ai precetti della legge, lui che per noi è divenuto come noi, nella tenerezza del suo cuore; il Dio purissimo, avendo aperto il casto seno materno come bambino santo, si offre a Se stesso, poiché è Dio, per illuminare le nostre anime liberandole dalla maledizione della legge”. “Oggi Simeone riceve tra le sue braccia il Signore della gloria che un tempo Mosè contemplò sotto la nube quando gli consegnò le tavole della legge sul monte Sinai, Colui che ha parlato attraverso i Profeti e Autore stesso della legge, Colui che ci ha annunciato Davide, temibile per tutti, ma così ricco di misericordia e d’amore”. Tutto è santificato: “La santa Vergine ha portato all’uomo santo nel santuario il bambino consacrato”. La differenza tra l’esperienza di Mosè e quella di Simeone viene ulteriormente approfondita: “Colui che aveva meritato di vedere Dio attraverso la nube e di ascoltare la sua voce nel fragore del tuono, con il volto velato, aveva rimproverato agli Ebrei l’infedeltà del loro cuore; mentre Simeone ha portato il Dio che precede i secoli, il Verbo del Padre, incarnato, e rivela la Luce delle genti, la Croce e la Risurrezione. E la profetessa Anna annuncia il Salvatore che riscatta Israele”. Colui che veniva presentato al tempio per essere riscattato, è il vero Redentore, colui che riscatta Israele, vecchio e nuovo, dal peccato.
Cosma, vescovo di Maiuma, negli stinchi conclusivi del Vespero, proietta su Maria l’immagine dell’arca dell’alleanza: “Maria, la Madre di Dio, porta sulle sue braccia Colui che è portato sul carro dei cherubini ed è esaltato nei canti dei serafini, Colui che si è incarnato in lei che non conosceva uomo, il Legislatore che adempie la prescrizione della legge, e lo consegna nelle mani del vecchio sacerdote; e questi, portando la Vita, chiede di essere sciolto dai legami della vita”. Troviamo anche una sintesi delle feste legate alla nascita di Gesù, racchiuse in un percorso che esalta la dimensione storica e reale di quanto celebrato: “Scrutate le Scritture, come nei vangeli disse il Cristo Dio nostro: in esse noi lo troviamo partorito e avvolto in fasce, allevato e allattato, circonciso e portato da Simeone, non in apparenza né come in una visione, ma apparso in verità al mondo”. Non manca il riferimento alla passione, preannunciata da Simeone a Maria: “Simeone, nell’accogliere il compimento delle promesse, benedicendo la Vergine Maria Madre di Dio, le preannuncia i segni della passione”.
Il tropario della festa canta gioiosamente: “Rallegrati, piena di grazia, Madre di Dio e Vergine: da te è sorto infatti il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, che illumina quanti sono nelle tenebra. Esulta anche tu, giusto vegliardo, che hai portato tra le tue braccia Colui che libera le nostre anime e ci dona la risurrezione”.
La festa ha un unico canone, composto sempre da Cosma. Sono frequenti i riferimenti a salmi e profezie: “Discenda la pioggia dalle nubi perché Cristo bambino, sole portato da tenue nube, riposa nel tempio su braccia immacolate.” (Is. 45, 8 e Is. 19, 1). “Rafforzatevi, mani di Simeone indebolite dalla vecchiaia, e voi, gambe vacillanti del Vegliardo, correte incontro a Cristo” (Is. 35, 3) “O cieli, che siete stati distesi con sapienza, rallegratevi; allietati, terra, perché l’Artista, Cristo, muovendo dal seno divino, è presentato dalla Vergine Madre a Dio Padre come un bambino, lui che esiste prima di ogni cosa” (Sal 135, 5 e Sal. 95, 11).
Riecheggia il tema dell’incarnazione: “Colui che prima dei secoli è primogenito del Padre, è apparso bambino primogenito di una Vergine incorrotta, per tendere la mano ad Adamo”. “Il Dio Verbo si è fatto bambino per rialzare il primo uomo creato, divenuto bambino nella mente a causa dell’inganno”
“Simeone contempla sbigottito il Verbo eterno nella carne, portato dalla Vergine come sul trono dei cherubini, il principio di tutto fatto bambino” (Sal 79, 2), e dice a Maria: “tu porti come un trono il Dio della luce che non tramonta, il Signore della pace”, (Is. 29, 6). Sempre riprendendo la visione di Isaia, dice ancora a Maria: “tu porti il fuoco, o Pura, e io tremo nell’abbracciare questo bambino”. “Isaia fu purificato ricevendo il carbone ardente del serafino, e tu mi illumini donandomi Colui che, come con molle, mi porti tra le tue mani”. Non si può non notare anche un riferimento eucaristico in quanto il termine usato per identificare le molle, lavìs in greco, è lo stesso che identifica il cucchiaio con cui l’Eucaristia, sotto le due specie del pane e del vino, viene distribuita ai fedeli durante la Divina Liturgia.
Romano il Melode, come consuetudine, delinea nell’ikos del kontàkion le antinomie tipiche della poesia orientale, siriana in particolare: “Colui che ha creato Adamo è portato come bambino; l’infinito è racchiuso tra le braccia del vegliardo; colui che è nel seno incircoscrivibile del Padre suo, è volontariamente circoscritto in quanto alla carne, non in quanto alla divinità, lui che è l’amico degli uomini”.
Il desiderio di Simeone di essere congedato da questa vita non è da intendersi come una sorta di disimpegno: “Vado nell’Ade a portare la buona novella ad Adamo ed Eva”. Ma anche “Dio andrà sino nell’Ade per liberare la stirpe terrestre e concedere la remissione ai prigionieri”. Ecco il modo scelto da Dio per scendere negli inferi, ed è sempre Simeone che lo indica a Maria: “Anche a te, o pura, una spada trafiggerà l’anima perché vedrai tuo Figlio sulla croce”. “L’Emmanuele, nato bambino dalla Vergine, è la gloria del popolo di Israele, che canta in coro davanti all’arca divina”. “Sarà segno di contraddizione, perché è Dio e bambino”.
Sono interessantissimi i brevi tropari che si cantano nella nona e ultima ode del canone: “Quanto si compie in te, o Pura, è incomprensibile per gli angeli e i mortali”. “Volendo salvare Adamo, il Creatore ha preso dimora nel tuo grembo di Vergine pura”. “Tu guardi la terra e la fai tremare: come può un vecchio stanco tenerti tra le braccia?”. “Tu, Maria, sei le mistiche molle, perché hai concepito in seno Cristo, il carbone ardente”. (Is. 6, 6).
Nelle Lodi, anche in relazione alla luce naturale del giorno che ne accompagna normalmente il canto, il tema della luce prende il sopravvento: “Tu sei apparso come luce per illuminare le genti, Signore, assiso su una nube leggera, sole di giustizia, per dare compimento alle ombre della legge e manifestare l’inizio della nuova grazia”.
Origene, nel suo commento al Vangelo di Luca, ci dice che “Simeone non era venuto al tempio per caso, ma mosso dallo Spirito di Dio. Anche tu, se vuoi tenere in braccio Gesù e stringerlo tra le mani, se vuoi essere degno di essere liberato dalla prigione, dedica ogni sforzo per essere condotto dallo Spirito e venire al tempio di Dio. Ecco, ora tu stai nel tempio del Signore Gesù, cioè nella sua Chiesa; questo è il tempio costruito di pietre vive”.
Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, uomo dell’attesa e dello Spirito Santo, esprime se stesso e la sua spiritualità in un breve inno, il Nunc dimittis, che, per la sua serena certezza, conclude i Vesperi nel rito bizantino, così come conclude la Compieta nel rito romano.
Alexander Schmemann, uno dei più eminenti teologi russi della diaspora morto poco più di vent’anni fa in America, pronunciò questa omelia quindici giorni prima di morire: “L’immagine del vecchio uomo che tiene il bambino tra le sue braccia è suggestiva e bellissima. C’è forse qualcosa al mondo di più gioioso di un incontro con qualcuno che si ama? In questa prospettiva vivere è un attesa, un protendersi verso questo incontro. Simeone non è forse un simbolo anticipatore di questo? Non è forse la sua vita simbolo dell’attesa? Questo vecchio uomo ha speso tutta la sua vita nell’attesa della luce che illumina ogni uomo che ricolma tutto con la sua gioia. E quanto inatteso, quanto inaspettato, quando bene indicibile sopraggiunge a Simeone attraverso questo bambino. Possiamo immaginare le mani tremanti di questo vecchio che accoglie tra le sue braccia un bambino di quaranta giorni con quanta più tenerezza e attenzione possibile, i suoi occhi risplendenti e la sua felice esclamazione: “ora lasciami pure andare, perché ho visto, ho stretto tra le mie braccia, ho abbracciato il senso della mia vita”. Simeone attendeva. Attendeva da tutta la vita, meditando, pregando e approfondendo quello che attendeva, rendendo la sua vita una perenne vigilia di questo gioioso incontro. Non è il caso di chiedere a noi stessi cosa stiamo attendendo? Cosa il nostro cuore ci ricorda con più insistenza? La mia vita si sta gradualmente trasformando in questa attesa di incontro con l’essenziale? In questa festa la vita umana si rivela come affascinante bellezza di un’anima matura, continuamente liberata e arricchita. Non c’è paura, nulla è sconosciuto, tutto è pace, rendimento di grazie e amore. L’Incontro del Signore celebra l’anima che incontra l’amore, incontra colui che dona la vita e mi da la forza per trasfigurarla oggi”.
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