In apertura al ritratto dai molti lineamenti che questo volume disegnerà nelle sue varie pagine e nelle splendide immagini, vogliamo porre un profilo essenziale di "Simeone Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo" (2 Pt 1,1) così come affiora dagli scritti neotestamentari. Un 'cammeo' più accurato sarà delineato nel saggio successivo sulla base della testimonianza dell'evangelista Marco, definito dalla I Lettera di Pietro come "mio figlio" (5,13). L'Apostolo è evocato col nome attribuitogli da Gesù, Petros, 154 volte nel Nuovo Testamento, in 27 associato al nome d'origine, l'ebraico Shim'ôn, grecizzato in Simôn (Symeôn), mentre per 9 volte - soprattutto nell'epistolario paolino - echeggia l'aramaico Kêfa ("pietra - Pietro"). Una presenza alta, inferiore solo a quella di Cristo: di questo discepolo, "figlio di Giovanni" (Gv 1,42) o "figlio di Giona" (bar Jona secondo Mt 16,17), noi ora costruiremo un ritratto a trittico, affidandoci a uno spoglio molto semplice e semplificato dei testi neotestamentari secondo tre percorsi fondamentali. Il giorno di Pietro Inizieremo coi Vangeli sinottici - Matteo, Marco e Luca - considerati nel loro insieme, cercando di individuare alcuni tratti comuni della figura petrina che essi ci offrono dalle diverse angolature delle loro redazioni. In questa grande tavola letteraria possiamo distinguere quattro registri che corrispondono ad altrettanti lineamenti del volto e della storia di Pietro. Come simbolo useremo lo scorrere di una giornata ideale. L'alba di Pietro Il tratto comune di partenza per ricomporre il volto 'sinottico' dell'Apostolo è la vocazione che ha al centro la parola imperativa di Cristo. Egli domina la scena con la stessa autorità del Dio che chiama i profeti, strappandoli al loro orizzonte quotidiano e avviandoli in una missione di salvezza. A differenza dei maestri giudei di allora, i rabbí, che erano scelti dagli uditori candidandosi a divenire loro discepoli, Gesù irrompe nella vita di questo pescatore del lago di Tiberiade facendo sorgere per lui l'alba di una nuova vita. "Mentre camminava lungo il mare di Galilea - narra Matteo (4,18-20) - vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: Seguitemi, vi farò pescatori di uomini. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono". All'imperativo lapidario di Cristo segue, pronta, l'esecuzione da parte del chiamato, come era avvenuto per Abramo, il padre della fede di Israele (Gen 12,1-4). Luca disegnerà una cornice quasi epifanica per quest'alba della giornata interiore di Pietro. Infatti, una pesca miracolosa anticipa profeticamente la missione apostolica di essere "pescatori di uomini", espressione originale per indicare l'impegno dell'inviato di Cristo. "Al veder questo [cioè la pesca prodigiosa dopo una notte faticosa e inutile] - narra Luca (5,8-11) - Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: Signore, allontanati da me che sono un peccatore! Grande stupore, infatti, aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che aveva fatto… Gesù disse a Simone: Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono". Secondo una caratteristica cara al terzo evangelista, per entrare nel giorno del Regno di Dio è necessario un taglio netto col passato, un distacco radicale. Da quel momento, dietro le orme di Gesù che si stampano sulla polvere delle strade di quella regione assolata del Vicino Oriente, ci saranno sempre i passi di Pietro, il "primo" dei discepoli, come appare in quella lista dei Dodici che nel suo numero simbolico vuole idealmente rappresentare il popolo di Dio radunato attorno al Messia: "I nomi dei dodici apostoli sono: primo (protos) Simone detto Pietro e Andrea suo fratello…" (Mt 10,2). Ormai è iniziata la grande giornata apostolica. La giornata di Pietro Si succedono le ore della vita di Pietro con Gesù. Sono ore colme di eventi che possiamo solo evocare in una trama ridotta. Ecco Pietro ospitare Gesù nella sua casa di Cafarnao ove è presente la suocera ammalata e poi guarita (Mc 1,26-31). Eccolo con Giacomo e Giovanni assistere, stupito, alla risurrezione della figlia del capo della sinagoga Giairo (Mc 5,37) e alla gloriosa teofania della trasfigurazione di Cristo (Mc 9,2-8). Ecco Pietro come portavoce dei Dodici e delle loro reazioni sorprese, entusiastiche o critiche di fronte a gesti, parole ed eventi di Gesù (si provi a sfogliare i Vangeli leggendo questi versetti: Lc 8,45; 12,41; Mc 10,28-31; 11,21; Mt 15,15; 18,21). Eccolo associato strettamente a Gesù, Messia e Figlio di Dio nel tributo al tempio, "consegnato per te e per me" (Mt 17,24-27), e nell'emozionante avventura notturna sulle onde tempestose del lago di Galilea, nonostante la sua "poca fede" (Mt 14,28-31). Ma c'è nella giornata di Pietro con Cristo una scena capitale, quella che ha come cornice topografica la città di Cesarea di Filippo e che segna una svolta fondamentale nella rivelazione storica di Gesù ma anche nella vicenda personale dell'Apostolo. Attorno a questa pagina, presente in tutti e tre gli evangelisti, sia pure secondo le prospettive redazionali di ciascuno di essi, si è affollata una bibliografia immensa e un'iconografia sterminata nei successivi secoli cristiani (pensiamo solo al grande affresco del Perugino nella Cappella Sistina). Noi ora ci accontenteremo solo di un abbozzo essenziale. Due sono i quadri che faremo balenare seguendo la redazione di Matteo (16,13-23). Il primo è dominato dalla "confessione" di fede di Pietro nel dialogo tra Gesù e i discepoli attorno a quella interrogazione decisiva: "Ma voi, chi dite che io sia?". Lo scrittore Mario Pomilio nel suo romanzo Quinto evangelio (1975) osservava: "Il Cristo ci ha collocati di fronte al mistero, ci ha posti definitivamente nella situazione dei suoi discepoli di fronte alla domanda: Ma voi, chi dite che io sia?". La risposta di Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" è suggellata dalla celebre beatitudine pronunziata da Gesù: "Beato sei tu, Simone bar Jona, perché non carne e sangue te l'hanno rivelato ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del Regno dei cieli: ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,17-19). Tre sono i simboli che delineano la missione di Pietro nella chiesa. Il primo è quello della 'pietra' o roccia, un'immagine classica biblica di stabilità, sicurezza e fiducia, evocata attraverso il nome di Pietro-Kêfa. Solo a Gesù e a Pietro si applica nel Nuovo Testamento questo simbolo: l'Apostolo rende visibile nella storia la fondazione primaria e divina di Cristo riguardo alla comunità dei credenti. Le 'chiavi' sono il secondo simbolo e incarnano il potere su una casa, una città, un regno, nonché sull'interpretazione di un testo (la 'chiave di lettura'): in Pietro, allora, si esercita un'autorità non solo giuridica ma anche di insegnamento all'interno della comunità. La terza è un'immagine di taglio forense: il "legare e sciogliere" indica certamente il potere di rimettere i peccati nel nome del Signore, ma abbraccia pure la funzione di esortare, ammonire, formare i fedeli, missione propria dell'autorità nella Chiesa. Queste tre figure simboliche della missione petrina acquistano particolare luce e forza se rappresentate all'interno della basilica di San Pietro, proclamate davanti alla sede apostolica e alla presenza del Papa. C'è, però, un secondo quadro che è antitetico al precedente per tonalità: è quello della "sconfessione" di Pietro da parte di Gesù che indica la via della croce come la vera strada messianica, sollevando la reazione scandalizzata dell'Apostolo. Egli diventa in tal modo 'Satana', cioè avversario di Cristo e del progetto divino che ha al centro il Figlio dell'uomo umiliato e sofferente. Tuttavia è aperta a Pietro una possibilità: egli deve mettersi "dietro a Gesù", seguendolo sulla via di Gerusalemme, pronto a condividerne il destino drammatico. Infatti - dice Gesù - "se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Ormai sta per iniziare la grande notte di Cristo e dell'Apostolo. La notte di Pietro È quella di un personaggio a tutto tondo la figura di Pietro che accompagna Gesù nella passione. Ma, purtroppo, è per lui anche il momento della crisi, dell'oscurità e del tradimento. Già subito dopo la cena pasquale, dinanzi a un annunzio sconcertante di Cristo: "Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte", Pietro reagisce in modo enfatico: "Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai!", ma per ricevere un gelido monito del Maestro: "In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". Al monito Pietro oppone una replica altezzosa e vana: "Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò" (Mt 26,31-35). La notte cupa ormai incombe e si svolge ora dopo ora. Ecco innanzitutto 'l'agonia', la lotta sotto gli ulivi del Getsemani che potremmo evocare tenendo in sottofondo l'oratorio Cristo al monte degli Ulivi di Beethoven (1803) e/o avendo davanti agli occhi la tela del Mantegna (1460) al Museo di Tours, con la pesante corporeità assonnata di Pietro e di Giacomo e Giovanni, in contrasto con la remota e sospesa figura di Cristo su una rupe, solo nell'orazione. "Gesù sarà in agonia sino alla fine del mondo - affermerà Pascal nei suoi Pensieri (n. 736, ed. Chevalier) - non bisogna dormire fino a quel momento". Ma Pietro in quella notte non è "capace di vegliare un'ora sola" con Gesù in agonia (Mt 26,40). Certo, egli si sveglierà al momento dell'arresto per estrarre una spada e tagliare l'orecchio destro a uno della pattuglia che sta per trascinar via Gesù (Gv 18,10; cfr. Mt 26,51), dimenticando nella focosità di quel momento la paura e la crisi che stanno trasformando quella notte in tenebra interiore. Ormai, infatti, sta per giungere l'ora del tradimento cosciente e ribadito. Per tre volte Pietro rinnega Cristo e l'ultima volta, secondo Matteo (26,74), lo fa in modo clamoroso: "Cominciò a imprecare e a giurare: io non conosco quell'uomo!". Egli diventa, così, l'emblema del discepolo che ha seguito con ardore il suo Signore nel giorno della luce ma che precipita nella crisi quando si affaccia la notte della sofferenza e dell'umiliazione. Questo momento colpirà forse più di ogni altro la fantasia e l'emozione degli artisti nei secoli: sarà avvolto dalla musica (M.-A. Charpentier, J.J. Fux, F.W. Lieban), sarà soggetto di dipinti (Rembrandt, G. van Honthorst), diverrà un testo poetico (F. Malherbe, V. Hugo, Ch. Baudelaire, P. Claudel, L. Aragon). La nuova alba di Pietro La notte dell'Apostolo non è un baratro da cui non si emerge, come nel caso di Giuda. Al ricordo delle parole di Gesù che gli aveva preannunziato la crisi, Pietro trova la forza di slegarsi dalle catene delle tenebre e di avviarsi alla luce: "uscito all'aperto, pianse amaramente" (Mt 26,75). Quelle lacrime di conversione fanno sorgere il sole della Pasqua. Già durante l'ultima cena, secondo Luca (22,31-32), Gesù aveva, sì, descritto la crisi di Pietro, provato da Satana, ma aveva anche promesso la sua preghiera perché "non venisse meno la sua fede e, una volta ravveduto, confermasse i suoi fratelli". Nella scena della tempesta sul lago si prefigurava lo sprofondare di Pietro, pieno di paura, ma si delineava anche il suo risorgere, sorretto dalla mano di Gesù che l'aveva saldamente afferrato (Mt 14,28-31). Ormai Pietro riprende il suo posto nel gruppo degli Apostoli per essere testimone del Risorto. Alle donne l'angelo aveva detto: "Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea" (Mc 16,7). Gli Undici comunicheranno ai discepoli di Emmaus: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!" (Lc 24,34). Inizia la nuova giornata di Pietro che continuerà nei secoli attraverso il vescovo di Roma: egli compirà nella Chiesa quell'incarico che Cristo gli aveva affidato a Cesarea di Filippo. Come ha scritto un esegeta, Rinaldo Fabris, "la tradizione sinottica ricostruisce la figura e il ruolo di Pietro su una solida base storica, dal momento che sono conservati anche dati che non corrispondono per nulla al processo di idealizzazione dei capi. In secondo luogo si può rilevare anche il fatto che la figura di Pietro viene proposta non solo come modello del discepolo, ma anche come rappresentante autorevole e guida della comunità credente". L'icona giovannea di Pietro Parlavamo sopra di un trittico petrino. È ora possibile passare alla seconda tavola ove tracciamo l'icona di Pietro secondo il IV Vangelo. È un ritratto che ricalca molti lineamenti della fisionomia abbozzata dai Sinottici ma che offre elementi inediti. Ci accontenteremo di dipingere tre registri successivi all'interno di questa tavola giovannea. Signore, da chi andremo? Nel 1969 lo scrittore Luigi Santucci intitolava una sua vita di Cristo proprio sulla base di quella domanda forte e amara che Gesù aveva pronunziata dopo il grande discorso del "pane di vita" nella sinagoga di Cafarnao: Volete andarvene anche voi? A quell'interrogativo - parallelo al "Ma voi, chi dite che io sia?" dei Sinottici - risponde ancora una volta Pietro con una bella e intensa professione di fede: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio!" (Gv 6,67-69). L'Apostolo, con quel "noi", si presenta come il portavoce dei Dodici nei quali si sta incuneando la presenza gelida della crisi, come era accaduto ad altri "discepoli che si erano tirati indietro e non andavano più" con Gesù (6,66). La confessione di fede di Pietro proclama Gesù innanzitutto come il grande rivelatore del Padre, colui che ha "parole di vita eterna", capace di donarci la stessa vita divina. Cristo è il "Santo di Dio", colui che appartiene alla sfera delle divinità ma che è giunto in mezzo alla storia degli uomini "non per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" così che "chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16-17). Dal giorno di Cafarnao spostiamo la nostra attenzione verso le ultime ore di Gesù: è là che Pietro nel IV Vangelo ritorna sulla ribalta in un modo nuovo rispetto al racconto degli altri evangelisti. Nelle pagine giovannee che descrivono quelle ore Pietro è accostato a un'altra figura, "il discepolo che Gesù amava", segno e garante della tradizione che ha alla sorgente proprio l'apostolo Giovanni. Pietro e "il discepolo che Gesù amava" È questo il secondo registro, popolato di scene differenti che noi ora faremo balenare in modo essenziale. Siamo nella sala del Cenacolo; Gesù, turbato profondamente, annunzia il tradimento di uno dei suoi discepoli e, prima che lo svelamento si compia attraverso il gesto del boccone, Simon Pietro fa un cenno al "discepolo che Gesù amava" e che era al fianco del Signore chiedendogli: "Di', chi è colui a cui si riferisce?" (Gv 13,21-27). Ancora, quando ormai i passi di Gesù percorrono le stanze del potere sacerdotale per il giudizio processuale, "Simon Pietro e un altro discepolo" lo seguono. Quest'ultimo è da molti identificato col discepolo prediletto. "Questo discepolo - continua il quarto evangelista (18,15-16) - era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro". E sarà con questa donna che Pietro rinnegherà la sua appartenenza a Cristo. Ma le due figure di Pietro e del discepolo amato sono connesse tra loro soprattutto nell'alba di Pasqua quando Maria di Magdala comunica loro la notizia sconvolgente del sepolcro vuoto. È una corsa frenetica che vede il discepolo prediletto sopravanzare Pietro. "Giunse poi anche Simon Pietro ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette" (Gv 20,1-9). In entrambi i protagonisti sboccia la fede pasquale di fronte a quei segni (il sepolcro vuoto, le bende, il sudario) che sono 'visti' con uno sguardo capace di scoprire in essi il loro valore profondo, cioè la vittoria di Cristo sulla morte. È, comunque, curioso che nell'appendice del capitolo 21 i due discepoli, appaiati tra loro, ritornino alla loro antica professione di pescatori sul lago di Tiberiade. Ma, come era accaduto agli inizi, è là che il Risorto, in incognito e sotto i tratti di un personaggio anonimo che passeggia sul litorale del lago, torna a chiamarli. A riconoscerlo è "il discepolo che Gesù amava il quale disse a Pietro: È il Signore! Simon Pietro, allora, appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare" raggiungendo Gesù sulla riva. Sarà Pietro a trarre a terra la rete colma di pesci, in un prodigio analogo a quello della prima chiamata lungo la stessa costa (Gv 21,1-14; cfr. Lc 5,1-11). È a questo punto che l'accostamento tra i due Apostoli acquista un rilievo particolare e pone Pietro al centro della scena. Simone di Giovanni, mi ami? Questo terzo e ultimo registro figurativo della tavola petrina dipinta da Giovanni, da un lato, segna, sia pure allusivamente, la fine dell'era apostolica dei primi testimoni con la morte del discepolo amato (Gv 21,22-23). D'altro lato, rimanda anche al martirio di Pietro, rappresentato attraverso il simbolismo della veste cinta e imposta dall'esterno e dal percorso obbligato, simbolismo illustrato da una nota redazionale: "In verità, in verità ti dico: quand'eri più giovane, ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio" (Gv 21,18-19). Su queste parole allusive si innesta la tradizione storica successiva del martirio dell'Apostolo su una croce capovolta, drammaticamente raffigurato da Caravaggio (1601) in Santa Maria del Popolo a Roma. L'elemento capitale, però, di quest'ultima pagina del quarto Vangelo è nella triplice professione d'amore/amicizia (sono due i verbi greci usati, agapa-n e file-i-n) che Pietro è invitato a proclamare nei confronti di Gesù, ricevendone in cambio il mandato di pescare gli agnelli/pecorelle (anche qui sono due i termini greci, arnia e probata) del gregge di Cristo. Pietro è, quindi, la radice della missione pastorale della Chiesa, una missione che continua lungo la distesa del tempo, in attesa che il Signore ritorni a suggellare la storia ("finché io venga" 21,22-23). Si conclude, così, l'icona petrina tratteggiata dal quarto evangelista, un'icona che marca il ministero pastorale dell'Apostolo su mandato diretto di Cristo. Il Pietro della tradizione cristiana delle origini Il nostro trittico giunge al suo completamento con una tavola in cui la figura di Pietro è abbozzata dalla tradizione della Chiesa delle origini. Anche in questo caso vedremo scorrere tre registri differenti che illuminano l'Apostolo nella sua missione all'interno della comunità cristiana. Egli compie, così, quel ministero che Gesù stesso gli aveva affidato, prima a Cesarea di Filippo, poi sulle sponde del lago di Tiberiade. Il Pietro di Luca Imponente è la presenza di Pietro nella seconda opera di Luca, gli Atti degli Apostoli: a livello statistico il nome di Pietro risuona almeno 56 volte e il suo è un compito attivo, direttivo e ministeriale. È lui, infatti, a decidere la sostituzione di Giuda con Mattia nel collegio apostolico (At 1,15-26); è lui che rappresenta la comunità cristiana davanti all'autorità giudaica nelle varie convocazioni davanti al Sinedrio (3,11-26; 4,1-22; 5,21-42), giungendo a formulare il principio capitale della testimonianza ecclesiale: "Vi pare giusto davanti a Dio ascoltare voi piuttosto che Dio? Noi non possiamo non parlare di ciò che abbiamo visto e udito... Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (4,19-20; 5,29). È ancora Pietro a guidare la comunità nei suoi momenti più delicati: lo fa nel tempo della crisi di carità, quando pronunzia la sua sentenza sulla coppia cristiana Anania e Saffira che prevarica dall'impegno della comunione fraterna (At 5,1-11); lo fa, con Giovanni, ispezionando le chiese di Samaria e smascherando l'equivoco di Simon Mago (8,17-25); lo fa in un momento decisivo, quando si tratta di aprire le porte della comunità cristiana al primo pagano convertito, il centurione Cornelio, evento descritto in una pagina di straordinaria densità e intensità (At 10); lo fa difendendo il principio della salvezza di tutti in forza della fede (11,1-18) e intervenendo - accanto a Paolo e Giacomo - in modo autorevole nel cosiddetto "Concilio di Gerusalemme" allorché, reagendo all'impostazione restrittiva giudeo-cristiana, proclama che "è per la grazia del Signore Gesù che noi crediamo di avere la salvezza, allo stesso modo" dei pagani convertiti (15,11). In questa luce sono significativi i vari discorsi di Pietro che costellano la prima parte degli Atti degli Apostoli e che hanno il loro prototipo nel discorso programmatico del giorno di Pentecoste (At 2), un modello di annunzio e di approfondimento del messaggio cristiano. Ma alle parole si associano, come era accaduto per Gesù, anche gli atti miracolosi: eccolo guarire lo storpio davanti alla Porta Bella del tempio gerosolimitano (3,1-10); eccolo far sorgere dal letto il paralitico Enea di Lidda (9,32-35); eccolo anche carcerato e perseguitato come Gesù, ma sostenuto e liberato dall'angelo del Signore in una specie di esodo pasquale (12,1-19). Anche Pietro, dunque, vive nella sua carne la passione di Cristo e, anche se Luca non ne descrive l'approdo sacrificale, come farà per Stefano e per Giacomo, imbocca la via della testimonianza e della croce, divenendo un modello di vita per tutti i credenti. A partire dal capitolo 16 degli Atti si apre un nuovo orizzonte che vedrà come protagonista Paolo. E sarà proprio quest'ultimo a tracciare nei suoi scritti un altro abbozzo del volto di Pietro. Il Pietro di Paolo Se stiamo alla cronologia tradizionale degli scritti neotestamentari la più antica menzione del nome di Pietro affiora proprio nell'epistolario paolino allorché, da un lato, si ricorda la pretesa di alcuni corinzi di attribuirsi Cefa come possesso e tutore proprio (1 Cor 1,12) e, d'altro lato, si esalta la missione pasquale che il Risorto affida "a Cefa e ai Dodici" (15,5) apparendo loro, mentre in un altro passo della lettera (9,5) Cefa è ancora una volta presentato in modo autonomo rispetto agli "altri apostoli e fratelli del Signore". Questa funzione unica di Pietro è ribadita autobiograficamente da Paolo nella Lettera ai Galati, quando racconta di "essere salito a Gerusalemme per prendere contatti con Cefa, trattenendosi da lui per circa quindici giorni" (Gal 1,18), quasi per ottenere una legittimazione ufficiale del suo ingresso nella Chiesa e della sua missione apostolica. Quattordici anni dopo, Paolo ritornerà in visita da Pietro a Gerusalemme, accompagnato da Barnaba e Tito, così da essere confermato nel suo ministero verso i pagani da parte di "coloro che erano stimati le colonne" della Chiesa, cioè Giacomo, Cefa e Giovanni (Gal 2,7-9). Questi rapporti tra i due grandi testimoni del Cristianesimo delle origini conosceranno anche la sincerità del confronto schietto. È il caso del contenzioso di natura pastorale che si apre ad Antiochia di Siria (l'attuale Antakya turca), culla del Cristianesimo di matrice pagana. Pietro è uomo di mediazione, attento a salvaguardare le diverse sensibilità e gli equilibri interni; Paolo è uomo radicale, insofferente dei compromessi e delle sfumature. Pietro ad Antiochia osserva le norme rituali alimentari quando è presente una delegazione di ebrei gerosolimitani, le supera quando è solo con i Cristiani di origine pagana. Questa doppia misura irrita Paolo che non esita a "opporsi a viso aperto perché (Cefa) era evidentemente nel torto" (Gal 2,11). Il rapporto di Paolo con Pietro rimane, comunque, esemplare. Da un lato, egli riconosce a Cefa la funzione di "colonna" per la verità del Vangelo e per la vita della Chiesa; d'altro lato, però, non esita a scegliere la via del confronto franco e serrato, quando le decisioni concrete pastorali sono discutibili. Obbedienza e libertà, indipendenza e comunione non si escludono, quando è chiara la scala dei valori in cui esse si esplicano. E su questa gerarchia di valori la concordia sarà profonda, tant'è vero che la tradizione elaborerà un modello iconografico costante che appaierà i volti di Pietro e Paolo, rievocando anche il 'faccia a faccia' di Antiochia (dal marmo di Aquileia sino alla tela drammatica di Giovanni Serodine), ma placandosi nell'abbraccio tenero e umano dei mosaici di Monreale. Canterà Ambrogio nei suoi inni: Primus Petrus apostolus nec Paulus impar gratia. Pietro è il primo degli Apostoli, ma Paolo non è da meno per grazia. Il Pietro della tradizione petrina L'ultimo registro di questa tavola 'tradizionale' petrina è affidato a due scritti che fanno parte di quel fascicolo neotestamentario denominato Lettere cattoliche, nel senso di testi destinati idealmente a tutte le chiese delle origini cristiane. In realtà, più che di 'lettere', anche se esteriormente non manca un certo modulo epistolare, si tratta di omelie o catechesi. Due di queste lettere portano in apertura la scritta "Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell'Asia e nella Bitinia" (l Pt 1,1); "Simeone Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo" (2 Pt 1,1). In verità siamo in presenza di due opere che rivelano mani differenti (tra loro ci sono ben 600 vocaboli diversi contro un centinaio di termini comuni) al punto tale che già San Girolamo concludeva: "Pietro ha scritto due lettere, che si chiamano Cattoliche, ma la seconda è rifiutata dalla maggioranza a causa della sua differenza di stile con la prima". Ferma restando l'ispirazione di entrambi gli scritti, posti sotto il sigillo dello Spirito Santo, della Rivelazione e del Canone, possiamo considerare queste due lettere come testimonianze diverse della stessa tradizione petrina che aveva nell'Apostolo la sua sorgente. Non possiamo ora offrire neppure una sintesi della ricca dottrina teologica presente in quelle pagine. Ci accontentiamo di segnalare che da esse emerge - oltre al profilo delle chiese dell'Asia Minore e al rimando probabile a Roma, menzionata sotto il crittogramma "Babilonia" (1 Pt 5,13) - un'icona di Pietro, apostolo, "martire", cioè testimone di Cristo, pastore in nome del Pastore supremo e maestro (1 Pt 5,1-11). Egli è il garante dell'ortodossia della fede, dell'autenticità della tradizione e della coerenza della prassi cristiana contro le deviazioni dottrinali e le degenerazioni morali. Infatti, "nessuna profezia della Scrittura può essere sottoposta a interpretazione soggettiva. La profezia non ci fu comunicata da volontà umana ma quegli uomini parlarono da parte di Dio, mossi dallo Spirito Santo" (2 Pt 1,20-21). Anche gli scritti di Paolo - conosciuti dall'autore della II Lettera di Pietro - possono "essere travisati da ignoranti e instabili, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina, perché in essi vi sono cose difficili da comprendere" (2 Pt 3,15-16). È per questo che diventa fondamentale la testimonianza storica di Pietro a garantire la genuinità del messaggio cristiano: "Noi vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette, infatti, onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: Costui è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto! Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte" (2 Pt 1,16; cfr. Mt 17,5). Abbiamo così, in pienezza davanti a noi, il ritratto neotestamentario di Pietro, il "primo" degli Apostoli per riconoscimento costante di tutta la Chiesa delle origini, discepolo storico di Cristo, testimone autorevole della risurrezione, pastore della Chiesa, garante dell'autenticità della tradizione di fede e di vita del Cristianesimo. Alla sua tomba, ove continua la sua presenza viva nella successione apostolica del vescovo di Roma, cioè del Papa, converge ancor oggi il pellegrinaggio reale e spirituale della cristianità. E attorno a lui, pietra che rende visibile nella storia "Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio", noi ci stringiamo per essere "edificati come pietre vive per una casa spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo" (1 Pt 2,4-5).
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