Omelia del mercoledì delle ceneri. Card. Biffi

Ricevo e ripropongo questa intensa omelia per l'inizio della Quaresima offerta dal Card. Biffi ai fedeli di Bologna il mercoledì delle Ceneri del 1986:

OMELIA NELLA MESSA DEL MERCOLEDÌ DELLE CENERI (di S.E. Card. Giacomo Biffi)

Nell'orazione conclusiva del rito di questa sera noi chiederemo al Signore che il cammino quaresimale, oggi iniziato, riesca «efficace per la guarigione del nostro spirito».

«Per la guarigione»: noi siamo un po' tutti malati, e abbiamo bisogno di cure.

L'uomo moderno è afflitto da una cattiva salute, e, anche se non lo sa, aspira a incontrare un abile clinico capace di risanarlo. Questo tempo di quaresima ci è offerto appunto come una grande e necessaria medicina, come l'occasione favorevole per rimetterci in sesto, come l'incontro ravvicinato con Cristo, il medico divino che si è chinato sulle nostre ferite ed è sempre pronto ad avere compassione delle nostre infermità.

L'elenco dei nostri mali costituirebbe un voluminoso trattato di patologia spirituale. Ci accontenteremo di citarne qualcuno, indicandone insieme i rimedi che la Chiesa vuol suggerirci in questo tempo di grazia.
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L'uomo di oggi appare prima di tutto debilitato nella sua sanità mentale.

Si ragiona poco e si ragiona male. L'umanità in molte circostanze sembra affetta da schizofrenìa: cerca il proprio bene, e di fatto corre verso il proprio male; esalta l'uomo a parole, e lo avvilisce nei fatti: lo esalta fin quasi a difenderlo dall'amore del suo Creatore e a sottrarlo all'influenza di Dio, che pur vuol solo il suo bene; e lo avvilisce, lasciandolo in balìa dell'egoismo umano, che invece arriva a manipolare e a uccidere. Moltiplica i mezzi che in se stessi non dànno motivo e significato all'esistere e all'agire, e trascura di guardare ai fini e ai traguardi di tutto il suo agitarsi.

Proprio questa assenza di razionalità rende spesso così desolante la lettura dei giornali e l'ascolto delle dichiarazioni dei nostri contemporanei, anche di quelli di più grande fama.

Del resto, ciascuno di noi, se è sincero, deve riconoscere di essere troppe volte insipiente nei suoi giudizi e nel suo comportamento.

Quando ci attacchiamo alle cose che passano e trascuriamo l'eterno; quando inseguiamo la vanità e l'esteriorità, e non diamo spazio alla vita dello spirito; quando decidiamo una condotta che ci toglie la pace e a poco a poco ci fa perdere il senso dei veri valori, noi, prima ancora che contro la religione, pecchiamo contro la ragione e il buon senso.

Ed ecco che la Chiesa ci propone con la quaresima una cura di ragionevolezza, praticata attraverso un contatto più assiduo e prolungato con la verità, così come ci è offerta dalla parola di Dio.

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In queste settimane dobbiamo diventare tutti un po' più ragionevoli, cioè più seri e pensosi.

Dobbiamo riproporci, per esempio, le semplici e fondamentali domande, che troppo spesso nella nostra esistenza quotidiana sono soffocate dalle mille questioni complicate e inutili che ci interessano tanto, magari anche dalle questioni di modalità religiosa e di attualità ecclesiastica. O uomo - ci dice oggi la divina Sapienza - pensa un poco a te stesso: alla tua origine, al tuo destino, al tuo errore, alla tua conversione.

Qual è la nostra origine? La risposta della verità sanamente ci umilia e al tempo stesso ci rasserena. Siamo stati fatti dal niente, perciò non abbiamo niente che ci spetti come un diritto, e il nostro esistere tende di sua natura ad annullarsi, se non è salvato dall'alto da una mano pietosa. Siamo stati creati da Dio; da un Dio che è artefice nobile e grande, e perciò grande è la nostra dignità e la nostra nativa bellezza; da un Dio che non abbandona mai l'opera delle sue mani, e dunque non dobbiamo avere nessun timore, perché siamo tenuti saldamente nell'essere dal filo tenace di un amore onnipotente e fedele.

Qual è il nostro destino? Siamo incamminati a morire e a diventare polvere; di fronte a questa prospettiva ogni miraggio mondano perde di fascino, ogni rancore si ricompone, ogni smania necessariamente si quieta: questo è l'insegnamento del giorno delle ceneri, che inaugura e avvia il tempo quaresimale. Così come, alla conclusione dei quaranta giorni, il mistero della Pasqua ci dirà che siamo destinati a risorgere e a vivere eternamente, in modo che già da adesso possiamo e dobbiamo vivere nella gioia.
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Il brano del Vangelo poi ci suggerisce un itinerario concreto di conversione, che è come un elenco di rimedi per tutti gli altri principali malanni dell'animo.

Siamo qualche volta colpiti da «afasìa» nei confronti di Dio, cioè da incapacità di parlare col Padre che è nei cieli e vive anche nell'intimo dei nostri cuori, di colloquiare con lui sottraendoci al multiloquio che a ogni ora ci frastorna e distrae.

Il rimedio è una preghiera vera, prolungata, schietta, incurante dell'attenzione degli altri, desiderosa di una personale ed espressa comunione con l'Autore di ogni bene, nel segreto della vita interiore.

Siamo anche afflitti da inappetenza: inappetenza per sazietà e per ottundimento della facoltà di gustare i beni della divina creazione.

Non sappiamo più apprezzare le molte e stupende cose create perché ne abbiamo troppe a portata di mano. Abbiamo perso la capacità di stupirci, di gioire del bello e del buono quotidianamente incontrato, di assaporare i sani e semplici piaceri dell'esistenza, così come sapeva fare l'uomo di un tempo, sempre povero, spesso affamato, per il quale ogni piccola ragione di festa diventava un dono e un tesoro.

Il principale problema di questa nostra società pasciuta, svogliata, disamorata, sempre più bisognosa di stimoli esotici e inconsueti, non è più quello di trovare un po' di cibo e un po' di calore, ma quello di schivare un'alimentazione troppo ricca; è quello di oltrepassare continuamente le proprie esperienze, perché si è già visto tutto, si è già tutto avuto. E così ci avviamo a diventare un popolo annoiato, ottuso, senza allegria, senza entusiasmi, senza ideali.

Allora la misericordia del Signore ci pone davanti l'antidoto della mortificazione liberamente decisa e attuata, l'antica ricetta della penitenza, divenuta di grande attualità. Ritrovare la strada della rinuncia - nelle forme che a ciascuno parranno concretamente praticabili e più opportune - vuol dire incamminarsi verso la guarigione.

Perciò nella lettura evangelica Gesù ci ha ricordato il digiuno da compiersi non nelle piazze e davanti alle telecamere, assumendo l'aria di chi va all'assalto di tutte le ingiustizie del mondo, ma segretamente, all'insaputa di tutti, con l'aspetto dignitoso e lieto di chi vuol curare i suoi mali soltanto al cospetto di Dio.

Un altro morbo che frequentemente ci colpisce è la sterilità della nostra vita: magari non facciamo niente di male, ma facciamo anche poco di bene. Ci accontentiamo di essere solo giusti e a posto con la legge, e così finiamo nell'ingiustizia di chi delude Dio perché non dà nessun frutto.

Il Vangelo ci propone positivamente di compiere «opere buone», delle quali cita come esempio l'elemosina, cioè il soccorso prestato a chi è nel bisogno.

La quaresima veda nella vita di ciascuno di noi un rifiorire di queste azioni ispirate dalla carità, nascoste all'ammirazione degli altri, compiute soltanto sotto gli occhi del nostro Medico del cielo, che sa diagnosticare i mali dell'anima e sa pietosamente curarli.

Cominciamo dunque con determinazione e con spirito di fede la nostra cura quaresimale, e la «guarigione del nostro spirito» non potrà mancare

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