Card. CARLO CAFFARRA, MEDITAZIONE SU Mt. 20, 17-28

QUARTA STAZIONE QUARESIMALE 6 marzo 1996

Non lasciamo cadere nessuna parola di questa straordinaria pagina del Vangelo che è stata appena proclamata: essa infatti ci istruisce su ciò che stiamo ora vivendo e celebrando (1) e su come il Mistero celebrato deve plasmare la nostra vita e trasformarla (2).

1. Quale Mistero stiamo celebrando? “il Figlio dell’uomo sarà consegnato ...” poiché Egli “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita per molti”. Stiamo celebrando il mistero della passione, morte e risurrezione del Signore. L’Eucarestia, infatti, la S. Messa ri-presenta il sacrifico della croce: è lo stesso sacrificio della croce nei santi segni del pane e del vino. Ed oggi la parola del Signore ci svela l’intima natura di questo sacrifico. E’ il dono della sua vita che Egli ha liberamente compiuto. E’ il dono della sua vita che è un riscatto: mediante questo dono noi siamo liberati dalla nostra schiavitù. La schiavitù è quella profonda mancanza di libertà che ciascuno di noi sente nel suo cuore: schiavi del nostro egoismo, schiavi di ciò che possediamo, schiavi di un esercizio spesso ingiusto della nostra sessualità, schiavi della nostra vanità. E’ un riscatto per molti: esso non esclude nessuno. Ognuno di noi è stato riscattato. Ecco che cosa stiamo celebrando: il mistero della nostra liberazione.

2. Questo Mistero è celebrato perché la nostra esistenza ne sia trasformata. Fra poco, immediatamente prima della grande preghiera eucaristica, noi diremo: “volgi con bontà lo sguardo, Signore, alle offerte che ti presentiamo e per questo santo scambio di doni liberaci dal dominio del peccato”. Dal dominio di quale peccato? Riascoltiamo attentamente il Vangelo.
Se esaminiamo attentamente noi stessi, vediamo che tre sono le tentazioni fondamentali a cui possiamo andare soggetti: la tentazione dell’avidità del possesso (ricchezze), del dominio delle persone (potere e vanagloria), dell’autosufficienza di fronte a Dio (ritenerci giusti e non bisognosi della sua misericordia). Ma guardando le cose più in profondità, ci rendiamo conto che tutte e tre queste tendenze perverse hanno una sola radice; la paura di perderci, che genera precisamente il desiderio di cercare una sicurezza.
Ora potete capire quel che chiede la madre dei figli di Zebedeo: i primi due posti. E’ la seconda fondamentale tentazione. E’ la tendenza che ci porta sempre e comunque ad occupare i primi posti; è l’auto-affermazione, primo e ultimo frutto dell’egoismo; è il peccato originale, che sta all’inizio ed è la causa di ogni peccato. La conseguenza è che anche i rapporti umani vengono scardinati: cessano di essere di “reciprocità” nella identica dignità e diventano conflitto di opposti interessi. “Gli altri dieci, avendoli sentiti, si arrabbiarono contro i due fratelli”. Ecco il risultato: la società umana si trasforma in una lotta nella quale il più debole è inesorabilmente soccombente.
Fratelli, come si può uscire da questa situazione? Celebrando nella vita ciò che stiamo celebrando nella preghiera.
Gesù in questa pagina ci rivela il mistero della vera grandezza: è quello del Figlio dell’uomo che è venuto a servire e non ad essere servito. E quindi può spiegare la vera gerarchia all’interno della comunità dei suoi discepoli: “colui che vorrà essere il primo fra voi, si farà vostro schiavo”. Contro ogni ambizione stoltissima di carriera e di arrivismo nella Chiesa, Gesù dichiara che al primo posto si trova chi sta all’ultimo, perché Lui si è fatto il servo di tutti.
Essere “più che”, ecco il nostro inganno: voler ingrandire il proprio io sugli altri. E un “più” che va tolto, per non essere se non per gli altri.

CONCLUSIONE
Se diciamo che la proposta evangelica è impossibile per l’uomo, diciamo la verità. Ma Cristo ha dato la sua vita per liberarci da questa incapacità: l’incapacità di realizzare noi stessi nel dono di noi stessi.

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