La parabola dei vignaioli omicidi

Commento

Il profeta Isaia (5,5) nel suo celebre canto aveva descritto una vigna nella quale il padrone aveva riversato le più amorevoli cure, scegliendone il luogo in un terreno fertile, ripulendolo dai sassi e dagli sterpi, piantandovi la vite scelta, cintandola poi con un recinto di protezione e all'interno, in posizione favorevole, una torre dalla duplice funzione: guardia in cima e una pressa a livello di terra. Ma nonostante la cura la vigna produceva acri grappoli invece di uva dolce.
La spiegazione del canto allegorico ricordava che l'ingrata vigna era la nazione d'Israele e il suo padrone era Jahvè; il quale però, esasperato dalla sterilità della vigna, ne avrebbe abbattuto il recinto abbandonandola alla distruzione con conseguente crescita di rovi e spine.
La parabola è ripresa, ampliata e portata a compimento da Gesù che l'ha inserita in una cornice fortemente polemica. Non era necessaria la perizia dei Farisei nelle Sacre Scritture e la loro conoscenza della storia religiosa della propria nazione per comprendere all'istante che la vigna in oggetto era Israele, il padrone Dio, e i servi malmenati o uccisi erano i profeti, le cui morti violente formavano un lungo elenco necrologico all'interno delle pagine delle Scritture.
Oltre alla parte inerente il passato Gesù vi ha aggiunto, come conclusione, una parte riguardante il futuro, cioè che lo stesso figlio, inviato per ultimo dal padrone della vigna, viene percosso e ucciso. Gesù si è implicitamente svelato come Figlio di Dio, accusando in anticipo i colpevoli del loro futuro omicidio.
Si tratta della dichiarazione di autorità.
Alla non più velata minaccia sottintesa nel racconto sulla sua autorità, Gesù oppone il suo insegnamento circa il piano e il progetto di Dio, legato in modo unico e inscindibile al suo destino che si trasforma in giudizio storico per coloro che tentano di contrastare il fine ultimo dell'azione di Dio.
Tutto ciò viene esposto con una forma che utilizza immagini classiche della tradizione biblica: la vigna è il Regno di Dio, i servi i profeti, il proprietario della Vigna è Dio Padre, i vignaioli l'umanità intera con i suoi capi, i frutti la fedeltà alla legge di Dio portata a compimento da Gesù (la nuova ed eterna alleanza).
Il racconto si ispira alla tradizione socio-economica della Palestina del primo secolo. Gran parte della Galilea apparteneva a pochi proprietari stranieri. La lontananza dei padroni favoriva la rivolta dei coloni, che si rifiutavano di consegnare al proprietario della vigna il raccolto conforme al contratto di affitto e accolgono gli inviati del padrone a bastonate. Ma il racconto di Marco evidenzia il crescendo dell'ostilità violenta: oltraggi, percosse, omicidio. Tutte queste azioni contrastano con la pazienza, sembrerebbe incomprensibile, del padrone, il quale dopo l'invio fallimentare di molti servi, decide in ultima analisi di mandare in missione suo figlio, l'unico, il diletto, l'erede.
Come possiamo già notare risalta l'immagine del figlio erede che per noi cristiani fa emergere prepotentemente il ruolo e il destino storico di Gesù, l'ultimo inviato, oltraggiato e ucciso da quelli che pretendevano di gestire la vigna, ossia quel regno che doveva restare un dono di Dio Padre.
La forza del racconto è racchiusa nell'intreccio intelligente di tre azioni: la prima tra il padrone e i contadini; la seconda tra i servi e il figlio; la terza è intorno all'atteggiamento del padrone.
Il padrone e i contadini sono gli unici personaggi del racconto che agiscono e parlano. Dei servi e del figlio si narra la sorte che subiscono, ma di loro non viene riportato né un gesto né una parola. La storia infatti si svolge tra il padrone e i contadini. Il padrone ha la parola per primo e per ultimo: sua è l'iniziativa, come già abbiamo visto, di piantare una vigna e poi di inviare i servi, sua è anche la decisione finale di punire i contadini. Fra questi due punti, che appartengono esclusivamente al padrone, sono descritte due ostinazioni: da una parte il ripetuto tentativo del padrone di ottenere i frutti della sua proprietà, dall'altra il testardo rifiuto dei contadini di darglieli. Un primo insegnamento lo possiamo già trarre: i servi della parabola, come i profeti di Israele, non sono rifiutati, percossi e uccisi in ragione di qualche loro pretesa personale, ma unicamente perché inviati da Dio e portavoce delle sue esigenze. Ecco perché Gesù li fa agire senza parole e senza gesti: essi non sono figure autonome, ma il tutto viene rinviato a Dio.
I servi e il figlio, visti attraverso l'atmosfera di contrasto tra il padrone e i contadini, la parabola racconta una storia che rinarra quella del popolo ebraico: la fedeltà a Dio, l'infedeltà del popolo, il giudizio. Nel racconto si distinguono palesemente due parti: una prima nella quale si parla della missione dei servi, e una seconda dove viene descritta la missione del figlio. Gesù ha cura di distinguere chiaramente le due missioni. Anche perché diversamente da quello dei servi, l'invio del figlio è seguito dalla riflessione del padrone e anche la reazione omicida dei contadini è preceduta da una riflessione.
Altra cosa da tenere presente è che per il padre è il figlio amato mentre per i contadini è l'erede; inoltre la sua missione è l'ultima.
In ultima analisi, se prima la parabola poteva apparire come una semplice rinarrazione della storia di Israele, ora, a questo punto, risulta essere il suo vertice. E rispetto al canto di Isaia, vanta una novità fondamentale: Dio ha inviato il Figlio, non solo i profeti; e il popolo ha rifiutato il Figlio, non solo i profeti.
L'atteggiamento del padrone è paziente, ostinato. Egli spera fino all'ultimo: "Rispetteranno mio figlio!". Tuttavia anche la sua pazienza ha un limite e non può accettare che la violenza dei contadini continui all'infinito. Non gli resta che andare di persona per infliggere un severo castigo: "Verrà e sterminerà i contadini e darà la vigna ad altri".
Per il profeta Isaia il giudizio finale è l'abbandono, mentre Gesù vi aggiunge un secondo tratto che svela un mistero: la vigna sarà data ad altri. In pratica il dono del regno di Dio passa da Israele ai pagani. Qualcuno potrebbe obiettare: non è Israele il popolo della promessa, al quale Dio ha giurato fedeltà?. La risposta è che Dio è fedele, certo, ma la sua fedeltà non può prescindere dal giudizio. Dio non abbandona il suo popolo, ma, anzi, è il popolo che ha rifiutato Dio.
Questo stile dell'azione di Dio vale per tutti i tempi. Contesta la sicurezza e i privilegi anche di una comunità cristiana, che pretenda di possedere in modo irreversibile il monopolio del regno di Dio. L'unica garanzia è quella legata alla fedeltà e gratuità di Dio e alla libera fede dell'uomo.
In definitiva, Gesù, come il figlio della parabola , è una pietra scartata dai costruttori, ma, nel progetto ultimo di Dio, è diventato la pietra d'angolo, che tiene unito e dona saldezza a tutto l'edificio.
La conclusione della parabola mette in luce la forza critica della parola di Gesù. Non si tratta di comprendere una teoria, ma di accogliere una persona. Ecco perché i capi, contro i quali direttamente è rivolto il racconto, comprendono il suo significato polemico ma non riescono ad accogliere la sua proposta salvifica. La parola di Gesù esige una decisione. Non esiste neutralità davanti alla sua persona. La parola di Gesù è selezionatrice, perché provoca la risposta dell'uomo.
Concludo con alcune domande: noi oggi ci identifichiamo nei contadini o nei servi? Accogliamo la proposta salvifica di Gesù?


La parabola dei vignaioli omicidi

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La parabola dei vignaioli omicidi, che la Chiesa assegna alla tredicesima domenica dopo la Pentecoste, appare in tutti e tre i Vangeli sinottici. Il brano che abbiamo letto è quello del Vangelo Secondo Matteo (al capitolo 21). In questa storia strana, ricca di simboli e di tensione drammatica, si racconta con minuzia di dettagli la preparazione di un terreno, e tre diversi episodi in cui i lavoratori assegnati ad avere cura del terreno maltrattano gli emissari del loro padrone. Nell'ultimo dei tre incidenti, è il figlio stesso del padrone a essere gettato fuori della vigna e ucciso.

La storia è presentata come una condanna a quegli ebrei che presto avrebbero rifiutato il Messia (e di fatto, alla conclusione del brano, si sente serpeggiare l'ira dei sacerdoti e dei farisei, che capiscono che la parabola riguarda loro stessi); come accade nei passi del Vangelo, tuttavia, ci sono molti altri significati racchiusi in queste parole. Ricordiamoci anzitutto che c'è in gioco la nostra salvezza, e c'è sempre un significato delle parole del Vangelo che illustra direttamente il processo della salvezza. Qui lo scopo della parabola, ovvero l'aspettativa del padrone della vigna, non è nient'altro che la crescita dei beni che Dio ci ha dato, o che ha "piantato" in noi.

In questo racconto, il padrone della vigna è indubbiamente Dio. La vigna, nell'interpretazione che i sacerdoti e i farisei colgono subito, è il popolo di Israele, guidato da capi disonesti, che invano il Signore cerca di avvertire inviando i suoi profeti, e in ultimo il proprio stesso Figlio. Con la venuta del Messia, possiamo ora vedere anche la Chiesa come vigna, o popolo, del Signore. Ma in una visione più interiore dei simboli di questo racconto, la vigna rappresenta noi stessi, forniti di tutto il necessario per la salvezza tramite il battesimo e la molteplice e continua misericordia di Dio, nonché, come dice il Beato Teofilatto nel commentario a Luca 20:9-16, "responsabili della coltivazione di noi stessi".

Matteo, più di Marco e Luca, insiste nel suo racconto sui particolari della costruzione della vigna: il padrone "piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre" (Mt 21:33) Tutti questi dettagli hanno qualcosa da dirci. Una siepe di recinzione viene di solito piantata per proteggere un terreno dagli animali predatori e dai ladri. Questa era la funzione della Legge, che proteggeva il popolo ebraico dalla contaminazione pagana dell'idolatria. Secondo un'altra interpretazione che ci danno i Padri la siepe rappresenta gli angeli, che custodivano Israele. In entrambi i casi, la siepe protegge quanti credono in Dio in modo corretto, e lo adorano in Spirito e verità. Un simbolo simile è il fianco di una nave, che protegge i marinai dalle tempeste (anche l'arca e le navi, così come la vigna, sono forti simboli della Chiesa).

Il frantoio, che era usato come pressa per i grappoli d'uva, è visto come simbolo dell'altare, che era tanto essenziale nel culto e nei sacrifici ebraici, e che prefigurava, con il sangue degli animali sacrificali, il Sangue redentore di Gesù Cristo. Oggi l'altare è ancor più importante per noi, dato che da esso ci viene data in nutrimento la "medicina dell'immortalità" (la Santa Eucaristia). La torre (che nell'usanza ebraica conteneva il frantoio e il magazzino dell'uva e del vino) è il Tempio: si tratta del luogo in cui il lavoro della vigna trova il suo compimento, e nel quale i lavoratori ricevono ristoro e protezione.

Tutta la preparazione della vigna è fatta dal padrone: i vignaioli sono lasciati responsabili della vigna DOPO che questa è stata piantata. Succede lo stesso nella vita cristiana. Dio si rivela a noi attraverso la sua misericordia, e ci dona tutto il necessario per la nostra salvezza. Non dobbiamo appropriarci il credito delle cose che ci sono date, poiché "Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene" (Ef 2:8-9). Tuttavia, dopo che ci è donata la grazia del battesimo, dobbiamo prenderci cura della vigna, vale a dire, compiere il proposito per cui Dio ci ha creati: "Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo" (Ef 2:10).

Anche i vignaioli possono essere interpretati in due modi. I primi vignaioli sono gli insegnanti del popolo ebraico, gli scribi e i farisei (che del resto si riconoscono subito nel racconto del Signore). Ai nostri tempi, i vignaioli sono i pastori della Chiesa, i vescovi, i preti che rappresentano i vescovi nelle parrocchie, e tutti i cristiani che credono e agiscono rettamente.

Dopo che la vigna è stata affidata ai vignaioli, il padrone va "in un paese lontano". C'è sempre un profondo significato in questi spostamenti: pensate, per esempio, a quanto è importante il senso del "paese lontano" nella parabola del figliol prodigo, in cui l'allontanamento significa l'abbandono della virtù. In questo caso, però, è Dio stesso ad allontanarsi, e questo può far pensare che Egli voglia abbandonare il suo popolo. Tutt'altro: come si vede in seguito, ogni istante riflette la preoccupazione del padrone per la sua vigna. Ma Egli agisce sempre attraverso intermediari, e in questo si manifesta il grande mistero dell'amore e della pazienza di Dio, che aspetta il nostro pentimento senza intimidirci con una sua presenza potente o schiacciante. Se sappiamo usare bene il tempo che il Signore ci dà proprio quando Egli sembra più lontano da noi, allora sapremo anche trarre frutto dalla libertà di azione che ci ha donato.

Conoscendo la nostra debolezza, tuttavia, Dio ci manda anche altri stimoli a seguirlo, attraverso persone che parlano a suo nome (è questo il senso più autentico della parola "profeti"). Ecco il senso dei servitori che vengono inviati a più riprese a reclamare i frutti della vigna per conto del padrone. Essi arrivano "quando è il tempo dei frutti", e di fatto l'intera era dei profeti era un periodo in cui si predicava l'arrivo imminente del Messia e la prossima redenzione dell'uomo. Le sventure a cui vanno incontro i profeti sono ben note (pensiamo a Isaia segato in due, a Geremia malmenato e gettato in un pozzo, a Elia inseguito dai cani da caccia, a Zaccaria ucciso tra il tempio e l'altare): La Lettera agli Ebrei, al capitolo 11, ne offre un resoconto drammatico.

Alla fine, il messaggio dei profeti (in questa parabola, così come nella storia della salvezza) si compendia nella venuta del Figlio unigenito di Dio. Nella parabola, Gesù profetizza la sua stessa morte parlando della morte del figlio "cacciato fuori" dalla vigna (il Signore fu crocifisso fuori delle mura di Gerusalemme). Può sembrare strano che il padrone della vigna (che dopotutto è Dio, e ci si aspetta che conosca il cuore degli uomini) si ponga una domanda sull'efficacia del ruolo del figlio, e addirittura (nel Vangelo di Luca) mostri incertezza: ma questo dubbio apparente vuole insegnarci che Dio ci dà piena libertà di scelta, e la sua conoscenza anticipata delle cose non è la causa della nostra disubbidienza (Beato Teofilatto, Commentario su Luca 20:9-16). Questa forma letteraria si trova presto nelle Scritture.

La parabola si chiude con una profezia sul fato dei vignaioli omicidi, che nel caso dei sacerdoti e dei farisei si compì esattamente trentacinque anni dopo quello stesso giorno, quando Tito distrusse la "vigna" di Gerusalemme. La vigna del popolo di Dio fu passata quindi ad altri vignaioli, i pastori e i fedeli della nostra Chiesa. Ancora oggi, cari fratelli e sorelle, spetta a ciascuno di noi il compito di custodire la vigna del Signore e portare i frutti che sono stati seminati in noi al momento del battesimo.

Al termine del brano del Vangelo c'è una citazione, in cui Cristo parla di se stesso:

La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?

(Salmo 117:22-23)

Questi due versi sono letti spesso in Chiesa (nella maggior parte degli offici del Mattutino, al canto antifonale di "Dio è il Signore". Una testata d'angolo è la pietra più solida si un edificio, che tiene in piedi assieme due muri. Nella comprensione della Chiesa, Cristo è la pietra angolare che tiene assieme i "muri" degli ebrei e dei gentili. Rifiutando Cristo come pietra angolare, gli scribi e i farisei (di ogni epoca) perdono il Regno di Dio, che viene dato ad altri.

"Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà" (Mt 21:44) Questa promessa è terribile e al tempo stesso enigmatica. La profezia di distruzione, da una parte, è rivolta direttamente agli ebrei, realizzandosi alla vista di tutti nella distruzione di Gerusalemme. L'altro aspetto della profezia riguarda tutti coloro che incontrano Cristo, e indica la perdita totale di un'anima che rifiuta di credere in lui: la prima parte del verso parla tuttavia del processo di redenzione dei peccatori, come dice San Girolamo:

"Chiunque pecca, ma crede in lui, cade invero su una pietra e si spezza, ma non viene distrutto del tutto, bensì è custodito per la salvezza attraverso la perseveranza. Ma su chiunque cade la pietra, ovvero chiunque assale questa pietra negando completamente Cristo, essa lo stritolerà in tal modo, che non rimanga in lui un osso da cui poter trarre una goccia d'acqua."

Chiediamo a Dio, mentre si avvicina il "tempo dei frutti" della nostra vita, di saper riconoscere sempre la pietra d'angolo su cui è costituita la nostra esistenza e la nostra felicità.

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