Un uomo ricco vestiva di porpora e bisso P. R. Cantalamessa

Il Vangelo di domani, XXVI Domenica del tempo ordinario, è la parabola del ricco epulone. Ascoltiamone subito l’inizio che ci dà il quadro della situazione.

“C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe”.

Qualche veloce nota di commento su questa prima parte. “Quello che cadeva dalla mensa del ricco” non indica probabilmente le briciole, come si pensa di solito, ma quei pezzetti di focaccia che servivano per intingere la salsa dalla ciotola comune e per detergersi le dita, che venivano poi gettati per terra. Qualcosa di più misero quindi delle stesse briciole. Quanto ai cani che leccavano le piaghe, essi non alleviano, ma accrescono la sofferenza del mendicante; paralitico com’è, non riesce a tenere lontano dalle sue piaghe i cani randagi che si aggirano intorno a lui.

Ma non indugiamo oltre su questi aspetti secondari; non smussiamo il filo della spada. La cosa principale da mettere in luce, a proposito della parabola del ricco epulone, è la sua attualità: la vicenda si ripete oggi a livello addirittura planetario. I due personaggi stanno per due emisferi: il ricco epulone rappresenta l’emisfero nord; il povero Lazzaro è, con poche eccezioni, l’emisfero sud. Due personaggi, due mondi: il primo mondo e il “terzo mondo”. Due mondi di diseguale grandezza: quello che chiamiamo “terzo mondo” rappresenta infatti i “due terzi del mondo”.

Ho invitato Claudia Koll a commentare con me questo vangelo perché so quanto l’esperienza di prima mano da lei fatta in questo campo in Africa è stata decisiva nel dare un nuovo orientamento alla sua vita…

La cosa forse più odiosa, nella storia narrata da Gesù, è l’ostentazione del ricco, il fare sfoggio della sua ricchezza, senza ritegno alcuno verso il povero. Il suo lusso si manifestava, abbiamo sentito, soprattutto in due ambiti, nel mangiare e nel vestire: il ricco banchettava lautamente e vestiva di porpora e bisso, che erano stoffe da re. Il contrasto non è solo tra chi scoppia di cibo e chi muore di fame, ma anche tra chi cambia un vestito al giorno e chi non ha uno straccio da mettersi addosso.

Sono stato anch’io in diversi paesi africani e mi sono reso conto di una cosa: ciò che umilia di più il povero lì, non è tanto non avere da mangiare (questo si svolge dentro casa e nessuno lo sa), ma l’andare in giro, o mandare in giro i propri figli, con un brandello di panno lacero e sporco addosso, giusto per poter dire che non si è nudi del tutto come le bestie. E pensare che da noi, a una sfilata di moda, fu presentato una volta un vestito tutto di lamine d’oro zecchino, prezzo oltre un miliardo.

Come possiamo pretendere che i paesi del terzo mondo lottino al nostro fianco contro il terrorismo e piangano con noi la morte di tanti bambini innocenti, se vedono che l’occidente si interessa così poco della loro povertà e dei milioni di loro bambini che ogni anno muoiono di fame e di malattie?

Continuiamo la lettura.

“Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora, gridando, disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti”.

La novità e la forza della denuncia evangelica dipende tutta dal punto di osservazione della vicenda. Tutto, nella parabola del ricco epulone, è visto retrospettivamente, come in flashback, dall’epilogo della storia. Morì il povero e morì anche il ricco. Morirono dunque tutti e due, ma con esito ben diverso. Uno fu portato nel senso di Abramo, l’altro fu sepolto nell’Ade. Gesù non condanna, neppure in questo caso, la ricchezza in sé, ma l’uso che se ne fa; condanna l’egoismo sfrenato che rende impermeabili a ogni sentimento di solidarietà umana.

La denuncia di Cristo, a differenza di altre analoghe fatte lungo i secoli della ricchezza e del lusso sfrenato, dopo duemila anni, conserva intatta la sua carica perché a pronunciarla non è un uomo di parte che sta o per i ricchi o per i poveri, ma uno che sta al di sopra delle parti e si preoccupa sia dei ricchi che dei poveri, anzi forse più dei primi che dei secondi (questi li sa meno esposti al pericolo!).

I ricchi epuloni non sono solo i ricchi di soldi, sono anche i ricchi di popolarità, di fama, di bellezza. Claudia, non si offenda se dico che in questo senso anche lei era una “ricca epulona”. Vuole dirci cosa è successo nella sua vita se ora si interessa così attivamente dei poveri del terzo mondo e, anziché sugli schermi televisivi di prima serata, è qui con un povero frate a commentare il vangelo?... La parabola del ricco epulone ha un finale:

“Il ricco replicò: Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”.

Anche oggi il ricco epulone ha cinque (cioè, molti) fratelli nel mondo. In confronto a tanta parte del resto del mondo, noi italiani ed europei siamo, tutti, chi più chi meno, fratelli del ricco epulone! Speriamo che l’invito di Cristo ad accorgerci del povero Lazzaro non cada nel vuoto, ma trovi un eco nel cuore di ciascuno di noi, come l’ha trovato nel cuore della nostra amica Claudia.

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