OMELIA DI MONS. CAFFARRA SULLA PARABOLA DEL RICCO EPULONE E DEL POVERO LAZZARO

OMELIA DI MONS. CAFFARRA. DOMENICA XXVI PER ANNUM (C)

Montesole 26 settembre 2004


1. La pagina evangelica appena proclamata merita di essere attentamente meditata ed assimilata, perché siamo liberati da quella sorta di "ipnosi della realtà visibile" che ci impedisce di vedere oltre essa. Anzi, che ci porta fino alla negazione che esista una realtà invisibile.

Come avete sentito, la pagina evangelica disegna due quadri nei quali sono raffigurate due persone separate dalla loro condizione sociale: "un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante di nome Lazzaro … coperto di piaghe bramoso si sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco".

In realtà questa è la condizione, se così possiamo dire, storica dei due personaggi. Ma questa – la condizione storica – non è la condizione definitiva. Essa infatti finisce inesorabilmente: "un giorno il povero morì… morì anche il ricco e fu sepolto". La morte "pareggia tutte le erbe del prato"! ma la morte non dice l’ultima parola sulle vicende umane. Essa introduce in una condizione definitiva, eterna, nella quale si ha un totale capovolgimento del proprio destino: il povero "fu portato dagli angeli nel seno di Abramo"; il ricco nell’inferno tra i tormenti.

2. Carissimi fedeli, ci troviamo in un luogo che nella storia e nella coscienza del nostro popolo è luogo sacro per il sacrificio di vittime innocenti, di sacerdoti che diedero la vita per non abbandonare il loro gregge.

La presenza delle autorità civili e militari, che ringrazio sentitamente, indica che questo luogo rivolge una parola che riguarda l’uomo come tale, prima che si distingua la sua appartenenza alla città e la sua appartenenza religiosa. Parola grande, che oggi ci arriva attraverso la pagina santa del Vangelo.

Anche qui si incontrarono due persone in condizioni morali diametralmente opposte: la persona di innocenti deboli coinvolti dentro ad una tragedia senza limiti e la persona di carnefici prepotenti. La "povertà" della vittima; la "prepotenza" del carnefice. Ed in quei momenti, le prime sembrarono risultare soccombenti, vinte. Ma in realtà non è stato questo l’esito definitivo di quello scontro.

Non pensate, in questo momento, che stia parlando dell’esito finale della guerra: avvenimento che accade pur sempre nel mondo della storia visibile degli uomini. La pagina evangelica ci educa ad uno sguardo ben più penetrante.

Le vittime qui cadute ci indicano l’esistenza di un universo di valori ben più solido, ben più reale dell’universo nel quale siamo normalmente immersi e nel quale ogni giorno rischiamo di perire. Qui è stata affermata una forza nella debolezza, una giustizia contro la prepotenza, una carità contro l’odio, che sono le uniche ragioni per cui vale veramente la pena di vivere e se necessario anche di morire.

Le vittime qui cadute sono così le pietre immacolate di una dimora – di una società – che sia veramente adeguata alla dignità della persona. Alla fine chi ha vinto: la vittima o il carnefice? Il carnefice è sempre sconfitto, perché non uccide la vittima, ma uccide in se stesso la propria umanità.

"Ma Abramo rispose: hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro". Anche su questo monte si può, si deve ascoltare una profezia detta non colle parole ma col sangue versato. È la profezia che non si può costruire una società basata sul conflitto e sulla estraneità dell’uomo dall’uomo. E quindi la "profezia di Monte Sole" non è ascoltata da chi ne fa occasione per ricostruire fazioni e contrapposizioni.

Su questo monte, non senza una divina ispirazione, Don Dossetti ha voluto che i figli e le figlie della comunità dell’Annunciazione fossero il segno permanente di quel mondo nuovo che Cristo ha ricreato; che proprio su questo monte essi intercedessero quotidianamente mediante "un sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome" [Eb 13,15].

3. Carissimi fedeli, fra pochi istanti attraverso i santi segni sacramentali saremo presenti al sacrificio di Cristo, vittima innocente di tutte le nostre ingiustizie. È questo sacrificio che ha abbattuto ogni muro di separazione: dell’uomo da Dio, dell’uomo dall’uomo, dell’uomo da se stesso. È solo in Lui che l’umanità disgregata può ritrovare la sua vera unità.

Le vittime innocenti qui cadute; i sacerdoti che hanno donato la loro vita, siano uniti a noi perché la partecipazione a questo grande Mistero ci ridoni speranza e forza per non rassegnarci mai al male.

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