Venerdì della IV settimana di Quaresima

Gv 7,1-2.10.25-30

In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo.
Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne.
Andati i suoi fratelli alla festa, vi andò anche lui; non apertamente però, di nascosto.
Alcuni di Gerusalemme dicevano: “Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia”.
Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: “Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato”.
Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora.


IL COMMENTO

La festa delle Capanne era una festa importantissima. "La" festa. Ricordava il dono della Torah e il tempo del deserto, le viscere nelle quali si è formato il popolo di Israele. Il suo catecumenato dove ha imparato a conoscere Dio e a conoscere se stesso. E, al tempo di Gesù, una festa con fortissime connotazioni messianiche: L'aria era pregna d'attesa. La schiavitù e l'asservimento a Roma erano impossibili. Durante la settimana della festa il popolo si costruiva delle capanne e vi dimorava in ricordo dei quarant'anni nel deserto. E che deserto era il giogo romano. Il nostro deserto. Di oggi. Di ieri. D domani. Le nostre attese. Le speranze piagate da una catena di fallimenti e disillusioni. Dove sei Signore? E un uomo. "L'Uomo". Troppo uomo. Troppo comprensibile nella Sua umanità. No. Non può essere il Messia. Il figlio di un falegname. No. Questa precarietà, questa fragilità. Il Messia, il Salvatore, porrà termine a tutta questa incertezza, alla dura precarietà della vita. Finirà il tempo dell'attesa, smonteremo le capanne, mettere radici e nulla più ci creerà problemi. E invece ecco l'uomo. Come tutti. Debole, fragile e precario. Anche Lui in una capanna, la Sua vita come quella di ciascuno di noi, in una barca in mezzo alle onde. No. Nazaret, la Galilea, niente studi, niente portenti. No. Conosciamo fin troppo bene quest'uomo. Non è di Lui che abbiamo bisogno, ma di forza, intelligenza, programmazione e tanti bei miracoli a risolvere le nostre sofferenze e porre fine alla precarietà.
E invece la Buona Notizia è proprio la precarietà. Le capanne, un servo che si fa ultimo, un agnello che si fa macellare. Un Uomo che è Dio e rende divina ogni precarietà. Che fa della vita un prodigio, ogni lacrima, ogni angoscia, ogni dubbio ogni paura, ogni dolore, tutto assunto dal Dio fatto uomo, e trasfigurato e divinizzato. Lui, il Messia, nel nostro deserto a fare di questo deserto, questo di oggi della mia vita, un Giardino. Il paradiso nel deserto, la vita nella morte. Il Messia, Gesù, non cambia nulla, neanche una virgola delle nostre esistenze. Le assume, oggi, come ieri come domani, le fa Sue, le rende DIVINE, le ricolma di Vita e le fa sante. Vivere nelle capanne, in una totale precarietà, con il Signore. Vivere il Cielo qui sulla terra. Sperimentare l'amore tra le difficoltà. LA PACE, il dono messianico. Nella capanna che è la nostra vita, unica certezza, il Suo amore. Istante dopo istante. Questa è la notizia, la buona notizia per noi oggi: Tutto è santo perchè tutto è Suo, e noi siamo Suoi. Per sempre. Ovunque.

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