Ho alzato le mani al cielo, verso la grazia del Signore.
Egli ha gettato lontano da me le mie catene.
Il mio protettore mi ha innalzato secondo la sua grazia e la sua salvezza.
Mi sono spogliato dell’oscurità e ho rivestito la luce ;
le mie membra non provano più né pena, né angoscia, né dolore.
Ero disprezzato e riprovato agli occhi della moltitudine.
Mi hai dato forza e soccorso.
Hai posto la luce alla mia destra e alla mia sinistra.
Tutto in me sia luce !
Ho rivestito l’abito del tuo Spirito,
e mi hai spogliato della tunica di pelli.
La tua destra mi ha innalzato e ha cacciato lontano da me la malattia.
La tua verità mi ha irrobustito e la tua giustizia mi ha santificato.
Sono stato giustificato dal tuo amore dolcissimo,
e il tuo riposo è per me nei secoli dei secoli !
Alleluia !
Ode di Salomone
Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45.
Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: «Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
IL COMMENTO
La compassione gioca brutti scherzi. Anche a Gesù. Nel Vangelo di Marco ricorre il cosiddetto segreto messianico, il silenzio che Gesù impone perchè non fosse rivelata la sua identità confidata agli apostoli, e non fossero divulgati i suoi miracoli. Gesù riconosceva in questa sorta di segreto il piano di Dio, il cammino al compimento della sua Volontà. Essa non contemplava azioni eclatanti volte a chiamare l'attenzione, come ad obbligare a credere; piuttosto il piano di Dio mirava senza indugio a Gerusalemme, al rifiuto e alla Croce. I segni, i miracoli, dovevano costituire il linguaggio in codice che indicava le tracce della salvezza incipiente, codice che solo i piccoli, i poveri, i peccatori avrebbero decifrato. Ad esso Gesù si voleva adeguare.
Ma la compassione lo trascina in qualcosa di diverso. Mentre il segreto sulla sua identità di Figlio di Dio è stato mantenuto dagli apostoli e non sarebbe stato svelato pubblicamente che nella Passione dinnanzi al Sommo Sacerdote, per i miracoli la cosa è andata diversamente. La fama di Gesù infatti si andava estendendo "al punto non poteva più entrare pubblicamente in una città". La fama che derivava dalla sua compassione. Questa parola traduce in italiano l'ebraico rahamin, che rimanda all'amore viscerale di una madre (rehem = utero, seno materno). La compassione svela dunque il cuore materno di Gesù. Un cuore da cui sgorga un amore capace di dare alla luce, di creare e ricreare. La guarigione del lebbroso scaturisce dunque dalle stesse viscere del Signore, laddove vibra l'amore sconfinato di una madre, e più di una madre. "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti porto tatuato sulle palme delle mie mani" (Is. 49,15 s.).
Il lebbroso, reietto, impuro e impossibilitato ad avvicinarsi a chiunque (cfr. Lv. 13), sente che con Gesù può infrangere le regole. Lui sa che in quell'uomo si cela un cuore di madre. Di sua madre. Allora non può temere, e si fa audace, e varca il limite imposto dalla legge che solo può attestare il male e cercare di arginarlo. Passa Gesù, e quel lebbroso intuisce che il Tempio, il culto, la vita del Popolo Santo, tutto quanto gli era stato interdetto è di nuovo lì, accanto a lui. Quell'uomo distrutto, disprezzato, solo, sa che Gesù può salvarlo, ridonargli la vita vita perduta, forse mai assaporata. E' la fede che riconosce, intimamente, il cuore materno di Gesù. Può fidarsi perchè è proprio da Lui che egli stesso proviene; la pelle straziata, le membra squassate, non possono cancellare la verità: non c'è nessuno al mondo che gli provochi gli stessi sentimenti. Lui assomiglia a Gesù, anche se i tratti somatici sono ormai sconvolti. Loro due hanno molto in comune, non sono estranei.
Forse, in quell'impeto misterioso che la fede sa muovere, quel lebbroso ha visto Gesù sulla via del Calvario, e lo ha visto come se si fosse guardato in uno specchio, senza apparenze d'uomo disprezzato, rifiuto degli uomini, come uno davanti al quale ci si copre il volto (Cfr. Is. 53). Lo ha visto come un altro se stesso, come se stesso, lebbroso e crocifisso. Era ora dinnazi all'uomo dei dolori, che conosce bene il patire; era quel Profeta di Nazaret, era Gesù il Sommo Sacerdote dal quale aveva sognato di andare un giorno a presentare la sua carne guarita come prescriveva la Legge; e il Sommo sacerdote di cui aveva bisogno, Santo, perfetto e separato dagli uomini, ora era lì, accanto a lui; non si trovava nel Tempio ad aspettare per certificare, ma gli era accanto, dentro alla sua solitudine. Era il Sommo Sacerdote che sapeva compatire le sue infermità, perchè sarebbe stato lui stesso, di lì a poco, provato in ogni cosa, anche nella sua lebbra, eccetto il peccato. Quel lebbroso si poteva dunque accostare con piena fiducia la trono della Grazia, per ricevere misericordia e trovare Grazia ed essere aiutato al momento opportuno (cfr. Eb. 4, 15-16).
Per questo sgorga dal cuore del lebbroso in ginocchio l'invocazione che è una professione di fede: "Se vuoi puoi guarirmi". Mi hai amato, pensato e creato tu, sono tuo, se vuoi puoi ancora aver misericordia, tu conosci, come solo una madre può conoscere, le mie sofferenze. Sono carne della tua carne, e tu, con questa stessa carne, distruggerai la morte. Distruggila ora in me, tu puoi, se vuoi. E le viscere di Gesù si commuovono, come per un figlio, e le sue mani toccano quelle carni straziate. Quelle mani che lo portavano, da sempre, tatuato, quale figlio carissimo e preziosissimo. Quelle mani che saranno trapassate dai chiodi a far scaturire il sangue che laverà ogni peccato ed ogni lebbra.
Ma la compassione gioca un brutto scherzo a Gesù. Seppur intimato severamente di non dire nulla ma di andare finalmente ai sacerdoti per testimoniare l'avvento del Messia attraverso ll segno compiuto in lui, il lebbroso comincia, ebbro di gioia, ad annunciare la Buona Notizia. L'esperienza travolgente non può essere contenuta, prorompe in grida di lode. Il lebbroso diviene apostolo, annunciatore, araldo, e senza aver studiato; la Buona Notizia la portava nella carne, era luce e sale e lievito perchè recava in sé l'opera di Dio compiuta in lui, il Mistero Pasquale incarnato.
In Lui era stata vinta la lebbra, la solitudine, il peccato, la morte. Era la sua vita a parlare, era la sua carne rigenerata a gridare la vittoria di Gesù. Le parole avrebbero solo spiegato, dato ragione di un fatto, un avvenimento incontrovertibile. E' questa la missione della Chiesa, e di ogni apostolo: far presente nella propria concreta esistenza la Buona Notizia. Mostrare i segni e i prodigi che accompagnano la parola della predicazione. E non sono cose che si imparano, sono fatti, esperienze, vita. E' la fede che si fa notizia. Certo è necessario approfondire, studiare, ma la prima e fondamentale formazione di ogni apostolo è sul campo, quello della propria vita. Si può essere finissimi esegeti, acuti teologi, accorti liturgisti, ma senza fede si resta come cembali tintinnanti.
Così la compassione di Gesù ha dischiuso le porte all'evangelizzazione, senza averla prevista e preparata a tavolino. Anzi, sorprendendo e spiazzando anche Gesù. Quel miracolo doveva restare segreto, avrebbe poi pensato Lui ad inviare i suoi discepoli. Ma il lebbroso disubbidisce, non può tacere, è ridiventato bambino, ed i bambini non sanno mantenere i segreti. E si apre una falla nel piano di Dio. Può sembrare assurdo e paradossale, ma il Vangelo ce lo mostra così. Gesù è costretto a fare i bagagli e scappare nel deserto. Va a rifugiarsi da dove il lebbroso era scappato ormai libero dalla sua lebbra. La compassione ha condotto Gesù per un cammino che non sembra avesse previsto. Perchè è proprio la compassione che guida i suoi passi, la natura divina che muove la sua natura umana. Gesù è come il vento, si lascia portare e non si oppone alla sconfinata misericordia del Padre che scuce le trame della sua stessa volontà per aprirle all'infinita urgenza dell'amore.
Sì, in questo passo del Vangelo si ode l'eco della voce di Maria a Cana che spinge Gesù ad anticipare la sua ora. Come gli sposi di Cana hanno fatto scoccare, anticipata, l'ora di Gesù, che si sarebbe compiuta sul Golgota, così nelle carni del lebbroso la stessa ora si fa urgente e presente, accolta e anticipata dalla misericordia. E quell'ora giunta improvvisa e fuori tabella svela la libertà intrisa d'amore di Gesù. Il suo cuore brucia di compassione e guarda senza limiti, esattamente come guarda il Padre.
Lebbrosi sanati, anche noi siamo chiamati alla stessa libertà. L'esperienza del potere di Gesù Cristo su ogni nostra lebbra ci apre inevitabilmente ad una vita posta sul candelabro. L'audacia della fede nella quale possiamo vincere l'orgoglio nascosto che ci fa paurosi e incapaci di implorare aiuto, ci svela la nostra più intima vocazione. L'urgenza della nostra salvezza captata dal cuore materno di Gesù ci sospinge nell'arena delle urgenze del mondo. Non possiamo restare aggrappati ai nostri sogni, ai nostri progetti, anche a quelli più santi. Sognare è giusto, fare progetti è divino, ma noi siamo di Dio, la sua libertà è il nostro tesoro, la stessa che ha mosso Gesù ad anticipare la sua ora, a cedere all'urgenza dell'amore e giocarsi la vita molto prima dello stesso piano di Dio. Possiamo sognare e progettare il nostro futuro lasciandoglielo nelle sue mani; possiamo ogni giorno sognare con Lui, progettando e desiderando con le sue mani, con i suoi occhi, con il suo cuore. Non ci sarà tolto nulla, anzi, i sogni, i desideri e i progetti si dilateranno all'infinito, togliendoci il respiro ed inondandoci di gioia e di pace.
La compassione infatti spariglia e ci schiude orizzonti impensati. Mentre siamo chini sulle nostre sofferenze, ci intristiamo alla ricerca della volontà di Dio che non riusciamo a trovare, o siamo prigionieri di progetti che non riusciamo a realizzare, anche oggi Gesù giunge alla nostra vita, la tocca, la ricrea, ne fa un prodigio. E' il segno che può sconvolgere i nostri piani e le nostre speranze, e svelarci un orizzonte che neanche immaginiamo. La nostra vita è dentro un'urgenza più grande dei nostri pensieri. Lasciamoci accompagnare da Gesù sulle strade della libertà, quella che rimette tutto di noi a Dio. Che faccia di noi quel che vuole, che la sua compassione ci trasformi in segni di misericordia per ogni uomo. Ovunque. In qualsiasi momento. Anche ora, al lavoro, a casa, o a migliaia di chilometri. Che la compassione possa anche oggi giocarci lo scherzo di una vita nuova abbandonata alla volontà di Dio.
Evangelio según San Marcos 1,40-45.
Entonces se le acercó un leproso para pedirle ayuda y, cayendo de rodillas, le dijo: "Si quieres, puedes purificarme".
Jesús, conmovido, extendió la mano y lo tocó, diciendo: "Lo quiero, queda purificado".
En seguida la lepra desapareció y quedó purificado.
Jesús lo despidió, advirtiéndole severamente:
"No le digas nada a nadie, pero ve a presentarte al sacerdote y entrega por tu purificación la ofrenda que ordenó Moisés, para que les sirva de testimonio".
Sin embargo, apenas se fue, empezó a proclamarlo a todo el mundo, divulgando lo sucedido, de tal manera que Jesús ya no podía entrar públicamente en ninguna ciudad, sino que debía quedarse afuera, en lugares desiertos. Y acudían a él de todas partes.
COMENTARIO
La compasión puede transformarse en una "trampa". También por Jesús. En el Evangelio de Marco recurre el asillamado secreto mesiánico, el silencio que Jesús impone porque no fuera revelada su identidad confiada solamente a los apóstoles, y no fueran divulgados sus milagros. Jesús reconoció en este secreto el plan de Dios, el camino al cumplimiento de su Voluntad. Ella no contemplava acciones epatantes para llamar la atención, como a obligar a creer; el plan de Dios mirava derecho y sin demora a Jerusalén, al rechazo y a la Cruz. Las señales, los milagros, constituian el lenguaje en código que indicva las huellas de la salvación incipiente, código que sólo los pequeños, los pobres, los pecadores habrían descifrado. A ello Jesús se quiso adecuar.
Pero la compasión lo arrastra en algo diferente. Mientras el secreto sobre su identidad de Hijo de Dios ha sido mantenido por los apóstoles y no habría sido desvelado públicamente que en la Pasión frente al Sumo Sacerdote, por los milagros la cosa ha ido de otra manera. En efecto la fama de Jesús se fue extendiendo "de tal manera que ya no podía entrar públicamente en ninguna ciudad." La fama que brotava de su compasión. Esta palabra traduce al español el hebreo rahamin, que se refiere al amor visceral de una madre, rehem = útero, seno materno. La compasión desvela pues el corazón materno de Jesús. Un corazón de que desatasca un amor capaz de dar a la luz, de crear y recrear. La curación del leproso mana de las mismas entrañas del Dios, allì donde vibra el amor ilimitado de una madre y más que una madre. "¿Quizás se olvida una mujer de su niño, así de no conmoverse para el hijo de sus entrañas? Aunque esta mujer se olvidaria, en cambio yo no te olvidaré nunca. He aquí, te llevo tatuado sobre las palmas de mis manos" (Is. 49,15 s.).
El leproso, repudiado, impuro e imposibilitado a acercarse a quienquiera, (cfr. Lv. 13), siente que con Jesús puede romper las reglas. Él sabe que en aquel hombre se esconde un corazón de madre. De su madre. Entonces no puede temer, y se hace audaz, y pasa el límite impuesto por la ley que sólo puede certificar el mal y tratar de encauzarlo. Jesús pasa, y aquel leproso intuye que el Templo, el culto, la vida del Pueblo Santo, todo cuanto le habia sido prohibido està de nuevo allí, junto a él. Aquel hombre destruído, despreciado, sólo, sabe que Jesús puede salvarlo, devolverle la vida vida perdida, quizás nunca saboreada . Es la fe que reconoce, íntimamente, el corazón materno de Jesús. Puede fiarse porque es justo de Él que él mismo proviene; la piel atormentada, los membros heridos, no pueden borrar la verdad: no hay nadie al mundo que le provocan aquellos sentimientos . Él se parece a Jesús, aunque los rasgos somáticos ya son revueltos. Ellos dos tiene mucho en común, no son extraños.
Quizás, en aquel ímpetu misterioso que la fe sabe mover, aquel leproso ha visto a Jesús en el camino del Calvario, y lo ha visto cómo si se hubiera mirado en un espejo, sin apariencias de hombre, despreciado, rechazo de los hombres como uno delante de los que se cubre el rostro, (Cfr Is. 53). Lo ha visto cómo otro si mismo como si mismo, leproso y crucificado. Ahora estava frente al hombre de los dolores, que conoce bien el padecer; era aquel Profeta de Nazaret, era Jesús el Sumo Sacerdote donde soñava con ir un día a presentar su carne curada como prescribia la Ley; y el Sumo sacerdote de que necesitava, San, perfecto y separado por los hombres, ahora estuva allí, junto a él; no se encontrava en el Templo a esperar para certificar, sino que le estaba cerca, dentro de su soledad. Era el Sumo Sacerdote que supo compadecer sus enfermedades, porque habría sido él mismo, de allí a poco, probado en cada cosa, también en su lepra, excepto el pecado. Aquel leproso se podia acercar pues con llena confianza al trono de la Gracia, para recibir misericordia y encontrar Gracia y ser ayudado al momento oportuno, (cfr. Eb. 4, 15-16).
Por éso del corazón del leproso de rodillas desatasca la invocación que es una profesión de fe: "Si quieres puedes curarme." Me has querido, pensado y creado tú, soy tuyo, si quieres todavía puedes tener misericordia, tú conoces, como solo una madre puede conocer, mis sufrimientos. Soy carne de tu carne y tú, con esta misma carne, destruirás la muerte. Ahora destrúyela en mí, tú puedes, si quieres. Y las entrañas de Jesús se conmueven, como para un hijo, y sus manos tocan aquellas carnes atormentadas. Aquellas manos que lo llevaron, desde siempre, tatuado, cuál hijo querido y precioso. Aquellas manos que serán traspasadas por los clavos a hacer manar la sangre que lavará cada pecado y cada lepra.
Pero la compasión se transforma en una "trampa". Aunque intimado severamente de no decir nada, solo de irl a los sacerdotes para testimoniar la llegada del Mesías atravieso la señal aparecida en él, el leproso empieza, ebrio de gozo, a anunciar la Buena Noticia. La experiencia irresistible no puede ser contenida, desborda en gritos de alabanza. El leproso se vuelve apóstol, anunciador, heraldo, y sin haber estudiado; la Buena Noticia la llevava en la carne, fue luz y sal y levadura porque llevava en si la obra de Dios cumplida, el Misterio Pasqual encarnado.
En Cristo habia sido vencida la lepra, la soledad, el pecado, la muerte. Era su vida a hablar, su carne resucitada a gritar la victoria de Jesús. Las palabras sólo habrían explicado la razón de un hecho, un acontecimiento incontrovertible. Es esta la misión de la Iglesia, y de cada apóstol: hacer presente en la propia concreta existencia la Buena Noticia. Enseñar las señales y los prodigios que acompañan la palabra de la predicación. Y no son cosas que se aprenden, son hechos, experiencias, vida. Es la fe que se hace noticia. Ciertamente es necesario profundizar, estudiar, pero antes hay la fundamental formación de cada apóstol en el el campo, la formacion de la misma vida. Se puede ser refinos exegétas, agudos teólogos, prudentes liturgistas, pero sin fe se queda como panderetas tintineantes.
Así la compasión de Jesús ha abierto las puertas a la evangelización, sin tenerla prevista y lista en teoría. Más bien, sorprendiendo y desplazando también a Jesús. Aquel milagro no era previsto, y tenia que quedar secreto. Pero el leproso desobedece, no puede callar, se habia convertido en un niño, y los niños no saben mantener los secretos. Y se abre una brecha en el plan de Dios. Puede parecer absurdo y paradójico, pero el Evangelio lo enseña así. Jesús es obligado a hacer los equipajes y escapar en el desierto. Va a ampararse justo donde el leproso ya escapó libre de su lepra. La compasión ha conducido a Jesús por un camino que no parece hubiera previsto. Porque es justo la compasión que guía sus pasos, la naturaleza divina que mueve su naturaleza humana. Jesús es como el viento, se deja llevar y no se opone a la ilimitada misericordia del Padre que descose las tramas de su misma voluntad para abrirla a la infinita urgencia del amor.
Sí, en este Evangelio se oye el eco de la voz de Maria a Cana que empuja a Jesús a adelantar su hora. Como los novios de Cana han hecho disparar, anticipada, la hora de Jesús, que se habría cumplido sobre el Golgota, así en las carnes del leproso la misma hora se hace urgente y presente, acogida y adelantada por la misericordia. Y aquella hora llegada repentinamente y fuera de horario, desvela la libertad empapada de amor de Jesús. Su corazón quema de compasión y mira sin límites, exactamente como mira el Padre .
Leprosos saneados, también nosotros somos llamados a la misma libertad. La experiencia del poder de Jesúcristo sobre cada nuestra lepra nos abre inevitablemente a una vida metida sobre el candelabro. La osadía de la fe en la que podemos vencer el orgullo escondido que nos hace asustadizos e incapaces de suplicar ayuda, nos desvela nuestra más íntima vocación. La urgencia de nuestra salvación captada por el corazón materno de Jesús nos empuja en la arena de las urgencias del mundo. No podemos quedar agarrados a nuestros sueños, a nuestros proyectos, también a aquellos más santos. Soñar es justo, hacer proyectos es bueno, pero nosotros somos de Dios, su libertad es nuestro tesoro, la misma que ha movido Jesús a adelantar su hora, a ceder a la urgencia del amor y jugarse la vida mucho antes del mismo plan de Dios. Podemos soñar y planear nuestro futuro dejándoselo en sus manos; podemos cada día soñar con Él, planeando y deseando con sus manos, con sus ojos, con su corazón. Asì nada nos será quitado, más bien, los sueños, los deseos y los proyectos se dilatarán al infinito, sacándonos el respiro e inundándonos de alegría y de paz.
La compasión pone todo a pata arriba, y abre horizontes inesperados. Mientras estamos revueltos sobre nuestros sufrimientos, nos entristecemos a la búsqueda de la voluntad de Dios que no logramos encontrar, o somos prisioneros de proyectos que no logramos realizar, también hoy Jesús llega a nuestra vida, la toca, la recrea, hace de ella un prodigio. Es la señal que puede revolver nuestros planes y nuestras esperanzas, y desvelarnos un horizonte que tampoco imaginamos. Nuestra vida está dentro de una urgencia más grande de nuestros pensamientos. Dejemos acompañarnos de Jesús sobre las sendas de la libertad, la que entrega todo de nosotros a Dios. Qué haga de nosotros lo que quiere, que su compasión nos transforme en señales de misericordia para cada hombre. En todo lugar. En cualquier momento. También ahora, en el trabajo, a casa, o lejos miles de kilómetros de donde vivimos. Qué la compasión también pueda hoy jugarnos la broma de una vida nueva abandonada a la voluntad de Dios.
Meditazione del giorno:
San Giovanni della Croce (1542-1591), carmelitano, dottore della Chiesa
Fiamma d'amore viva, strofa 2
« Gesù stese la mano e lo toccò »
O vita divina, tu dai la morte solo per dare la vita, ferisci solo per guarire. Mi hai ferito per guarirmi, o mano divina! Hai ucciso in me ciò che mi teneva nella morte! Ero allora privo della vita di Dio, in cui ora, invece, mi trovo a vivere! Debbo questo favore alla liberalità della tua generosa grazia verso di me quando mi hai fatto sentire il tocco di Colui che è « irradiazione della tua gloria e impronta della tua sostanza » (Eb 1,3), cioè il tuo Figlio unigenito, nel quale, come tua Sapienza, tu tocchi « da un confine all'altro della terra con forza per la sua purezza » (Sap 8,1).
O tocco delicato, o Verbo, Figlio di Dio, che con la delicatezza del tuo essere divino penetri sottilmente la sostanza della mia anima e, toccandola tutta con delicatezza, l'assorbi completamente in te e adoperi mezzi del tutto divini per colmarla di soavità « mai sentita in terra di Canaan né mai viste in Teman » (Bar 3,22)! O tocco delicato, divinamente delicato del Verbo, tanto più delicato in me in quanto tu facevi sobbalzare i monti e spaccavi le rocce sul monte Oreb con l'ombra del tuo potere e la forza che lo precedeva, ti facesti sentire dal profeta « nel soffio leggero del vento » (1Re 19,11-12)!
O soffio leggero, che sei così fine e delicato, dimmi: come puoi toccare così sottilmente e delicatamente, o Verbo, Figlio di Dio, pur essendo così terribile e potente? O felice, mille volte felice, Signor mio, l'anima che tocchi così delicatamente e dolcemente... « Tu nascondi queste anime nel segreto del tuo volto, che è il tuo divin Figlio, lontano dagli intrighi degli uomini » (Sal 30,21).
Odi di Salomone (testo cristiano ebraico del 2o secolo)
N° 21 et 25«Allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto »
Ho alzato le mani al cielo, verso la grazia del Signore.
Egli ha gettato lontano da me le mie catene.
Il mio protettore mi ha innalzato secondo la sua grazia e la sua salvezza.
Mi sono spogliato dell’oscurità e ho rivestito la luce ;
le mie membra non provano più né pena, né angoscia, né dolore.
Il pensiero del Signore mi ha soccorso ;
la sua luce mi ha esaltato ;
ho camminato alla sua presenza ;
mi avvicinerò a lui lodandolo e glorificandolo.
Il mio cuore ha traboccato, ha pervaso la mia bocca,
ha sgorgato sulle mie labbra.
La gioia del Signore e la sua lode illuminano il mio viso.
Alleluia !
Sono scappato dalle mie catene, e sono fuggito verso di te, o mio Dio !
Sei stato la mia destra, la mia salvezza e il mio aiuto.
Hai contenuto coloro che insorgevano contro di me e sono scomparsi.
Il tuo volto è stato con me e la tua grazia mi ha salvato.
Ero disprezzato e riprovato agli occhi della moltitudine.
Mi hai dato forza e soccorso.
Hai posto la luce alla mia destra e alla mia sinistra.
Tutto in me sia luce !
Ho rivestito l’abito del tuo Spirito,
e mi hai spogliato della tunica di pelli (Gen 3, 21).
La tua destra mi ha innalzato e ha cacciato lontano da me la malattia.
La tua verità mi ha irrobustito e la tua giustizia mi ha santificato.
Sono stato giustificato dal tuo amore dolcissimo,
e il tuo riposo è per me nei secoli dei secoli !
Alleluia !
Odas de Salomón (texto cristiano hebraico de principios del siglo II)
Nº 21 y 25«Cuando se fue, empezó a divulgar el hecho con grandes ponderaciones»
Levanté los brazos al cielo, hacia la gracia del Señor.
Echó mis cadenas lejos de mí.
Mi protector me levantó conforme a su gracia y su salvación.
Me despojé de la oscuridad y me revestí de la luz;
mis miembros no experimentaron ningún sufrimiento,
ni angustia, ni dolor.
El pensamiento del Señor me socorrió;
su luz me exaltó;
caminé en su presencia;
me acercaré a él alabándolo y glorificándolo.
Mi corazón se desbordó, invadió toda mi boca,
saltó hasta mis labios.
El gozo del Señor y su alabanza despejan mi rostro.
¡Aleluya!
¡Me escapé de mis cadenas y huí hasta ti, Dios mío!
Tú has sido mi derecha, mi salvación, mi ayuda.
Tú has detenido a los que se levantaban contra mí
y han desaparecido.
Tu rostro estaba conmigo y tu gracia me salvaba.
Era despreciado y rechazado a los ojos de la multitud.
Pero tú me has dado fuerza y ayuda.
Has colocado la luz a mi derecha y a mi izquierda.
¡Que en mí todo sea luz!
Me he revestido con la vestidura de tu Espíritu,
has quitado de mí los vestidos de piel (Gn 3,21).
Tu derecha me ha levantado y ha echado lejos de mí
mi enfermedad.
Tu verdad me ha robustecido y tu justicia me ha santificado.
He sido justificado por tu amor tan suave,
y tu descanso es para mí por los siglos de los siglos.
¡Aleluya!
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