Sarebbe stolto avere un tesoro e nasconderlo, essere avvolti dal buio e nascondere la luce. Eppure è una stoltezza diffusa. Nella parabola dei talenti Gesù definisce malvagio il servo che, per paura, ha nascosto il talento. E' la malvagità pensata nel cuore, quella nella quale tante volte Gesù si è imbattuto. E' la malvagità che scaturisce dall'ignoranza di Lui, del suo amore, della sua missione. E' il segno dell'impossibilità di conoscere e credere che imprigiona chi è schiavo del demonio e delle sue menzogne. E' la condizione del mondo, affogato nell'oscurità del suo Principe. Non può comprendere le parabole, i misteri del Regno, il cuore è indurito.
Per amore dei suoi fratelli sperduti e schiavi, Dio si è fatto carne, ha vinto la morte e il peccato, e ha scelto un manipolo di uomini per inviarli ad annunciare il Kerygma, la Notizia della loro liberazione. Per far questo ha chiamato gli Apostoli innanzi tutto perchè stessero con Lui, intimi dei suoi segreti, amici. Come Abramo. La Scrittura infatti profetizzava già questa amicizia tra Dio e i suoi eletti: "Ma tu, Israele mio servo, tu Giacobbe, che ho scelto, discendente di Abramomio amico" (Isaia 41:8). Gli Apostoli sono la discendenza di Abramo, chiamati come lui a dare origine ad una storia di salvezza per tutte le genti. Ma ora è il Dio fatto carne, un volto, due occhi, una voce, accanto a loro, a parlar loro del Cielo, del Padre, dell'amore infinito che si compirà sul Golgota. E' Gesù che, giorno dopo giorno, con parole e segni, educa e forma nella fede i suoi Apostoli, la sua Chiesa. Esattamente come continua a fare da secoli, scegliendo dal mondo quelli che Egli vuole, formandoli nella sua amicizia, per costituirli testimoni della Verità.
L'incontro profondo ed esistenziale con il Signore, la conoscenza intima di Lui, plasma gli apostoli e la Chiesa per la missione. Diceva Papa Benedetto XVI: "Ai discepoli che si trovano "riuniti" insieme e che sono stati testimoni della sua missione, il Signore Risorto promette il dono dello Spirito Santo, affinché insieme lo testimonino a tutti i popoli". Poi il Papa si sofferma sull'imperativo – Di tutto ciò, di questo voi siete testimoni (cfr Lc 24,48) - contenuto nell'invio di Gesù. Questo tutto ciò è il nucleo fondante del contenuto dell'annuncio, sono i misteri del Regno confidati agli Apostoli, è il cuore, la fiamma che arde nella lampada di cui ci parla oggi il Signore. Prosegue Benedetto XVI: "tutto ciò vuole dire innanzitutto la Croce e la Risurrezione: i discepoli hanno visto la crocifissione del Signore,vedono il Risorto e così cominciano a capire tutte le Scritture che parlano del mistero della Passione e del dono della Risurrezione.Tutto ciò è il mistero di Cristo, del Figlio di Dio fattosi uomo, morto per noi e risorto, vivo per sempre e così garanzia della nostra vita eterna. Ma conoscendo Cristo – questo è il punto essenziale - conosciamo il volto di Dio. Cristo è soprattutto la rivelazione di Dio...Tutto ciò è quindi, soprattutto col mistero di Cristo, Dio che si è fatto vicino a noi. Ciò implica un’altra dimensione: Cristo non è mai solo; Egli è venuto in mezzo a noi, è morto solo, ma è risorto per attirare tutti sé. Cristo, come dice la Scrittura, si crea un corpo, riunisce tutta l’umanità nella sua realtà della vita immortale. E così, in Cristo che riunisce l’umanità, conosciamo il futuro dell’umanità: la vita eterna... Conosciamo Dio conoscendo Cristo, il suo corpo, il mistero della Chiesa e la promessa della vita eterna". Ma "Come possiamo noi essere testimoni di tutto ciò? Possiamo essere testimoni solo conoscendo Cristo e, conoscendo Cristo, anche conoscendo Dio.... è sempre molto più che un processo intellettuale: è un processo esistenziale, è un processo dell'apertura del mio io, della mia trasformazione dalla presenza e dalla forza di Cristo... è un processo che ci fa testimoni. In altre parole, possiamo essere testimoni solo se Cristo lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo. Incontrandolo realmente nella nostra vita di fede diventiamo testimoni e possiamo così contribuire alla novità del mondo, alla vita eterna".
In queste parole è racchiuso il senso delle parole di Gesù: è Lui la lucerna portata, "che viene" secondo l'originale greco. E' Cristo che viene nei suoi Apostoli, risorto e vivo nella sua Chiesa. Come afferma la Lumen Gentium: "Cristo è la luce delle genti, e questo sacro concilio, adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini... ". Quello espresso nelle parole del Vangelo odierno è il desiderio di Cristo per gli Apostoli di ogni tempo, per ciascuno di noi. Non siamo stati chiamati nella Chiesa per risolvere i nostri problemi, tantomeno quelli degli altri. Dio non ha moltiplicato segni e prodigi d'amore e misericordia perchè li nascondessimo sotto il moggio. Non ci ha eletti perchè fossimo stolti. I talenti del suo Spirito, le opere che Lui ha compiuto e sta compiendo in noi e nella sua Chiesa sono per essere poste sul candeliere, spettacolo per il mondo. Nessun segreto sarà tenuto nascosto, il nostro Dna è il Dna di Cristo, ed una vita vissuta contro la sua natura mostra di per sè la verità. Un cristiano che vive come un pagano è la caricatura più ridicola che il mondo abbia visto. Come i preti che si infilano giacca e cravatta per compromettersi col mondo, mentre tutto di loro ne svela inesorabilmente l'identità.
Non possiamo continuare a fuggire come Giona, perchè sono le cellule che abbiamo ricevuto, la Grazia infinita di una vita salvata e riscattata a testimoniare per noi. Certo, passiamo e passeremo per molte crisi, la paura e il richiamo del mondo sono forti. Così come "la stanchezza e il disincanto, la routine e il disinteresse, e, soprattutto, la mancanza di gioia e speranza" (Paolo VI). Come Giona siamo perfino invidiosi dell'amore di Dio, esso contrasta con i nostri criteri carnali. Come Giona dovremo entrare per mille volte nel ventre della balena, e restarci in quel buio di angoscia, per sperimentare, sempre più profondamente che la fuga, la tiepidezza, il compromesso spalancano sempre le fauci del fallimento e della solitudine. Scenderemo ancora fin sull'orlo del baratro per sperimentarvi la Grazia della misericordia, la risurrezione delle nostre esistenze che ci catapulteranno, più maturi e consapevoli, nell'ineludibilità della missione a cui siamo stati destinati. Per giungere alla certezza d'essere chiamati davvero ad essere il riflesso splendente della Luce di Cristo.
Scriveva Sant'Ambrogio della Chiesa: “fulget Ecclesia non suo sed Christi lumine”, splende non di propria luce, ma di quella di Cristo. Per questo Gesù ci ammonisce a ben guardare la Parola che ascoltiamo. Guardare, secondo l'originale greco tradotto con "fate bene attenzione". Ed è il verbo della risurrezione, quello usato per definire l'esperienza visiva dei discepoli dinnanzi a Cristo risorto.Guardare Cristo, fissarlo, contemplarlo, senza misura, lasciarsi immergere nella sua luce vittoriosa, nell'amore senza misura, per annunciare, testimoniare e vivere l'amore senza misura, senza difendersi, senza paura. Misurare bene l'amore significa rendersi conto che non v'è misura per misurarlo, e sperimentare nella propria debolezza, come la luna, tra i crateri affettivi e le fasi dell'umore, la sorpresa di una Luce che non ha inizio nè fine, che aumenta, che ci vien data sempre più. «La Chiesa rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo e prende il proprio splendore dal Sole di giustizia, così che può dire “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Davvero sei felice tu, o luna, che hai meritato un segno così grande!» (Sant'Ambrogio).
Siamo dunque chiamati ad avere questo amore, ad essere ricolmi della sua Luce. Chi non ha Cristo, non ha nulla, e vedrà evaporare nel nulla anche ciò che crede di possedere. Ma no, oggi ed ogni giorno siamo di nuovo amati, attirati per essere in Cristo, e lasciar vivere Lui in noi; essere crocifissi con Lui ogni giorno sul candelabro della storia, di quella nostra che ci attende, che spesso sembra assorbirci e invece ci brucia senza consumarci, come il roveto ardente dal quale Mosè ha ascoltato la Parola che, presentandosi, lo ha chiamato e inviato in una missione umanamente impossibile. Così ogni evento, ogni difficoltà, sofferenza, angoscia che incontriamo nel fluire dei giorni, costituiscono la Croce benedetta dove vivere l'intimità con Cristo, il candelabro prezioso dove, crocifissi con Lui, lasciar brillare il suo amore. Per non essere "evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti o ansiosi", bensì "ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore e che abbiano per primi ricevuto in loro stessi la gioia di Cristo" (Paolo VI). La gioia di vedere che tutto è sacro, risplendente, e niente è insignificante in chi vive la vita di un Altro.
Nessun commento:
Posta un commento