Lunedì dell'VIII settimana del Tempo Ordinario





Se vuoi essere perfetto...
Traduci in opere queste parole e
seguendo nudo la nuda Croce
salirai con più prontezza la scala di Giacobbe

S. Girolamo, Lettera a Paolina




Dal Vangelo secondo Marco 10,17-27.


Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!». I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio! E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio».


IL COMMENTO

Gesù esce per mettersi in viaggio; Lui è sempre in cammino. Gesù è il cammino. Passa, chiama, attira, e coinvolge nel movimento che strappa all'installazione, all'imborghesimento, al grigio della vita. Il cammino di Gesù libera dalla menzogna di una vita seduta e senza problemi. Gesù è un vortice che purifica e stana chi vorrebbe nascondersi e fuggire dalla realtà. Gesù affascina, non è uomo come tutti gli altri. Non vi è, sulla terra, chi resti indifferente. Suscita contese, attacchi feroci, amori sconfinati. Il "tale" che appare nel Vangelo di oggi è immagine ben precisa. Non ha nome, perchè non ha consistenza. E' immagine dei tanti che scivolano nella vita aggrappati alle proprie ricchezze, non solo economiche. E' un tale, un anonimo che cerca un'identità con intenzioni nobilissime, ma crede di averla già in se stesso.

Una cosa sola gli manca. Gesù scopre la verità. Il problema è che il "tale" crede che gli manchi solo il certificato di buona condotta, la medaglia di un'approvazione, una prova da superare dopo tutte le altre. Lui crede che, per raggiungere la vita eterna, la pienezza della vita, il traguardo ambito, non gli manchi che un' ultima fatica, da allineare a quelle già compiute. Egli è l'immagine di tutti coloro che credono di poter raggiungere il Cielo con le proprie forze e che la vita eterna sia una questione di meriti da porre dinnanzi a Dio; o, più laicamente, un attestato di "civiltà" presso la "società civile", tanto di moda in questi tempi di moralismi amorali. Da qualunque parte lo si consideri, è Lui, il proprio ego, il centro della sua vita. E' immagine di chi si sforza, di chi si impegna per compiere la legge, di non sgarrare. E' l'immagine dell'uomo che vive l'orizzonte della religiosità naturale, dove non c'è posto per la Grazia, dove al centro vi è l'uomo che, con i suoi sacrifici, con le sue opere, cerca di conquistare il Cielo. San Tommaso d'Aquino, commentando l'affermazione di San Paolo «Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legittimamente» (1 Tim. 1,8): scriveva «L'Apostolo si riferisce qui ai precetti morali perché aggiunge che si tratta di legge posta per i peccati... Il loro uso legittimo [potremmo anche tradurre ragionevole] è che l'uomo non attribuisca a questi precetti più di quanto è in essi contenuto. La legge è data per conoscere il peccato. Non vi è dunque in questi precetti morali la speranza di essere resi giusti, ma solo nella grazia della fede».

Il "tale" corre incontro a Gesù, e si mette in ginocchio. Quante volte ci mettiamo in ginocchio davanti a Gesù! Quante volte ci mettiamo a pregare chiedendo luce su quel che dobbiamo fare. E nulla, ce ne torniamo tristi alla vita di ogni giorno, magari mormorando per non aver sentito nulla, per non aver capito, per essere rimasti al punto di partenza. La Parola del Vangelo di oggi invece è una luce di libertà, capace di smascherare quello che davvero vi è nel nostro cuore, l'atteggiamento ultimo e decisivo con il quale ci avviciniamo al Signore. Non basta mettersi in ginocchio. Non basta correre in Chiesa. Non bastano neanche le nostre opere di giustizia. Il cammino di Gesù è qualcosa di diverso. Il cammino di Gesù è l'essenza della Legge: essa non è un cumulo di articoli del codice da rispettare. La Legge del Sinai, i Dieci Comandamenti sono le Parole della Vita, il cammino che Dio ha lasciato all'uomo per ereditare la vita che non muore, sgorgano dal cuore stesso di Dio. I comandamenti sono pura Grazia perchè mostrano, nella vita quotidiana, la libertà di chi appartiene totalmente a Dio. Egli infatti "ha scritto sulle Tavole della Legge ciò che gli uomini non riuscivano a leggere nei loro cuori" (S. Agostino, Enarratio en Psalmum 57,1).

Nel dialogo di oggi, cominciando con l'elencare i comandamenti da "non uccidere", Gesù è come se nascondesse la prima parte del Decalogo, quello che fa riferimento proprio al cammino che Dio ha aperto al suo popolo quando lo ha liberato dall'Egitto. Da quel miracolo d'amore che è stata la liberazione dall'angoscia della schiavitù sorge un amore nuovo, l'amore a Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze. Pensare di compiere la Legge senza aver conosciuto l'amore di Dio nella propria vita è pura illusione. Quando Gesù scopre le carte e presenta al ricco la perfezione, che nel linguaggio del Nuovo Testamento indica i cristiani sine-glossa, (i "perfetti" erano i battezzati), si spaventa, si rattrista, perchè si rende conto che, in realtà, non aveva compiuto nessun comandamento. Aveva rispettato alcuni codici della Legge, ma il suo cuore era lontano, e la sua relazione con Dio era solo un vestito indossato. E' il cuore infatti la sorgente di una vita santa, separata, consacrata. Così il Signore, attraverso la tristezza del "tale" del vangelo, ci dice che cosa sia essere cristiani. Non sono parole esclusive per frati o monache, sono per noi, oggi. Gesù non si rivolge a un'elite si super cristiani, quasi che la libertà sia riservata ad un club esclusivo. Il "tale" che desiderava la vita eterna, in fondo desiderava essere cristiano, ma, all'udire l'annuncio di Gesù, torna alla sua vita triste, perchè il suo cuore non ha conosciuto l'amore, quell'amore con il quale il Signore lo aveva amato fissandolo e annunciandogli la verità. Non aveva compreso che Colui che lo invitava a lasciare tutto e seguirlo, era Dio stesso, l'unico che poteva fissare in quel modo, giungere al cuore, amare e chiamare con quella autorità. Un cristiano è invece immagine della gioia di chi, come gli apostoli, ha incontrato in quello sguardo, l'amore di Dio, e per quell'amore unico, lasciare i propri beni non è una rinuncia ma una liberazione.

Il "tale", in fondo, ama se stesso, non è mai uscito dall'Egitto, continua a fare mattoni, opere, buonissime per carità, ma pur sempre opere della carne e non della Grazia. San Paolo parla della giustizia senza la Grazia, monumenti eretti all'uomo vecchio. Il "tale" chiama buono Gesù, ma non lo riconosce come Dio, il solo buono, non gli dà credito, non si abbandona al potere della sua parola. Le ricchezze, segno del proprio Io che la fa da padrone, gli impediscono di ascoltare, credere, e seguire Gesù nel cammino verso la Pasqua. E' la nostra realtà. Preghiamo, andiamo a messa, facciamo opere di carità, ci sforziamo, ma siamo tremendamente gelosi di noi stessi, delle nostre ricchezze. Perchè non conosciamo e non riconosciamo Dio nelle parole e nell'amore di Gesù.

Proviamo oggi, ora ad ascoltare queste parole. Proviamo a prendere in mano il portafoglio e svuotarlo di fronte al primo povero. Gesù dice tutti i tuoi beni. Perchè può camminare dietro a Gesù solo chi è tutto suo, su chi non si ritaglia spazi di autonomia nelle scelte. Seguire Gesù è lasciarsi liberare sino in fondo dal suo amore che fa possibile l'impossibile, cioè far nascere la vita divina in una carne corruttibile. Per questo il Vangelo di oggi è una Buona Notizia. Ci denuncia schiavi ma ci annuncia la liberazione. Mettiamoci in cammino con Gesù implorando la Grazia di compiere in noi l'impossibile, di farci totalmente suoi, strappandoci a noi stessi, liberando i nostri cuori dalle nostre tante ricchezze, perchè la nostra religione sia sincera, un rapporto d'amore con il Signore, il Maestro buono che ci ama infinitamente. Per sperimentare la gioia della fede invece della tristezza dell'idolatria: "La forza con cui la verità si fa strada deve essere la gioia in cui essa si manifesta. Essa - la gioia della fede - porta direttamente al centro della natura umana, che attende questa gioia con tutte le fibre dell'anima" (J. Ratzinger, La festa della fede).






San Giovanni Crisostomo (verso il 345-407), vescovo di Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelia sul debitore di diecimila talenti, 3 ; PG 51, 21

« Chi mai si può salvare ? »


In risposta alla domanda che gli faceva l'uomo ricco, Gesù aveva rivelato come uno potesse giungere alla vita eterna. Ma il pensiero di dovere lasciare le sue ricchezze rattristò l'uomo che se ne andò. Allora Gesù dichiarò: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio». A sua volta, si avvicina a Gesù Pietro, che si è spogliato di tutto, rinunciando al suo mestiere, alla sua barca, che non possiede più neanche un amo. E fa a Gesù questa domanda: «E chi mai si può salvare?»

Nota insieme la riserva e lo zelo di questo apostolo. Non ha detto: «Ordini l'impossibile, questo comandamento è troppo difficile, questa legge è troppo esigente». Né rimase zitto. Ma pur senza mancare di rispetto e mostrando quanto era sollecito per gli altri, disse: «E chi mai si può salvare?» Prima infatti di essere pastore, ne aveva il cuore; prima di venire investito dell'autorità..., si preoccupava già della terra intera. Un uomo ricco avrebbe probabilmente fatto questa domanda per interesse, per preoccupazione della sua situazione personale e senza pensare agli altri. Invece Pietro, che è povero, non può essere sospettato di aver fatto questa domanda per tali motivi. Questo è il segno che si preoccupava della salvezza degli altri, e che desiderava imparare dal suo Maestro come uno può giungere ad essa.

Da qui la risposta confortante di Cristo: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio» . Vuole dire: «Non pensate che io vi abbandoni. Io in persona vi assisterò in un'affare così importante, e vi renderò facile ciò che è difficile».



San Giovanni Crisostomo (verso il 345-407), vescovo di Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa

Omelia 63 su San Matteo ; PG 58, 603s

« Cosa devo fare per avere la vita eterna ? »

Questo giovane non aveva dimostrato una premura mediocre; egli era come un innamorato. Mentre gli altri si avvicinavano a Gesù per metterlo alla prova o per parlargli delle loro malattie, di quelle dei parenti o di altri ancora, lui invece si avvicina per intrattenersi con lui sulla vita eterna. Il terreno era fertile, ma era pieno di rovi pronti a soffocare il seme (Mt 13,7). Considera quanto egli sia ben disposto ad obbedire ai comandamenti: “Cosa devo fare per avere la vita eterna?”... Nessun fariseo aveva mai manifestato tali sentimenti; erano piuttosto furiosi di essere stati ridotti al silenzio. Il nostro giovane, invece, ripartì con gli occhi abbassati dalla tristezza, segno non trascurabile del fatto che non era venuto con cattive disposizioni. Era soltanto troppo debole; aveva il desiderio della vita, ma una passione difficilissima da superare lo tratteneva...
“Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dàllo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi... Udito questo, il giovane se ne andò triste” (Mt 19,21). L’evangelista mostra quale è il motivo di tale tristezza: è cioè il fatto che aveva “molte ricchezze”. Coloro che hanno poco e coloro che sono immersi nell’abbondanza non possedono i beni allo stesso modo. In costoro l’avarizia può essere una passione violenta, tirannica. Ogni nuova acquisizione accende in loro una fiamma più viva, e coloro che ne sono affetti sono più poveri di prima. Hanno più desideri eppure sentono più fortemente la loro sedicente indigenza. Comunque considera quanto qui la passione abbia mostrato la sua forza... “Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!” Non perché Cristo condannasse le ricchezze, ma piuttosto coloro che da esse sono posseduti.


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