Santa Teresa di Lisieux
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,13-16.
Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.
IL COMMENTO
I discepoli di Gesù sono un vero mistero. Gesù li ha istruiti mostrando loro che cosa sia un discepolo. Li ha chiamati, eletti, amati, proprio perchè piccoli, perchè bambini. Ed essi sgridano chi presenta a Gesù dei bambini perchè li accarezzasse. Un mistero di stoltezza. La nostra. In fondo, non capendo non si può accogliere. Lo stolto non può penetrare il pensiero di Dio. Esso è lontano da lui quanto il cielo sovrasta la terra. La gratuità non è nel registro del pensiero dell'uomo. Pietro ne aveva dato dimostrazione quando si è messo di traverso sul cammino d'amore di Gesù.
Cosa ha da offrire un bambino? Quali meriti? Nell'Israele del primo secolo il bambino era un simbolo di mancanza di stato sociale e di diritti legali. Era una sorta di "non-persona", completamente dipendente dagli altri per il sostentamento e la protezione. Poco più che nulla. San Paolo scrivendo ai Corinzi circa la loro elezione dirà: "Considerate bene la vostra chiamata fratelli. Non esistono molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti di nobili natali. Ma quel che esiste di folle nel mondo, proprio questo Dio ha scelto per confondere i sapienti; quello che esiste di debole nel mondo, ecco che Dio lo ha scelto per confondere la forza; quel che nel mondo è di ignobili natali (i figli di nessuno), e quello che viene disprezzato, ecco quello che Dio ha scelto: quello che non è per annientare quello che è, affinchè nessuna carne abbia a gloriarsi davanti a Dio" (1 Cor. 1,26-29). Dio ha scelto gente ignobile, disprezzata, figli senza genitori, abbandonati. Dio è andato per orfanotrofi a cercarsi i discepoli. E' sceso nei luoghi senza amore, senza dignità, nel nulla.
Così ha chiamato Abramo, così il suo popolo, così i profeti, così Davide. Così il Suo Figlio, disprezzato, reietto, rifiuto degli uomini. Così ciascuno di noi. Bambini, creature del tutto dipendenti, incapaci di tutto. Vi è una pagina di rara bellezza che, nel libro del profeta Ezechiele, descrive l'amore infinito e gratuito di Dio verso il suo popolo, verso ciascuno di noi:
"Così dice il Signore, l'Eterno a Gerusalemme: La tua origine e la tua nascita sono dal paese di Canaan; tuo padre era un Amorreo e tua madre una Hittea. Alla tua nascita, il giorno in cui fosti partorita, non ti fu tagliato l'ombelico, non fosti lavata con acqua per pulirti, non fosti sfregata con sale né fosti avvolta in fasce. Nessun occhio ebbe alcun riguardo di te per farti una sola di queste cose, avendo compassione di te; il giorno in cui nascesti tu fosti invece gettata in aperta campagna, per la ripugnanza che avevano nei tuoi confronti. Io ti passai vicino, vidi che ti dibattevi nel sangue e ti dissi mentre eri nel tuo sangue: "Vivi!" Sì, ti dissi mentre eri nel tuo sangue: "Vivi!". Ti feci crescere a miriadi come i germogli dei campi; e tu crescesti, ti facesti grande e diventasti molto bella. Il tuo seno si formò la tua capigliatura crebbe abbondante ma tu eri nuda e nel bisogno. Io ti passai vicino e ti guardai, ed ecco, il tuo tempo era il tempo dell'amore. Così stesi il lembo della mia veste su di te e copersi la tua nudità, ti feci un giuramento, stabilii un patto con te e tu divenisti mia", dice il Signore, l'Eterno. "Ti lavai con acqua, ti ripulii interamente del sangue e ti unsi con olio. Ti feci quindi indossare vesti ricamate, ti misi calzari di pelle di tasso, ti cinsi il capo di lino fino e ti ricopersi di seta. Ti abbellii di ornamenti ti misi i braccialetti ai polsi e una collana al collo. Ti misi un anello al naso, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul capo. Così fosti adorna d'oro e d'argento e fosti rivestita di lino fino di seta e di ricami" (Cfr. Ez. 16).
Bambini abbandonati dunque, di nessun valore agli occhi del mondo. Bambini capricciosi, spesso egoisti, ancor più spesso orgogliosi. Bambini che si son creduti adulti, e ricchi, e potenti. Autonomi. Bambini ingannati dallo splendore effimero di ciò che appariva bello e desiderabile. Bambini buttati via. Nulla, assolutamente nulla. Sin qui è giunto l'amore di Dio. In questo abisso è sceso il Signore, negli inferi del nostro nulla. Qui è il luogo dell'appuntamento. Lo stadio della partita decisiva. Per ciascuno di noi. Il suo amore, le sue mani benedicenti, le sue mani crocifisse ci vengono incontro oggi a svellere i cardini dell'orgoglio. Il suo amore disarma l'orgoglio.
Il suo amore proteso oggi su ciascuno di noi è la buona notizia d'una speranza. Il veleno che portiamo dentro si ribella, si agita, sgrida chiunque ci voglia condurre al Signore perchè ci benedica. Lo spirito malvagio che s'è impossessato di noi non può accettare il cammino di conversione sul quale la Chiesa ci accompagna. L'avversario sa bene che nell'incontro con le mani di Gesù la nostra vita sarebbe salva, si chiuderebbero le porte del Regno dei Cieli. Se cattolici lo dobbiamo essere come "adulti"; comunque che nessuno si permetta di apostrofarci come bambini, abbiamo esperienza da vendere noi, non siamo sottomessi a nessuno! Ma è più forte l'indignazione di Gesù. La stessa che appare dinanzi all'opera nascosta e subdola del demonio, il dolore acuto che muove le viscere di misericordia di Gesù. Lui è geloso di tutti noi, non può esservi che indignazione dinanzi all'inganno di cui siamo preda. La sua voce tuona e dirada le nebbie dei nostri pensieri, delle paure, delle mormorazioni. La sua voce incatena il demonio al suo rantolo di gelosia. L'ultimo.
"Lasciate che i bambini vengano a me", Lui ci vuole a sé. Ci ha chiamati per stare con Lui. E' Lui che il Padre ha inviato all'orfanotrofio che è la nostra vita. E' Lui il Fratello che viene a riscattarci per farci, in Lui, figli adottivi del Suo Padre. E' Lui che brucia ogni tentativo del demonio di impedire, vietare, proibire che la nostra debolezza sia oggetto del suo amore, delle sue benedizioni. La nostra debolezza, l'essere bambini, disprezzati, deboli, capricciosi, inutili, dipendenti in tutto, l'essere quel che siamo non impedisce l'essere di Gesù. Anzi, il Regno dei Cieli, la Vita eterna in Lui è proprio dei bambini. La costruzione greca della frase infatti dice letteralmente che il Regno "a costoro appartiene". E' nostro, esattamente così come siamo. Le mani di Gesù che ci abbracciano, le sue mani che ci stringono, sono esse il nostro vero desiderio, l'unico, il più profondo. Qualcuno che ci accolga così come siamo, qualcuno che ci stringa a sé senza chieder nulla, senza esigere. Gratuitamente. La sua voce, le sue parole che ci attirano vincendo ogni impedimento orgoglioso; le sue mani che ci accolgono e ci stringono in un abbraccio misericordioso che colma ogni nostro vuoto.
Il suo amore è il Cielo qui ed ora davanti a noi, è quello che abbiamo atteso, desiderato. E' la libertà. Da noi stessi, dal dover essere, dal dover fare. E' la felicità piena, è la beatitudine dei piccoli, dei poveri, è il Regno dei Cieli. Occorre solo accoglierlo come un bambino, come chi non ha nulla se non un bisogno infinito d'amore, di perdono, d'aiuto. Accogliere la buona notizia del Regno come chi non ha niente, ma proprio niente da dare se non la Grazia del suo stesso amore che lo ha fatto esistere e desiderare. «Dio tocca il cuore dell'uomo con l'illuminazione dello Spirito Santo, in modo che né l'uomo resti assolutamente inerte subendo quell'ispirazione, che certo può anche respingere, né senza la grazia divina, con la sua libera volontà, possa incamminarsi alla giustizia dinanzi a Dio» (Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 5: DS 1525). Accogliere come un bambino che conosce intimamente l'amore di suo padre, non ne dubita, si lascia abbracciare, e perdonare, e amare. Ed è felice così. Il Regno, per lui, sono quelle braccia che lo stringono, la forza di un infinito amore che non delude. Mai.
Santa Teresa del Bambin Gesù (1873-1897), carmelitana, dottore della Chiesa
Scritto autobiografico C
Lei lo sa, Madre, ho sempre desiderato essere una santa, ma ahimè, ho sempre accertato, quando mi sono paragonata ai santi, che tra essi e me c'è la stessa differenza che tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli, e il granello di sabbia oscura calpestata sotto i piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il buon Dio non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia piccolezza, aspirare alla santità; diventare più grande mi è impossibile, debbo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni, nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in Cielo per una via ben diritta, molto breve, una piccola via tutta nuova.
Siamo in un secolo d'invenzioni, non vale più la pena di salire gli scalini, nelle case dei ricchi un ascensore li sostituisce vantaggiosamente. Vorrei anch'io trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Allora ho cercato nei libri santi l'indicazione dell'ascensore, oggetto del mio desiderio, e ho letto queste parole pronunciate dalla Sapienza eterna: «Se qualcuno è piccolissimo, venga a me» (Pr 9,4).
Allora sono venuta, pensando di aver trovato quello che cercavo, e per sapere, o mio Dio, quello che voi fareste al piccolissimo che rispondesse al vostro appello, ho continuato le mie ricerche, ed ecco ciò che ho trovato: «Come una madre carezza il suo bimbo, così vi consolerò, vi porterò sul mio cuore, e vi terrò sulle mie ginocchia!» (Is 66,13). Ah, mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l'anima mia, l'ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più. Dio mio, avete superato la mia speranza, ed io voglio cantare le vostre misericordie.
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