Raniero Cantalamessa, il Cieco Bartimeo e Gesù




PRESO TRA GLI UOMINI E COSTITUITO PER GLI UOMINI


Il brano evangelico narra la guarigione del cieco di Gerico Bartimeo… Bartimeo è uno che non si lascia sfuggire l’occasione. Ha sentito che passava Gesù, ha compreso che era l’occasione della sua vita e ha agito con prontezza. La reazione dei presenti (“lo sgridavano perch? tacesse”) mette in luce la inconfessata pretesa dei “benestanti” di tutti i tempi che la miseria resti nascosta, non si mostri, non disturbi la vista e i sonni di chi sta bene.

Il termine “cieco” si è caricato di tanti sensi negativi che è giusto riservarlo, come oggi si tende a fare, alla cecità morale dell’ignoranza e dell’insensibilità. Bartimeo non è cieco, è solo un non-vedente. Con il cuore ci vede meglio di tanti altri intorno a lui, perch? ha la fede e nutre la speranza. Anzi, è questa vista interiore della fede che l’aiuta a recuperare anche quella esteriore delle cose. “La tua fede ti ha salvato”, gli dice Gesù.

Mi fermo qui nella spiegazione del vangelo perch? mi preme sviluppare un tema presente nella seconda lettura di questa domenica, riguardante la figura e il ruolo del sacerdote. Del sacerdote si dice anzitutto che è “preso di tra gli uomini”. Non dunque un essere sradicato o calato dal cielo, ma un essere umano che ha alle spalle una famiglia e una storia come tutti gli altri. “Preso di tra gli uomini” significa anche che il sacerdote è fatto della stessa pasta di ogni altra creatura umana: con i desideri, gli affetti, le lotte, le esitazioni, le debolezze di tutti. La Scrittura vede in questo un vantaggio per gli altri uomini, non un motivo di scandalo. In tal modo egli sarà infatti più preparato ad avere compassione, essendo rivestito anche lui di debolezza.

Preso di tra gli uomini, il sacerdote è poi “costituito per gli uomini”, cioè ridonato ad essi, posto a loro servizio. Un servizio che tocca la dimensione più profonda dell’uomo, il suo destino eterno. San Paolo riassume il ministero sacerdotale con una frase: “Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1). Questo non significa che il sacerdote si disinteressa dei bisogni anche umani della gente, ma che anche di questi si occupa con uno spirito diverso da quello dei sociologi e dei politici. Spesso la parrocchia è il più forte punto di aggregazione, anche sociale, nella vita di un paese o di un quartiere.

Questa che abbiamo tracciato è una visione in positivo della figura del sacerdote. Non sempre, sappiamo, è così. Ogni tanto le cronache ci ricordano che c’è anche un’altra realtà, fatta di debolezza e infedeltà…Di essa la Chiesa non può fare altro che chiedere perdono. C’è però una verità che va ricordata a parziale consolazione della gente. Come uomo, il sacerdote può sbagliare, ma i gesti che compie come sacerdote, all’altare o in confessionale, non risultano per questo invalidi o inefficaci. Il popolo non è privato della grazia di Dio a causa dell’indegnità del sacerdote. È Cristo infatti che battezza, celebra, perdona; lui è solo lo strumento.

Mi piace ricordare, a questo proposito, le parole che pronuncia prima di morire il “Curato di campagna” di Bernanos: “Tutto è grazia”. Anche la miseria del suo alcolismo gli appare grazia, perch? lo ha reso più misericordioso verso la gente. A Dio non preme tanto che i suoi rappresentanti in terra siano perfetti, quanto che siano misericordiosi.


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