Sabato della III settimana di Quaresima

Oppresso da un nugolo di colpe,
ho superato il pubblicano per eccesso di malizia,
e ho assunto per giunta la boria millantatrice del fariseo,
rendendomi da ogni parte privo di qualsiasi bene.
Signore, usami indulgenza.
Aprimi le porte del pentimento,
Datore di vita,
perché fin dall'alba si leva il mio spirito,
si volge in preghiera al tuo santo tempio,
portando con sé il tempio contaminato del mio corpo.
Ma nella tua compassione purificami,
per la tenera benevolenza della tua misericordia.
Guidami sulla via della salvezza,
o Madre di Dio,
perché ho profanato la mia anima con peccati vergognosi
e ho dissipato la mia vita nella negligenza.
Ma per la tua intercessione liberami da ogni impurità.

Tropari della domenica del fariseo e del pubblicano della liturgia bizantina




Lc 18, 9-14

In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di
esser giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che
non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come
questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto
possiedo.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli
occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me
peccatore.
Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro,
perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».


IL COMMENTO

Pregare non basta. Anzi. Salire al Tempio a pregare ed uscirne assolutamente identici è una possibilità tutt'altro che remota. Presumere di se stessi è infatti un veleno che infetta anche i momenti più sacri. La presunzione, dal latinopraesuntionem, participio passato di praesumere, prae-innanzi e sumere-attribuirsi, è aver chiuso in anticipo il cuore a qualunque altra possibilità, parere, alla stessa Verità. Prigionieri di un Io sconfinato, consideriamo gli altri solo dei poveri scarti di noi stessi, schiavi della presunzione di essere gli unici giusti sempre nel giusto.Io sono diverso, un ritornello che risuona spesso in questa società edonistica e carnale dove il diverso a tutti i costi rivendica più diritti degli altri. Lavoro, studio, amore, famiglia, politica, sport, anche nella Chiesa che opta per la "tolleranza zero" che spesso getta con l'acqua anche il bambino, ovunque io sono unico, diverso, migliore. E anche chi crede di essere immune da questo virus, sprofondato nelle proprie incapacità intellettuali, chi pensa d'essere inferiore agli altri, forse meno brillante, scopre che, alla fine, è proprio in questa "presunta" inferiorità che trova unicità e diversità dalle quali giudicare e disprezzare. Non a caso il disprezzo degli altri, inseparabile compagno della presunzione, è un criterio infallibile nel discernimento degli spiriti. Dal presumere di se stessi al presumere di pregare, il passo è breve.

Il fariseo "pregava così tra sé". Ma l'originale greco invece utilizza un'espressione diversa: "il fariseo stando in piedi pregava rivolto verso se stesso". Il centro del dialogo è lui stesso. Lui è Dio. Per questo la "presunta" giustificazione gli perviene dalle sue stesse opere. Il Tempio è solo un luogo puramente convenzionale, la passerella dell'ipocrisia. La preghiera diventa per lui "un puro occuparsi di se stesso, recidendo così la radice dell'autentica adorazione" (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo); adorando se stesso abbandona Dio, l'unica fonte di giustificazione, etorna a casa senza giustificazione. E' di fronte a Dio come davanti ad uno specchio nel quale non vede che se stesso travestito da dio.

Il pubblicano invece non osa neanche ad alzare lo sguardo, posato invece sulla terra che definisce la verità su se stesso. Il testo greco suggerisce che egli non si sentiva semplicemente un peccatore, ma il peccatore. Non ha null'altro in cui confidare se non la misericordia di Dio. La mano tesa a percuotersi il cuore dal quale sgorga ogni malvagità, per spezzettarlo e farne un cuore contrito ed umiliato. "Dio ascoltò il gemito del pubblicano e, giustificandolo, mostrò a tutti che egli si lascia sempre piegare se gli chiediamo il perdono delle colpe con gemiti e lacrime" (Tropario della Domenica detta del Fariseo e Pubblicano). Isacco il Siro scrisse nel sesto secolo: "Non dire mai che Dio è giusto. Se lo fosse, saresti all'inferno. Confida solo nella sua ingiustizia, che è misericordia, amore, perdono". Il pubblicano ha sperato contro ogni speranza come Abramo, che non si fermò di fronte alla sua sterilità, ma credette a Colui che aveva promesso l'impossibile, e questo gli fu accreditato come giustizia. La folle ingiustizia divina, la misericordia che non ha riscontro in nessun codice umano, giustifica l'ingiustificabile."Rendi degni della tua beatitudine coloro che per te si trovano mendicanti di spirito.... L'umiltà guadagna la giustizia proprio con l'estrema indigenza di questa: anche noi possiamo acquisirla!" (Tropario).

Nel pubblicano, peccatore pubblico e reietto, rinveniamo le sembianze del Signore Gesù, l'esatto opposto del Fariseo: Lui non è mai rivolto verso se stesso, ma perennemente rivolto verso il seno del Padre (eis ton kolpon, Gv 1,18). La confidenza che spinge sino all'audacia. Nell'attitudine del Fariseo si riscontrano i tratti di chi ha percorso un cammino di fede e conversione attraverso la discesa dei vari gradini dell'umiltà che portano alle acque della piscina battesimale. Nella sua preghiera umile perchè umiliata dalla scoperta della propria realtà, e contrita nell'accettare d'essere un povero peccatore, lo vediamo pronto ad immergersi nella viscere della misericordia rigeneratrice. Il pubblicano, nell'abisso del suo nulla ha incontrato Cristo sino ad assumerne la stessa confidenza filiale; così anche noi, proprio laddove gli eventi illuminati dalla Parola, dall'insegnamento della Chiesa e dalla Grazia ci hanno umiliato svelandoci la verità, possiamo imparare con Cristo a volgere noi stessi al seno misericordoso di Dio.

"Questa è la sorte di chi confida in se stesso, sarà loro pastore la morte". Ma si! Ben venga la morte, la distruzione degli ideali che ci infilzano ai sogni. Che giunga presto la piccola pietruzza a distruggere la statua di quei miserevoli Nabucodonosor che siamo. Il carattere della moglie, la ribellione del figlio o i pantaloni a vita bassa della figlia, quel professore o la vicina di casa. Una malattia, la morte di chi ami di più; anche un terremoto. Tutto ad uccidere il nostro uomo vecchio, per diventare finalmente come il pubblicano, stravolti, impauriti, insicuri, contriti e umiliati, per entrare nella vita nuova sussurrando "Signore pietà di me..... davvero mi ami così?".

Pregare, andare al tempio, fare sacrifici, essere impegnati nelle attività parrocchiali, la stessa filantropia volontaristica infatti non bastano, anzi. La domanda di Grazia d'un condannato a morte. Se non è questo, la nostra preghiera, la nostra relazione con Dio, resterà vuota, non varcherà la soglia delle nostre labbra e rimbalzerà sul soffitto ricadendoci addosso. Un grande monaco della Chiesa Orientale, Silvano del Monte Athos lo aveva compreso bene: "Signore, vedi che i demoni mi impediscono di pregare con uno spirito puro. Ispirami ciò che devo fare perché i demoni mi lascino in pace". E nell'anima il Signore gli risponde: "Le anime orgogliose soffrono sempre a causa dei demoni". "Signore, insegnami che cosa devo fare perché la mia anima diventi umile". E di nuovo, nel suo cuore, riceve questa risposta: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!". E subito comincia a mettere in pratica quella parola. Trova la pace, e lo Spirito gli testimonia la sua salvezza"(Vita di San Silvano del Monte Athos narrata dal suo discepolo, l'archimandrita Sofronio). Accettare le conseguenze amare del nostro peccato, lo struggimento e la nostalgia della pace, il dolore per il male commesso verso chi ci è vicino, questo è rimanere all'inferno e non disperare. E dal fondo della verità più aspra attendere con speranza la Verità che giustifica.

Uomo, fratello mio -chiunque tu sia, per quanto grande sia il tuo peccato, per quanto oscura sia la tua tenebra - tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!

Fratello, se vedi il tuo peccato

sei più grande di chi risuscita i morti!

Quando guardi gli uomini, di' nel tuo cuore:

tutti saranno salvati, io solo sarò dannato.

Se pensi all'inferno, credi che esso esiste

ma solo per te che sei peccatore.

Tieni il tuo spirito agli inferi

e non disperare mai dell'amore di Dio.

Se pensi di andare all'inferno

sappi che anche là

potrai sempre cantare l'amore di Dio.

Se il tuo Signore è asceso in alto

egli è pure disceso in basso, agli inferi.

Se il tuo Signore ha preso l'ultimo posto

tu non potrai mai rubarglielo.

Se scenderai agli inferi, troverai il Signore se salirai nei cieli, egli ti attende.

Da quel giorno, da quell'alba pasquale

il Tabor e il Golgota sono un unico monte!





APPROFONDIMENTI





San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa
Moralia, 76

Una breccia aperta


Con quale attitudine il fariseo, che saliva al Tempio per farvi la sua preghiera, e aveva fortificato la cittadella della sua anima, si disponeva a digiunare due volte la settimana e pagare le decime di quanto possedeva. Dicendo « O Dio, ti ringrazio » , è ben chiaro che aveva messo in atto tutte le precauzioni immaginabili per premunirsi. Ma lascia una breccia aperta ed esposta al suo nemico aggiungendo : « Che non sono come questo pubblicano ». Così, con la vanità, ha concesso al suo nemico di poter entrare nella città del suo cuore, che purtuttavia egli aveva chiuso con i chiavistelli dei suoi digiuni e delle sue elemosine.

Tutte le altre precauzioni sono dunque inutili, quando rimane in noi qualche apertura attraverso la quale il nemico possa entrare... Questo fariseo aveva vinto la gola con l'astinenza ; aveva superato l'avarizia con la generosità... Ma quanti sforzi in vista di questa vittoria sono stati annientati da un solo vizio ? dalla breccia di una sola colpa ?

Per questo, bisogna non soltanto pensare a praticare il bene, ma anche vegliare con cura sui nostri pensieri, per tenerli puri nelle nostre opere buone. Perché se sono fonte di vanità o di superbia nel nostro cuore, combattiamo allora soltanto per vana gloria, e non per la gloria del nostro Creatore.


San [Padre] Pio di Pietrelcina (1887-1968), cappuccino
Ep 3, 713 ; 2, 277 in Buona Giornata

« Abbi pietà di me peccatore »


È capitale che tu insista su quello che è la base della santità e il fondamento della bontà, cioè la virtù per la quale Gesù si è presentato esplicitamente come modello : l'umiltà (Mt 11,29), l'umiltà interiore, più dell'umiltà esteriore. Riconosci quello che sei realmente : un nulla, miserabilissimo, debole, impastato di difetti, capace di cambiare il bene in male, di abbandonare il bene per il male, di attribuirti il bene e di giustificarti nel male, e per amore del male, di disprezzare Colui che è il bene supremo.

Non andare mai a letto senza aver prima esaminato in coscienza come hai passato la tua giornata. Rivolgi tutti i tuoi pensieri verso il Signore, e consacragli la tua persona e tutti i cristiani. Poi offri alla sua gloria il riposo che stai per prendere, senza mai dimenticare il tuo angelo custode, che sta in permanenza accanto a te.



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