Alessandro Conti Puorger. Il sabato, dono e anticipo dell'eternità


UNA DISCUSSIONE IMPORTANTE


L'osservanza del Sabato, che continua ad essere una festa settimanale religiosa ebraica, fissata nel decalogo come 3° o 4° comandamento (dipende da come si dividono e si raggruppano), è stata motivo di discussioni sin dall'origine del cristianesimo investendo direttamente la figura di Gesù di Nazaret.

Molteplici sono i punti di vista sotto cui tale questione si può considerare onde tratto l'argomento anche nel successivo articolo "Il comandamento del Sabato - attesa di un compimento" che inserirò in "Ricerche di Verità".
Per iniziare parto direttamente dai Vangeli canonici che in più occasioni registrano contestazioni a Gesù da parte di Giudei, in particolare di Scribi e Farisei, sui suoi comportamenti nei giorni di Sabato.
Vi si trovano, infatti, i seguenti episodi di sabato con reazioni dei giudei:
  • Matteo 12,1-8, Marco 2,23-28, Luca 6,1-5, i discepoli colgono spighe.
  • Matteo 12,9, Marco 3,1-6, Luca 6,6-11 è sanato l'uomo dalla mano inaridita.
  • Marco 1,23 è guarito uno posseduto da uno spirito immondo.
  • Luca 13,10-16 è guarita una donna inferma.
  • Luca 14,1-6 Gesù guarisce un idropico.
  • Giovanni 5,5-10 Gesù guarisce un paralitico alla piscina di Betzaida.
  • Giovanni 9 Gesù guarisce il cieco nato.
Il Vangelo di Luca 6,7 annota "Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato, allo scopo di trovare un capo di accusa contro di lui."

Stando ai Vangeli gli scribi e i farisei, mossi da livore nei suoi confronti perché ne palesava il comportamento falso e li chiamava ipocriti (Matteo 15,1; 15,7; 22,18; 23,13; 23,.23; 23,25; 23,27; 23,29; Marco 7,1-6), per accusarlo, l'incalzavano facendosi forti di quanto risulta dalle 10 parole o decalogo circa l'obbligo d'astensione dall'operare nel giorno di sabato.
Nella Tenak o Bibbia ebraica la prescrizione da sola in effetti pare molto rigida: "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro." (Esodo 20,8-11, Deuteronomio 5,12-14)
Lo spirito dell'astensione dal lavoro è, come vedremo, una opportunità che intende far assaggiare all'uomo uno spiraglio di libertà.
Questo comando è spiegato come connesso ad un modo d'operare di Dio descritto al momento della creazione nel libro della Genesi che in 2,1-3 recita: "Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando."
La mancata osservanza della sacralità del Sabato, peraltro, in un momento successivo, Esodo 31,12-17, è addirittura gravata di pena di morte: "Il Signore disse a Mosè: Quanto a te, parla agli Israeliti e riferisci loro: In tutto dovrete osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno tra me e voi, per le vostre generazioni, perché si sappia che io sono il Signore che vi santifica. Osserverete dunque il sabato, perché lo dovete ritenere santo. Chi lo profanerà sarà messo a morte; chiunque in quel giorno farà qualche lavoro, sarà eliminato dal suo popolo. Durante sei giorni si lavori, ma il settimo giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore. Chiunque farà un lavoro di sabato sarà messo a morte. Gli Israeliti osserveranno il sabato, festeggiando il sabato nelle loro generazioni come un'alleanza perenne. Esso è un segno perenne fra me e gli Israeliti, perché il Signore in sei giorni ha fatto il cielo e la terra, ma nel settimo ha cessato e si è riposato."
Oltre tale mancanza le colpe punibili con pena di morte dalla Torah sono:
  • l'omicidio premeditato (Esodo 21,12; Levitico 24,7);
  • il rapimento e vendita di persona (Esodo 21,16; Deuteronomio 24,7);
  • la stregoneria (Esodo 22,17);
  • i sacrifici umani (Levitico 20,2);
  • maltrattamenti e percosse ai genitori (Esodo 21,15; Levitico 20,9);
  • l'adulterio e l'incesto (Levitico 20,10-12; Deuteronomio 22,22);
  • l'idolatria (Deuteronomio 17,2-5; 19,17-18).
In tali campi v'erano pur tante eccezioni possibili, ma la lettera agli Ebrei conferma 10,28: "Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni" ed è da notare quel "senza pietà" che cozza con il pensiero di Sant Agostino "In certis, Unitas; In dubiis, Libertas; In omnia, Caritas", pensiero che nasce dalla stessa Bibbia.
Un Ebreo, pare così che non trovasse ragioni di rifiuto alla pena di morte nella propria religione, ma solo nella propria coscienza e nella propria pietà.
Ben due volte nel Vangelo di Matteo (9,13 e 12,5-8) Gesù ricorda ai Farisei le parole del profeta Osea "...voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti." (Osea 6,6) e la seconda volta proprio in una discussione sul sabato, "O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato".
Gesù, quindi, trovava ragioni contro la pena di morte nella propria coscienza, proprio per una lettura più articolata della Torah che ha anche un altro pilastro oltre quello della giustizia, quello dell'amore e comporta lo "amerai il tuo prossimo come te stesso". (Levitico 19,17)
Come nel caso dell'episodio dell'adultera (Giovanni 8,1-11) Gesù tali ragioni le ha testimoniate e trasmesse al mondo espungendo conclusioni umane facilmente evidenziabili per il contrasto con la legge dell'amore.
Gesù, infatti è quel "Qualcuno che tiene in mano le sorti di questo mondo che passa. Qualcuno che è l'Alfa e l'Omega della storia dell'uomo. E questo Qualcuno è Amore, Amore fatto uomo, Amore crocifisso e risorto, Amore incessantemente presente fra gli uomini... È solo lui a dare la piena garanzia delle parole: Non abbiate paura!(Giovanni Paolo II "Varcare le soglie della speranza")
Gesù dice che il compimento della Torah è lui stesso, onde si comprende a pieno solo dopo i suoi eventi ed ha la delicatezza di salvare così quanto di buono nella legge di Mosè, castello solido per la crescita di persone con una spina dorsale, ma come nel caso del divorzio sente la necessità di ricordare che "...Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così." (Matteo 19,8) 
Potrei dire che la pena di morte era una legge di Stato e non una legge di Dio che era stata messa per "la durezza dei cuori" come necessità di far rispettare una legge che in quel momento aveva due facce, di Dio e degli uomini, perché di fatto due erano gli scopi, religioso e di governo.
Interessante è che la stessa espressione della "durezza dei cuori" si trova in Marco 3,1-6 in un episodio ove i farisei contestano l'operare di Sabato da parte di Gesù: "Entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: Mettiti nel mezzo! Poi domandò loro: È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla? Ma essi tacevano. E guardandoli tutto intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quel uomo: Stendi la mano! La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire."
Gesù non ha paura di essere passibile di morte secondo certi modi ristretti di ragionare e per amore degli uomini e della verità fa comprendere che v'è una "legge" nei cuori di cose buone divine da rispettare, riportate per iscritto, ma mescolata a tradizioni umane in quella che definisce "Legge di Mosè", facendo un distinguo con la legge originaria stampata nei cuori dell'uomo con quel "da principio non fu così".
Sulla pena di morte per mancanza di osservanza del sabato il libro dei Numeri 15,34s racconta, peraltro, che mentre gli Israeliti erano nel deserto fu trovato un uomo che cercava legna di sabato; "lo misero sotto sorveglianza, perché non era stato ancora stabilito che cosa gli si dovesse fare. Il Signore disse a Mosè: Quell'uomo deve essere messo a morte; tutta la comunità lo lapiderà fuori dell'accampamento" così fu fatto, con il che è conclamato che la pena di morte è regola data da Mosè fuori dal decalogo, come riporta Esodo 31,12-17.
(Vedi: "Padre Nostro chiave di volta contro la pena di morte" articolo in .pdf nella rubrica "Vangeli e Protovangeli")
Anche la circoncisione, Gesù non dice esplicitamente che venga proprio da Dio, ma la prende come occasione di tradizione per criticare comportamenti ottusi nel sabato e la mancanza di pietà "Mosè vi ha dato la circoncisione - non che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi - e voi circoncidete un uomo anche di sabato. Ora se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia trasgredita la Legge di Mosè, voi vi sdegnate contro di me perché ho guarito interamente un uomo di sabato?" (Giovanni 7,22s)
Gesù ebbe anche a dire: "...Il Padre mio opera sempre e anch'io opero. Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio." Giovanni 5,17-18) da cui si evince che la mancata prescrizione dell'osservanza del sabato fu una concausa che portò poi alla pena della croce.

Ecco allora apparire anche un distinguo di fondo.
Forse Dio non si era riposato nel settimo giorno, ma ha fatto solo una sosta prima della successiva fase, come quando si mette il punto ad una prima frase.
Secondo Gesù, Dio non s'è riposato nel giorno del Sabato della creazione, mentre i Giudei per quanto era scritto nel libro della Genesi ne sono convinti.
Gesù al riguardo spiegava: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!" (Marco 2,27) ed ancora," Il Figlio dell'uomo è Signore anche del sabato". (Matteo 12,8, Marco 2,28, Luca 6,5)
Gesù ha fatto il bene anche di Sabato secondo la volontà del Padre "...le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza" (Giovanni 10,25) ed essendo anche Dio ci dice che il Padre ha operato di sabato contro il pensiero di allora.
Ora, nel nostro tempo siamo ancora nel settimo giorno della creazione e non si può dire che Dio non ha operato... ha portato avanti una storia di salvezza per l'uomo o no?
Il Signore in Genesi 2,1-4 aveva consacrato il settimo giorno per il riposo, shabbat e Gesù afferma che tale riposo, in effetti, è stato sancito per l'uomo.
Dio quindi opera, anche nel settimo giorno, infatti, là in questi versetti è "Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro" (2,2) e subito dopo "Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò" (2,3) e questo, il benedire ed il consacrare è il lavoro che fa nel settimo giorno, dopo che il testo dice si riposò.
Si può interpretare che mentre si credeva che stava fermo o che avrebbe potuto stare fermo lui invece operava o dovette operare per conseguire il volontario libero assenso dall'uomo all'accettazione del disegno di Dio, cioè far diventare santo l'uomo e benedirlo tirandolo fuori da una maledetta caduta.
Se diciamo, perciò che non ha operato neghiamo la Bibbia e se diciamo di sì ecco che è giusto fare il bene anche di sabato aldilà di prescrizioni mosaiche, ed è conclamata l'assurdità di collegare la pena di morte con i fatti di Dio.
Di questo anelito al lavoro da parte di Dio in giorno di sabato sono pieni i vangeli e non sono da interpretare solo come insegnamento di Gesù atto a moderare l'eccessivo rigorismo degli ebrei.
Tali insegnamenti erano anche un segnale, operava e guariva di sabato per indicare ch'era venuto il tempo finale: "Era infatti sabato il Giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. "(Giovanni 9,14)
Cioè lui, il Signore, con quel atto richiama Dio che plasma Adamo, ed indica che sta così portando un compimento - aprendo gli occhi all'uomo nato cieco - rappresentante dell'umanità intera, perché ha di fatto rifiutato l'amore di Dio.
Gesù sta così insegnandogli con gli occhi di Dio cosa è bene e cosa è male, istruzione che non fu conclusa nel giardino dell'Eden, come narra il midrash di Genesi 3, per l'intromissione di un istinto malvagio nell'uomo, rappresentato dal serpente primigenio che fece da didascalo all'uomo stesso.

Nel comandamento del Sabato il Deuteronomio al versetto 5,15 aggiunge la considerazione "Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato".
Questa è la madre delle schiavitù, quella da cui Dio vuol liberare tutti.
Ora, uno dei brani più noti della Haggadà di Pèsach è "Avadìm hayìnu", ov'è scritto "Siamo stati schiavi del faraone in Egitto e se Dio non avesse fatto uscire i nostri padri dall'Egitto, noi, i nostri figli, e i figli dei nostri figli saremmo ancora schiavi del Faraone in Egitto".
I Rabbini si sono interrogati sul fatto che i faraoni sono spariti da centinaia d'anni ed, allora, che si domandano che senso ha ripetere che saremmo ancora schiavi di loro e poi perché si ripete due volte "Egitto" e "Faraone in Egitto"?
Rav Eliahu Dessler, gran rabbino lituano della prima metà del XX secolo, propone una risposta a queste domande con due specie di schiavitù, dilatando il testo attraverso l'interpretazione delle parole:
  • Mitzràim (Egitto) deriva da metzàr "ristrettezza, chiusura", cioè non liberi di parlare, camminare, uscire, entrare senza che ciò sia ordinato dal padrone, ristretti, imprigionato, soggetti a lavori sfiancanti, umilianti anche inutili, oggetti in mano al padrone che ne dispone a piacere.
  • Par'ò (faraone) da una radice che significa apertura, libertà ("parù'a" in ebraico moderno vuol dire "selvaggio"), schiavitù in quanto non c'erano regole morali per gli schiavi, era permesso ogni comportamento senza remore e senza limitazioni, se non quelle del padrone e mancanza di regole con libertà selvaggia è un'altra prigione, perché quella che pare essere la libertà di seguire i propri istinti toglie la libertà fondamentale dell'uomo, la libertà di pensiero e di scelta.
Ecco che si crea Israele, il popolo delle mitzvot, che ha una guida in ogni tempo anche se ricadesse sotto un faraone.
Guai però se le mitzvot fossero fine a se stesse non contemperate sempre dalla legge dell'amore, perché altrimenti sarebbero un'ulteriore gabbia per gli impulsi buoni dell'uomo che debbono essere comunque liberi.
In definitiva lo scopo non sono le mitzvot in sé, o il rispetto del sabato, ma conseguire il risultato di un uomo cosciente e libero intimamente con regole chiare e precise nei confronti del suo rapporto con sé stesso, con Dio e con gli uomini, perché, "La Verità vi farà liberi". (Giovanni 8,32)

LA DIMENSIONE DEL RIPOSO


La suddivisione del tempo in settimane e la conquista da parte dell'uomo della dimensione del riposo, con la scelta volontaria di distaccarsi dal normale tran tran perlomeno per un giorno ogni sette, sono ormai idee acquisite delle civiltà contemporanee più evolute.

Di fatto, con uno sguardo sugli eventi storici, tali idee sono in qualche modo riferibili, come abbiamo visto, ad un comandamento che la tradizione ebraica attribuisce a Dio, riportato in scritti sacri fatti risalire a Mosè (XIII secolo a.C.).
Il comando fu dato al popolo che prese coscienza d'essere stato liberato da Dio tramite un profeta liberatore, che in segno perenne, a memoriale d'essere stato affrancato dalla schiavitù dell'Egitto, celebra la Pasqua e non compie lavori servili nei giorni di sabato.
Questo comando, con progressivi modifiche e distinguo - sabato, domenica e venerdì - ha fatto breccia, tramite le tre religioni monoteistiche che s'ispirano a tali Sacre Scritture, su circa il 50% dell'umanità, che però costituisce la maggioranza in nazioni che nel complesso hanno più dell'80% del peso socio-economico mondiale.
È perciò sotto gli occhi di tutti che quanto nato come norma per far presente la sacralità del tempo s'è secolarizzato ed è divenuto il "fine settimana".
Il pensiero che nelle civiltà d'ispirazione giudeo-cristiana ed islamica, che tutte in un qualche modo si rifanno a quelle Scritture, esiste un giorno della settimana in cui l'uomo è chiamato a confrontarsi con l'dea dell'Eterno, m'ha così portato ad investigare nella parte ebraica dell'Antico Testamento della Bibbia stessa per cercare di cogliere come si sviluppa l'idea che apre la porta all'eternità.
Ne sono nate interessanti considerazioni che hanno costituito l'ossatura di questo articolo che costituisce un ulteriore tassello da inserire in quanto sto delineando in questo mio sito e che si collega con "La durata della creazione", alla cui lettura rimando, in cui ho già fatto alcune considerazioni utili per quanto vado ora ad esporre.


LA SETTIMANA DELLA CREAZIONE

Forse non tutti sanno od hanno realizzato che il tempo attuale è di fatto nell'ambito del VII giorno della "creazione", corrispondente al sabato di quei "giorni" particolari di cui alla sintetica descrizione contenuta nella Bibbia al Capitolo 1 e nei primi quattro versetti del Capitolo 2 del libro del Genesi.
L'uomo, creato nel VI giorno, cioè nel venerdì della creazione, è pellegrino sulla terra in questo "oggi", ove "col sudore del tuo volto mangerai il pane" (Genesi 3,19), ed attende l'VIII giorno della Domenica eterna.
L'aurora che ha sancito l'arrivo del VII giorno della creazione per l'autore sacro fu quando Dio liberò Israele dall'Egitto.
(Vedi: "La durata della creazione")
La prima Pasqua ebraica fu un giorno di riposo e d'attesa e di fatto è da ritenere che avvenne perciò di sabato, il primo sabato celebrato come tale dagli ebrei prima dell'uscita dall'Egitto, celebrato senza che vi fosse ancora la prescrizione del rituale, ma questo evento è comunque, come vedremo, la base del rituale stesso.
Il giorno dell'uscita, con riferimento ai giorni della settimana, così è da ritenere il primo giorno di un nuovo tempo, una domenica, giorno successivo a quello della prima Pasqua, infatti: "Il giorno dopo la Pasqua, gli Israeliti uscirono a mano alzata, alla vista di tutti gli Egiziani, mentre gli Egiziani seppellivano quelli che il Signore aveva colpiti tra di loro, cioè tutti i primogeniti, quando il Signore aveva fatto giustizia anche dei loro dèi. Gli Israeliti partirono dunque da Ramses e si accamparono a Succot." (Esodo 33,3b-5)
Quando nel libro dell'Esodo relativamente all'arrivo al Sinai si legge: "Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese d'Egitto, proprio in questo giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai" (Esodo 19,1) se ne deduce che anche quel giorno era domenica.
I saggi d'Israele, si domandarono: perché dice proprio in questo giorno?
A quei tempi non c'era ancora il decalogo e la prescrizione del riposo!
Ed argomentarono che il giorno della consegna della Torah non potrà mai divenire passato e che ogni volta che s'ascolta o è proclamata questa parola è come se s'ascoltasse con Mosè al Sinai.
Ci fu poi la consegna della Torah, evento che con la teofania ed i suoi lati luminosi è da ritenere il segnale dell'alba del nuovo giorno, il VII giorno, l'oggi in cui viviamo.
Rabbi Eliezier ben Iacov, infatti, osservò che pur se erano trascorsi 40 anni dalla consegna della Torah in Deuteronomio 27,9 è detto: "Oggi sei divenuto il popolo del Signore tuo Dio".
Lo, stesso dicono i saggi ebrei del giorno della Pasqua in cui ognuno deve sentirsi in un oggi in cui anche lui è uscito dalla schiavitù d'Egitto.
San Paolo nella lettera agli Ebrei ricorda il Salmo 95: "Per questo, come dice lo Spirito Santo: Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori."
Gli uomini, infatti nel VI giorno non sentirono o non vollero sentire più la voce di Dio, ma sostiene il Nuovo e l'Antico Testamento che in questo oggi, in tutto il VII giorno, tale voce è sempre a disposizione per chi vuole ascoltarla.
Questo oggi sottende tutto il periodo della storia della salvezza che in questo VII giorno della creazione sta trascorrendo come un unico presente atto e prepara l'uomo al salto nell'eternità dell'VIII giorno.
L'umanità nata nel VI dei giorni della creazione, quando sopraggiungerà al III giorno della sua nascita, cioè al momento di sigillo, di fine, tra il VII e l'VIII periodo, attende la risurrezione dallo stato di morte in cui s'è posta col tentativo d'essere indipendente da Dio.
La Bibbia, quale parola di Dio che è d'aiuto all'uomo per vivere cercando la Sua volontà, fa intravedere l'idea che fin dai primi tempi, finito il giorno della ribellione, Dio cominciò a tessere il recupero dell'uomo.
Fu allora chiara la richiesta per il popolo di Dio d'un giorno a Lui dedicato e questo giorno fu proprio il VII della settimana, figura de VII della creazione che appunto si sta dispiegando e prepara il dilatarsi fino all'eternità.
Certo è che l'dea d'eternità è schematizzata nell'immaginario biblico in un giorno di solo presente, in definitiva un oggi eterno, una festa di matrimonio col Signore.
(Vedi: "Tempo-eternità")

Seguendo le tracce nella Bibbia e nelle tradizioni delle religione monoteiste che si rifanno ad Abramo, il padre nella fede, si può constatare come questa iniziale idea in effetti sia stata pervicacemente perseguita.
Più l'idea e la fede nel Dio unico creatore del cielo e della terra, negata di fatto dall'umanità del VI giorno, ma ripropostasi in questo VII giorno con la rivelazione del Sinai dilaga nel mondo, più s'affretta la venuta del giorno del Signore.
Un segnale, e nel contempo indice chiaro di questo progresso, è quanto l'uomo riesce nella storia a svincolarsi dall'opera delle proprie mani, affrancandosi dal lavoro sentito e subito come pena.
Il positivo risultato di conseguenza rivela quanto l'uomo stesso è disposto a lasciare del proprio tempo a Dio, visto che per chi crede nella vita eterna, tutto "il tempo" sarà poi con Lui.
Ovviamente il sentire come pena il lavoro è conseguenza del peccato degli uomini sugli altri uomini, mentre è esperienza che l'operoso servizio appaga gli spiriti nobili.
La liberazione dal lavoro spesso non è però dall'uomo interpretata come un essere affrancati dal tempo e l'entrare nel tempo di Dio che è l'Eternità, ma è il disperdersi in mille rigagnoli, alla ricerca di una felicità transitoria e caduca, pur se mai si riuscisse a coglierla, che lascia solo la bocca amara e l'idea d'aver perso tempo.

I GIORNI SONO SACRI

Il primitivo comando nella Bibbia prevede in definitiva "l'invenzione" della settimana e che, nell'ambito di tale periodo di tempo, un giorno fisso che si considera l'ultimo del singolo periodo, sia un giorno diverso da tutti gli altri giorni della settimana stessa, sacro sotto l'aspetto religioso.

Tale giorno, il sabato, dal latino "sabbatum", dall'ebraico "shabbath", s'esplicita nel riposo settimanale e nella celebrazione dell'opera di Dio prescritta nei dieci comandamenti riportati in Esodo 20,8s e in Deuteronomio 5,12-15, "Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è il Sabato in onore del Signore...".
Per il mondo romano, prima dell'avvento del cristianesimo, il "sabbatum" era "Saturni dies", cioè il giorno di Saturno.
Quei cristiani però che provenivano dal giudaismo, e che seguivano già la legge di Mosè, oltre al sabato santificavano anche la domenica.
Con il cristianesimo, nato dall'ebraismo, ci fu una differenziazione che non necessariamente escludeva quindi il precedente stato, ma poteva comportare anche un dilatazione del tempo "sacro", come avvenne tra i giudeo-cristiani dei primi tempi. D'altronde Gesù, essendo Dio, avendo benedetto con la sua risurrezione quel giorno e l'uomo che veniva liberato dalla morte, era evidente che aveva dato inizio ad un nuovo tempo, una nuova creazione e che quel giorno della settimana in cui era risorto era in modo particolare da ricordare.
Giustino, morto martire a Roma nel 165 d.C., infatti, scrive: "Ci riuniamo tutti insieme in assemblea nel giorno del Sole, perché questo è il primo giorno in cui Dio ha creato il mondo, dopo aver plasmato le tenebre e la materia, inoltre il quel medesimo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, è risorto dai morti: lo hanno crocifisso infatti la vigilia del giorno di Saturno, mentre il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, è apparso ai suoi apostoli e ai suoi discepoli e ha dato loro questi insegnamenti, che noi ora abbiamo sottoposto al vostro esame." (Prima Apologia - 66,1 e seg.)
La parola Domenica viene infatti dal latino "dies dominicus", giorno del Signore, ma per il mondo romano, prima dell'avvento del Cristianesimo, era come accennato "dies solis", giorno del Sole, in inglese sunday.

I cristiani sin dai primi tempi, quindi, santificavano la domenica partecipando alla Eucaristia, riposando se potevano dal lavoro, dedicandola alla cura della propria famiglia, dando attenzione ai malati ed ai sofferenti (Didachè) in onore del Signore, risorto nel primo giorno dopo il sabato, come sottolineato dai Vangeli nelle manifestazioni ai discepoli del Risorto (Marco 16,2; Luca 24,1; Giovanni 20,1).
I cristiani di origine ebraica però continuavano anche a seguire le prescrizioni di Mosè e accadeva tra l'altro che "i Quartodecimani" - Chiese orientali di Siria, Cilicia e Mesopotamia - dopo la celebrazione il 14 di Nisan della Pasqua ebraica celebravano anche la risurrezione pur se in quel giorno non era avvenuta, perché nella parasceve c'era stata la crocifissione e secondo i Vangeli la risurrezione è avvenuta il terzo giorno dalla crocifissione.
Le Chiese di Alessandria e di Roma invece seguivano un calcolo differente, attribuito a papa Sotero, onde la Pasqua cristiana non coincideva mai con la Pasqua ebraica, e decisero di fissarla alla prima domenica dopo il plenilunio successivo all'equinozio di primavera.
Vi furono controversie che terminarono nel 325 d.C. al Concilio di Nicea, che stabilì che la Pasqua doveva essere celebrata la prima domenica, appunto, dopo la luna piena che seguiva l'equinozio di primavera e nel 525 d.C. si stabilì che questa data doveva cadere tra il 22 marzo e il 25 aprile.

COMPORTAMENTI RELIGIOSI PRIMA DELLA TORAH
OFFERTE, ALTARI, SACRIFICI

Sul tema del "sabato", in primis, mi sono chiesto cosa dica la Bibbia su obblighi, prescrizioni, offerte, sacrifici e feste religiose ai tempi dei patriarchi degli ebrei prima della manifestazione di Dio a Mosè.

La risposta è che su tutto ciò prima di quel momento nella Bibbia non risulta alcun comando da parte di Dio.
Lo conferma il profeta Geremia che addirittura afferma: "Dice il Signore... in verità io non parlai né diedi comandi sull'olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dal paese dell'Egitto." (Geremia 7,21s)
Anche altri profeti sono critici su tale questione, tanto da far pensare che nel Pentateuco, com'è pervenuto, ci siano anche prescrizione inserite per usanze locali e non proprio volute da Dio o perlomeno gli stessi profeti mettono in evidenza che dietro tali gesti può facilmente nascondersi l'ipocrisia religiosa, ed al riguardo basta leggere Osea 6,6; Michea 6,6-8; Amos 5,21s.
La conclusione è che l'unico sacrificio ben accetto a Dio è la conversione e che sacrifici ed offerte prima dell'uscita dall'Egitto erano solo moti spontanei.
Tra i libri del Pentateuco, in ogni modo, il solo che tratta dei patriarchi è il libro della Genesi, che però è anche il più recente, scritto 7-8 secoli dopo l'evento esodo e la critica attuale sostiene che in forma midrashica contiene le riflessioni su quanto gli ebrei d'allora credevano e s'erano tramandati sulle proprie origini.
Non resta, perciò, che attingere da quel testo canonico per avere qualche elemento su tali questioni.
La prima volta che nel libro della Genesi si trova una manifestazione "religiosa" è al quarto capitolo, nel racconto di Caino e Abele, ove il primo fece un'offertaa Dio dai frutti della terra ed Abele la prese dai primogeniti del gregge.
(Vedi: "Visione su Abele, il pastore gradito al Signore")
Dio preferì il sacrificio d'Abele.
Il motivo della preferenza è da cercare nel moto spontaneo del cuore, sul quale solo Dio può giudicare, piuttosto che nel tipo d'offerta.
In tale occasione, però essendovi anche due attività a confronto, è parso a molti come che se l'offerta del pastore fosse stata preferita a quella dell'agricoltore, il che sembra un accenno al fatto che l'aspirazione alla cultura nomade dei patriarchi, pastori di greggi, piuttosto che agricoltori, veniva da una inclinazione mite in contrapposto agli Egiziani, che come Caino, ai propri dèi offrivano con preferenza fiori, frutti e prodotti agricoli, ma nel contempo angariavano gli ebrei, figura questi di Abele.
Il Genesi segnala poi un primo atto liturgico con Noè che offrì un sacrificio spontaneo a Dio dopo che s'abbassarono le acque del diluvio e l'arca rimase a secco sull'Ararat, "edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali mondi e di uccelli mondi e offrì olocausti sull'altare". (Genesi 8,20)
L'osservazione del testo in tale occasione fu che il Signore "ne adorò la soave fragranza e pensò: Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza; né colpirò ogni essere vivente come ho fatto". (Genesi 8,21)
Che soave fragranza può uscire da carcasse di bestie bruciate?
Certo però è il Signore ha sentito un profumo.
Il soave odore poteva essere quello dell'intenzione che usciva dall'animo di Noè, ma l'accenno all'istinto negativo dell'uomo sembra non far trovare spazio a tale interpretazione.
Forse allora il profumo, era un futuro odore!
È allora da vedere cosa vogliano dire le lettere di quelle parole e l'esatte lettere ebraiche decriptate secondo il metodo "Parlano le lettere".

"Il Signore ne adorò la soave fragranza e pensò..."

     

La decriptazione reca al pensiero che chi bruciava, in effetti, era segno della volontà dell'uomo, pur se ormai potenzialmente incapace, di liberarsi dallo spirito bestiale che... "Portatosi  s'era  nei corpi  per vivere (). La perversità () v'entrò  che l'Unico  aveva confinata . Nei corpi  s'era  nascosto  nel mondo  l'angelo  (una energia). Chiudendovisi (co)stringeva  recando  della forza  l'origine  per essere ribelli ()."

Il bestiale "Portatosi s'era nei corpi per vivere.
La perversità v'entrò che l'Unico aveva confinata.
Nei corpi s'era nascosto nel mondo l'angelo (una energia).
Chiudendovisi costringeva recando della forza l'origine per essere ribelli."

Il Signore sentiva l'odore di questo evento, come d'altronde profetico era stato il ramoscello d'olivo riportato dalla colomba che preannunciava l'olio dell'unzione del Messia che sarebbe nato dai discendenti di Noè (Luca 3,26).
Noè con la moglie, i tre figli, Sem, Cam e Jafet e le loro mogli, erano gli unici otto salvati dopo il diluvio.
Noè era stato definito un giusto (Genesi 6,10), pur tuttavia quella conclusione di Dio nei riguardi del cuore dell'uomo sembra far cogliere che pur se Noè è un giusto è ineluttabile che "l'istinto del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza", ne consegue che Dio ne prende atto per una strategia di salvezza da ciò che inquina il cuore umano sin dalle origini.
Così il decriptato ci fa entrare nel perché Dio secondo l'autore non può prendersela più di tanto con l'uomo e conclude che è il momento di portare a segno un modus d'intervento inatteso dal nemico che insidia l'uomo.
Tutti gli uomini, secondo la Bibbia, discendono da quegli otto salvati con l'arca, e solo più tardi si paleserà il peccato di Cam, che comportò la maledizione di Noè sul figlio Canan di tale figlio (Genesi 9,18-28).
Pur tuttavia, già al momento di quel sacrificio di Noè il Signore considerò che l'animo dell'uomo è distorto.
Quindi la generazione nuova non è molto diversa dalla vecchia, solo che è cambiata la strategia di Dio... interverrà!
Pare, perciò, anche scorgersi nello specifico che l'atto stesso del sacrificio con la sua religiosità, di per sé, ha palesato una stortura superabile solo se il motore è la vera fede e su questo stesso tema più tardi il libro del Genesi racconta che Dio proverà Abramo.
Dio poi benedisse Noè ed i suoi figli, diede (Genesi 9) loro poche norme ed ordinò di moltiplicarsi e di dominare sulla terra, senza spargimenti di sangue.
Di fatto quelle sono le stesse norme che il 1° Concilio di Gerusalemme diede per i pagani che si convertivano al cristianesimo: "astenersi dall'idolatria, dall'impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue." (Atti 15,19-21)
L'uomo fu, così, nuovamente benedetto e consacrato dominatore, perciò re della terra, in cui però non vi sarà ancora la pace, che poi profetizzerà Isaia.
In quella occasione Dio, infatti, sottolinea che il "timore ed il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche..." (Genesi 9,2) e fa profilare inimicizia tra gli uomini "Chi sparge il sangue dell'uomo dall'uomo il suo sangue sarà sparso". (Genesi 9,6a)
Nelle semplici norme di vita che Dio dette allora non ci fu prescrizione alcuna di culto, di feste o sacrifici, e solo in base a quelle semplici norme Dio proclamò la sua alleanza eterna con tutti gli uomini e con gli esseri che vivono in ogni carne.
La storia, per contro, insegna che i discendenti di Noè, dispersi dopo il crollo della torre di Babele, per ingraziarsi gli dèi costruirono idoli ed altari per sacrifici anche umani e pure dai discendenti di Sem, da cui provengono i patriarchi degli ebrei, furono continuati sacrifici spontanei in favore del Signore sull'esempio del progenitore Noè.
A tale riguardo, sempre nella Genesi, è raccontato che: "Il Signore apparve ad Abram e gli disse: alla tua discendenza io darò questo paese" (Genesi 12,7a) ed Abramo come risposta, per memoriale "...costruì in quel posto un altare al Signore che gli era apparso." (Genesi 12,7b)
Dopo la separazione dal nipote Lot, quando si stabilì alle Querce di Mamre ad Ebron, il patriarca costruì un ulteriore altare al Signore (Genesi 13,18).
L'olocausto, vale a dire far ardere completamente un'offerta senza che resti nulla da utilizzare per chi l'offre o per il sacerdote (Genesi 22,2), fu chiesto da Dio al patriarca Abramo addirittura nei riguardi dell'amato figlio Isacco, infatti, per far saggiare ad Abramo se aveva camminato nella fede o se era solo religiosità chiese: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io t'indicherò".
Era usanza prettamente pagana, barbara e d'egoismo estremo, bruciare nel fuoco i propri figli (ad es. al dio Molok) per auspicare d'avere fortuna.
Com'è noto, Abramo alla richiesta di Dio di sacrificare il figlio, stava per ubbidire e là, sul Moria, preparò un altare, ma Dio in tale occasione, scrutato il cuore d'Abramo, evidentemente vi scorse la fede e non l'egoismo e così Abramo mentre stava per sacrificare il figlio fu fermato e sacrificò un ariete che Dio stesso aveva messo a disposizione.

Poi, anche Isacco, dopo che Dio gli apparve e lo benedisse, "costruì (a Bersabea) un altare e invocò il nome del Signore; lì piantò la tenda. E i servi d'Isacco scavarono un pozzo." (Genesi 26,25)
Giacobbe, dopo la separazione da Esaù, a Sichem eresse l'altare di El-Elohè-Israel (Genesi 33,20) e, dopo l'episodio della violenza di Sichem alla figlia Dina seguita dalla vendetta dei fratelli, se ne partì ed in Betel, su ordine di Dio stesso, costruì un altare.
La motivazione era istituire un culto per evitare culti idolatri nella famiglia (Genesi 35,2-4) e questa forse è proprio la chiave di lettura da dare ai culti dei patriarchi, cioè usare forme religiose dei popoli tra cui vivevano, riferendoli però al Dio Unico per tenere unita la famiglia e distoglierla dai culti dei popoli tra cui vivevano.
A Betel, Dio benedì Giacobbe, gli confermò la promessa fatta ad Abramo e ad Isacco, e Giacobbe per risposta eresse una stele, vi fece una libagione, e l'unse d'olio (Genesi 35,14), come aveva fatto con il guanciale di pietra in occasione del sogno della scala da cui salivano e scendevano gli angeli del cielo (Genesi 28,18).
Vale appena ricordare che ungere in ebraico è  ed olio è , parole che richiamano rispettivamente la figura del Messia, l'Unto, e il numero 8 che in ebraico è  con le stesse lettere di olio, quindi l'VIII giorno ed i relativi decriptati, come vedremo, ci parlano appunto di tale mito, divenuto realtà in Gesù Cristo.
L'olocausto - Esodo 18,12 - prima della consegna della legge è poi nominato un'altra volta, quando Ietro, l'offrì al Signore per ringraziamento, allorché con la figlia Zippora ed i nipoti Gherson ed Eliezer, figli di Zippora e di Mosè, andò nel deserto ad incontrare il genero che guidava fuoriusciti dall'Egitto.
Particolarmente interessante si delinea proprio il Cap 28 del libro del Genesi in cui è descritto il sogno di Giacobbe, perché tratta di un'idea di collegamento tra cielo e terra tramite la sognata scala da cui scendevano e salivano angeli.
Se i racconti ebraici del Genesi sono stati preparati anche per recepire un testo nascosto questo racconto dovrebbe essere particolarmente pregnante.
Con questa idea nella mente ho così voluto affrontare la decriptazione dei 22 versetti di quel capitolo e sono stato sorpreso della lucida sintesi che se ne ricava applicando il mio metodo di "Parlano le lettere" che rende praticabile con successo l'idea espressa in "Decriptare le lettere parlanti delle Sacre Scritture ebraiche".
Si trova così delineato, in modo ancora allegorico nel testo esterno e come racconto nel decriptato, il disegno conseguente alla considerazione già accennata nel racconto dell'arca di quando Dio disse: "Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza; né colpirò ogni essere vivente come ho fatto". (Genesi 8,21)
Quel racconto di Genesi 28 ha poi un seguito in Genesi 35 ove è ricordata anche Betlemme "Così Rachele morì e fu sepolta lungo la strada verso Èfrata, cioè Betlemme". (Genesi 35,19)
Più avanti riporterò i racconti dalla traduzione del testo di questi complessivi 51 versetti dei due capitoli del Genesi 28 e 35 secondo la CEI e poi tutto di continuo il testo delle decriptazioni parola per parola.

COMPORTAMENTI RELIGIOSI PRIMA DELLA TORAH
FESTE

Va da se che per tali popolazioni nomadi, dedite alla pastorizia e che per baratto trovavano altri tipi di derrate, la vita era scandita dai solstizi e dagli equinozi, in pratica dai cambiamenti delle stagioni.

Tali momenti solari, erano facilmente individuabili seguendo negli anni l'evolversi dell'ombra d'un bastone.
Per scandire il tempo tra quei momenti fondamentali si affidavano alle fasi lunari con cui fissavano i tempi più utili per l'accoppiamento e la tosatura degli animali e legato a tali fasi, infatti, è il mese lunare che dura 29 giorni, 7 ore, 43 minuti e 13 secondi.
I popoli dell'area medio orientale, ivi compresi gli abitanti del paese di Canaan, festeggiavano in particolare i noviluni.
Nella durata approssimata del mese solare è poi da individuare la scelta del periodo temporale d'una settimana, in quanto 7 giorni sono circa 1/4 del mese pari ad una fase lunare.
Per i primi 2 mesi dell'anno così scandito, cioè per le prime 8 settimane (a cui seguirà poi la "Festa delle settimane", del covone, o pentecoste, cioè al 50 giorno dopo la Pasqua, e 64 giorni dopo la luna nuova di primavera, con luna al 1° quarto) le fasi lunari hanno scorrimenti contenuti (minori ad 1/3 di fase) ed a fine settimana sono riconoscibili, senza passare ancora ad una fase successiva.
Poi, durante l'anno gli scorrimenti crescono e le inevitabili differenze, allora, erano conguagliate a fine ciclo solare, prima della primavera, con un mese aggiuntivo, il 13° (2° Adar).
In questo modo l'anno lunare risultava di 28x13 = 364 giorni.
Dopo l'uscita dall'Egitto, un giorno veniva forse aggiunto nel 50° giorno dopo la Pasqua che era la festa delle settimane, in cui c'era santa convocazione e cessazione da ogni lavoro, come nel giorno precedente che era sabato, e ciò poteva riaggiustare un po' la coincidenza con le fasi lunare nei primi mesi.
La settimana come periodo di tempo ciclico, regolare e costante di sette giorni dipende così dal calendario luni-solare.
La settimana ebraica si trasferì dunque con le variazioni citate in quella cristiana, che a Roma si fuse con quella astrologica.
Il nome ebraico dei giorni ruota attorno al Sabato che è l'unico giorno speciale come nome che sarebbe il giorno settimo.
La nostra Domenica è il giorno primo "rishon".
Lunedì, da Luna, è il giorno secondo "shenì".
Martedì, da Marte è il giorno terzo "shilshi".
Mercoledì, da Mercurio, è il giorno quarto "revi'i".
Giovedì, da Giove, è il giorno cinque "hamishhi".
Venerdì, da Venere, è il giorno sesto "shishi".
I vari giorni, così, per gli ebrei non avevano nomi particolari ed erano indicati solo con il numero, salvo il settimo che fu chiamato sabato; in ebraico sette è "sheb'a"  e "sheb'ah"  mentre sabato è "Shabbat" .
Il triolo , ma con lettera "Sin" anziché "Shin", sono il radicale di essere sazio, saziarsi da cui "ricco, sazio, pieno, sazietà e pienezza", mentre con la lettera Shin quello è il radicale di "giurare".
Sette "sheb'ah"  e sabato "Shabbat"  hanno in comune le prime due lettere che sono in pratica il radicale  di "condurre in esilio", onde se si divide dividere  =  +  si ottiene "il condursi in esilio finirà", idea che serve a comprendere meglio il segno del sabato.
Dice, infatti, il libro dell'Esodo al 31,7 sul giorno del sabato "Questo è un segno" e segno, secondo le lettere ebraiche è .
"L'esilio finisce" è foriero dell'ultimo giorno dell'umanità, quando "...il Signorestesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio,discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore."
Ai tempi dei patriarchi attendevano di festeggiare il risveglio della natura il giorno della prima luna piena di primavera che chiamavano 14, cioè due settimane dopo della luna nuova, da cui partiva il primo mese dell'anno agricolo, detto d'Abib e poi di Nisan.
Solo più tardi l'inizio dell'anno del calendario Ro'ash ha shanah fu fissato al 1° del settimo mese ebraico Tishri, il mese di Etanim cananeo (2 Re 8,2), in autunno tra metà settembre-metà ottobre dei nostri mesi.
In questo mese, originariamente il decimo giorno (Numeri 29,1-6 e Levitico 23,23-25) era quello dell'espiazione - Jom Kippur - e poi la Festa delle Capanne Sukkot che durava otto giorni a partire dal 15 del mese (Levitico 23,33-44).
(Vedi: "Le Feste Ebraiche della venuta del Messia")

Le popolazioni circostanti alla terra di Canaan avevano anch'esse culti lunari; là, infatti, da quei popoli semitici erano celebrate feste in occasione delle lune nuove e delle lune piene.
Cosicché la suddivisione del tempo in periodi di sette giorni è da cercare più in Asia Minore che in Egitto, in quanto qui i mesi erano di 30 giorni divisi in tre decadi e con mese aggiuntivo di 5 giorni.
Ad alcuni commentatori pare di trovare un cenno di tale residuo ricordo in Genesi 24,55, Esodo 12,3 ed in Levitico 16,29; 23,27 e 25,9.
Staccarsi da tale culto, rafforzare la coesione familiare e sancire così una facile ed utile misura del tempo sono valide concause per fissare una festa regolare settimanale aggiungendo alle feste delle lune nuove e delle lune piene quelle intermedie del 1° e del penultimo quarto.
Per pastori nomadi, la cui vita è strettamente connessa alle attività giornaliere di pascolare ed abbeverare le greggi, doveva essere ben forte la motivazione che li portò ad astenersi da quelle attività un giorno dopo 6 di lavoro.
Per quei clan, tra l'altro, era necessaria una forte coesione che doveva rinsaldarsi con riunioni fisse periodiche, occasioni di crescita sociale e familiare con una spontanea festa di famiglia, felici per il ricongiungimento con le spose da parte dei figli, servi e schiavi che portavano i prodotti all'accampamento base con le necessarie notizie d'avvisaglie d'eventuali pericoli.
I patriarchi e i capi famiglia coglievano così l'occasione di rinsaldare oltre che i rapporti anche la propria autorità.
Chi era andato con le greggi sino a tre giorni di cammino dalla base (come vedremo d'una distanza del genere v'è traccia nel racconto dell'uscita dall'Egitto), tornava, e il ritrovarsi assieme era occasione per ringraziare Dio e, di certo, in tale occasione erano a raccontarsi quanto accaduto, i pericoli evitati o superati.
Da ciò a considerare sacri per motivi religiosi tali feste il passo fu breve.
Certamente tale usanza che era dei patriarchi, quando gli ebrei furono in Egitto rimase retaggio solo di residui gruppi di pastori, che divennero una minoranza, in quanto i più, nei 430 anni di permanenza in Egitto, s'erano integrati nelle molteplici attività ed erano stati poi condizionati dai lavori obbligatori in favore del faraone.
L'esigenza di feste settimanali ridivenne però attuale dopo l'uscita dall'Egitto.
Oltre la festa di Pasqua sono da ricordare le feste della luna nuova, all'inizio dei mesi, "neomenie" o "noviluni" per le quali nel Pentateuco furono poi inserite prescrizioni particolari, come in Numeri 10,10; 28,11-15; 29,1-6, e ne parlano Ezechiele 46,6s, Neemia 10,34 ed anche Isaia 1,13, Amos 8,5 e Osea 2,13.
Ve n'è anche traccia nei libri storici antichi 1 Samuele 20,5-24 e le ricorda S.Paolo nella lettera ai Colossesi 2,16.
È questo lo scenario su cui s' innestò il comandamento del sabato.

IL SETTIMO GIORNO - L'ISTITUZIONE DEI PRIMI SABATI

Sabato, come detto in ebraico "shabbat" , è il settimo giorno della settimana che con intenzione religiosa dagli osservanti è vissuto nel riposo.
Il sostantivo "shabbat" = riposo, deriva dal radicale  relativo al verbo "cessare, riposarsi", forse dall'idea il "fuoco  nella casa  si spegne-finisce ".
La prescrizione d'osservare il riposo del sabato è comandamento, che si trova nel libro dell'Esodo capitolo 20, versetti:

  • Esodo 20,8 - inizia con "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo" con il che sottintende chiarisce che rimanda ad una prescrizione precedente;
  • Esodo 10,9-10 - ecco il comandamento "sei giorni faticherai... ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro..."
  • Esodo 20,11 - prosegue con la motivazione "Perché in sei giorni il Signore ha fatto i cieli e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro".
Il comandamento trova così di fatto stretto collegamento ai primi versetti del 2° Capitolo del Genesi, libro che però fu scritto molto tempo dopo.
Nel brano del libro della Genesi in cui c'è la descrizione di quanto detto dall'Esodo sulla creazione nei sette giorni, è ripetuto per due volte il verbo cessare : "Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che Egli creando aveva fatto." (Genesi 2,2-3) e la domanda che sorge spontanea è quando nell'ambito del settimo giorno cessò, all'inizio, a metà o alla fine?
Intanto mentre lo prescriveva stava operando... con tutti quei miracoli che aveva fatto, ma su ciò si vedrà più avanti.
Quel ricordati del comandamento ci riporta al momento in cui Dio dette la prescrizione del riposo del sabato  nel giorno settimo  e fu quando inviò la manna e poi le quaglie con cui saziò abbondantemente la fame degli Israeliti, sazietà che come abbiamo visto è implicita nel radicale .
L'episodio lo racconta Esodo 16, perché il fatto avvenne prima della consegna del decalogo (Capitoli 19 e 20).
In tale occasione Dio disse a Mosè che tutti dovevano raccogliere quel "pane celeste" quotidianamente, e solo per la quantità necessaria, altrimenti l'eccedenza rispetto alla quota giornaliera sarebbe andata a male.
Nel 6° giorno però, (il nostro venerdì; la settimana iniziava con la nostra domenica) tutti dovevano raccogliere doppia razione di manna, per mangiarla anche nel 7° giorno; contrariamente a quella conservava negli altri giorni questa non sarebbe andata a male, infatti, così il Signore aveva ordinato: "Ma il sesto giorno quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che raccoglieranno ogni giorno." (Esodo 16,5)
Nella consegna della manna, il racconto nel libro dell'Esodo da riferimenti di tempo che permettono di concludere che questa avvenne in un giorno corrispondente alla nostra domenica.
Nel racconto dell'Esodo 16,1 si legge: "Levarono l'accampamento da Elim e tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin, che si trova tra Elim ed il Sinai, il 15 del secondo mese dopo la loro uscita dall'Egitto."
Nel racconto delle tappe del libro dei Numeri 33,10s, però, c'è: "Partirono da Elim e si accamparono presso il Mar Rosso. Partirono dal Mar Rosso e si accamparono nel deserto di Sin".
Là, al capitolo 16 dell'Esodo c'è il racconto dell'episodio della mormorazione del popolo con la promessa da parte di Dio delle quaglie per la sera e della manna per la mattina.
Ora, considerati i due racconti in Esodo e in Numeri è da pensare che le quaglie furono ad arrivare sulle sponde del Mar Rosso in quanto queste, dopo le migrazioni si abbattono stanche sulle coste; infatti, nel racconto dei Numeri è detto: "Intanto s'era alzato un vento per ordine del Signore, e portò quaglie dalla parte del mare e le fece cadere sull'accampamento sulla distesa di una giornata di cammino da un lato e la distesa di un giorno di cammino dall'altro intorno all'accampamento..." (Numeri 11,31)
Nel deserto del Sin, come ha detto il racconto dell'Esodo, c'erano il 15 del mese successivo alla Pasqua, perciò è da ritenere che la manna fu data la sera, finito il 14, mentre stavano arrivando, all'inizio del 15 (le giornate iniziavano al tramonto), e la manna fu data la mattina del 15.
Quella nota sulle quaglie nel racconto dei Numeri, che erano in quantità tale da arrivare ad un giorno di cammino da tutte le parti rispetto al campo sul Mar Rosso, evidentemente serve perché evidentemente quella era stata l'ultima tappa, prima di quella nel deserto di Sin, come appunto dice i Numeri, e la carovana era lunga ed al termine del giorno 14 stavano arrivando al nuovo accampamento.
Se ne ricava che il giorno del 14 hanno camminato, non essendovi ancora la disposizione di riposare, e che non solo non ci fu commemorazione del giorno d'uscita, ma addirittura ci fu mormorazione.
La consegna della manna avvenne perciò dopo 4 settimane (un mese lunare) + 1 giorno dopo il giorno della prima Pasqua.
Al 6° giorno ne raccolsero doppia razione, perché era il venerdì il 6° giorno, prima del sabato.
Se ne ricava che la prima Pasqua nel deserto cadde di sabato, che è il primo sabato celebrato mangiando la manna raccolta nel giorno prima fu il 21 del secondo mese, vale a dire il 7° sabato dall'inizio dell'anno, e che da parte di Dio la consegna della manna avvenne in giorno corrispondente alla nostra domenica.
Anche il Corano richiama il fatto delle quaglie e della manna, in:

  • II Sura Al-Baqara (La Giovenca) 57 - "E vi coprimmo con l'ombra di una nuvola, e facemmo scendere su di voi la manna e le quaglie: Mangiate queste delizie di cui vi abbiamo provvisti! Non è a Noi che fecero torto, bensì a loro stessi."
  • VII Sura Al-A'r âf (Pre-Eg.) 160 - "Li dividemmo in dodici tribù o nazioni. Quando il suo popolo gli chiese da bere, ispirammo a Mosè: Colpisci la roccia con la tua verga. Sgorgarono da essa dodici sorgenti e ogni tribù conobbe da dove avrebbe dovuto bere; prestammo loro l'ombra di una nuvola, e facemmo scendere la manna e le quaglie: Mangiate le buone cose di cui vi abbiamo provvisto. Non è a Noi che fecero torto, fecero torto a loro stessi."
Con buona probabilità, quando La Sura LXII (9-11) Al Jumu'a o "il Venerdì" citata al paragrafo "I giorni sacri" recita: "O credenti, quando viene fatto l'annuncio per l'orazione del Venerdì, accorrete al ricordo di Allah e lasciate ogni traffico. Ciò è meglio per voi, se lo sapeste. Quando poi l'orazione è conclusa, spargetevi sulla terra in cerca della grazia di Allah, e molto ricordate Allah, affinché possiate avere successo..." si riferisce al fatto che i doni di Dio, come la manna, nei giorni di venerdì, secondo la Bibbia, poteva essere raccolta in doppia misura.
Il racconto biblico ci dice, infine, che tutti i giorni dal 15° del 2° mese dall'uscita dall'Egitto gli Israeliti mangiarono manna e, il libro di Giosuè preciserà che, questo dono venne a cessare dopo l'attraversamento del Giordano.
Il popolo, infatti, dopo 40 anni di peregrinazioni nel deserto, morto Mosè, salì dal Giordano il 10 del primo mese e s'accampò dopo a circa 10 Km nella steppa di Gerico, in località detta Galgala (Giosuè 4,19).
Lì, dopo che Giosuè (5) fece circoncidere gli Israeliti (alla collina Aralot) la sera del 14 del mese, celebrarono la Pasqua.
In tale occasione: "La manna cessò il giorno dopo (15 del mese), com'essi ebbero mangiato i prodotti della terra e non ci fu più manna per gli Israeliti; in quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.".(Giosuè 5,12)
La manna cessò il giorno dopo della Pasqua che era anche sabato, in quanto in quel giorno di festa avranno mangiato quella raccolta nel giorno prima, unitamente all'agnello.
Il libro del Deuteronomio 5,12 nel passo in cui riporta il decalogo per il 3° comandamento recita: "Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore tuo Dio ti ha comandato".
Ora, il Deuteronomio, o seconda Legge, si chiama così perché ripetizione della Legge dei testi precedenti; quindi più tardivo dell'Esodo che richiama una situazione che riporta al libro della Genesi.
È però da ricordare che il libro della Genesi è più tardivo di tutti ed è una summa teologica degli altri del Pentateuco; infatti, vengono prima i fatti dell'Esodo, indi, la teologia in forma di ricerca (DRSh ricerca, quindi Midrash), il ripensamento di questi, vale a dire la Genesi.
Nel dare la disposizione, qui, il Deuteronomio 5,13-14 spiega il perché d'estendere il riposo del sabato anche agli schiavi e porta particolari in più: "sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino con te".
La motivazione è così collegata alla liberazione della schiavitù dall'Egitto, fatto fondante dell'ebraismo: "Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egittoe che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso" e l'ordine diviene perentorio "perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato". (Deuteronomio 5,15)
Secondo vari critici, dopo il ritorno dall'esilio Babilonese, il sacerdote e scriba Esdra sul finire del 400 a.C. provvide ad una prima coordinata integrazione di tutti i testi antichi ed in particolare dei rotoli delle memorie dei re di Giuda.
Dopo il ritorno dall'Esilio Babilonese s'ebbe la stesura definitiva del Pentateuco nella forma che c'è giunta; di quest'ultimo periodo sono, infatti, i libri d'Esdra e Neemia, ai quali seguirono quelli delle Cronache.
Il libro del Deuteronomio 17,18 suggerisce una tale eventualità quando parla dei re; infatti, questi rotoli riportavano anche la legge "...quando uno di questis'insedierà sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa legge secondo l'esemplare dei sacerdoti leviti".
È opportuno, infatti, considerare la sequenza di redazione dei libri del Pentateuco per comprendere come si siano evolute le motivazioni con le seguenti considerazioni:
  • nell'Esodo il motivo del sabato riguarda prima la liberazione dalla schiavitù, poi il fatto del 7° giorno in cui Dio s'è riposato;
  • il Deuteronomio conferma che il motivo del riposo sabbatico è quello storico della liberazione dagli egiziani;
  • il tutto diviene chiaro considerando che il giorno della liberazione, cioè la Pasqua del 14 di Nisan, era sabato, perciò il sabato come istituzione è strettamente legato alla Pasqua e la prima risultò capitare di sabato e non si può parlare del sabato senza pensare alla Pasqua;
  • il tema dei giorni della creazione, sviluppato nella Genesi, è un'elaborazione religiosa, successiva, propria appunto della tradizione sacerdotale;
  • del sabato, non si parla mai prima della sua "istituzione", indicata nell'Esodo in occasione dell'invio della manna.
Al riguardo infine, pare sempre più importante sondare bene i percorsi segnati dalle tappe del peregrinare dopo l'uscita dall'Egitto raccontati dal Pentateuco ed in particolare al Capitolo 33 del libro dei Numeri in quanto sembrano contenere significati particolari per nostro tema.

IL SETTIMO GIORNO - LA MANNA

Lo stesso libro dell'Esodo 16,29 rivela che il sabato ha avuto una propria specifica fondazione, quando Mosè disse: "Vedete che il Signore vi ha dato il sabato! Per questo egli vi dà al sesto giorno il pane per due giorni. Restate ciascuno al proprio posto! Nel settimo giorno nessuno esca dal luogo dove si trova", quindi, il "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo" di Esodo 20,8 all'inizio del 3° comandamento è da riferire a quella prescrizione di poche settimane prima.

Che alcuni ebrei avessero spontaneamente celebrato feste familiari rituali settimanali come abbiamo accennato è a sfondo, ma non è la causa prima.
A quei tempi c'era ancora stretta relazione tra le settimane e le fasi lunari nei primi mesi dell'anno; poi al tempo dei re per le relazioni con i popoli vicini, presero per i mesi i nomi dei mesi dell'ambiente cananeo e, probabilmente, ci furono successivi aggiustamenti del calendario tanto che la corrispondenza tra Pasqua e sabato non fu più garantita.
È, così, confermato che la causa scatenante il sabato è da ricercare nella Pasqua che fu di sabato e che la motivazione dei 7 giorni della creazione fu una successiva meditazione.
Gli Israeliti, infatti, quel giorno della prima Pasqua rimasero nelle loro case in Egitto e quel versetto dell'Esodo che ricorda la manna e l'istituzione del sabato continua: "Il popolo dunque riposò nel settimo giorno" (Esodo 16,30), confermando che non ci fu necessità di uscire a cercare cibo.
Al riguardo, peraltro, è decisivo "Il giorno dopo la Pasqua, gli Israeliti uscirono a mano alzata, alla vista di tutti gli Egiziani" di Numeri 33,3 (Esodo 14,8).
Da allora, da oltre 32 secoli, gli ebrei mantengono fedeltà a tale istituzione, che Dio poi sancì con le tavole della Legge date a Mosè sul Sinai.
La parola "shabbat" =  con il suo significato di "giorno di riposo" si trova per la prima volta, come visto, nello stesso libro dell'Esodo al Capitolo 16 al versetto 23 nel racconto dell'invio della manna e delle quaglie in cui è riferito: "È appunto ciò che ha detto il Signore: Domani è Sabato, riposo assoluto consacrato al Signore".
Questa parola ebraica, però, come sole consonanti, ma con diversa vocalizzazione, è inserita la prima volta proprio nel versetto della Genesi, ove si parla di Dio: "che aveva cessato da ogni lavoro che Egli creando aveva fatto" (Genesi 2,3), questa è prova della elaborazione del pensiero, considerato che, come detto, questo libro della Genesi fu scritto quale elaborazione midrashica degli altri libri.
Il popolo però non era uso a tale riposo; infatti, non si trova traccia di precedenti sabati nei racconti della vita dei patriarchi che nessun riposo sembrano praticare connesso al ricordo dei giorni della creazione.
Ho già fatto notare che il libro dei Numeri 15,34s racconta che mentre gli Israeliti erano nel deserto fu trovato un uomo che cercava legna di sabato, ma "non era stato ancora stabilito che cosa gli si dovesse fare" e fu allora che Mosè disse che il Signore comandava di lapidarlo.
Eppure, nell'Esodo 31,14 si legge che Dio sul Sinai aveva detto a Mosè: "Osserverete dunque il sabato, perché lo dovete ritenere santo. Chi lo profanerà sarà messo a morte; chiunque quel giorno farà qualche lavoro, sarà eliminato dal suo popolo."
La norma perciò era stata inserita da poco e non c'era ancora una prassi consolidata.
La consegna da parte di Dio del sabato, prima avvisato e poi sancito come legge sul Sinai, è stato poi elaborata nel libro della Genesi con riferimento ai giorni della creazione descritti in questo libro.
La consegna del sabato e l'idea dell'uscita dall'Egitto è mia opinione che per l'autore della Genesi è l'idea che scandisce pur se non in modo esplicito la fine del VI giorno della creazione e l'alba del VII giorno in cui l'umanità esce dalla notte entrando nel tempo d'alleanza e di riappacificazione di Dio con gli uomini, giorno che ancora dura ed in cui avverrà la redenzione ed il riscatto dell'uomo.
In definitiva, la teofania del Sinai fu l'alba del VII giorno della creazione, in cui Dio, come sottende il racconto, ricominciò, tramite un popolo, a riparlare espressamente con l'umanità.
(Vedi: "La durata della Creazione")
Le tappe di formazione della versione definitiva della Torah non sono poi da dimenticare, perché nell'ultima sistemazione ai tempi di Esdra e Neemia i fatti antichi furono rivisitati anche alla luce del più recente esilio in Babilonia e come visto in  c'è anche il radicale  di "far schiavo, menare in esilio" unito al segno al segno  = fine; perciò "il menare in esilio finisce"; il che è valido sia per il ritorno dall'esilio Egiziano che dal Babilonese.
Si può andare anche al radicale  = "ritornare, convertirsi"; il sabato si può così considerare "segno  di ritorno"; "segno  di conversione".
Il sabato è la fucina in cui è acceso il fuoco dell'attesa d'una liberazione definitiva, l'attesa del Messia e dell'escatologia, cioè l'attesa dei tempi ultimi e dell'VIII giorno.
Ecco che i cristiani credono che il Messia torni in una Domenica in cui avrà inizio l'eternità.

IL SETTIMO GIORNO - RIPOSO E AZIONE

Torniamo alla festa della luna piena di primavera che sanciva l'uscita dall'inverno e la fecondità delle greggi.
La prima volta che si trova la parola festa nella Torah, cioè nei 5 libri del Pentateuco, è nel libro dell'Esodo.
Quando il Signore si rivelò al roveto ardente, istruito Mosè sulla missione che gli dava e su come comportarsi, gli aveva detto: "...tu e gli anziani d'Israele andrete dal re di Egitto e gli riferirete: Il Signore, Dio degli Ebrei, ci si è presentato a noi. Ci sia permesso di andare nel deserto a tre giorni di cammino, per fare un sacrificio al Signore, nostro Dio."(Esodo 3,18)
Mosè ed Aronne, incontratisi nel deserto al monte di Dio, dove Aronne s'era diretto per comando del Signore, tornati in Egitto, adunati gli anziani degli Israeliti che ebbero a credere alle parole ed ai segni, subito dopo annunziarono al faraone: "...Dice il Signore, il Dio d'Israele: Lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto!" (Esodo 5,1b)
La richiesta di questa festa, che intendevano celebrare nel deserto a tre giorni di cammino, fu ripetuta al faraone in occasione dell'annuncio di sei su dieci delle piaghe che gli furono annunciate.
Tre giorni di cammino: un giorno per la festa e tre giorni di cammino per il ritorno, sarebbe stata una settimana.
Questi tre giorni di cammino erano da contare dal confine d'Egitto e, per chi abitava nella zona orientale del delta del Nilo, vale a dire la terra di Gosen, il confine più vicino era sulla via dei Filistei a Migdol, ove sulla strada esisteva una porta fortificata con una torre.
Probabilmente volevano andare Elim dove c'era un'oasi e dove poi, in effetti, andarono dopo il miracolo dell'apertura del Mar Rosso.
Il Capitolo 33 del libro dei Numeri anche tale riguardo è prezioso, in quanto vi è detto che gli Israeliti, partiti da Ramses "...accampatisi davanti a Migdol. Partirono da Pi-Achirot, attraversarono il mare in direzione del deserto, fecero tre giornate di marcia nel deserto di Etam e si accamparono a Mara. Partirono da Mara e giunsero ad Elim, ad Elim c'erano dodici sorgenti d'acqua e settanta palme; qui si accamparono." (Numeri 33,7b-9; Esodo 15,22-27)
Sono, in effetti, quattro giorni, ma è da considerare che se avessero camminato per la via normale non avrebbero fatto la deviazione d'una giornata per attraversare il Mar Rosso il che rafforza l'idea che uscirono i primogeniti armati e il popolo e che si separarono in due gruppi e là ai laghi Amari attesero il primo gruppo.
(Vedi: "La risurrezione dei primogeniti")
Di fatto, poi, quando ci fu il momento della liberazione dopo la 10° piaga, raggiunsero Elim e lì si riposarono nell'oasi.
Era l'8° giorno dalla prima Pasqua; era sabato, ma ancora non c'era l'istituzione, comunque si riposarono!
Questa è la ricostruzione dal combinato del racconto delle tappe tratte dall'Esodo e Numeri:
  • il 14 di Nisan, Pasqua del Signore, stettero fermi, riposo;
  • il 15 di Nisan, 1° giorno, uscirono dall'Egitto da Ramses e fecero tappa a Succot (Numeri 33,3);
  • 2° giorno, da Succot fecero tappa a Etam, estremità del deserto (in Numeri 33,6b è detto che camminarono tre giorni nel deserto, questi sono da contare da tale estremità che, appunto, è stata messa in evidenza);
  • 3° giorno, da Etam, 1° giorno di cammino nel deserto di Etam, a Pi Achirot davanti a Baal Zefon ed a Migdol;
  • 4° giorno, attraversarono il mare;
  • 5° giorno, 2° giorno di cammino nel deserto di Etam;
  • 6° giorno, 3° giorno di cammino nel deserto, arrivo a Mara, (manca l'acqua);
  • 7° giorno, 4° da Mara all'oasi di Elim;
  • 8° giorno, 9° giorno dopo la Pasqua, riposo nell'oasi di Elim.
Risultano in pratica due riposi in 10 giorni, proprio come pare fosse allora l'uso contemporaneo per gli operai che lavoravano nelle necropoli reali dei Ramseidi a Deir el Medina, abitata da muratori, scalpellini, pittori e scultori con le famiglie.
A quell'epoca il lavoro, infatti, si sviluppava su periodi di dieci giorni.
Da una ricostruzione per la mostra di Palazzo Bricherasio e del Museo Egizio a Torino del 13 febbraio 2003 risulta che "le condizioni del lavoro sono ben conosciute grazie agli Archivi che, giorno dopo giorno, teneva lo scriba della Tomba. L'illuminazione della tomba era la stessa utilizzata nelle case. Gli stoppini imbevuti d'olio e accesi si consumavano lentamente in coppe. Ogni stoppino durava 4 ore e in una giornata di lavoro ne erano necessari due, il che ci permette di calcolare che si lavorava 8 ore al giorno. La settimana lavorativa era di 8 giorni, al termine della quale si avevano due giorni di riposo in cui gli uomini rientravano al villaggio per occuparsi delle proprie tombe e partecipare a feste religiose e profane. Il mese egiziano era di trenta giorni, di cui sei festivi."
Al momento dell'uscita dall'Egitto non essendovi ancora il comando del riposo del sabato i fuoriusciti che portavano via molta mano d'opera egizia rispetta quei criteri di riposo e che la Bibbia abbia tracce di cultura egizia è palese.
(Vedi: ""Tracce di geroglifici nel Pentateuco" articolo in .pdf nella rubrica "Lettere ebraiche e codice Bibbia" e "Chi ha scritto l'Esodo conosceva i geroglifici")
Raccontano i saggi della tradizione ebraica che "quando gli Israeliti uscirono dall'Egitto c'erano tra loro alcuni molto debilitati per l'oppressione del fango e dei mattoni perciò quando gli angeli del servizio dissero al Santo, sia benedetto: È giunta l'ora, dà loro la Torah: Il Santo, sia benedetto, rispose: Non si sono ancora ripresi dall'oppressione del fango e dei mattoni; È meglio che riposino per tre mesi a Be'er con la manna e le quaglie, e dopo darò loro la Torah." Quando sarà? Al terzo mese." (Esodo 19,1)
Gli stessi saggi osservano: "Sotto il melo ti ho svegliata (Cantico 8,5b) si riferisce al Sinai. E perché è paragonata al melo? Come il melo produce i suoi frutti nel mese di Sivan (maggio-giugno) anche la Torah fu data nel mese di Sivan. Alcuni si domandano: Perché non sotto un noce o un altro albero qualsiasi? Perché la regola per gli alberi è che diano prima le foglie e poi i frutti, ma il melo produce prima i frutti e poi le foglie. Allo stesso modo gli Israeliti anteposero l'azione all'ascolto, com'è scritto. Lo faremo e lo eseguiremo" (Esodo 24,7)
Il giorno dell'uscita dall'Egitto è da considerare corrispondere al primo giorno di una nuova creazione paragonabile alla creazione della luce del primo giorno, nascita del figlio Israele.
Circa la consegna della manna, occasione per istituire il sabato, il racconto nel libro dell'Esodo inizia dando, appunto, voluti riferimenti di tempo collegati alla prima Pasqua: "Levarono l'accampamento da Elim e tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin, che si trova tra Elim e il Sinai, il 15 del secondo mese dopo la loro uscita dal paese d'Egitto" (Esodo 16,1), così, v'arrivarono nel plenilunio successivo alla prima Pasqua.
Nel raccontare anche l'Alleanza sul Sinai il testo dell'Esodo insiste nel far notare la data, quando, i fuoriusciti, partiti da Refidim, s'accamparono sotto il monte, nel deserto del Sinai, proprio di domenica, infatti: "Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese d'Egitto, proprio in questo giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai" (Esodo 19,1); cioè ancora una domenica essendo i mesi basati sulla luna.
Seguendo questa idea della domenica si ha che Mosè (Esodo 19,3-6), il giorno dopo (Lunedì), andò sul monte ed il Signore gli disse (Martedì) di dire agli Israeliti che avrebbe fatto alleanza con loro.
Mosè (Esodo 19,7-8a) riscese, (Mercoledì) convocò gli anziani del popolo ed il popolo accettò e Mosè (Esodo 19,8b-9) risalì (Giovedì) dal Signore e riferì sull'accettazione da parte del popolo.
Il Signore (Venerdì) disse a Mosè (Esodo 19,10-14) di riscendere dal popolo e di far lavare le loro vesti e purificarlo, oggi (Venerdì) e domani (Sabato), perché nel terzo giorno si sarebbe manifestato sul monte e l'avrebbe visto tutto il popolo.
Appunto, al terzo giorno (Domenica), ci fu la teofania sul Sinai (Esodo 19,16ss) e Mosè salì sulla vetta dal monte; sembra così sussistere forte parallelismo con la luce del primo giorno della creazione e con il terzo giorno della risurrezione di Cristo dal sepolcro.
Del pari pare potersi concludere che avvenne di domenica l'entrata del popolo con Giosuè nella terra promessa col prodigioso attraversamento del Giordano.
Nel libro di Giosuè 4,19 è detto che il popolo s'accampò a Galgala il 10 del primo mese, cioè un martedì, e lì, dopo aver circonciso tutti i maschi che non erano stati circoncisi, il 14, che è da considerare sabato, celebrarono la Pasqua; il giorno precedente il 9, perciò, s'erano accampati sulla sponda destra del Giordano ove fecero la cerimonia delle 12 pietre nel Giordano, infatti, c'è un accenno di un accampamento accanto al Giordano (Giosuè 4,8), mentre da lì a Galgala c'era la distanza di una decina di chilometri che avranno fatto con cautela in un giorno di cammino.
Se ne ricava che l'attraversamento vero e proprio avvenne ancora il giorno precedente, l'8 di Nisan che è da considerare una domenica.
La ricostruzione è questa:

  • 1° giorno, domenica, festa della prima luna nuova dell'anno, le spie che erano state inviate nella terra promessa sono ascoltate da Giosuè (Giosuè 2,24);
  • 2° giorno, lunedì, Giosuè fa partire il popolo da Sittim che è in territorio di Moab a più di 10 km sulla sponda sinistra del Giordano e lo portò sulla sponda (Giosuè 3,1a);
  • 3° giorno, martedì, tutto il popolo finisce di accamparsi (Giosuè 3,1a);
  • 4°, 5° e 6° giorno, mercoledì, giovedì e venerdì, i tre giorni di cui in Giosuè 3,2;
  • 7° giorno, sabato; infatti, il libro di Giosuè accenna: "Poi Giosuè disse al popolo: Santificatevi, poiché domani il Signore compirà meraviglie in mezzo a voi." (Giosuè 3,5);
  • 8° giorno, domenica, ci fu attraversamento del Giordano.
L'episodio rimanda a pensare al battesimo di Gesù che avvenne in sostanza allo stesso guado.

Il primo capitolo del Vangelo di Giovanni, com'è noto, vuole espressamente chiamare alla mente il libro della Genesi.
Il suo inizio, infatti, è: "In principio era..." (Giovanni 1,1), ma è anche parallelo a quel testo il fatto che vengono scanditi i giorni.
Altro particolare del Vangelo di Giovanni è che questo, scritto a sinottici esistenti, in pratica li conferma dando però i vari fatti per scontati senza descriverli (ad esempio: istituzione dell'eucaristia che non cita e non nega); anche dell'episodio del battesimo di Gesù il Vangelo di Giovanni ne parla, ma non lo descrive come gli altri.
Leggendo i Vangelo attribuito a Giovanni, che pare essere uno dei due discepoli di Giovanni il Battista che seguirono Gesù, se ne ricava che l'evangelista, non essendo stato testimone oculare del battesimo ne riporta solo quanto lui ha sentito dire dallo stesso Battista.
All'evangelista interessa, infatti, solo recare la testimonianza diretta con un'elaborazione teologica dei fatti, cioè del pensiero meditato d'una comunità cristiana guidata dall'evangelista.
L'episodio del battesimo di Gesù, infatti, è dato per scontato ed avvenuto in un certo preciso giorno, ed a quel giorno si riferisce l'evangelista quando indica "Il giorno dopo..." (Giovanni 1,29) che a prima vista sembra riferito al colloquio del Battista con i sacerdoti ed i leviti mandati da Gerusalemme.
Il tema però è il battesimo di Gesù, ma nel "giorno dopo" non è descritto il battesimo di Gesù e ci sono solo commenti su quel battesimo, dato per avvenuto, perciò, il giorno prima.
Cosicché si ha che, dopo il racconto dei colloquio del Battista con i sacerdoti e i leviti (Giovanni 1,19-28), in:

  • un giorno non indicato, (1° giorno che per il parallelo dei giorni della creazione è da considerare domenica) è avvenuto il battesimo di Gesù, che descritto in modo indiretto nel giorno successivo come evento passato;
  • il giorno dopo (Giovanni 1,29 e s) il Battista, vedendo passare Gesù commenta l'episodio del battesimo (2° giorno lunedì);
  • il giorno dopo (Giovanni 1,35 e s) due discepoli di Giovanni al ripassare di Gesù andarono con Lui (3° giorno martedì);
  • giorno nascosto in Giovanni 1,41, vari manoscritti hanno "Sul far del mattino...", è il giorno in cui Andrea annuncia il Messia al fratello Pietro e lo conduce da Gesù (4° giorno mercoledì);
  • il giorno dopo (Giovanni 1,43 e s) Gesù incontra Filippo e Natanaele e parte per la Galilea (5° giorno giovedì);
  • tre giorni dopo (Giovanni 2,1) nozze di Cana (8° giorno Domenica).
Abbiamo, così, considerato che di domenica ci fu:
  • l'iniziò la creazione;
  • l'uscita dall'Egitto;
  • la consegna della manna;
  • l'arrivo nel deserto del Sinai;
  • la teofania sul Sinai;
  • l'attraversamento del Giordano;
  • la consegna dei prodotti della Terra Promessa;
  • il battesimo di Gesù;
  • lo sposalizio a Cana.
Pare così cogliersi la volontà del Pentateuco e dei Vangeli d'evidenziare che i sabati sono giorni di riposo e di preparazione del primo giorno, quello che oggi si chiama domenica, in cui si compiono le cose nuove.
Questo giorno, infatti, è quello con cui nella Genesi inizia la creazione, che appunto termina di sabato; da ciò l'attesa dell'8° giorno della creazione che alla fine dell'attuale settimo giorno porterà il cambiamento definitivo.
L'indicazione così che ne viene è che lo scopo della vita dell'uomo, in questo tempo del VII giorno, è di prendere esempio da ciò che Dio ha disposto per il sabato, entrando nell'attesa e nella conversione, assumendo in pienezza la funzione voluta di padrone e curatore di quanto da Lui creato, regnando su tutto ciò che Dio gli ha posto a disposizione, entrando nel riposo e nella pace.

GENESI ANCORA SU NOÈ

Al riguardo richiamo il mio articolo "Cosa nasconde il racconto di Noè e del Diluvio?"
"Noè tolse la copertura dell'arca ed ecco la superficie del suolo era asciutta" (Genesi 8,13b), nasce così una umanità nuova, il diluvio è l'acqua d'un parto, l'arca è la placenta, Noè è la testa, il resto il corpo, ed il bambino esce con la testa dopo la rottura della placenta, "la scopertura dell'arca".
Dopo il ragionamento di prima doveva essere una domenica!
Dico ciò anche perché nel racconto c'è una voluta insistenza sul numero 7.
Nel precedente Capitolo 7, infatti, il numero 7 è ripetuto 7 volte e precisamente 5 nei versetti 7,1-5 (nella versione C.E.I. in italiano sembra che ci sia per 3 volte perché per le 2 volte che dice "7 paia", in effetti in ebraico dice "7 e 7") ed altre 2 appare nei versetti 7,10-11 come a voler ricordare i 7 giorni della creazione, un avviso all'evento di una nuova creazione, quella, appunto, che si verificherà con l'uscita dall'arca.
Nel capitolo 8 la parola "sette" si trova per altre 5 volte, 2 nel versetto 8,4 (una è nel numero 17), 1 nel versetto 8,10, 1 nell'8,12 ed 1 nell'8,14 (nel numero 27) e si perviene così complessivamente a 12 volte, cioè 2x6, come a dire, siamo per la 2° volta al 6° giorno di una settimana delle settimane di una nuova creazione, il giorno in cui esce una umanità nuova, profezia di un nuovo Adamo.

Del resto la parola 7 "sheb'ah"  con i segni dice che la "Luce  dentro agirà  nel mondo " e 7 è foriero di Sabato , vale a dire "la Luce dentro  completerà ", cioè porterà a termine e questa Luce è quella di Cristo.
Ne consegue che con questi capitoli 7 e 8 del Genesi, ove il 7 appare con la pienezza delle 12 volte, segnalano come Dio opererà e nel sabato della creazione, nel settimo giorno uscirà perché effettivamente si possa realizzare il sabato dell'uomo e porterà la salvezza; questo è il programma!
la lettera Zàjin ebraicaDopo tutte quelle volte che ha citato il numero 7, al penultimo versetto Dio fa la seguente promessa: "Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza; né colpirò ogni essere vivente come ho fatto." (Genesi 8,21)
In effetti la lettera "Zàjin" ebraica  che indica il numerale 7 è l'icona di un'ascia da guerra e il suo significato di arma evoca il colpire.


IL RACCONTO DI GENESI 28

Particolarmente interessante è nel libro del Genesi il primo accenno che Dio intende portare l'uomo con se in cielo.

Il fatto si delinea e si prefigura nel Capitolo 28 del libro del Genesi in cui è descritto il sogno di Giacobbe, perché tratta d'una idea di collegamento tra cielo e terra tramite la sognata scala da cui scendevano e salivano angeli.
Se i racconti ebraici del Genesi sono stati preparati anche per recepire un testo nascosto questo racconto, così, dovrebbe essere particolarmente pregnante.
Con questa idea nella mente ho così voluto affrontare la decriptazione dei 22 versetti di quel capitolo e sono stato sorpreso della lucida sintesi che se ne ricava applicando il mio metodo inserito in "Parlano le lettere" che rende praticabile con successo l'idea espressa in "Decriptare le lettere parlanti delle Sacre Scritture ebraiche".
Si trova così delineato, in modo ancora allegorico nel testo esterno e come racconto nel decriptato, il disegno conseguente a quella già accennata considerazione nel racconto dell'arca di quando Dio disse: "Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza..." (Genesi 8,21)
Quel racconto di Genesi 28 ha poi un seguito in Genesi 35 ove nel testo esterno di quei 29 versetti è ricordata al 19° anche Betlemme.

CONCLUSIONE

Le due storie tra loro congruenti s'integrano completano a vicenda.
È in definitiva il racconto di quanto Dio porterà a compimento per la salvezza definitiva dell'uomo.
E lo fa in questo Sabato della creazione che stiamo vivendo in cui ci pare che Lui si riposi.


Per i cristiani la rivelazione di Dio è avvenuta attraverso Gesù Cristo, principio e compimento, "autore e perfezionatore della fede" (Ebrei 12,2) rivelazione che portò a compimento la Domenica della sua risurrezione.
"La Costituzione dei Santi Apostoli" ("I Padri di Ante-Nicene", Vol. 7 p. 413; c. III secolo) osserva e sintetizza: "Voi osserverete il Sabbath per causa di Colui che si fermò dal suo lavoro di Creatore, ma non fermò il lavoro della provvidenza: è una sosta per meditare sulle leggi non per passare il tempo nell'ozio."




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