Il paradigma di Nazaret: La Scrittura si fa evento. Esegesi di Lc 4, 14-30
Condotto dalla “potenza dello Spirito” (v.14), Gesù anticipa, nell’episodio di Nazaret, quanto succederà a Lui e alla sua missione a Gerusalemme, nel suo ultimo triduo pasquale. Nello sconosciuto villaggio della Galilea, come poi nella Città santa della Giudea, l’accoglienza si cambia in rifiuto mortale, che Gesù supera “passando in mezzo” (v.30), cioè “facendo PASQUA” (cf. Es 12,11-12).
Con il suo gesto Gesù “adempie la Scrittura” (v.21) e si autorivela come il VERBO INCARNATO, il Logos di Dio che mette la sua tenda nella storia degli uomini (Gv l,ls).
v.14: Gesù, per l’azione dello Spirito Santo che lo ha condotto nel deserto a lottare con il demonio, davanti a Dio (4,ls), è guidato, ora, a manifestarsi come il Figlio, agli uomini, nelle loro città.
v.15: oggetto e risultato dell’insegnamento di Gesù è Lui stesso. Chi ora lo glorifica, poi lo rifiuterà (cf. v.29; 10,13-15).
v.16: II ministero pubblico di Gesù inizia di SABATO, nella SINAGOGA, con un rito che lo rapporta ad ISRAELE, alle promesse e alle SCRITTURE che le trasmettono.
Gesù non rompe con la STORIA del suo Popolo ma le dà compimento.
La sua storia personale: “a Nazaret, dove era stato allevato”, si inserisce nella Storia della salvezza illuminata dai Profeti e salvata dal Cristo.
Gesù è solito partecipare alla liturgia sinagogale del SABATO. Così, durante il suo ministero a Gerusalemme, “ogni giorno era nel Tempio” (Lc 22,56), non solo per insegnare ma certamente anche per partecipare ai riti che vi si svolgevano. D’altronde Gesù è stato educato da “genitori” osservanti, i quali “si recavano ogni anno (dalla Galilea) a Gerusalemme per la festa di Pasqua” (Lc 2,41).
Questa assiduità sarà uno specifico della primitiva Comunità di Gerusalemme (cf. Lc 24,53; At 1,14).
Come tutti gli adulti Ebrei, Gesù partecipa in modo attivo alla liturgia: “Si alzò a leggere la Scrittura”. L’abitudine (“di solito”) si trasforma, in evento unico, nell’OGGI di Dio.
v.17: Gesù che “apre il rotolo" nella sinagoga di Nazaret, è l’Agnello dell’Apocalisse, il solo “degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché è stato immolato” (Ap 5,9). Solo il Verbo sa “leggere” il progetto di Dio e spiegarne il significato. Egli subito “trova” il Profeta che parla di Lui (cf. Lc 24,27).
v.18-19: II brano trovato da Gesù cita Is 61,1; 58,6; 61,2a. Esso si presenta come un’elaborazione cristiana di un testo applicato al Cristo.
“lo Spirito del Signore è su di me”, proclamava il Profeta nel III Isaia, ma meglio può affermarlo di sé il Cristo lucano, dal battesimo in poi (cf. Lc 3,22; 4,1; 4,14...).
La “consacrazione” e l’unzione dello Spirito fanno di Gesù, il Cristo, il Messia definitivo.
A differenza di Geremia e degli altri Profeti, l’annuncio di Gesù è soltanto “buona novella”, VANGELO ai poveri.
Con Gesù l’anno di grazia, il giubileo che nell’AT era periodico (cf. Lv 25,10), diventa pieno e definitivo. Con Gesù, infatti, si ha la “pienezza dei tempi” e il riscatto radicale di tutti (Gal 4,4).
L’aver tolto al testo profetico il preannuncio del “giorno di vendetta” provoca contro Gesù la reazione dei Galilei, notoriamente ostili, anche in modo attivo, al potere romano (cf. At 5,37). Gesù afferma così di rifiutare il “messianismo politico” caldeggiato dagli zeloti, perché ha accettato quello del “Servo sofferente di Jhwh”, prefigurato nel battesimo al Giordano (cf. Lc 3,22 che rimanda ad Is 42,1).
La liberazione che il Cristo realizza è, prima di tutto, interiore. È liberazione perché tutti si abbia con Dio quel rapporto che, mediante lo Spirito, il Cristo ha con il Padre suo.
v.20: Gesù arrotola - chiude il volume della Scrittura. Egli è l’attuazione di ciò che e stato letto (cf. Mc 1,15); infatti tutte “le Scritture si riferiscono a Lui” (Lc 24,27).
“Gli occhi di tutti stavano fissi sopra di Lui”. Dall’ASCOLTO alla VISIONE. È il movimento che avviene tra l’antico e il Nuovo Testamento; da quando “il Verbo si è fatto carne" (Gv 1,14), la Torah si è fatta persona. Ciò che prima è udito viene poi veduto (1Gv 1,1; cf. i pastori di Betlemme Lc 2,15).
v.21: L’OGGI dell’adempimento delle Scritture si ha:
nel Cristo che parla,
nelle orecchie di chi ascolta.
Cf. Sal 40,7-10 ed Eb 10,5-7: Ciò che è scritto mi riguarda.
v.22: II rapporto positivo tra la bocca di Gesù che parla e le orecchie di chi lo ascolta, rende possibile la testimonianza, che ha come oggetto una PAROLA che meraviglia (perché è divina) e che trasmette la realtà stessa di Dio: la grazia.
Ma la reazione positiva degli astanti dura poco. Ecco il dubbio, il preconcetto: “Non è il figlio di Giuseppe?”. A differenza di Mc 6,36, che riporterebbe il giudizio negativo su Gesù come “figlio di Maria”. Luca, pur avendo parlato del parto verginale (Lc 1,34-35), facendo chiamare dai Nazaretani Gesù: “figlio di Giuseppe”, vuole insinuare che solo con la fede si può entrare nel mistero della vera identità del Verbo incarnato.
v.23-24: Per correggere le false aspettative messianiche dei Galilei, Gesù pone delle questioni di rottura:
Egli rifiuta di essere il taumaturgo a disposizione dei suoi concittadini. La liberazione che Gesù è venuto a portare non è di tipo magico: non si acquista con un segno arcano riservato a pochi, ma è offerta dal palese segno della CROCE, spettacolo “per tutti” (Lc 23,48) e nostra realtà quotidiana (Lc 9,23). Il proverbio citato da Gesù: “Medico, cura te stesso!”, ritornerà come sfida irridente rivolta allo stesso Crocifisso: “Salva te stesso!” (Lc 23,36-37).
L’altra distorsione che Gesù rifiuta, è quella di essere ridotto ad uno dei tanti profeti di corte, di cui si servivano i re d’Israele (cf. 2Cr 18,9). Gesù si dimostra libero, come libera è la vera profezia che viene dallo Spirito Santo (cf. 2Cor 3,17).
II proverbio citato da Gesù: “Nessun profeta è accetto nella sua casa”, riportato dai Sinottici e da Giovanni (Gv 4,44), dice la consapevolezza del Cristo sulla sua sorte, che è simile a quella dei Profeti rifiutati da Israele (cf Ger 12,6-8).
Se con G.ROSSÉ leggiamo il proverbio in modo attivo: “Nessun profeta è propizio (dektos come al v.19) alla propria patria”, possiamo vedervi una spiegazione dell’inevitabile itineranza del “missionario” Gesù e dei discepoli inviati da Lui.
v.25-27: Il fatto che Gesù citi dei miracoli compiuti da ELIA ed ELISEO a favore dei pagani, non vuoi dire l’esclusione alternativa d’Israele, ma un andare oltre esso.
Gesù, come poi farà la Chiesa da Lui fondata, parte sempre dalle promesse fatte ad Israele, per aprirsi anche ai pagani (cf. At 13-15).
v.28: Nella sinagoga sono “tutti pieni di furore” nel sentirsi posposti ai pagani.
È la stessa “rabbia” del figlio maggiore, nella parabola del Padre misericordioso (Lc 15,28). È la rabbia di chi pretende la salvezza come un diritto e non l’aspetta, invece, come dono gratuito di Dio.
v.29: Il tentativo di linciaggio anticipa e prefigura il dramma del Calvario. Nazaret, infatti, non è “edificata sul monte”, come invece lo è Gerusalemme. L’imprecisione topografica ci rimanda al valore teologico che Luca dà a tutto l’episodio.
Confronta invece Lc 20,15; Gv 19,20 ed Eb 13,12, che realizza ciò che è prefigurato a Nazaret.
v.30: “Ma Gesù passando in mezzo a loro, se n’andò”.
Con l’evangelista Giovanni possiamo notare come Gesù sfugga ai biechi propositi dei suoi concittadini, divenutigli nemici, perché “non era ancora giunta la sua ora” (Gv 7,30) cf. Gv 8,59.
Gesù deve continuare il suo cammino, il suo ESODO, che avrà compimento solo a Gerusalemme (cf. Lc 9,31).
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