Origene. In lui non vi sono tenebre
Se è al Padre che si riferisce la frase "In lui non vi sono tenebre" (1Jn 1,5),
taluni si chiederanno come pretendiamo che questo privilegio gli sia riservato, mentre
pensiamo che il Salvatore è anche lui assolutamente senza peccato, di modo che si
potrebbe dire egualmente di lui: «Egli è luce e in lui non vi sono tenebre». In ciò che
precede, abbiamo già parzialmente stabilito la differenza. A ciò aggiungeremo ora
con maggiore arditezza che se "colui che non aveva conosciuto peccato", il Cristo,
(Dio) "l’ha fatto peccato per noi" (2Co 5,21), non è possibile dire a suo riguardo: «In
lui non vi sono tenebre «. E se, "in una carne simile a quella del peccato" (Rm 8,3),
Gesù ha giustamente condannato il peccato, dato che egli ha assunto una carne simile
a quella del peccato, non sarà del tutto esatto dire a suo riguardo: «In lui non vi sono
tenebre».
Lui stesso ha preso su di sé le nostre infermità e si è caricato dei nostri malanni (Mt
8,17 Is 53,4), cioè delle debolezze della nostra anima e dei malanni dell’uomo
nascosto nel fondo del nostro cuore (1P 3,4). A motivo di queste infermità e di questi
malanni di cui egli si è caricato, egli riconosce che la sua anima è molto afflitta e
turbata (Mc 14,34 Jn 12,27) e, come è scritto in Zaccaria, egli è rivestito delle vesti
insozzate che son dette peccati nel momento in cui sta per esserne spogliato.
(L’angelo) aggiunge in ogni caso: "Ecco che io ho tolto i tuoi peccati" (Za 3,3-4). In
effetti, perché ha preso su di sé i peccati del popolo dei credenti, egli dice a più
riprese: "Lontano dalla mia salvezza è il conto dei miei peccati e Tu conosci la mia
follia e le mie trasgressioni non sono nascoste davanti a te" (Ps 21,2 Ps 68,6).
Che nessuno supponga che noi diciamo questo per empietà verso il Cristo di Dio.
Siccome il Padre "solo possiede l’immortalità" (1Tm 6,16) poiché, nel suo amore per
gli uomini, Nostro Signore ha assunto la morte per noi, così solo il Padre possiede (il
privilegio) di non avere in lui alcuna tenebra, poiché, nella sua benevolenza verso gli uomini, il Cristo si è caricato delle nostre tenebre, affinché, con la sua potenza, egli
abolisse la nostra morte (2Tm 1,10) e annientasse le tenebre che sono nella nostra
anima, e si adempisse la profezia di Isaia: "Il popolo assiso nelle tenebre ha visto una
grande luce" (Mt 4,14-16 Is 9,2). Questa luce, che è nel Verbo e che è egualmente la
vita, «brilla nelle tenebre» delle nostre anime e si stabilisce anche là dove (avevano
dimora) i principi di questo mondo di tenebre (Ep 6,12) che, combattendo il genere
umano, si sforzano di trascinare nelle tenebre coloro che sono di una stabilità
abbastanza assoluta da essere chiamati, una volta illuminati, "figli della luce" (Lc
16,8). Tuttavia, poiché è nelle tenebre che brilla questa luce, è inseguita da quelle, ma
non afferrata.
Origene, In Ioan. II, 26, 163-167.
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