Sono rotti i miei legami
pagati i miei debiti
le mie porte spalancate
me ne vado da ogni parte.
Essi accovacciati nel loro angolo
continuano a tessere la pallida tela delle
loro ore;
o tornano a sedersi nella polvere
a contare le loro monete
e mi chiamano perché torni indietro
Ma già la mia spada è forgiata,
già ho messo l'armatura
già il mio cavallo è impaziente
e io guadagnerò il mio Regno.
Tagore
Mc 2,13-17
In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Il commento
In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Il commento
Matteo,
un peccatore intento a peccare. Le mani ancora incollate al denaro estorto,
probabilmente senza scrupoli. E una voce come un diamante incastonato in uno
sguardo: "Seguimi". Di certo più che il "segui" ha fatto il
"mi". Solitamente tendiamo ad enfatizzare il nostro seguire il
Signore e perdiamo di vista Chi ci chiama, Chi seguire. Una voce, uno sguardo, e una parola, tutto accaduto proprio lì,
dove Matteo era in quello stesso istante, immerso nel suo impuro lavoro di
esattore. Aveva ricevuto
in appalto dal procuratore romano la riscossione delle tasse, il portorium, il diritto di
dogana e pedaggio che doveva pagare chi viaggiava al confine fra le tetrarchie
di Erode Antipa e di Erode Filippo, più o meno un dirigente di Equitalia… E, molto probabilmente, taglieggiava i contribuenti, come un mafioso. Basta pensare cosa
evochi in noi questa parola per capire che vita facesse Matteo, mafioso e
collaborazionista, peggio di un kapò in un campo di concentramento. Impuro come il lebbroso, a contatto con i romani, con
il cuore e il corpo. Come il
paralitico, inchiodato alla sua sedia a rubare e a rovinare i suoi
fratelli. E lì, in quel vomito di vita, un raggio di luce, come ha
inimitabilmente dipinto Caravaggio. Una
voce, uno sguardo e una parola: è il Signore, l'unico Signore, l'unico Dio perché l'unico che si sia chinato su
quel relitto d'uomo, un aguzzino venduto e traditore, specie di peccatore tra
le più turpi. Gesù, l’unico a cercarlo, nel guardarlo, chiamarlo, amarlo così
come Matteo era, senza moralismo, senza alcun giudizio. Lo ha amato al punto di volerlo con sé. E chi si prenderebbe ora,
così su due piedi, un mafioso in casa? Chiamare Matteo, infatti, è stato come
consegnare ad un ladro l'amministrazione della propria banca: Gesù ha
consegnato i suoi tesori, le sue cose più preziose ad un approfittatore, ad un impuro
e indegno peccatore. L' assoluta eccezionalità di questa esperienza ha generato
in Matteo l'eccezionale, la conversione. La Grazia ha acceso la gratitudine.
Come non seguire l'unico che lo aveva amato, l'unico che lo aveva guarito e
strappato all'inferno? Matteo ha toccato un amore più grande d'ogni altro,
qualcosa di mai visto, sentito, vissuto, qualcosa che ti prende fin dentro, nel
più profondo di te stesso, e ti trascina con sé, in una pace mai sperimentata, una
tenerezza mai immaginata, l’amore celeste che non è presente nella natura, l’amore di Dio che può essere solo donato
e accolto con umiltà. Mathaios,
traduzione greca dell’ebraico Mattai
che significa “dono di Dio”, è immagine di ogni uomo che ha sperimentato la
gratuità dell’amore di Dio nel fondo dei propri peccati, e lo ha accolto con
stupore e gratitudine. Lasciare tutto all’istante per Matteo ha significato la guarigione del cuore, come
per la suocera di Pietro, il lebbroso e il paralitico; si è sentito immediatamente libero, e così, seguire
Gesù è stato l’inizio di una vita libera, altro che rinuncia. Lasciare
tutto è, semplicemente, aver trovato l'Unico per cui vivere è bello, vero,
santo; è essere rapiti dall'amore che è impossibile anche sognare, ma al quale
tutto, in ogni uomo, tende invincibilmente. Lascia
tutto chi ormai ha tutto, perché appartiene a Gesù, e il resto torna al
posto che gli compete, sciolto dall’assolutezza che gonfia di inautenticità
persone e cose sino a farne degli idoli tirannici. Matteo lascia tutto subito perché già ha ricevuto tutto,
istantaneamente. Nel tutto di Gesù,
infatti, è ridonata, trasfigurata, anche ogni altra persona, e il lavoro, gli
amici, gli affetti.
Per questo
il primo passo di Matteo liberato ha condotto quell’amore celeste nella sua
terra, a casa sua: seguire Gesù è infatti, prima d'ogni altra cosa, “invitarlo”
alla nostra vita, alla nostra storia. Il primo frutto dell'incontro con Cristo,
per Matteo è stato trasmettere l'eccezionalità della propria esperienza ai suoi
amici. Come in una sorta di pellegrinaggio della memoria sin dentro le
profondità della propria storia, Matteo conduce Gesù proprio ai luoghi, alle
persone, alle cose che un istante prima aveva lasciato, per scoprire che ogni
istante e ogni rapporto della sua vita è stato guarito. La parola di
misericordia lo ha rigenerato, e ora Matteo può guardare a se stesso e alla sua
storia con occhi nuovi. Laddove è
abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia. L'indegno ha riacquistato
dignità, e quello che era stato messo a servizio dell'iniquità è ormai donato
per la Giustizia: i rapporti sanati, gli sguardi purificati, i pensieri
illuminati, ogni azione santificata. L'amore di Gesù ha guarito Matteo
integralmente, lo ha liberato da ogni paura, il passato non lo schiaccia, il
presente non lo avvelena, il futuro non lo angoscia. E' vivo Matteo, è un uomo,
è di Cristo: non ha più bisogno di accumulare compulsivamente per riempire il
vuoto scavato dal peccato, ma ora può offrirsi a chi aveva sottratto
ingiustamente, donando Cristo, il suo tesoro più grande, inesauribile perché custodito
nei Cieli. E' stupefacente il mistero racchiuso in questa pagina evangelica. Vi
è coagulato l'intero cristianesimo: “Nella figura di Matteo i
Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è
apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di
accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi
effetti nella propria esistenza" (Benedetto XVI, Catechesi su San Matteo). Un incontro inaspettato, un amore gratuito, e la vita
salvata, “ridestata”, risuscitata,
come recita l’originale greco tradotto con “si alzò”, lo stesso verbo usato per
Gesù risorto. Nessuna preparazione, nessuna buona disposizione, solo un amore
infinito: Chi lo ha incontrato non ne può più fare a meno. Scriveva Ugo di San Vittore
che “chi trova dolce la propria patria è solo un tenero dilettante. Chi trova
dolci tutte le patrie s’è già avviato sulla strada giusta. Ma solo è perfetto
chi si sente straniero in ogni luogo”. Liberato da un amore che varca ogni
frontiera, chi ha conosciuto l'amore di Cristo è già cittadino di un altro
mondo, un' icona vivente del Cielo: straniero
in ogni luogo, i suoi passi d'ogni giorno deposti sulle orme di Gesù, sono le
tracce di speranza per il mondo che indica la Patria autentica di ogni uomo.
Gesù viene per “chiamare i peccatori e i malati” a gustare
il suo amore gratuito, che solo chi non ha denaro e meriti può accogliere; chi
suppone d’essere giusto in mezzo a tante ingiustizie non può comprendere, si
scandalizza che l’amore “si adagi a mensa con i peccatori”, confonde la
misericordia con il male, si chiude nei propri giudizi, e finisce con il
prendere il posto di Matteo, escluso dalla comunione con Dio, nella quale
invece il pubblicano è stato riaccolto. Ma Cristo viene anche oggi alla nostra
vita, sin dentro i nostri peccati. Non importa se non lo stiamo aspettando, se
siamo intenti ai nostri loschi traffici.
Importa il suo amore, importa l'esperienza, vera e reale, del suo perdono. Importa la libertà. Essa è per noi, incastonata
negli occhi misericordiosi e compassionevoli di Gesù, risuona nella sua parola
annunciata dove anche oggi stiamo per buttar via la nostra vita: Lui viene a
trasformare il nostro tavolo di gabelliere in una mensa imbandita per chi ci è
accanto. Con Matteo possiamo passare dalla tristezza alla gioia, dal lutto alla
festa, dalla solitudine all’Eucarestia. Ci “alza” dal peccato per “stenderci” a
riposare e saziarci intorno al banchetto che Lui stesso ha preparato, come nell’ultima
cena, come sulle rive del Lago di Tiberiade quando, risorto, è apparso ai suoi
apostoli. E, intorno a quella mensa, chiamare tutti a partecipare della stessa vittoria, annunciando il Vangelo che "chiama" alla pienezza della vita e non delude, mai.
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