Cirillo di Alessandria. Abramo e Isacco immagine della testimonianza del Padre a Gesù


A noi è necessario illuminare con la luce splendida della verità gli eventi che si compirono in figura e spiegarli più chiaramente a uno a uno. Così sarà più facile a tutti comprendere il profondo mistero d’amore che essi racchiudono.

Il santo Abramo, dunque, prende il figlioletto e si affretta verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il fanciullo veniva condotto al sacrificio dal padre, quale simbolo e conferma che non si deve attribuire al potere umano o alla malvagità dei nemici il fatto che Gesù Cristo nostro Signore sia stato condotto alla croce, ma alla volontà del Padre, il quale permise, con un disegno preordinato, che egli subisse la morte per il bene di tutti. È quanto lo stesso Salvatore dichiarò a Pilato: “Non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto” (Gv 19,11); e in un altro momento, rivolgendosi ancora al Padre nei cieli, aveva detto: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42).

“Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco” (Gen 22,6). Allo stesso modo, senza superare o far violenza al potere della natura divina, bensì permettendolo l’Eterno Padre con decreto prestabilito, anche i Giudei posero la croce sulle spalle del Salvatore, che sembrava loro soggetto.

Testimone del fatto e alieno da ogni sospetto di menzogna, troveremo il profeta Isaia, che così aveva detto di lui: “Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (Is 53,5-6).

Quando poi il Patriarca giunse finalmente al luogo che gli era stato indicato, subito costruì un altare con prontezza e abilità: senza dubbio perché comprendessimo che la croce imposta al nostro Salvatore, ritenuta dagli uomini un semplice legno, era al cospetto del Padre come un grande ed eccelso altare, eretto per la salvezza del mondo e impregnato dal profumo di una vittima santa e purissima. E di quel corpo straziato dai flagelli, che dai crudelissimi Giudei era coperto di sputi, ci dice col profeta Isaia: “Ho presentato il dorso ai flagellatori e la guancia a coloro che mi strappavano la barba” (Is 50,6).

Uno solo è Dio, il Padre, e uno solo il Signore, Gesù Cristo, benedetto nei secoli. Egli per salvarci ha disprezzato ogni insulto e s’è fatto obbediente al Padre, umiliando se stesso fino alla morte. Diede per noi e al posto nostro la sua stessa vita, per poterci a sua volta richiamare dai morti, vivificati dallo Spirito Santo e, aperte le porte dei cieli, innalzarci fino alle dimore eterne; collocando così davanti agli occhi del Padre quella natura umana, che tanto presto se n’era fuggita col peccato, da tempo immemorabile.

Per queste imprese gloriose del nostro Salvatore, o dilettissimi, si aprano tutte le labbra e tutte le lingue si uniscano in un inno di lode, facendo proprio quel dolcissimo canto: “Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba” (Sal 46,6). Ascende infatti, dopo aver compiuto l’opera dell’umana salvezza, e non soltanto ascende, ma: È salito in alto conducendo prigionieri, ha ricevuto uomini in tributo (cfr. Sal 67,19).

Dai “Discorsi pasquali”
di san Cirillo di Alessandria, vescovo (5,7)

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