Lunedì della X settimana del Tempo Ordinario





“In ebraico la parola ashrei – felice – tradotta con "beato", non allude a sentimenti, sensazioni o stati d'animo. E neanche a quiete, tranquillità e appagamento. Ma indica, invece, dinamismo, relazioni dinamiche; in un senso un po' più esteso, la parola beato, felice, significa "cammino rinnovato in ogni momento" (M. Vidal, Un ebreo chiamato Gesù). Parimenti, le Dieci Parole del Sinai, i famosi "comandamenti", sono sempre stati compresi dalla tradizione ebraica come il "cammino" stesso della vita. "Fa questo", ovvero, cammina così e avrai la vita. La nuova montagna che s'innalza dolce dalle rive del lago di Tiberiade, consegna il nuovo cammino, compimento dell'antico. Il cammino degli eletti, dei chiamati, dei santificati, del Popolo diverso da ogni altro popolo, della Chiesa, sposa senza macchia né ruga del più Bello tra i figli dell'uomo. E' Cristo che ha compiuto, in ogni istante della sua vita, sino al suo Mistero Pasquale, le "beatitudini" che, "seduto" come l'unico Maestro credibile, ci annuncia. Non lo abbiamo scelto noi, come si faceva in Israele quando ognuno sceglieva il proprio Rabbì. Ci ha scelti Lui, per "ammaestrarci" nella Verità, offrendo se stesso come Vangelo vivente, da ascoltare e accogliere sino a essere crocifissi con Lui perché sia Lui a vivere in noi. Lui, il vero "beato" che, nella morte, ha incontrato la vita! Non a caso, dopo aver lavato i piedi agli apostoli, Gesù ha detto loro che sarebbero stati "beati" se avessero "compreso" il suo gesto, e lo avessero messo in pratica; se cioè avessero accolto il suo amore misericordioso e si fossero lasciati trasformare dal potere della sua Pasqua: "Le beatitudini non sono affatto un'esortazione morale che disegnerebbe il quadro delle virtù da seguire per meritare il regno e ancor meno un incoraggiamento a vivere nella miseria e nell'infelicità. Sono invece la proclamazione di una grande felicità, e l'invito alla gioia messianica. Testimoniano una venuta di Dio nell'assoluta gratuità. All'origine delle beatitudini c'è l'esperienza del Dio bassissimo e la felicità di quel povero chiamato Gesù, tutto invaso della certezza della venuta del Regno" (F. Manns). Gesù è il "Servo di Yahwè", il povero che, come recita il salmo 22 che ha pregato sulla Croce, dice di se stesso: "Io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo... Come acqua sono versato, il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere"; ma che, confidando nel Padre, ha sperimentato la vittoria che lo stesso salmo profetizza: "Ma tu Signore, non stare lontano, mia forza accorri in mio aiuto. Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea... Perché Egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito... I poveri mangeranno e saranno saziati... viva il loro cuore per sempre. Ricorderanno e torneranno a al Signore tutti i confini della terra". Le "beatitudini" sono, dunque, il cammino celeste dei suoi eletti, il tuo e il mio, della nostra comunità, tra le strade del mondo, nella certezza della Vita eterna fondata sull'esperienza. "Beato" è l'uomo che cammina nella volontà di Dio, che è una storia impregnata di Grazia, tra "persecuzioni, povertà, sofferenze, ingiustizie", con il mondo che vomita veleno sul Figlio incarnato nei suoi fratelli più piccoli, mentre risplende in loro la Grazia celeste di un amore che consegna la vita ai propri nemici. Gesù, infatti, conclude il Discorso della Montagna, ammonendoci che "non chi mi chiama Signore, Signore entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei Cieli". Siamo quindi chiamati ad essere, tra tutti, i più "poveri", nullatenenti, senza diritti, talvolta anche disprezzati e calunniati, per divenire i segni di un Regno che non è di questo mondo, per aprire a questo mondo le porte della speranza. C'è un'altra "Terra", un altro "Regno", un'altra vita, e brilla vittoriosa nella carne perseguitata e ferita dei cristiani. "Beato", dunque, per i figli della Chiesa, significa, oggi e ogni giorno, "vero, autentico, senza ipocrisie". "Beato", cioè ben dentro la storia perché "nascosto con Cristo in Dio". "Beato" è chi ha i sentimenti e il pensiero di Cristo, e vive unito a Lui. Può darsi che qualcuno si sia svegliato con un peso allo stomaco, e le lacrime abbiano attraversato il viso impregnandolo di un'amara malinconia. Può darsi che per qualcuno, oggi, sia un altro giorno triste: angoscia, fallimento, paura. E, dentro, una totale povertà, l'aridità di chi ne ha provate tante, e non ha tratto un ragno dal buco. Il nulla nelle mani, e una serie di rimpianti da serrare gli occhi su qualsiasi presente. "Poveri", ovvero "pitocchi, nullatenenti, mendici, piegati, depressi, rannicchiati (per lo spavento)" secondo l'originale greco, nel ministero, nell'essere marito e padre, moglie e madre, studente e collega, fidanzato e amico; "povero" perché anziano e solo, o malato senza sapere se e quanto resta da vivere; disoccupato o stretto dalla precarietà economica; con un marito disteso su un letto e la stanchezza del servizio giorno e notte che ormai ha sfiancato corpo e spirito. Magari abbiamo tentato di vivere cristianamente, ma poi, quanta fatica ad andare controcorrente, lusinghe, tentazioni, pensieri, tutto a congiurare contro la vita nuova che balbetta in noi. E quella "fame" d'affetto, di abbracci, di qualcuno che ti accolga così come sei; "fame" di pace, di gioia, di un sorriso pieno che non scivoli dentro una lacrima di delusione; "fame di giustizia" tra mille ingiustizie che sembrano lastricare i nostri cammini. "Fame" di eterno tra le sabbie mobili di un veleno che corrompe anche i momenti più belli. Un pellegrinaggio, un incontro, una catechesi, una liturgia, e tutto sembra risorgere, ma poi ecco la "solita vita" che incalza e sembra fagocitare voracemente ogni speranza di cambiamento. E ci ritroviamo "poveri", ma non riusciamo ad accettarlo, capaci solo di mendicare un compromesso dopo l'altro. E lacrime di "afflizione", quasi sempre nascoste, timide, incerte, chiuse in un grido di tristezza strozzato negli obblighi di tutti i giorni. Lacrime impresentabili, cucite sulla fodera dei sorrisi di circostanza dinanzi ai genitori, ai mariti, alle mogli, agli amici, ai colleghi. E con l'odio di tutto il mondo addosso. Perché? Perché capita così spesso che la sola nostra esistenza sia oggetto di ripulsa, veleni, invidie? Perché siamo suoi, chiamati alla sua stessa beatitudine! Per questo, tutto ciò che all'interno e all'esterno di noi contrasta la nostra vocazione, ci muove guerra, cercando di strapparci la primogenitura che ci ha fatti eredi della "Terra" promessa, perché ogni uomo possa entrarvi seguendo le nostre tracce. La "giustizia della Croce" che si rivela inerme nei cristiani, è sempre oggetto dei conati di violenza di chi la "perseguita" perché trionfi la menzogna della giustizia carnale. Due fidanzati che desiderano vivere un fidanzamento casto sono "perseguitati per causa della giustizia" ogni giorno, attaccati dai perversi sofismi del mondo e della sua cultura di morte e piacere, dagli ormoni che reclamano libertà, dalle passioni che bussano violentemente alle porte della carne, alleate del pensiero dominante che ha scardinato la Verità sull'uomo sostituita dalla dittatura del desiderio. Ma proprio per questo sono "beati", perché "di essi è il Regno dei Cieli": nella volontà di Dio, infatti, cominciano a vivere già qui ed ora, nel loro rapporto, le primizie dell'amore puro e incorruttibile che Dio dona ai suoi figli. Camminano nella semplicità, nel pudore, nella libertà, nella sincerità, nel rispetto e nel dono reciproco che crescono giorno dopo giorno, confermando quell'abbozzo e speranza di amore indissolubile deposto nelle loro mani, sino al giorno che, davanti a Dio e alla Chiesa, sarà benedetto e sigillato nel sacramento che li farà carne della propria carne. Così, ogni sposo e sposa è chiamato ad essere "operatore di pace", di quella annunciata e donata dal Signore risorto, e non quella che, illusoria, dà il mondo, frutto di ricatti e compromessi, schiava del ricordo, che assolve accumulando il risentimento sino al momento in cui, giunto al limite, esplode senza pietà; nella vita di ogni giorno, essi possono vivere "beati" rinunciando a se stessi, al programma televisivo, alla camicia stirata, ai propri schemi di famiglia, all'egoismo che fa del proprio corpo uno strumento di ricatto e vendetta, all'avarizia che chiude il portafoglio nel cassetto quando si tratta dei desideri dell'altro, ma lo apre quando si tratta dei propri; "beati" perché Cristo, vivo in loro, li accompagna ad incontrarsi nel perdono, la fonte pura della Pace che incorona di vittoria gli umili, i piccoli, i poveri, i perdenti, l'altro quando è più fragile, e magari ha torto marcio. "Beati" tutti noi, proprio perché il mondo "mentendo, dice ogni sorta di male contro di noi". E' una menzogna che il cancro ti sta portando via dalle persone care e dalla tua vita! No, il cancro è una "beatitudine", perché in esso, come in ogni malattia, in ogni fallimento e umiliazione, riverbera, autentica, la vita di Cristo crocifisso per amore. Sì, il cancro è una delle "beatitudini" dell'amore, forse la più pura, perché attraverso di esso ci si può offrire uniti a Cristo per le persone care, perché incontrino la sua vittoria sulla morte e il peccato. Un padre, una madre, non sono mai tanto genitori quanto nell'umiliazione della vecchiaia e della malattia, quando possono offrire gratuitamente se stessi nel mistero della Croce di Cristo che li unisce nell'abbraccio misericordioso con cui accogliere i peccatori. Ma non solo: la malattia e la "povertà" ci consegnano, nudi e bisognosi, all'amore degli altri. Un bambino down, un genitore costretto a letto senza poter fare nulla, un anziano non autosufficiente, un malato terminale, un peccatore, sì, un ostinato peccatore, sono, come dice Papa Francesco, le piaghe di Cristo, la sua carne offerta alle cure e alla compassione di chi gli è prossimo. Anche in questo risplende la "beatitudine": in chi è amato perché può sperimentare la gratuità dell'amore di Dio; e in chi ama, perché il cuore di Cristo gli dona l'occasione di gustare un frammento della vita celeste. Non solo: nella "povertà" e nell' "afflizione" ci è data l'occasione per "imparare" da Cristo, che è "mite e umile di cuore". Portando con Lui il suo giogo possiamo trovare il riposo, la "beatitudine" di chi nulla più difende. "Poveri" e "afflitti", e perciò "purificati" dalla storia, senza più alcun appoggio nelle ricchezze, nel prestigio, negli affetti carnali, possiamo guardare gli altri e la storia con la "purezza del cuore"; che significa con il discernimento che sorge, ormai "puro" dalle scorie della stoltezza mondana, dal "cuore": "Insegnaci a contare i nostri giorni e conquisteremo un cuore sapiente" (Sal. 90, 12). "Per noi occidentali, il termine cuore evoca soprattutto la vita affettiva... Per la Bibbia invece, il cuore è una realtà più ampia, che include tutte le forme della vita intellettiva, tutto il mondo degli affetti e delle emozioni, nonché la sfera dell' inconscio in cui affondano le radici tutte le attività dello spirito» (M.Cocagnac). Il "cuore" esprime, dunque, il luogo dell'intimo dove si determina la nostra volontà. Ma il "cuore" è anche sede dell'innamoramento, come recita il Cantico dei cantici: "Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo!". Solo crocifissi con Cristo possiamo offrire a Cristo uno sguardo puro perché infinitamente indigente, tanto da rapirgli il cuore; e, nello stesso tempo, discernere proprio attraverso le stigmate della sofferenza, lo sguardo pieno d'amore di Dio! Casa, ufficio, scuola, affetti, ansie, dolori, gioie, sofferenze, minuti, istanti, giorni, mesi, anni, queste sono le beatitudini, i cammini che ci sono donati perché brilli in noi la Vita che non muore. In essi Dio ci "ammansisce", doma la nostra carne per farci "miti" dinanzi alla storia, liberi dal pungiglione che ha avvelenato Adamo ed Eva, e per questo "beati" che "ereditano" ogni istante come fosse la "Terra" dove gustare il latte e il miele dell'amore e della misericordia. Sì, la "povertà" di una malattia, dell'emarginazione materiale e morale, della debolezza che "affligge" il nostro "spirito", ovvero il nostro intimo, compresa l'incoerenza e la fragilità di fronte alle tentazioni, tutto ciò che ci umilia e ci fa sedere all'ultimo posto, è il fango con cui il Signore ci cosparge gli occhi del cuore per purificarli con la Parola delle "beatitudini". E' davvero "beato" solo chi sa "vedere Dio" in ogni circostanza e in ogni persona! "Mitezza, purezza, pace e misericordia" sono i battiti del "cuore" di Cristo in noi, i bagliori della sua grazia nei crogiuoli delle nostre esistenze, le parole autentiche e credibili dell'annuncio fatto carne in uomini uguali a tutti gli altri, ma eletti e chiamati per mostrare al mondo il Destino che attende tutti. Le beatitudini sono la Buona Notizia di Cristo Risorto nei suoi fratelli risorti con Lui. Così, nella vita quotidiana si compie la missione che Dio ci ha affidato sin dal seno di nostra madre. Vivere Beati perché ogni uomo sia beato. Così un padre e una madre, un sacerdote, un professore, un catechista, ognuno di noi di fronte a chi ci è stato affidato, sarà un educatore, un testimone credibile, impregnato nella beatitudine di chi ha conosciuto la misericordia di Dio e in misericordia è trasformato, e pensa, parla e agisce con magnanimità. "Beati" siamo, allora, quando tutti - il mondo che forse ha ingannato chi ci sta accanto - ci ritengono dei poveracci, sfortunati, maledetti. E' in quel momento che la "gioia" vera può esplodere in noi, perché è quando la Verità risplende più luminosamente. Possiamo "esultare" perché Cristo è la nostra beatitudine, Colui che, con il suo amore infinito, colma di senso e pace le nostre ore, mentre il mondo, così apparentemente pieno, geme inconsciamente tra le angosce dell'inferno: nel vuoto e nella solitudine dove siamo solo per Lui, Lui è tutto per noi, per donarci la Vita che non si esaurisce mai, sorgente dell'amore che ci fa consegnare alla storia e al prossimo in una libertà che la carne non conosce. Lì, dove tutto muore, Lui splende di vita eterna. Per questo, oggi, il Signore ci chiama "Beati", svelandoci il nostro nome autentico e l’indistruttibile nostra identità. Dove il mondo muore, noi cominciamo a vivere, anche per il mondo. 



QUI GLI APPROFONDIMENTI








L'ANNUNCIO
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi”. (Dal Vangelo secondo Matteo 5,1-12)








αποφθεγμα Apoftegma



Il missionario è l'uomo delle Beatitudini. 
Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli ad evangelizzare, 
indicando loro le vie della missione: 
povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni, 
desiderio di giustizia e di pace, carità, 
cioè proprio le Beatitudini, attuate nella vita apostolica.
 Vivendo le Beatitudini, il missionario sperimenta 
e dimostra concretamente 
che il Regno di Dio è già venuto ed egli lo ha accolto. 
La caratteristica di ogni vita missionaria autentica è 
la gioia interiore che viene dalla fede. 
In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, 
che tende al pessimismo, 
l'annunciatore della buona novella deve essere una persona 
che ha trovato in Cristo la vera speranza".
Giovanni Paolo II
Enciclica Redemptoris Missio (1990), n. 91





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