Lunedì della XII settimana del Tempo Ordinario




Giudicare, “krinein” in greco, significa separare setacciando o vagliando. Molto del nostro tempo è passato a vagliare. Pesare con il bilancino ogni parola, ogni atto, ogni sguardo degli altri e di noi stessi, sempre senza misericordia. La parola chiave del Vangelo di oggi è “misura”, ovvero il criterio di Dio nel giudizio: l'unica unità consentita è la misericordia, le viscere materne capaci di rigenerare nell'amore. Essa ha sempre la meglio sul giudizio. Appare negli occhi di Dio dove riverbera un cuore ricolmo d’amore, che dimentica il male, che cerca testardamente il bene. Nelle sue parole di verità, di amorevole correzione, quella d’un Padre che ama davvero suo figlio. Lui, prima di giudicare qualunque uomo, ha guardato la trave dinanzi ai suoi occhi, la Croce del Figlio, il peso d’ogni peccato rovesciato sulle sue membra. Il prezzo del nostro riscatto, il suo Figlio fatto peccato per ciascuno di noi. Smettiamola dunque di giudicare una pagliuzza, di setacciare nel prossimo – marito, moglie, figli, genitori, colleghi – ogni sospiro e ogni presunto pensiero, cercando chissà quale movente, quale ingiustizia, quale disprezzo. Chi giudica è un nevrotico inguaribile, e spesso cade preda di una vera e propria patologia: "è tanto ossessionato da quello che vuole giudicare, da quella persona – tanto, tanto ossessionato! - che quella pagliuzza non lo lascia dormire! ‘Ma, io voglio toglierti quella pagliuzza!'… E non si accorge della trave che lui ha. Confonde: crede che la trave sia quella pagliuzza. Confonde la realtà. E’ un fantasioso" (Papa Francesco). Non ti è mai accaduto di fissarti su una persona sino a non riuscire più a staccare i tuoi occhi e la tua mente da lei: non sopporti più nulla, giudichi anche il suo modo di tossire, di mangiare, di vestirsi, di educare i figli, di usare i soldi, spesso aspetti che non ti riguardano neanche lontanamente.  Smettiamola di appiccicare i nostri occhi su chi ci sta intorno, e fissiamoli sulla trave che pesa sulle spalle di Cristo, pesante, assassina. Il legno sul quale sono incisi i nostri peccati. Fissiamola allora, fissiamola bene, arrossata dal sangue del Signore, sono stato io, è opera della mia libertà sbranata dal demonio. Io ho ucciso Gesù, in tutte, ma proprio tutte le persone che mi sono state accanto sino ad ora, compreso chi ho già cominciato a giudicare. Lasciamo che il dolore per i peccati nasca dentro di noi, e cresca, e ci ferisca il cuore e la mente; un cuore umiliato e contrito, forse non lo abbiamo mai sperimentato: la contrizione, infatti, è il primo passo nel cammino della conversione, elemento essenziale perché il sacramento della confessione dia i frutti ad esso legati: essa è “il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire”. E come possiamo fissare la Croce? Innanzi tutto ascoltando la predicazione del Vangelo! Solo all'annuncio del kerygma - nel quale Pietro aveva prima denunciato i peccati del popolo che avevano inchiodato Gesù alla Croce, e poi annunciato la sua resurrezione e il perdono - gli abitanti di Gerusalemme "si sentirono trafiggere il cuore". L'autentico dolore dei peccati nasce dunque dall'ascolto della predicazione: è fecondo, perché le lacrime versate per i peccati commessi, diventano il liquido amnicotico nel quale è deposta la fede. Senza la compunzione e la contrizione, quella fitta al cuore che ha sentito il figlio prodigo, non si può desiderare e intraprendere un sincero cammino di conversione, e la fede non può attecchire e crescere nell'uomo. Perché fede e conversione si nutrono l'una dell'altra. Per questo, anche il brano di oggi del Vangelo, rivelandoci il cuore di un cristiano e della Chiesa, l'attitudine dei perdonati e rigenerati di fronte ai peccati dei fratelli, ci chiama a tornare alla nostra identità, a camminare seriamente nella conversione, ad ascoltare la predicazione senza difenderci. Essa ci presenterà la "trave" della Croce sulla quale abbiamo inchiodato il Signore con i nostri peccati; ma vi leggeremo anche il perdono. Perché vi è una risposta, ad ogni peccato: la misericordia. Non accorgersi della trave che abbiamo negli occhi significa non aver conosciuto l’amore di Dio, non aver sperimentato la sua misericordia. Cercare la pagliuzza negli occhi altrui, significa essere stanchi di noi stessi, dei tanti difetti, mancanze, debolezze, incoerenze, peccati che vorremmo dimenticare. Quelli che non abbiamo saputo accettare, le cadute dove non abbiamo sperimentato il perdono, la pazienza e l’amore di Dio. Giudicare il prossimo senza misericordia è frutto d’un giudizio senza misericordia nei confronti di noi stessi. Ma una trave ci salva: essa svela la misericordia crocifissa, perché il documento del nostro debito vi è stato appeso e annullato. Non sbattiamoci contro questa trave ma guardiamola senza timore, e lasciamoci amare. Basta ipocrisie, maschere indossate per apparire giusti e così giustificarci infilzando gli altri con i giudizi sprezzanti. Chi giudica è sempre ipocrita, perché non mostra chi è veramente: dissimula d'essere il peggior peccatore graziato dalla misericordia di Dio. Perché questo siamo oggi: peccatori su cui pesa un giudizio di condanna a morte, ai quali l'unico Giudice ha condonato il delitto! Vi è una trave, il peso dei nostri peccati, e il supplizio che meritiamo, la Croce più infamante... Ma vi è un giudizio, l'unico vero e giusto, la misericordia infinita che ha fatto della trave che non vediamo e che ci spetta, la condanna assunta da Gesù che ci salva. Contempla la trave allora, le braccia di Cristo distese su di essa, che rivelano la misura con la quale siamo stati giudicati, la misura con cui giudicare. La misericordia, infatti, è il criterio d’ogni discernimento, di ogni legittima, auspicata correzione. In latino cum-regere significa sorreggersi insieme, sostenersi nel cammino. Non si tratta infatti di non dire nulla e voltarsi dall'altra parte mentre un fratello pecca o si sta mettendo in una brutta situazione; per vivere come impauriti d’ogni pensiero, incapaci d’ogni valutazione. Attenzione, è facile cadere in un moralismo schiacciante: "Mantenete l'amore e state tranquilli. Perché temi di far male a qualcuno? Chi fa del male a colui che ama? Ama: non può capitare se non che tu faccia del bene. Forse tu riprendi qualcuno? Questo è opera di amore, non di cattiveria" (S. Agostino). La misericordia genera la libertà, e in esse si possono dire anche le cose più dure, la verità più cruda, rischiando un'amicizia, una relazione, pur di non perdere l'anima del fratello. Quando è ben presente la trave della Croce di Cristo, ovvero la costante memoria dei nostri peccati e dell'amore che li ha assunti e cancellati è impossibile giudicare. Chi è stato iniziato alla fede nel seno della Chiesa sa di essere l'ultimo, e stima chiunque altro migliore di Sé. Lo sa per esperienza, il cuore glielo ricorda, e gli occhi guarderanno con compassione. I divorzi, le separazioni, le cause, le guerre, le ingiustizie, tutto nasce da un giudizio originale che acceca, quello su Dio insinuato dal demonio ai progenitori, che si estende ai fratelli e sulla storia. Se giudichi significa che hai scelto di dare ascolto all'"accusatore" di Dio e degli uomini, senza forse renderti conto che così hai scelto anche di farti giudicare da lui. Finirai con l'essere giudicato da un giudizio umano, senza misericordia perché figlio del giudizio del demonio, esattamente come il tuo. E' semplice: ti lamenti perché tua moglie ti giudica? Non stupirtene, il suo giudizio è certamente fratello del tuo, magari quello di cinque anni fa che tu hai dimenticato, ma di cui non hai mai chiesto perdono. E così hai chiuso in un "congelatore" il rapporto con tua moglie, ibernandolo in quel giudizio. Nel momento opportuno, la stessa insinuazione demoniaca che ha ingannato te, ha infiammato il cuore e la mente di lei, scongelando il giudizio che l'aveva ferita. E ora eccotelo servito, e sono mesi che non vi parlate. Allo stesso modo accade nella Chiesa, dove il giudizio uccide la comunione e arresta la conversione. Una comunità dove si giudica è uno scandalo, un muro eretto tra l'umanità pagana e Dio. Un padre che giudica il figlio lo fa inciampare sulla strada verso la fede adulta. Per questo abbiamo bisogno di camminare ogni giorno ascoltando l'annuncio del Vangelo che smaschera il giudizio originale e menzognero del demonio su Dio: no, Dio ti ama, e ti perdona sempre. Ascoltando e nutrendoci del perdono attraverso i sacramenti siamo allevati nella misericordia, e potremo cominciare ad amare, e per amore "togliere la pagliuzza dall'occhio del fratello": la mano che si allunga per ridonargli una vista chiara sarà, infatti, quella di Cristo trapassata dai chiodi dei peccati di ogni uomo. La misericordia brucia il compromesso affettivo che impedisce di dire la verità generata dall'amore sincero, camuffando la paura di perdere la stima dell'altro con una carità che è pura ipocrisia. Quando la misura del cuore è la misericordia, le nostre parole, i nostri sguardi, i nostri atti, divengono come un utero nel quale accogliere ogni uomo, un porto sicuro dove chi è debole, chi ha peccato, può trovare riparo dai marosi dell'inganno che ghermiscono la sua vita: "Avrò la certezza che veramente ami il Signore e me, suo servo e tuo, se farai in modo che non ci sia un frate in tutto il mondo che, per quanto abbia peccato, incontrando il tuo sguardo non senta di avere ottenuto il perdono, se lo avrà chiesto. E se non fosse lui a chiedere perdono, tu incoraggialo a chiederlo. E se mille volte si presentasse a te in simile situazione, dimostra per lui più affetto di quanto ne nutri per me stesso. In questo modo ti sarà possibile riportarlo al Signore" (S. Francesco d'Assisi, Lettera ad un ministro). Siamo chiamati con Cristo e la Chiesa a "difendere" ogni uomo davanti a Dio: a non giudicare che significa intercedere per tutti presso il Padre: "Gesù, davanti al Padre, mai accusa! E’ il contrario: difende! E’ il primo Paraclito. Poi ci invia il secondo, che è lo Spirito. Lui è il difensore: è davanti al Padre per difenderci dalle accuse... dell “accusatore”, il demonio, satana. Gesù giudicherà, sì: alla fine del mondo, ma nel frattempo intercede, difende" (Papa Francesco). Ecco che cosa significa non giudicare: amare, pregare e offrirsi per chi fa del male, per chi non comprendiamo, annunciando e testimoniando loro il giudizio e l'intercessione di Gesù. Un marito "difende" sua moglie, sempre, anche quando le dice la verità! Un padre difende suo figli, annunciandogli l'amore di Dio illuminando i suoi peccati e i rischi di certi atteggiamenti. Così condurremo tutti a Cristo, attraverso la trave che ci ha salvato, la Croce che, insieme, ci unisce a Lui. 









L'ANNUNCIO
Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. (Dal Vangelo secondo Matteo 7, 1-5)




Giudicare, “krinein” in greco, significa separare setacciando o vagliando. Molto del nostro tempo è passato a vagliare. Pesare con il bilancino ogni parola, ogni atto, ogni sguardo degli altri e di noi stessi, sempre senza misericordia. La parola chiave del Vangelo di oggi è “misura”, ovvero il criterio di Dio nel giudizio: l'unica unità consentita è la misericordia, le viscere materne capaci di rigenerare nell'amore. Essa ha sempre la meglio sul giudizio. Appare negli occhi di Dio dove riverbera un cuore ricolmo d’amore, che dimentica il male, che cerca testardamente il bene. Nelle sue parole di verità, di amorevole correzione, quella d’un Padre che ama davvero suo figlio. Lui, prima di giudicare qualunque uomo, ha guardato la trave dinanzi ai suoi occhi, la Croce del Figlio, il peso d’ogni peccato rovesciato sulle sue membra. Il prezzo del nostro riscatto, il suo Figlio fatto peccato per ciascuno di noi. Smettiamola dunque di giudicare una pagliuzza, di setacciare nel prossimo – marito, moglie, figli, genitori, colleghi – ogni sospiro e ogni presunto pensiero, cercando chissà quale movente, quale ingiustizia, quale disprezzo. Smettiamola di appiccicare i nostri occhi su chi ci sta intorno, e fissiamoli sulla trave che pesa sulle spalle di Cristo, pesante, assassina. Il legno sul quale sono incisi i nostri peccati. Fissiamola allora, fissiamola bene, arrossata dal sangue del Signore: sono stato io, è opera della mia libertà sbranata dal demonio. Io ho ucciso Gesù, in tutte, ma proprio tutte le persone che mi sono state accanto sino ad ora, compreso chi ho già cominciato a giudicare. Lasciamo che il dolore per i peccati nasca dentro di noi, e cresca, e ci ferisca il cuore e la mente; un cuore umiliato e contrito, forse non lo abbiamo mai sperimentato: la contrizione, infatti, è il primo passo nel cammino della conversione, elemento essenziale perché il sacramento della confessione dia i frutti ad esso legati: essa è “il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire” (Catechismo della Chiesa Cattolica). E come possiamo fissare la Croce? Innanzi tutto ascoltando la predicazione del Vangelo! Solo all'annuncio del kerygma, nel quale, la mattina di Pentecoste, Pietro aveva prima denunciato i peccati che avevano inchiodato Gesù alla Croce, e poi annunciato la sua resurrezione e il perdono, gli abitanti di Gerusalemme "si sentirono trafiggere il cuore". Quel "voi lo avete ucciso" risuonato nelle loro orecchie aveva scosso il cuore. Non a caso nel parallelo del Vangelo di Marco Gesù collega la sentenza sulla "misura" all'ascolto: "Fate attenzione a come ascoltate, perché con la misura con la quale misurate sarete misurati"; la misura della misericordia si calcola in base alla qualità dell'ascolto. Ma per ascoltare con una grande misura occorre una grande umiltà, ovvero lasciarsi illuminare e denudare dal Vangelo e consegnare se stessi alla Verità. Chi giudica non ha ascoltato il Vangelo. Lo ha sentito migliaia di volte, ma non lo ha mai accolto come l'unica parola vera per la propria vita. Lo ha usato per rafforzarsi nelle proprie idee e corroborare i propri pregiudizi; se ne è servito per alienarsi e fuggire da se stesso. Chi giudica vive, infatti, nell'ipocrisia: per difendersi perverte e  allontana da sé l'unica Parola capace di giustificarlo davvero, rimane solo, scandalizzato e terrorizzato dalla propria debolezza e dai propri peccati, e non può far altro che scappare dalla realtà, addossando sul prossimo il rancore, il disprezzo e il giudizio che, in fondo, nutre per se stesso. Giudica per non giudicarsi, insaziabile. Non accorgersi della trave che abbiamo negli occhi significa non aver conosciuto l’amore di Dio, non aver sperimentato la sua misericordia. Cercare la pagliuzza negli occhi altrui, significa essere stanchi di noi stessi, dei tanti difetti, mancanze, debolezze, incoerenze, peccati che vorremmo dimenticare. Quelli che non abbiamo saputo accettare, le cadute dove non abbiamo sperimentato il perdono, la pazienza e l’amore di Dio. Giudicare il prossimo senza misericordia è frutto d’un giudizio senza misericordia nei confronti di noi stessi: "Gli uomini senza speranza, quanto meno prestano attenzione ai propri peccati, tanto più si occupano dei peccati degli altri. In realtà non cercano di correggere, ma di condannare. E poiché non possono scusare se stessi, accusano gli altri" (S. Agostino). L'autentico dolore dei peccati nasce, invece, dall'ascolto umile e indifeso della predicazione: è fecondo, perché le lacrime versate per i peccati commessi, diventano il liquido amnicotico nel quale è deposta la fede. Senza la compunzione e la contrizione, quella fitta al cuore che ha sentito il figlio prodigo, non si può desiderare e intraprendere un sincero cammino di conversione, e la fede non può attecchire e crescere nell'uomo. Perché fede e conversione si nutrono l'una dell'altra. Per questo, anche il brano di oggi del Vangelo, rivelandoci il cuore di un cristiano e della Chiesa, l'attitudine dei perdonati e rigenerati di fronte ai peccati dei fratelli, ci chiama a tornare alla nostra identità, a camminare seriamente nella conversione, ad ascoltare la predicazione senza difenderci. Essa ci annuncia che una trave ci salva. La misericordia crocifissa, il documento del nostro debito appeso e annullato. Non sbattiamoci contro questa trave ma guardiamola senza timore, e lasciamoci amare. Basta ipocrisie, maschere indossate per apparire giusti e così giustificarci infilzando gli altri con i giudizi sprezzanti. Chi giudica è sempre ipocrita, perché non mostra chi é veramente: dissimula d'essere il peggior peccatore graziato dalla misericordia di Dio. Perché questo siamo oggi: peccatori su cui pesa un giudizio di condanna a morte, ai quali l'unico Giudice ha condonato il delitto! Come racconta questo apoftegma dei Padri del deserto: "Un anziano raccontò: "Vi era un anziano che viveva nel deserto e, dopo aver servito Dio per molti anni, disse: "Signore, rivelami con chiarezza se ti sono stato gradito". E vide un angelo che gli disse: "Non sei  ancora diventato come l'ortolano che vive nel tal luogo". L'anziano, stupito, disse fra sé: "Andrò in città a vederlo. Chi sa che mai avrà fatto per superare il lavoro e la fatica di tanti miei anni!". Partì dunque l'anziano, giunse al luogo che l'angelo gli aveva indicato, e trovò quell'uomo occupato a vendere ortaggi. Si sedette accanto a lui per il resto del giorno e, quando ebbe finito gli disse: "Fratello, puoi ricevermi nella tua cella questa notte?". Lo accolse con grande gioia. Giunto nella sua cella si mise a preparare il necessario per rifocillare l'anziano, e questi gli disse: "Fammi questa carità, fratello, raccontami la tua vita". Poiché egli non voleva parlare, l'anziano insistette molto a pregarlo. Convinto dalle suppliche, l'uomo disse: "Mangio solo la sera; quando mi corico, tengo soltanto il necessario per il mio nutrimento; il resto lo do ai poveri e, se ricevo qualcuno dei servi di Dio, lo offro a lui. Quando mi alzo al mattino, prima di sedermi al mio lavoro dico che tutti gli abitanti della città dal più piccolo al più grande, entreranno nel Regno per la loro giustizia, mentre io solo erediterò il castigo per i miei peccati. Anche alla sera, prima di addormentarmi, dico la stessa cosa". Udito ciò l'anziano gli disse: "Quest'opera è buona, ma non è tale da superare le mie fatiche di tanti anni". Mentre si accingevano a mangiare, l'anziano udì che in strada si cantavano delle canzonacce; la cella dell'ortolano si trovava infatti in una zona di cattiva fama. Gli dice l'anziano: "Fratello, tu che vuoi vivere così secondo Dio, come mai rimani in questo luogo? Non ti turbi quando senti cantare queste cose?". L'altro gli dice: "Ti dirò, padre, che non mi sono mai né turbato né scandalizzato". "Ma cosa pensi in cuor tuo quando odi queste cose?", chiede l'anziano. "Penso - egli dice - che essi entreranno certamente nel Regno". A queste parole l'anziano, preso da ammirazione, disse; "Questa è l'opera che supera la mia fatica di tanti anni", e inchinatosi davanti a lui soggiunse: "Perdonami, fratello, non sono ancora giunto a questa misura". La misura della trave, il peso dei nostri peccati, e il supplizio che meritiamo, la Croce più infamante... Che però segna anche la misura del Giudice infallibile, che ci ha giudicato non giudicandoci: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno". Come dire: se lo sapessero, se non fossero ingannati, non sarei qui; ma ora sono inchiodato proprio perché, contemplando questa trave, possano sapere la Verità ed essere finalmente liberi. Questo è stato ed è, oggi, il giudizio, il vero e giusto, la misericordia infinita che ha fatto della trave che non vediamo e che ci spetta, la condanna assunta da Gesù che ci salva, e come ti sembrerà allora piccola la pagliuzza del fratello... La misericordia, infatti, è il criterio d’ogni discernimento, di ogni legittima, auspicata correzione. In latino cum-regere significa sorreggersi insieme, sostenersi nel cammino.Non si tratta infatti di non dire nulla e voltarsi dall'altra parte mentre un fratello pecca o si sta mettendo in una brutta situazione; per vivere come impauriti d’ogni pensiero, incapaci d’ogni valutazione. Attenzione, è facile cadere in un moralismo schiacciante: "Mantenete l'amore e state tranquilli. Perché temi di far male a qualcuno? Chi fa del male a colui che ama? Ama: non può capitare se non che tu faccia del bene. Forse tu riprendi qualcuno? Questo è opera di amore, non di cattiveria" (S. Agostino). La misericordia genera la libertà, e in esse si possono dire anche le cose più dure, la verità più cruda, rischiando un'amicizia, una relazione, pur di non perdere l'anima del fratello. Quando è ben presente la trave della Croce di Cristo, ovvero la costante memoria dei nostri peccati e dell'amore che li ha assunti e cancellati è impossibile giudicare. Chi è stato iniziato alla fede nel seno della Chiesa sa di essere l'ultimo, e stima chiunque altro migliore di Sé. Lo sa per esperienza, il cuore glielo ricorda, e gli occhi guarderanno con compassione. Il giudizio, infatti, nasce sempre da uno sguardo avvelenato dalla superbia iniettata dal demonio. Giudica chi è cieco sulla propria vita, avendo gettato nell'oblio la propria storia, la realtà di peccato da cui è stato tratto. Ma chi ha l'occhio guarito dalla misericordia di Dio, non dimentica l'amore che lo ha salvato, e in esso si avvicina al fratello, per il quale freme di compassione, rivedendo se stesso in lui. Chi è stato perdonato non può giudicare, ha un'altra natura che ne muove sguardi, pensieri e parole. Ha sperimentato la morte che genera il giudizio, la divisione in se stesso e dagli altri, come accadde ai progenitori: in fondo, il demonio li ha spinti a giudicare Dio, a cancellare la sua parola dal cuore, e a tagliare la relazione con Lui. Frutto immediato del giudizio originale è stata la nudità, lo scoprirsi indifesi di fronte al giudizio dell'altro, con la conseguente discomunione. E' quanto accade nelle famiglie, e può arrivare al divorzio: tutto nasce da un giudizio su Dio, che si estende ai fratelli e sulla storia. Così nelle comunità, dove il giudizio uccide la comunione e arresta la conversione. Una comunità dove si giudica è uno scandalo, un muro eretto tra l'umanità pagana e Dio. Un padre che giudica il figlio lo fa inciampare sulla strada verso la fede adulta.Per questo abbiamo bisogno di camminare ogni giorno ascoltando l'annuncio del Vangelo e nutrendoci del perdono attraverso i sacramenti; allevati così nella misericordia potremo cominciare ad amare, e per amore "togliere la pagliuzza dall'occhio del fratello": la mano che si allunga per ridonargli una vista chiara sarà, infatti, quella di Cristo trapassata dai chiodi dei peccati di ogni uomo. La misericordia brucia il compromesso affettivo che impedisce di dire la verità generata dall'amore sincero, camuffando la paura di perdere la stima dell'altro con una carità che è pura ipocrisia. Quando la misura del cuore è la misericordia, le nostre parole, i nostri sguardi, i nostri atti, divengono come un utero nel quale accogliere ogni uomo, un porto sicuro dove chi è debole, chi ha peccato, può trovare riparo dai marosi dell'inganno che ghermiscono la sua vita: "Avrò la certezza che veramente ami il Signore e me, suo servo e tuo, se farai in modo che non ci sia un frate in tutto il mondo che, per quanto abbia peccato, incontrando il tuo sguardo non senta di avere ottenuto il perdono, se lo avrà chiesto. E se non fosse lui a chiedere perdono, tu incoraggialo a chiederlo. E se mille volte si presentasse a te in simile situazione, dimostra per lui più affetto di quanto ne nutri per me stesso. In questo modo ti sarà possibile riportarlo al Signore." (S. Francesco d'Assisi, Lettera ad un ministro). Siamo chiamati con la Chiesa a condurre a Cristo ogni uomo, marito, figlio, amico che sia; condurlo attraverso la trave che ci ha salvato, la Croce che, insieme, ci unisce a Lui. 





αποφθεγμα Apoftegma



Non credere d'aver fatto profitto nella Perfezione, 
se non ti tieni per lo peggiore di tutti, 
e se non desideri di esser posposto a tutti: 
perché questo è proprio di quei, 
che sono grandi negli occhi di Dio, 
essere piccoli negli occhi propri: 
e quanto più sono gloriosi innanzi al Signore, 
tanto più vili appariscono appresso se medesimi.


S. Teresa d'Avila

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