Mercoledì della XI settimana del Tempo Ordinario



Il fariseo e il pubblicano



Il Signore ci chiama a chiudere la porta e cercare nostro Padre; a scendere le scale del cuore e scoprire di vivere come orfani, chiasso all'esterno, tra impegni e parole, facendo tutto per essere notati; anche quando ci nascondiamo scappando dagli altri, in fondo è perché la nostra vita dipende da loro. Ma c'è una buona notizia, ed è il Vangelo di oggi: c'è speranza, perché c'è la conversione, la Teshuvà direbbe un pio israelita, il ritorno. La conversione è il figlio prodigo, la fitta che gli percuote il petto, la percezione chiara d'aver buttato la vita e di essere ormai un relitto in secca, perso nella solitudine, con il nulla nel cuore, nessun viso, nessuna parola, tutto perduto. Ma, per una Grazia misteriosa, quella che scocca al termine della discesa, rientra in sé stesso, nella verità dalla quale era uscito ingannato da seducenti sirene di fumo. Rientra, e si trova da solo, e intuisce quello che ha smarrito: suo Padre. "Mi alzerò e tornerò da mio Padre". Questo Vangelo accende oggi in noi la stessa scintilla per indurci a chiudere la porta del cuore e rientrare lì dove siamo usciti, perduti tra i tentacoli del lavoro, degli impegni, delle cose, degli affetti; di noi stessi spalmati sul cuore, ruvido e secco, degli "altri", proni tra giornate disordinate, cercando invano una ghianda, un affetto, un sorriso, una parola, un qualcosa di autentico che dia verità e valore alla nostra vita. Per questo siamo tante volte prede della concupiscenza. E' per aver smarrito la nostra identità di figli che buttiamo i nostri corpi in relazioni fugaci. La sensualità, i peccati legati al sesso, siano essi i rapporti prematrimoniali o i rapporti coniugali egoistici e non aperti alla vita, o siano essi i peccati di una sessualità disordinata, la masturbazione o i rapporti omosessuali, sono tutti originati da una perdita di senso e di identità. Sono i peccati che caratterizzano gli orfani; anche la psicologia ci rivela che i disordini sessuali hanno sempre origine nella disintegrazione dei rapporti con i propri genitori. A maggior ragione essi sono il frutto avvelenato del demonio che ha soppiantato il Padre nel cuore dell'uomo. Quando è lui a far da padre, i suoi figli ne vorranno compiere i desideri. E sono sempre desideri di morte, realizzati attraverso relazioni egoistiche, che succhiano la vita dell'altro per restarne poi uccisi. Come i giudizi, le invidie, le gelosie, i desideri carnali di gadget e persone, rivelano che molto facciamo per attirare l'attenzione, accaparrarci il cuore, i pensieri, la stima e gli affetti di chi ci sta intorno. E' la concupiscenza che alberga nel nostro cuore, che ci fa vivere fuori dalla tenda, come Esaù, cacciando amore e sostentamento laddove non ve ne sono, rischiando così, seriamente, la primogenitura e la felicità autentiche. Viviamo così spesso proiettati al di fuori di noi stessi in una continua esibizione dei nostri sentimenti, delle parole, delle nostre presunte "opere buone", anche delle briciole di bene che non ci appartengono perché opera della Grazia, frecce con le quali crediamo di infilzare le nostre prede: l'amico, la fidanzata, il marito, la moglie, il capoufficio, chiunque sia, compromettendo così il nostro e l'altrui rapporto esistenziale con il Padre. E' il trionfo del narcisismo, pericolosissimo. Può distruggere una persona, senza che se ne accorga. Svelarsi tra menzogne e ipocrisie, le foto ritoccate postate su Facebook e Twitter, sempre connessi e in vetrina, sperando un "mi piace" che colmi il vuoto inaccettabile. Quante ragazze, per non dire delle donne adulte, non sanno resistere ad esporsi nella propria bacheca. Non è così innocente e ingenuo. E' un modo perverso e subdolo di "sfigurarsi la faccia", proprio mentre si mostra il nuovo taglio di capelli, o uno sguardo leggermente ammiccante, o qualcosa di peggio. Comunque sia, il solo esibirsi è sintomo di un malessere profondo, un autentico "sfigurarsi il volto" e il corpo donatoci per custodire con pudore e rispetto, la santità della propria anima. Esibirsi con superficialità "sfigura" la bellezza originaria nella quale siamo stati creati. Un narcisista, descritto da Gesù con gli esempi del brano tratto oggi dal discorso della montagna, ha una fame insaziabile di essere considerato, è sempre concentrato su se stesso e non riesce a guardare ai bisogni dell'altro; è nevrotico con i propri difetti, fisici, caratteriali, spirituali; da un lato non si accetta, dall'altro vive nei sogni di grandezza, tende ad esagerare i propri risultati; è invidioso e si aspetta sempre che gli altri lo considerino; ha un senso molto forte dei propri diritti, perché, in fondo, si sente speciale. Per questo ha difficoltà enormi nelle relazioni, che cerca sempre di piegare ai propri interessi. Non ti senti narcisista? Vediamo allora... Guarda che anche il disprezzarsi è un sintomo rovesciato dello stesso problema: Narciso stava specchiandosi quando è caduto in acqua affogando. Seguiamo il vangelo, nel quale l'originale greco ha un gioco di parole che dovremmo tradurre così: "sfigurano la faccia per figurare davanti agli uomini": pensaci, quanto tempo passi a "sfigurarti la faccia" per presentarti "malinconico" dinanzi all'altro, il marito o la moglie, i genitori o i figli, e così fargli pesare che hai "digiunato" sacrificando il tuo tempo, i tuoi programmi, un pizza con gli amici, la partita di calcetto, per farli contenti? Non hai poi sperimentato di "aver ricevuto già la tua ricompensa", un timido grazie, un laccio in più stretto al collo dell'altro che lo obbliga perversamente a dipendere da te come uno schiavo, ma della considerazione autentica, dell'amore sincero che speravi neanche l'ombra? Il digiuno autentico, invece, è un gesto d'amore, esprime l'abbandono completo a Dio, la consegna della propria vita alla sua volontà, il desiderio di camminare nella santità. Come Gesù, che ha digiunato nel "segreto" del deserto per prepararsi alla missione che il Padre gli affidava e combattere contro le insidie e le tentazioni del demonio. Per questo, si digiuna come se in ogni circostanza stessimo celebrando le nozze con lo Sposo: per questo quando si digiuna dal mangiare e dal bere, come dal guardare, curiosare morbosamente, parlare, toccare e ascoltare, "ci si profuma il capo e lava il viso", testimoniando al mondo la gioia di essere uniti a Cristo, ma nascondendo nel "segreto" del talamo del cuore il dono totale e il rinnegare se stessi, "perché gli uomini non vedano" e si "riceva così dal Padre la ricompensa" della sua santità. E' dunque un digiuno che ci fa salire sulla Croce con Cristo, inchiodando la carne nella sua totalità all'amore autentico. Per questo non si tratta solo del digiuno dal cibo, importante per imparare la temperanza e la sobrietà, antidoti contro l'edonismo, il narcisismo e la concupiscenza: "affinché il digiuno sa vero, non può esserlo solo con la bocca, ma si deve digiunare con gli occhi, le orecchie, i piedi, le mani, e con tutto il corpo, interiormente ed esteriormente. Digiuni con le tue mani mantenendole pure nel servizio disinteressato agli altri. Digiuni con i tuoi piedi non essendo tanto lento nell'amore. Digiuni con i tuoi occhi non vedendo cose impure, o non puntando l'attenzione sugli altri per criticarli. Astieniti da tutto ciò che mette in pericolo la tua anima e la tua santità. Sarebbe inutile non dare cibo al mio corpo ma alimentare il mio cuore con immondizia, impurità, egoismo, contese, agi. Ti astieni dal cibo ma ti permetti di ascoltare cose vane e mondane. Devi digiunare anche con le tue orecchie. Devi evitare di ascoltare cose che si dicono sul conto dei fratelli, menzogne che si dicono sugli altri, specialmente pettegolezzi, dicerie o parole fredde e dannose contro gli altri. Oltre a digiunare con la tua bocca devi astenerti dal dire qualcosa che faccia male agli altri. Perché a che ti serve non mangiare carne se divori tuo fratello?" (San Giovanni Crisostomo). Resterà un "segreto" tra te e il Padre il digiuno da internet e il suo carico di pornografia, dalle chat e i social dove si vive di pettegolezzi assassini. E' amore rinunciare ai rantoli della fame carnale, non un ritocco di chirurgia plastica che disegna su un cuore schiavo del peccato un'ipocrita santità da sfoggiare! Quante volte hai "suonato la tromba davanti a te" perché gli altri si accorgessero delle tue "elemosine"? Regali per fare colpo e sorprese strabilianti per farsi notare e amare; lavoro e studio ostentati come l'impegno in parrocchia urlato con il megafono, perché quegli sfaticati degli altri parrocchiani sentano bene e imparino come si fa; la coerenza con gli impegni presi e i servizi nella comunità, ricordati a ogni occasione per umiliare i fratelli, e le offerte con cui essere ricordati da una targa bene in vista. Come accadeva nelle assemblee delle sinagoghe, dove si raccoglievano le offerte per i poveri e chi offriva molto era invitato a sedersi in un posto d'onore, vicino ai rabbini. Ma sempre "elemosine" erano, nel senso dispregiativo che spesso si dà alla parola, intendendo il superfluo che non serve, dato per farsi belli; mai che ti sia messo davvero in gioco offrendo te stesso nel "segreto". Non avresti avuto la "ricompensa" che esigeva la tua carne, l'ammirazione e la stima pronte poi ad evaporare in un baleno. Invece, come Gesù che si è offerto nel silenzio solitario del Getsemani, chi fa "elemosina" di tutto se stesso, chi ha "pietà e misericordia" secondo il senso dell'originale greco  del termine, lo dimentica nel momento stesso in cui si offre, proprio come se la "mano destra non sapesse che cosa fa la sinistra". E' questa infatti la caratteristica della gratuità che rende inconfondibili le "opere" fatte in Dio: non ce se ne rende conto, perché vengono dallo Spirito Santo che abita in chi le compie; se chiedi a un santo qualcosa circa i suoi miracoli, la dedizione e l'amore, ti risponderà come Sant'Ignazio di Loyola: "Io? ma scherziamo? Non sono che un puro impedimento all'opera di Dio!". Chi ama davvero non ha registri, perché l'amore di Dio sgorga "naturalmente" da una natura rigenerata e per questo umile, consapevole cioè della propria debolezza. Quante "preghiere" issate su schiene diritte e imbarcate su voci impostate e possenti, incipriate di parole ricercate, sperando da esse il compimento della propria volontà, da Dio prima e dai fratelli poi. "Pregare" per compiere noi la volontà di Dio e donarci ai fratelli? Ma per favore... "Preghiere" e prediche, invece, sono come quelle del "fariseo salito al Tempio a pregare", oggetti in vetrina, segno inequivocabile della prostituzione con la quale vendiamo le nostre anime di pastori o fedeli. Speriamo di essere canonizzati a suon di parole, "cembali che tintinnano" come le "opere", i "digiuni" e le "elemosine" con cui cerchiamo i favori affettivi, il prestigio e la stima. Amore? Niente. Umiltà? Neanche parlarne. Mentre le "preghiere" con i "digiuni" e le "elemosine" sono i segni con cui esprimiamo a Dio e ai fratelli la nostra povertà e la nostra debolezza, per implorare la fede che compia in noi le "opere" di vita eterna per le quali siamo stati chiamati ad essere cristiani: "ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia" (San Pier Crisologo). Per questo si può essere autentici solo nella Chiesa, dove l'indigenza è la carta d'identità dei battezzati. In un ospedale c'è poco da nascondere! E chi lo fa spreca il suo tempo, impedendo al medico di curarlo. Così è nella Chiesa, dove siamo iniziati alla fede attraverso la cura del nostro cuore malato perché orfano: "Ecco il senso profondo dell’iniziazione cristiana: generare alla fede vuol dire annunziare che non siamo orfani" (Papa Francesco). Con amore essa ci annuncia oggi l'attitudine del figlio che ha un "Padre nei Cieli", e per questo è figlio di Dio. Per questo la Chiesa ci offre l'opportunità di ripensare alla nostra vita per rientrare nel cuore e scoprire, senza paura, la solitudine e, da essa, cercare nel segreto lo sguardo di Chi abbiamo dimenticato. "Il digiuno, l'elemosina, la preghiera", ci aiutano ad essere consapevoli di una realtà che il mondo e il demonio ci occultano: la solitudine profonda della dimenticanza di Dio, e lo sforzo sovrumano e fallimentare di vivere nella sua assenza che erode le nostre giornate. Avendo tradito lo Sposo, in noi non c'è posto per il Padre. Siamo soli e affamati d'amore, anche se strepitiamo e ci facciamo notare. Per questo oggi Gesù ci richiama a un "segreto", a ritornare alla stanza più intima, tameion nell'originale greco, che può significare un magazzino o una dispensa, oppure la stanza più interna, quella meno adatta ad attirare l'attenzione degli ospiti, probabilmente perché senza finestre. Chiudere la porta, e scendere laddove non vi sono finestre, e non si può scappare... Immagine di un'attitudine finalmente sincera, di colui che è rientrato in se stesso, con gli occhi e la bocca chiusi di fronte alle tentazioni della concupiscenza, in un'intimità di figli che tutto attendono da loro Padre. E' il pudore a cui siamo chiamati, il segreto intimo di una relazione che ci mostra solo a nostro Padre, esattamente come siamo. Il pudore, secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica "è una parte integrante della temperanza. Il pudore preserva l'intimità della persona. Consiste nel rifiuto di svelare ciò che deve rimanere nascosto. È ordinato alla castità, di cui esprime la delicatezza. Regola gli sguardi e i gesti in conformità alla dignità delle persone e della loro unione... Il pudore è modestia. Ispira la scelta dell'abbigliamento. Conserva il silenzio o il riserbo là dove traspare il rischio di una curiosità morbosa. Diventa discrezione". E' esattamente ciò che Tobi dice a suo figlio Tobia: "E' bene tenere nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio" (Tb. 12,7). E' l'atteggiamento della Vergine Maria, che custodisce ogni parola e ogni avvenimento come i luoghi del suo intimo rapporto con Dio, meditando, ruminando la storia nel suo cuore con timore e stupore: il pudore e la castità che custodiscono il proprio intimo nell'amore di Dio, ma che prorompono altresì nel Magnificat che benedice e rivela le opere del Padre: "Come nella relazione tra uomo e donna esiste la sfera totalmente personale, che necessita dello spazio protettivo della discrezione, e allo stesso tempo il rapporto a due nel matrimonio e nella famiglia per sua essenza include pure una responsabilità pubblica, così è anche nella relazione con Dio: il «noi» della comunità orante e la dimensione personalissima di ciò che si può comunicare solo a Dio si compenetrano a vicenda" (J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Volume I). In ogni caso è fondamentale fissare i propri occhi su Cristo, principio e perfezionatore della nostra fede. Lasciarci guardare da Lui solo, desiderare solo il suo sguardo di misericordia, senza mostrare il nostro intimo agli altri, nell'illusione che lo sguardo altrui ci dia l'identità che abbiamo perduto; altrimenti, continueremo ad irretire gli occhi di chi ci è intorno nelle nostre parole, nelle nostre opere, nella simpatia, nelle battute, nell'ipocrisia, nei corpi e nei vestiti, nell'apparenza ingannevole dei mille avatar, nickname e photoshop dell'anima nei quali ci travestiamo, per restarne a nostra volta accalappiati. E' l'ophtalmodoulia (Ef. 6,6), la schiavitù degli occhi, sorella di quella delle parole: "Mi viene in mente una bellissima parola della prima lettera di san Pietro, nel primo capitolo, versetto 22. In latino suona così: 'Castificantes animas nostras in oboedentia veritatis'. L'obbedienza alla verità dovrebbe ‘castificare’ la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione. In altri termini, parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinioni comuni, è considerato come una specie di prostituzione della parola e dell'anima. La 'castità' a cui allude l’apostolo Pietro è non sottomettersi a questi standard, non è cercare gli applausi, ma cercare l’obbedienza alla verità" (Benedetto XVI). E la Verità è Cristo, e in Lui risplende anche la verità di ciascuno, la debolezza e l'incapacità preparate per accogliere l'onnipotenza divina che ci conduce alla Verità di una vita santa. Come nella Vergine Maria. Solo il Padre, infatti, e il suo Figlio conoscono sino in fondo chi siamo davvero, e, in questa conoscenza sanno distruggere ogni ipocrisia, quella del fariseo che ostentava e si vantava della propria carne millantata per spiritualità. Cerchiamo dunque lo sguardo del Padre attraverso quello di Cristo; cerchiamolo nel buio dell'ultimo posto come il pubblicano, realizzazione concreta della stanza nella quale Gesù ci chiama a chiuderci. Cerchiamo la sua Gloria, il peso specifico della nostra esistenza in Lui, con pensieri, parole e opere vissute per Cristo. E' Lui che si è sempre sottratto alla gloria umana, vivendo ogni istante nell'intimità con il Padre. Da Lui possiamo imparare a custodire noi stessi "nel segreto", saziandoci della "ricompensa" del Padre. Forse non l'hai mai sperimentata, forse quello che hai non ti basta... Allora diglielo, supplica il Padre che ti faccia gustare le delizie del suo amore, la pienezza di una vita santa vissuta nell'unione crocifissa con il suo Figlio. Smetti di postare le tue foto, di far sapere a tutti quello che fai o sogni di fare. Taglia con l'apparenza e dedicati alla Verità! E' nel "segreto" casto dell'intimità con Cristo, infatti, che si nutrono le relazioni adulte e compiute nell'amore gratuito: "si tratta della cella che c'è dentro di te dove sono rinchiusi i tuoi pensieri e dove risiedono i tuoi sentimenti. Questa camera di preghiera ti accompagna ovunque, è occulta dovunque vai, e in essa il solo giudice è Dio" (S. Ambrogio). Vuoi essere felice nel tuo matrimonio? Cura innanzitutto la relazione con Cristo! Vuoi educare i tuoi figli? Appartati spesso nella cella del tuo cuore con il Signore! Vuoi avere pace nel lavoro, a scuola, con gli amici? Non dimenticare il "segreto" del tuo cuore e cerca di restarci con il tuo Sposo. Vuoi un fidanzamento casto? Donati a Cristo! In tutto quello che pensiamo, diciamo e facciamo, infatti, "è sempre in gioco il bisogno di riconoscimento. Se lo cerco negli altri, non ne avrò mai abbastanza; resterò sempre schiavo e del giudizio degli altri e dell'immagine (idolatria) del mio invece che della realtà di Dio. Se lo cerco in Dio, allora ritrovo la mia realtà in colui che mi ama di amore eterno, ai cui occhi sono prezioso e degno di stima, addirittura un prodigio... Il mio essere è il suo vedermi e amarmi" (S. Fausti). Torniamo a casa dunque, insieme a Gesù torniamo da nostro Padre; ci attende la sua "ricompensa", la giustificazione sperimentata dal pubblicano che neanche osava alzare gli occhi, e si percuoteva il petto dove batteva il suo cuore contrito perché nudo nel segreto di fronte al Padre. Lui ci attende oggi nel "segreto" del nostro cuore, dove suo Figlio è disceso per primo senza scandalizzarsi. Ci attende nella Chiesa, la "stanza più intima", ovvero il cenacolo al piano superiore dove appare risorto nella sua Parola, nei sacramenti e nella comunione con i fratelli, presenza oggettiva di Dio che ci protegge da deviazioni pseudo-mistiche, nelle quali potremmo sentire tutto e il contrario di tutto. Nella comunità, infatti, discende il suo Spirito che ci guida alla Verità tutta intera. E' nella Chiesa che si sperimenta l'intimità con il Padre. E' la comunità la casa dalla quale siamo usciti perdendoci, la tenda nella quale ci siamo sentiti limitati e frustrati sotto i colpi delle menzogne del demonio. E' qui che possiamo tornare sempre, senza paura, perché il Padre non ci respingerà mai! Sta a noi non indurirci nell'orgoglio che scappa nell'ostentazione frivola e vana. Papà, infatti, è alla finestra e freme nell'attesa di correrci intorno. Ma il cammino è cosa nostra, senza di esso non c'è amore vero. Il Figlio lo ha inaugurato risalendo dal sepolcro prima di noi. Le sue orme ci conducono dalla morte alla vita. In Lui, nell'intimità di un pudore che si abbandona confidente, possiamo tornare a casa, e invitare i nostri figli e ogni uomo a fare lo stesso. Così compiremo insieme alla Chiesa la sua missione di Madre che, unita al Padre "nel segreto" di un amore incorruttibile fatto di "preghiera, elemosina e digiuno", accoglie gli orfani e li rigenera come figli: "questo cammino di conversione ci darà l’identità di un popolo che sa generare i figli, non un popolo sterile! Se noi come Chiesa non sappiamo generare figli, qualcosa non funziona! La sfida grande della Chiesa oggi è diventare madre: madre! Non una Ong ben organizzata, con tanti piani pastorali… Se la Chiesa non è madre, è brutto dire che diventa una zitella, ma diventa una zitella! E’ così: non è feconda. Non solo fa figli la Chiesa, la sua identità è fare figli, cioè evangelizzare, come dice Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi. L’identità della Chiesa è questa: evangelizzare, cioè fare figli" (Papa Francesco).









L'ANNUNCIO
Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli.
Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
 (Dal Vangelo secondo Matteo 
6,1-6.16-18)




Il fariseo e il pubblicano




αποφθεγμα Apoftegma



Quando sei unito a Dio mediante la preghiera, 
esamina chi sei in verità; 
parlagli se puoi, 
e se questo ti è impossibile, 
fermati, rimani davanti a lui. 
Non darti altra preoccupazione.

San Pio (Padre Pio)

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