L'ANNUNCIO |
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due.
Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;
per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.
Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;
avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.
Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.
E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
(Dal Vangelo secondo Matteo 25,14-30)
Secondo l'interpretazione dei Padri della Chiesa, l'uomo che
parte per un lungo viaggio è il Signore. Dopo aver compiuto il suo Esodo dalla
morte alla Vita, Egli chiama gli apostoli "che si era
scelti nello Spirito Santo" e impartisce loro le istruzioni sulla missione
svelando i segreti del Regno. La Parabola inizia con un flash sui quaranta
giorni che separano la risurrezione dall'Ascensione, ma che include anche
l'incontro sul Monte delle Beatitudini e la discesa dello Spirito Santo.
Con poche parole Gesù sintetizza quale sarà il suo
Testamento: donato alla Chiesa come segno sacramentale nell'eucarestia
dell'Ultima Cena, sarà consegnato come "talenti" da impiegare nella
missione affidata. Lo Spirito Santo sigillerà ogni insegnamento, evento e
parola del Signore nella luce sfolgorante della Pasqua, riversando nei loro
cuori l'amore con il quale vivere nella storia la stessa vita del Signore,
coinvolti nella sua missione. Il corpo e il sangue di Cristo, uniti poi a tutti
gli altri sacramenti, divengono così il Testamento nuovo ed eterno, l'alleanza
nella quale la Chiesa dovrà vivere e percorrere il mondo sino ai confini della
terra.
A Gesù che sta per partire, è stato dato ogni potere
in cielo ed in terra: consegnando i talenti Egli dice agli apostoli:
"Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare
tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla
fine del mondo" (Mt. 28, 18-20). I "talenti" sono dunque
colmi del potere stesso di Cristo.
Essi non sono le qualità umane, sono le ricchezze dei beni messianici, i beni del Padre donati completamente al Figlio. E, da Lui, consegnati e affidati ai servi, ai discepoli, a ciascuno di noi. Il verbo consegnare è decisivo: il Padre ha consegnato il Figlio; il Figlio si è consegnato al Padre ed è stato consegnato dal traditore. L'economia della salvezza passa per queste consegne.
Essi non sono le qualità umane, sono le ricchezze dei beni messianici, i beni del Padre donati completamente al Figlio. E, da Lui, consegnati e affidati ai servi, ai discepoli, a ciascuno di noi. Il verbo consegnare è decisivo: il Padre ha consegnato il Figlio; il Figlio si è consegnato al Padre ed è stato consegnato dal traditore. L'economia della salvezza passa per queste consegne.
Per questo, l'inizio della parabola descrive un momento
importante e decisivo, che riassume, in una profezia, il cuore della missione
di Gesù e della sua Chiesa: "consegnando i suoi beni", l'
"uomo", immagine di Gesù, "consegna" tutto se stesso. Ma
quest' "uomo" è anche immagine di ogni uomo, creato da Dio a immagine
del suo Figlio, perché si "consegni" senza riserve. E' Adamo per il
quale è stata creata Eva, aiuto alla quale donarsi.
Tutta la vita dello Sposo e della Sposa infatti si sviluppa in un crescendo di consegne, sino all'ultimo istante della storia, quando il Figlio consegnerà il Regno al Padre. La consegna è un sinonimo dell'amore. Si consegna davvero solo chi ama. Comprendiamo allora l'incipit della parabola, che è poi quello della nostra stessa vita, come lo è stato di quella del Signore: è l'amore smisurato che spinge il Padre a consegnare il Figlio al posto nostro, e quello del Figlio che si consegna sino alla fine.
Il frutto di questo amore intimo e perfetto, è la consegna
dei beni di Dio alla Chiesa, a ciascuno di noi, perché siano consegnati ad ogni
uomo. E il bene più grande di Dio è il Figlio stesso. E' Lui il talento
prezioso che i servi ricevono.
"Come il Padre ha mandato me anche io mando voi", perché "come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi". Come Lui si è consegnato a noi così anche noi siamo chiamati a consegnarlo al mondo attraverso la nostra stessa consegna. Il "come" è descritto nel diverso numero dei talenti che ricevono i servi. Non si tratta di qualità diversa, solo di forme diverse in funzione della missione specifica che ciascuno riceve.
"Come il Padre ha mandato me anche io mando voi", perché "come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi". Come Lui si è consegnato a noi così anche noi siamo chiamati a consegnarlo al mondo attraverso la nostra stessa consegna. Il "come" è descritto nel diverso numero dei talenti che ricevono i servi. Non si tratta di qualità diversa, solo di forme diverse in funzione della missione specifica che ciascuno riceve.
Se il talento è Cristo, consegnato attraverso la sua Parola,
i sacramenti e tutti i beni che la Chiesa ha sempre custodito e amato
gelosamente, anche chi riceve un solo talento non ha affatto ricevuto meno. Al
contrario, ha ricevuto tutto, e nulla gli manca per compiere la sua
missione. Significa semplicemente che la storia di ciascuno è diversa e
irripetibile, ma non per questo la vita di San Francesco Saverio è più
importante agli occhi di Dio di quella di una sconosciuta monaca di clausura
nascosta a Lisieux. Il Papa riceve i talenti necessari per adempiere la sua
missione, così come la vedova ammalata che vive in uno sperduto paese di
montagna.
Da quest'ultimo servo possiamo partire per comprendere la Buona Notizia che oggi il Signore vuole annunciarci. Certamente la "paura" di questi nasceva innanzi tutto dall'invidia. Come Caino non guardava di buon occhio suo fratello, anche lui guardava storto gli altri servi. Nella parabola questo non è scritto, ma si può dedurre da come guarda il Signore.
Da quest'ultimo servo possiamo partire per comprendere la Buona Notizia che oggi il Signore vuole annunciarci. Certamente la "paura" di questi nasceva innanzi tutto dall'invidia. Come Caino non guardava di buon occhio suo fratello, anche lui guardava storto gli altri servi. Nella parabola questo non è scritto, ma si può dedurre da come guarda il Signore.
Con occhi invidiosi; l’etimologia del termine invidia rivela la
relazione con il “vedere”: in-videre significa avere un occhio
cattivo, che non vede nè gli altri nè le cose. In Caino l'invidia
giunge sino a desiderare la sparizione di Abele dalla sua vista. Il servo si
comporta proprio così: ha un occhio in-capace di vedere, vede
storto Colui che gli ha dato il talento e per questo lo nasconde alla sua
vista, sotterrando quel talento che ne è immagine e presenza. Invidia ed è
geloso degli altri servi. In ebraico, la gelosia si chiama con la stessa
parola, qin'ah, che si usa per nominare l'invidia. Un morbo
maligno abita il suo cuore, vede male e quindi non conosce il suo Signore e
neppure il talento ricevuto e, di conseguenza ne ha paura. Seppellisce il
suo ricordo perché l'invidia non lo sfinisca.
Quell'unico talento tra le mani gli innesca i pensieri più terribili, - "so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso" - non può neanche sopportare la sua vista. Lo sotterra per timore, perché l'invidia genera sempre la paura. Il terrore di non essere, di perdere la propria identità, di non valere e non reggere; la paura di soccombere e non essere amato. Per questo il servo, con il talento, nasconde anche se stesso.
Esattamente come Adamo dopo aver perduto l'innocenza che lo
stringeva a Dio in un legame intimo e familiare. Sotterrare il talento
significa sotterrare la propria dignità, il proprio essere, la primogenitura e
il senso della propria vita; significa nascondersi e macerarsi in un misto di
sentimenti di gelosia, mormorazioni, rancori, che avvelenano e ci imprigionano
sempre più. Perché, in una parola, sotterrare il talento è occultare
Cristo, ucciderlo, come Caino ha ucciso Abele.
Quel Talento, questa volta con lettera maiuscola, definisce il servo, ne annuncia l'autentica identità; è l'occasione di conversione, di abbandonarsi alla fedeltà, al potere e all'amore di Dio per vivere secondo la sua volontà. Nascosto il Talento si spengono le luci e la vita diviene un brandello gettato "fuori nelle tenebre", dove "sarà pianto e stridore di denti".
E' quello che facciamo molto spesso, in una sorta di
"damnatio memoriae" delle persone e degli eventi che non abbiamo
accettato. Sotterriamo, bruciamo, guardiamo con occhio malvagio, perché le
ferite non continuino a farci male. L'atteggiamento di questo servo è, ad
esempio, quello che sta all'origine di ogni divorzio. Per quanto si sotterri
l'ex coniuge, questi resta comunque vivo come una ferita che sanguina, e non
c'è verso che si rimargini...
Perché se si divorzia dal marito o dalla moglie, significa
che prima si è tagliato il rapporto con Dio, come Adamo ed Eva. Non piaceva
quel Talento, non rispondeva alle concupiscenze della carne, osava essere se
stesso, così diverso e pieno di difetti. Obbligava ad uscire da se stessi. a
dimenticare i propri criteri e a donarsi... No, non era il Talento che si
desiderava, per saziarsi e realizzarsi... Era un mostro di talento,
inaccettabile.... Ma, in quel Talento, nonostante tutto, era vivo Cristo. Ed
era Lui che, giorno dopo girono, giudizio dopo giudizio, rancore dopo rancore,
si è andato rifiutando... E, se si avvelenano i pozzi, con che acqua ci si
potrà dissetare?
Il "servo malvagio e infingardo" non ha trattato il talento con familiarità, amore, dedizione, fedeltà anche nei piccoli particolari, come fosse cosa propria, accogliendo in esso la presenza di Colui che glielo aveva affidato. Per lui, schiavo dell'invidia e della paura, nessuna intimità con Cristo; i beni di Cristo non erano oggetto delle sue attenzioni, perché la sua esistenza stava scivolando via da tempo senza alcuna relazione con Lui.
Chiamato a vivere la sua stessa vita, ad amare e a donarsi
per annunciare al mondo il suo amore, si è chiuso in se stesso, nel timore
figlio del pensar male di Dio. In fondo, dietro all'atteggiamento di questo
servo, vi è quello comune a tanti di noi. Pensiamo che Dio voglia sottrarci
qualcosa e sospettiamo di Lui, ingannati dalla menzogna primordiale nella quale
sono caduti i progenitori: Dio non ti ama, vuole solo limitarti. Dietro alle
sue parole si nasconde l'inganno, vuole incastrarti. Dio è esigente e la
Chiesa, peggio di peggio.
Perché non avere rapporti pre-matrimoniali? Perché non ci si
può divorziare? Perché non posso convivere per capire se l'altro è la persona
giusta per me? Perché sposarmi se sono tanto giovane? Perché non posso vivere
secondo i miei criteri e la libertà che mi spetta? Perché perdonare quello che
non posso perdonare? A tutte queste domande il demonio ci presenta sempre la
stessa risposta infiltrata dalla menzogna: Perché Dio mi vuole
incastrare e la Chiesa interpreta a caso e subdolamente la sua Parola.
Ascoltandola e accettandola, di fronte a eventi e persone,
comincia a dominare in noi la paura che dietro alla Croce non vi sia la
resurrezione, ma, nella migliore delle ipotesi, solo un gran punto
interrogativo. La paura di chi ha smarrito la fede o si è lasciato raffreddare
dagli insuccessi, dallo scandalo della Croce.
E' lo stesso timore che spesso prende la Chiesa e le impedisce di annunciare il Vangelo sotterrando il Talento in discussioni, convegni, slogan e proclami, produzione di carta, impegni volontaristici con i quali ci si sotterra sempre di più invece di schiudere il Cielo. La Chiesa che non annuncia il Vangelo è sempre una Chiesa che ha sepolto Cristo di nuovo. E così lascia sepolti quelli a cui è mandata, al suo interno e nel mondo.
Il servo malvagio infatti non riporta nessun talento
guadagnato: la sua vita è stata infeconda. Quando la Chiesa, mondanizzata, ha
paura e non crede nel potere della predicazione, sta gravemente abdicando, si
converte in una serva malvagia e infingarda, che lascia nell'inganno e nella
morte i suoi figli e i pagani, e non li porta e riconsegna a Cristo, che per
loro si è donato.
Si comprende ancora una volta che dietro a questi atteggiamenti del cuore vi sia un inganno profondo: facendo leva sulle disillusioni, sulle sofferenze, sulla croce che ha segnato la nostra vita, il demonio ci ha sedotti ritoccando l'immagine di Dio con un colpo ineffabile di "Photoshop": via la misericordia, la generosità, la fiducia, e l'amore e dentro durezza, esigenza, moralismo.
Si comprende ancora una volta che dietro a questi atteggiamenti del cuore vi sia un inganno profondo: facendo leva sulle disillusioni, sulle sofferenze, sulla croce che ha segnato la nostra vita, il demonio ci ha sedotti ritoccando l'immagine di Dio con un colpo ineffabile di "Photoshop": via la misericordia, la generosità, la fiducia, e l'amore e dentro durezza, esigenza, moralismo.
Ha preso qualche cosa della nostra storia e l'ha sovrapposta
all'immagine di Dio, coprendo e occultando la realtà più profonda. Invece,
proprio in quei momenti crocifissi ci veniva consegnato il talento! La Buona
Notizia del Vangelo di oggi è nascosta qui: i talenti sono Cristo
Crocifisso in noi, inviato ancora a vivere la storia per seminarvi la
sua vita, il suo potere, il riscatto eterno per ogni uomo. Il talento
consegnato ci consegna al mondo.
Negli eventi che ci hanno fatto soffrire Dio era presente, ed
è presente, e ci consegna il suo talento più prezioso. In quei momenti, lungi
dall'essere duro ed esigente, Egli rivela il suo volto pieno di generosità e misericordia:
è nella durezza della vita - che esiste a causa del peccato - che Dio elargisce
gratuitamente il suo potere e la sua vittoria. Per questo, quando ci assalgono
i pensieri tristi che tendono a gettarci nella paura e nell'invidia bisogna
correre "dai banchieri", dagli esperti del denaro, per imparare da
loro, perché ci aiutino a trafficare bene quanto ricevuto.
Così ha fatto la Chiesa durante i secoli quando, di fronte ai
problemi nuovi che sorgevano, ha indetto i Concili, spesso sospinta dai servi
fedeli che hanno ricevuto i talenti-carismi e li stavano trafficando.
Così anche noi, nei momenti di crisi, quando si insinuano
pensieri malvagi e ci accorgiamo di perdere il gusto per la volontà di Dio,
avviciniamoci ai presbiteri, ai catechisti, ai genitori, ai banchieri che Dio
ha messo sul nostro cammino, e affidiamoci a loro.
Il Vangelo di oggi rovescia completamente la prospettiva del servo malvagio che ci fa guardare storto alla vita. E’ una catechesi decisiva nel cammino di fede, una parola che veniva data ai catecumeni perché non perdessero tempo e obbedissero alla Chiesa, che li invitava a donare il denaro ai poveri, a trafficare i beni ricevuti da Dio, la fede innanzitutto, nel crogiuolo della storia.
Il Vangelo di oggi rovescia completamente la prospettiva del servo malvagio che ci fa guardare storto alla vita. E’ una catechesi decisiva nel cammino di fede, una parola che veniva data ai catecumeni perché non perdessero tempo e obbedissero alla Chiesa, che li invitava a donare il denaro ai poveri, a trafficare i beni ricevuti da Dio, la fede innanzitutto, nel crogiuolo della storia.
I talenti ci sono dati per essere trafficati, perché siano
consegnati nelle trame della storia e attirino in essi ogni
sofferenza; nel potere di Cristo, nel suo Mistero Pasquale ogni relazione, ogni
evento. Per questo, "i servi fedeli nel poco" che
ancora è questa vita - le occasioni piccole di ogni giorno che abbiamo visto a
proposito dei piccoli vasi nella parabola delle dieci vergini - consegnano al
Signore i talenti esattamente raddoppiati: a ciascun Talento
corrisponde un evento redento, un uomo salvato.
A ciascun talento corrisponde lo Spirito Santo per entrare in
quell’evento doloroso, in quella relazione difficile. Anche oggi l'
"Uomo" vero, Cristo risorto, si consegna a noi perché possiamo
"trafficare" il suo amore perdonando nostro marito, prendendo su di
noi il peccato di nostra figlia, guardando con misericordia il collega.
Sono loro "i frutti" già maturi che attendono il
nostro talento per tornare a Cristo. Ci abbiamo mai pensato? Quando entriamo in
ufficio e salutiamo i colleghi, abbiamo mai pensato che sono venuti a lavorare
perché aspettano da noi il talento che Dio ci ha dato? O che moglie e figli ci
sono stati donati per trafficare con loro l'amore con il quale Dio ha colmato
la nostra vita? Che ogni istante è un appuntamento unico e irripetibile, per
"guadagnare" a Cristo la persona che incontriamo?
E' tutto opera sua, nessuna esigenza, nessun moralismo anzi! Si tratta al contrario di "partecipare della gioia di Dio", che è sempre quella di aver ritrovato la pecora perduta, di un peccatore convertito, di essersi donati senza riserve. Come quando marito e moglie si uniscono, il piacere è massimo e sazia proprio quando ci si dona mutuamente e completamente, senza riserve e contraccettivi, siano essi sulla carne e o nel cuore: quando l'unione è totalmente aperta alla fecondità e alla vita raggiunge il massimo dell'intensità e del piacere, perché coinvolge i coniugi in ogni loro aspetto nel grande dono creatore di Dio.
Sì, nel talamo nuziale, come in ogni situazione dove si è
chiamati, preti, suore e laici, è preparata per noi la gioia piena e autentica
dell'amore. La stessa gioia di Cristo esplosa la sera di Pasqua nel rivedere i
suoi discepoli: il suo talento aveva dato il frutto meraviglioso della salvezza
di quel manipolo di traditori. La gioia del perdono!
Per questo la missione della Chiesa, quella che ci coinvolge tutti ogni giorno, è un'avventura affascinante. Trafficare il talento nel fidanzamento, osando l'impossibile della castità pre-matrimoniale come un dono che si compie per il potere di Cristo risorto; trafficarlo nel lavoro, osando servire come l'ultimo degli impiegati; trafficarlo nella scuola, osando la dabbenaggine di sedersi e studiare davvero mentre fuori splende il sole e gli amici se ne vanno a divertirsi; e così in ogni aspetto della nostra vita, sino ai più piccoli.
Osare con Dio perché Lui ha osato con noi, ci ha dato fiducia
nonostante la brutta esperienza dell'Eden; perché ci ha consegnato se stesso, e con Lui tutto
si può, anche l'impossibile. E quando si varca la frontiera dell'assurdo,
si entra nella sala più intima, quella riservata ai familiari del re. Vivere
trafficando il talento per oltrepassare ogni giorno la soglia dell'impossibile,
oltre la quale c'è la gioia vera, la partecipazione completa e senza limiti di
tutti i beni di Dio.
Altro che trappole, limiti, durezze ed esigenze. Altro che
sospetti! Con Dio è tutto un dono, e i tagli che ci feriscono sono i varchi che
Lui si apre per consegnarsi a noi. Attraverso la Croce, il Talento ci
appartiene come noi apparteniamo a Lui. Sì, anche noi siamo i talenti
di Dio! La nostra vita è frutto del talento ricevuto dai nostri genitori e
dalla Chiesa.
Accogliere e trafficare il Talento che è Cristo stesso
significa lasciare che tutta la nostra vita divenga sua, pensieri e azioni,
ogni istante, nulla escluso. Trafficare il talento è vivere in Cristo, e
allora tutto è toccato e colmato da Lui; anche il fisico, anche le cose più
banali, tutto diviene bello nella sua bellezza. Come invidiare allora chi
ha lo stesso identico talento? Impossibile! Anzi, nella missione sorge
l'innocenza e la comunione.
Per questo, con Giovanni Paolo II, il Signore oggi ci ripete:
"Non abbiate paura!". Spalancate le porte a Cristo, al suo
amore, al Talento che fa della vostra vita un'opera d'arte, una
meraviglia ai vostri stessi occhi, qualcosa di grande, autentico, santo, in
ogni istante, ovunque, con tutti!".
APPROFONDIMENTI
"Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo! Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la liberta' alla fede. Si', egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell'arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di cio' che appartiene alla liberta' dell'uomo, alla sua dignita', all'edificazione di una societa' giusta. Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui, paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita cosi' bella? Non rischiamo di trovarci poi nell'angustia e privati della liberta'? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla - assolutamente nulla di cio' che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest'amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest'amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialita' della condizione umana. Solo in quest'amicizia noi sperimentiamo cio' che e' bello e cio' che libera. Cosi', oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall'esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Si', aprite, spalancate le porte a Cristo, e troverete la vera vita. Amen".
Benedetto XVI, Omelia per la messa di inizio pontificato, 24 aprile 2005
Benedetto XVI, Omelia per la messa di inizio pontificato, 24 aprile 2005
P. Raniero Cantalamessa. Scopritori di talenti, non per guadagno ma per altruismo
αποφθεγμα Apoftegma
Forse c’è qualcosa di Erode anche in noi?
Forse anche noi, a volte, vediamo Dio come una sorta di rivale?
Forse anche noi siamo ciechi davanti ai suoi segni,
sordi alle sue parole,
perché pensiamo che ponga limiti alla nostra vita
e non ci permetta di disporre dell’esistenza a nostro piacimento?
Quando vediamo Dio in questo modo
finiamo per sentirci insoddisfatti e scontenti,
perché non ci lasciamo guidare da Colui
che sta a fondamento di tutte le cose.
Dobbiamo togliere dalla nostra mente
e dal nostro cuore l’idea della rivalità,
l’idea che dare spazio a Dio sia un limite per noi stessi;
dobbiamo aprirci alla certezza che Dio
è l’amore onnipotente che non toglie nulla,
non minaccia, anzi,
è l’Unico capace di offrirci la possibilità di vivere in pienezza,
di provare la vera gioia.
Benedetto XVI, Omelia del 6 gennaio 2011
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