Venerdì della XXVI settimana del Tempo Ordinario




Oggi si è adempiuta questa scrittura 
che voi avete udita con i vostri orecchi
το κήρυγμα Il Kèrygma





Dio è da sempre innamorato di noi, la sua opera più «bella». Eppure non ci basta. Soffocati dalla superbia come Lucifero, l'angelo «perfetto in bellezza» che ci ha ingannati, rifiutando il Figlio di Dio precipitiamo anche noi lontano dall'amore di Dio. Così, nella storia di ogni giorno, il molto bello diventa il molto brutto. Corazin e Betsaida sono le nostre storie ricche di miracoli; Cafarnao è la nostra città, dove il Signore abita con noi in chi ci è accanto; rifiutando perversamente il Creatore, le nostre giornate e i nostri luoghi scendono nella morte. Il «disprezzo» della Grazia infatti, conduce sempre a cadere rovinosamente nei peccati. Abbiamo giudicato un fratello, nonostante la Parola e il soffio dello Spirito Santo ci abbiano suggerito di scusare e pensar bene? Siamo già precipitati negli inferi della lussuria. Sidone e Tiro, città pagane lontane da Dio, sono invece immagine di quanti, umiliati dai propri peccati, attendono con ansia un amore che li tratti «meno duramente» della giustizia del mondo. All'annuncio del Vangelo esse si convertirebbero senza indugio accogliendo la misericordia di Dio, perché il suo giudizio d'amore ha inizio proprio con la predicazione. E Dio non si arrende mai, con nessuno. Innamorato perdutamente, con i suoi «guai» profetici ci apre gli occhi sulla «cenere» in cui è ridotta la nostra vita, per suscitare in noi l'umile attesa del suo perdono. Anche ora Gesù è alla porta e bussa, come lo Sposo del Cantico dei cantici. E' coperto della rugiada del mattino, il mantello di misericordia di cui la resurrezione lo ha avvolto. Il Cielo si gioca sulla soglia del cuore. Basta pochissimo, una fessura non più grande della cruna di un agol'umiltà di chi ha già sofferto abbastanza, anche solo il desiderio di desiderarlo, e la nostra vita tornerà ad essere l'opera più bella di Dio, tanto bella da divenire la sua immagine somigliante, Gesù incarnato e annunciato in noi. Sposi per sempre nel suo amore.





L'ANNUNCIO
Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, gia da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafarnao, sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai precipitata! 
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato». 
 (Dal Vangelo secondo Luca 10,13-16)


COMMENTO APPROFONDITO




Dio è da sempre innamorato dell'uomo. Di tutti, di te e di me. Sin da quando le sue mani lo modellarono a sua immagine, e, completata l'opera, ne risultò così soddisfatto da esultare ed esclamare che l'uomo, tra tutte le altre sue buone opere, era l'unica molto buona. "Alla fine di ogni giorno di creazione il testo biblico dice: Dio vide che era “cosa buona”. In ebraico dice: ki tob. Tob vuol dire “buono”, ma anche “bello”. Ed è questa l’idea: “E vide che (era) buono e bello, ciò che aveva fatto”. C’è proprio il godimento, il compiacersi di Dio per ciò che ha fatto" (B. Costacurta, Meditazioni sul Libro della Genesi). E Dio si compiace e gode ancor di più nell'uomo, come per null'altro. Una montagna, un tramonto, l'universo intero è nulla paragonato all'uomo. Dio vide che l'uomo era molto buono, molto bello. Sappiamo poi come questa bellezza sia stata perduta. L'invidia del demonio ha fatto entrare nel mondo la bruttezza del peccato, e con essa la triste esperienza della morte. Così - ed è la nostra storia di ogni giorno - il molto bello diviene il molto brutto: dalle altezze celesti, dalla comunione con Dio, l'uomo è precipitato nel fango di una vita infelice; sudore e dolore nelle cose più belle, come per Adamo ed Eva, esule e ramingo come Caino.

Nella vicenda di ogni uomo si è insinuata la menzogna demoniaca, l'invidia dell'angelo spintosi a voler diventare come e meglio di Dio, e poi caduto miseramente. "Questa "caduta", che presenta il carattere del rifiuto di Dio con il conseguente stato di "dannazione", consiste nella libera scelta di quegli spiriti creati, che hanno radicalmente e irrevocabilmente rifiutato Dio e il suo regno, usurpando i suoi diritti sovrani e tentando di sovvertire l'economia della salvezza e lo stesso ordinamento dell'intero creato. Un riflesso di questo atteggiamento lo si ritrova nelle parole del tentatore ai progenitori: "diventerete come Dio" o "come dèi". Così lo spirito maligno tenta di trapiantare nell'uomo l'atteggiamento di rivalità, di insubordinazione e di opposizione a Dio... l'atteggiamento di antagonismo che satana vuole comunicare all'uomo per portarlo alla trasgressione... La Chiesa, nel Concilio Lateranense IV (1215), insegna che il diavolo (o satana) e gli altri demoni "sono stati creati buoni da Dio ma sono diventati cattivi per loro propria volontà". Infatti leggiamo nella Lettera di san Giuda: "...gli angeli che non conservarono la loro dignità ma lasciarono la loro dimora, il Signore li tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno" (Gd 6). Similmente nella seconda Lettera di san Pietro si parla di "angeli che avevano peccato" e che Dio "non risparmiò, ma... precipitò negli abissi tenebrosi dell'inferno, serbandoli per il giudizio" (2 Pt 2, 4)... In questo senso scrive san Giovanni che "il diavolo è peccatore fin dal principio . . ." (1 Gv 3, 8). E "sin dal principio" egli è stato omicida e "non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui" (Gv 8, 4). Questi testi ci aiutano a capire la natura e la dimensione del peccato di satana, consistente nel rifiuto della verità su Dio, conosciuto alla luce dell'intelligenza e della rivelazione come Bene infinito, Amore e Santità sussistente... Respingendo la verità conosciuta su Dio con un atto della propria libera volontà, satana diventa "menzognero" cosmico e "padre della menzogna" (Gv 8, 4)... satana tenta di trasmettere ai primi rappresentanti del genere umano: Dio sarebbe geloso delle sue prerogative e imporrebbe perciò delle limitazioni all'uomo. Satana invita l'uomo a liberarsi dell'imposizione di questo giogo, rendendosi "come Dio". In questa condizione di menzogna esistenziale satana diventa - secondo san Giovanni - anche "omicida", cioè distruttore della vita soprannaturale che Dio sin dall'inizio aveva innestato in lui e nelle creature, fatte a "immagine di Dio": satana vuol distruggere la vita secondo la verità, la vita nella pienezza del bene, la soprannaturale vita di grazia e di amore" (Giovanni Paolo II, Catechesi del 13 agosto 1986).  

In tutto questo si legge un amore ferito e rifiutato. L'uomo ha rigettato l'amore che lo aveva creato come l'opera più bella di Dio; la menzogna satanica ha ghermito la vita autentica, la pienezza del bene, deturpando la bellezza originaria. La superbia di satana che genera l'invidia, sospingendo l'uomo verso altezze fantasiose e illusorie, gli fa apparire tutto ciò che lo circonda come una minaccia da cui difendersi, relazioni nelle quali prevalere, qualcosa che rende, comunque, la vita brutta. In questa cornice si comprendono le parole accorate e forti del Signore: Guai a te, ed è un sinistro presagio. I "guai" annunciati dai profeti nel corso della storia di Israele, costituiscono sempre annunci di calamità e catastrofi, frutto malato del rifiuto. Anche il Profeta di Nazaret rimprovera le città che non hanno accolto la predicazione, per annunciarne l'imminente rovina. 

Nelle parole di Gesù si può leggere in filigrana il dramma del rifiuto e della caduta di Lucifero. Isaia (14,11-21) e Ezechiele (28,11-19) dipingono il suo ritratto prima della sua ribellione. E' una creatura grandiosa, "un cherubino ad ali spiegate a difesa” incaricato da Dio a sorvegliare il Suo stesso trono. Le Bibbia ce lo descrive come un essere “pieno di sapienza, perfetto in bellezza” (Ez 28,12), “coperto di ogni pietra preziosa” (Ez 28, 13), “perfetto nella condotta” (Ez 28,15). Per San Tommaso d'Aquino e diversi Padri della Chiesa, in principio Dio avrebbe voluto provare l'umiltà degli angeli offrendogli di adorare la Seconda Persona della Trinità - Gesù Cristo, il figlio dell'Eterno Padre - che si sarebbe fatto uomo. La reazione di Lucifero - superiore agli uomini per natura - fu puro orgoglio e rifiutò anche solo l'idea di doversi umiliare dinanzi a un uomo, anche se Figlio di Dio. Conseguenza di ciò fu la sua caduta, che i Padri vedono descritta nella caduta della stella del mattino (in latino "Lucifer") che appare nel capitolo 14 del Libro del profeta Isaia:

"Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora? Come mai sei stato gettato a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi nel tuo cuore: “Salirò in cielo, sopra le stelle di Dio innalzerò il mio trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nella vera dimora divina. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo”. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso!" (Is. 14, 12-17).

Come Lucifero, anche Cafarnao, eletta da Gesù a sua seconda patria, città potente e ricca, luogo dove il suo amore creativo aveva mostrato più volte la sua bellezza, è attesa da una tragica caduta. In essa è apparsa la potenza di Gesù, il demonio è stato più volte sconfitto, eppure non è bastato. La superbia ha generato il rifiuto, e la sorte della città è segnata. Come Lucifero anche Cafarnao non ha piegato le ginocchia dinanzi al Dio fatto uomo: non poteva accettare che vi fosse qualcuno più grande di lei, un potere e un amore da accogliere umilmente. Cafarnao era sazia, impossibile aprire il cuore e ricevere qualcosa di cui non sentiva alcun bisogno. Per questo, sulla collina che la domina dall'alto, Gesù tuonò parole di fuoco verso tutte le Cafarnao che avvelenano il cuore dell'uomo: "Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti". Guai a voi che non avete bisogno di nulla, che pensate di aver capito tutto. Guai a voi che vi illudete di esservi arrampicati sino al Cielo, orgogliosi della vostra torre di Babele, eretta per farvi un nome, un'identità, un peso nella storia. Guai a voi che vi illudete d'essere ormai diventati come Dio, autosufficienti e sazi, e non vi accorgete di essere più poveri e vuoti che mai: "lo conosco le tue opere, che tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu freddo o caldo! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo, io sto per vomitarti dalla mia bocca. Poiché tu dici: Io sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla e non sai invece di essere disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo" (Ap. 3, 15-17). 

Guai a ciascuno di noi quando opponiamo un rifiuto all'amore che ci visita: ci aspetta, inevitabilmente, una dolorosa caduta. Dietro ad ogni peccato vi è sempre la loro madre, la superbia. Essa è la "regina dei vizi, appena ha conquistato il cuore, subito lo consegna per la devastazione come a suoi dipendenti, ai sette vizi capitali, da cui deriva tutta la moltitudine dei vizi" (S. Gregorio Magno). Il rifiuto della Grazia che reca la visita del Signore - sia essa nella predicazione, nella Scrittura, nei Sacramenti, negli ammonimenti dei fratelli, nei suggerimenti intimi dello Spirito Santo - conduce sempre a cadere rovinosamente nei peccati. La lussuria ad esempio è, nella Tradizione della Chiesa, una manifestazione della superbia celata. Abbiamo giudicato un fratello, nonostante la Parola e il soffio dello Spirito Santo ci abbiano suggerito di scusare e pensar bene? Siamo già precipitati negli inferi della lussuria. Continuiamo a coltivare un rancore nonostante la predicazione ci abbia toccato il cuore? In breve tempo ci ritroveremo nel bel mezzo di un tradimento. Su questo non si scherza. 

La nostra felicità, come quella di ogni uomo si gioca sulla soglia del cuore, nell'intimo di noi stessi, laddove si esercita, senza condizionamenti, la nostra libertà. Prendere o lasciare, accogliere o rifiutare. Tutti siamo come Cafaranao, e Corazin e Betsaida. In quest'ultima il Signore aveva scelto ben quattro discepoli. Miracoli a Corazin, mentre a Cafarnao Gesù vi aveva addirittura preso dimora. Queste città sono immagini di ciascuno di noi, della nostra storia, segnata dall'opera di Dio: chiamati ad essere l'opera più bella della creazione possiamo rifiutare tutto. Sidone e Tiro, città pagane, non avevano avuto questa opportunità. Esse sono immagini dei poveri, affamati e piangenti cui è riservata la beatitudine.Esse sono già a terra, non devono precipitare da nessun Cielo illusoriamente afferrato. Sono città pagane, attendono la Verità, la libertà, l'annuncio del Vangelo. Per questo potranno accogliere, come Ninive, i messaggeri di Dio, e convertirsi, seduti in sacco e cenere, accettando la propria realtà per accogliere la nuova creazione capace di strappare dalla morte. Nel giudizio saranno trattate con misericordia, perchè il giudizio comincia sempre con l'annuncio del Vangelo! Cafarnao precipiterà all'inferno, ed è parola che non vorremmo sentire, cancellata dalla cultura contemporanea. Ma ogni volta che il Vangelo è annunciato Dio apre il Libro della Vita, in attesa di scrivere il nome di quanti accoglieranno la Buona notizia.
Beati dunque quanti accoglieranno la Parola della predicazione, l'annuncio del Vangelo! E' la beatitudine sperimentata dalla Vergine Maria, la più piccola, consapevole della sua umiliazione, della sua nullità. E per questo capace di accogliere nel suo seno la vita stessa di Dio. Beata Maria che ha creduto, che ha accolto l'annuncio nella sua vita. Il Signore anche ora sta alla porta e bussa attraverso i suoi piccoli, gli apostoli del Vangelo. In loro è Dio in persona che giunge sulla soglia della vita di ogni uomo, anche della nostra. "Io dormo, ma il mio cuore veglia. Sento la voce del mio amato che bussa, e dice: Aprimi sorella mia, amica mia, colomba mia, o mia perfetta (Cant. 5,2). La voce del mio amato, il Santo, benedetto Egli sia, mi chiama: Aprimi una fessura non più grande della cruna di un ago, ed io ti aprirò le porte celesti. Aprimi sorella mia, perchè tu sei la porta attraverso cui si può entrare in me; se tu non apri, io rimango chiuso" (Midrash Rabbà, Cant. 5,2). Basta poco, pochissimo, un'apertura infinitesimale. Tutto è pronto, da sempre e per sempre: Dio non si arrende,innamorato di tutti le escogita tutte. Anche ora bussa alla porta del nostro cuore, pronto a scrivere il nostro nome nel Libro della vita. Anche ora possiamo risalire dagli inferi dove la superbia ci ha precipitati. Ma siamo liberi, ancora una volta liberi, ed è la nostra bellezza più autentica, che ci costituisce persone, l'opera più bella di Dio, creata ad immagine della sua stessa libertà. Accogliere o rifiutare, amare o disprezzare, è tutto qui...

Per questo il Signore invia i discepoli come poveri, gli ultimi della terra. Per facilitare l'accoglienza, per intercettare le povertà e i fallimenti, gli unici capaci di aprire il cuore allo stupore e a ricevere un amore tanto grande. Per questo Gesù è sceso, gettato sino agli inferi dal rifiuto, per raccogliere, in un estremo atto d'amore, le vite frantumate e corrotte di tutte le Cafarnao della storia, di ogni peccatore indurito nel suo rigetto. Ed è questa anche la nostra missione, inscritta in una storia d'amore che ci raggiunge, seduce e ci lancia nel mondo ad esserne i testimoni e gli annunciatori. La nostra salvezza e quella di tanti che Dio ha voluto legare a noi dipendono dalla nostra libertà. Accogliere l'annuncio del Vangelo significa divenirne automaticamente gli apostoli. Accogliere Cristo significa essere trasformati in Lui, ed essere inviati, poveri e ultimi, ad annunciare il suo amore; a prendere il rifiuto, a stendere le braccia e offrire la propria vita perchè, anche nell'anfratto più oscuro della terra, nel rifiuto più duro, possa esservi deposta la sua misericordia.



APPROFONDIMENTI




αποφθεγμα Apoftegma





Che ho io perché la mia amicizia chiedi?
Che vantaggio ti viene, Gesù mio,
Che alla mia porta, asperso di rugiada,
Passi le notti dell’inverno oscure?

Quanto furono dure le mie viscere
A non aprirti! Che delirio insano,
Se il freddo gelo della mia apatia
Seccò le piaghe alle tue piante pure!

L’angelo, quante volte mi diceva:
“Anima, affacciati ora alla finestra,
Vedrai con quanto amore insiste e chiama!”.

E quante volte, altissima bellezza,
“Domani gli apriremo”, rispondevo,
Per rispondere lo stesso l’indomani!

Lope Feliz De Vega Carpio

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