Venerdì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario


Martiri di Nagasaki


SINTESI

Un discepolo di Cristo non ha «segreti», la sua vita è destinata a risplendere «in piena luce» come una parola di speranza «annunziata sui tetti». L’amore di Dio infatti è un talento che non può restare «nascosto» nell’ipocrisia di chi cerca in esso la propria gloria; l’amore invece è fecondo e «svela» all’«esterno» le opere della fede che colmano l’«interno». Ė come tra due sposi: con pudore «nascondono» nell’intimità della «stanza più interna» effusioni e sguardi in un linguaggio di parole e corpi che solo loro comprendono. Ma ognuno di quegli istanti d’amore, pur restando un «segreto» sigillato tra i due, è destinato a fissarsi scolpito nella vita dei loro figli. Così Gesù rivela il suo mistero «anzitutto» ai suoi discepoli, scegliendoli come primizie perché «stiano con Lui» sperimentando il suo amore per farlo poi «conoscere» al mondo. Nell'intimità della comunità, nella comunione della liturgia, nel segreto della preghiera essi si uniscono allo Sposo, per poi offrire al mondo i frutti della Grazia e della Parola che hanno accolto. Così la Chiesa ha fatto da sempre con i suoi figli attraverso l’iniziazione cristiana. Così ha accolto e gestato noi, feriti e «calpestati» dall’egoismo che muove il mondo; ci ha annunciato «all’orecchio» la Parola di vita che illumina le «tenebre» del peccato; ci ha lavato nelle sue viscere di misericordia per ricolmarci di Spirito Santo; ci ha introdotto nella «cella del vino», nutrendoci con il Pane del Cielo. E ora ci invia a «predicare sui tetti» le parole che il Signore ci ha confidato nel «segreto» del talamo dove si è donato a noi, la Croce con cui ha dischiuso il Cielo. Non c’è nulla da temere, siamo il suo «corpo» consegnato nel martirio a chi ci è accanto perché veda in noi il «valore» immenso di ogni vita «davanti a Dio», e possa credere che oltre la morte esiste un «dopo» di gioia e pienezza dove il demonio «non potrà fare più nulla». Unico pericolo, l’«ipocrisia» che rende vana la Croce di Cristo, il «lievito» di una vita doppia che «nasconde» sotto terra il talento. Da essa dobbiamo fuggire, rifugiandoci nel «santo timore di Dio», Colui che ha il potere di gettare all’inferno chi rifiuta il suo amore.






L'ANNUNCIO
In quel tempo, radunatesi migliaia di persone a tal punto che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisìa. Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti.
A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla. Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri».
 
 (Dal Vangelo secondo Luca 12, 1-7)







Tra la folla anonima che si accalca e calpesta a vicenda, i discepoli sono come il lievito nella massa: non si vede, ma esercita una forza capace di sprigionare vita e fermentare tutta la pasta: "Il regno dei cieli si può paragonare al lievito che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta la pasta si fermenti" (Mt 13,33). La missione della Chiesa è lasciarsi impastare nel mondo perché esso sia trasformato. Ma c'è anche un lievito cattivo, che può infettare la massa. Per questo Gesù si dirige innanzitutto ai suoi amici per metterli in guardia dall'ipocrisia, il lievito farisaico che fermentava di menzogna Israele. Essa costituisce il vero pericolo per la Chiesa, come Il sale che perde il sapore, inutilizzabile e buono solo ad essere gettato e calpestato: come i farisei, sepolcri di cui nessuno si avvede e per questo calpestati, anche i discepoliperdendo la primogenitura profetica, tornano ad essere folla anonima che si calpesta a vicenda

Un padre cerca Hametz con i suoi figli
"Corruptio optimi pessima", ovvero "ciò che era ottimo, una volta corrotto, è pessimo" (San Gregorio Magno). Per questo Gesù, in un'altra occasione, avverte di guardarsi dallo scandalizzare i piccoli che credono, di divenire occasione di inciampo a quanti camminano dietro a Lui. L'ipocrisia è l'ostacolo più grande alla missione, anche dei peccati. Il termine ipocrisia deriva dal greco hypòcrisis, che significa "recitare una parte"; hypocrites era l'attore del teatro greco. Recitare l'amore, la pietà, e fare della religione un teatro, mentre dietro la maschera vi è solo corruzione e perversione. L'ipocrisia è l'antitesi della profezia, della novità, della Verità che illumina e libera. E' l'hametz che impedisce la pasqua, il fermento dell'uomo vecchio che si corrompe e si chiude all'annuncio della liberazione.


Gli amici di Gesù sono invece chiamati alla parresia, la libertà e il coraggio di annunciare con franchezza e senza sconti il Vangelo. La parresia è il lievito che trasforma una massa anonima in una comunità. La parola del Vangelo infatti è destinata ad essere rivelata a tutti. Quello che gli apostoli predicavano nel segreto del catecumenato e delle assemblee delle comunità sparse nel mondo, una volta fatto carne e vita nei cristiani rinati da acqua e da Spirito, era annunciato sui tetti, sino al martirio. E così è stato durante tutta la storia della Chiesa. Anche oggi la lucerna accesa dalla predicazione sarà posta sul candelabro: l'annuncio sarà rivelato, ovvero autenticato dalla croce. Per questo Gesù incoraggia i suoi amici - coloro che hanno sperimentato l'amore più grande che si è chinato e ha lavato i loro piedi, l'amore sino alla fine - a non temere il mondo e il suo principe: non hanno alcun potere sul Vangelo. Esso è splendore della Verità; è la Buona Notizia che la morte è stata vinta ed esiste il Cielo, il dopo sul quale il demonio non può far nulla. Per questo è necessario che la Verità venga messa alla prova nel crogiuolo della croce. L'odio del mondo è il liquido di contrasto che rivela la purezza del Vangelo: "Perché il mondo non tollera la divinità di Cristo. Non tollera l’annuncio del Vangelo. Non tollera le Beatitudini. E così la persecuzione: con la parola, le calunnie, le cose che dicevano dei cristiani nei primi secoli, le diffamazioni, il carcere… Ma noi dimentichiamo facilmente. Ma pensiamo ai tanti cristiani, 60 anni fa, nei campi, nelle prigioni dei nazisti, dei comunisti: tanti! Per essere cristiani! Anche oggi… “Ma oggi abbiamo più cultura e non ci sono queste cose”. Ci sono! E io vi dico che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa" (Papa Francesco).

Sulla croce, nella persecuzione, nel rifiuto, nel martirio ogni segreto verrà alla luce: se l'interno è stato purificato esso splenderà nell'amore; se invece è pieno di iniquità sarà svelata l'ipocrisia. I segreti dei discepoli sono le cose nascoste ai sapienti e agli intelligenti, ai farisei e ai dottori della Legge; sono i segreti del Regno, della vita celeste che, nella debolezza e nella precarietà, essi vivono già qui sulla terra, come primizie, lievito e profezia del destino a cui è chiamato ogni uomo. Se li vivono... Se frequentare la Chiesa non è una vernice di ipocrisia spalmata su una vita doppia, da una parte il culto e dall'altra la condotta di ogni giorno. Se la fede è adulta fermenta ogni pensiero, parola e gesto. Essa vince il mondo. Ma è necessaria una seria formazione, è fondamentale avere "stanze più interne", come il Cenacolo dove gli apostoli si erano nascosti per timore dei Giudei e hanno visto Gesù vivo passare oltre le porte della morte e della paura, lo hanno ascoltato mentre annunciava la Pace, hanno mangiato con Lui e hanno ricevuto lo Spirito Santo vittorioso su ogni timidezza che li ha spinti fuori sino agli estremi confini della terra, ad annunciare quello che avevano visto e udito, anche a costo della propria vita. Il Cenacolo è immagine delle piccole comunità dove i cristiani della Chiesa primitiva si nascondevano nell'intimità con Cristo, come poi ogni casa, ogni chiesa, nelle quali i discepoli dell'Agnello si sono ritirati mentre infuriava la persecuzione, per "ascoltare" e "dirsi" le Parole della fede. Solo grazie al seno materno della comunità, solo nel Cenacolo i cristiani possono ricevere lo Spirito Santo che li conduce con letizia a lasciarsi oltraggiare e uccidere per amore del Nome di Gesù. Non c'è martire che, nell'ora del martirio, non abbia cantato i salmi e pregato per i propri persecutori.

Per questo non si può dare per scontata la fede, ed è il più grande errore in cui molti incorrono oggi nella Chiesa. E poi cercano, con criteri mondani, di mettere delle pezze, quando ormai i buoi sono scappati dalla stalla. Se un prete non è stato formato integralmente, se non ha ricevuto la spina dorsale della Croce, se il Vescovo e i formatori non si sono preoccupati che abbia ha fede autentica e provata, quando si presenta la frustrazione, la solitudine, la sofferenza che costituisce la missione, entrerà in crisi, e lascerà il ministero. Non c'entra nulla il fatto di non essere sposato, perché ciò vale anche per i matrimoni. C'entra la fede. Quando arriva una difficoltà, un tradimento, o la diversità esplode nella vita di tutti i giorni, se gli sposi hanno fede possono entrarvi distendendo le braccia sulla Croce. Se non ce l'hanno divorzieranno, e cercheranno come rifarsi una vita. Certo, le coppie di risposati sono una realtà diffusa, è una ferità di questa generazione, e occorre cercare ogni pecora perduta, e riportarla con misericordia all'ovile, e superare i moralismi che schiacciano e non salvano nessuno. Ma la Chiesa è chiamata ad aprire le sue porte perché le persone ricevano la fede in una comunità concreta e per mezzo dell'iniziazione cristiana, perché solo la fede dà la vita eterna. E chi ha vita eterna dentro non teme le persecuzioni più feroci: sa che ogni suo capello è contato, che la sua vita è custodita nel cuore di Dio. Chi ha fede sa che il vero inferno è il peccato, e la strada per andarci è la disobbedienza che nasce dalla superbia. Chi ha fede vive già le primizie del Cielo, è passato con Cristo dalla morte alla vita, e può perdonare, può essere fedele, può lasciare il peccato; una moglie può tornare al marito che l'ha lasciata anni prima, un marito può lottare contro le tentazioni che ha in ufficio. Un cristiano può amare. Può donarsi nel martirio, il lievito che salva il mondo


L’amore di Dio infatti è un talento che non può restare «nascosto» nell’ipocrisia di chi cerca in esso la propria gloria; l’amore invece è fecondo e "svela" all' "esterno" le opere della fede che colmano l'"interno". Ė come tra due sposi: con pudore «nascondono» nell’intimità della «stanza più interna» effusioni e sguardi in un linguaggio di parole e corpi che solo loro comprendono. Ma ognuno di quegli istanti d’amore, pur restando un "segreto" sigillato tra i due, è destinato a fissarsi scolpito nella vita dei loro figli, che in quei momenti ereditano dai genitori la somiglianza. Così Gesù rivela il suo mistero "anzitutto" ai suoi discepoli, scegliendoli come primizie perché "stiano con Lui" sperimentando il suo amore che li fa immagine somigliante dello stesso Padre, per farlo poi "conoscere" al mondo. Nell'intimità della comunità essi si uniscono allo Sposo, per poi offrire al mondo i frutti della Grazia e della Parola che hanno accolto e li ha ricreati. 

Per questo il Signore invita i suoi amici, ciascuno di noi, ad abbandonarci a Lui e alla sua fedeltà, che è il significato ultimo del "timore" nella Scrittura. A nutrirci di Lui, ad ascoltare la sua Parola, ad accostarci ai sacramenti, a chiedere aiuto alla Chiesa, perché illumini e accompagni i nostri passi. La Chiesa infatti ci è donata per insegnarci ad avere uno sguardo di fede su ogni evento, a non temere perché non vi è centimetro calcato dai nostri piedi che non sia opera del suo amore provvidente. I capelli del nostro capo sono contati, e non è solo un modo di dire: è la realtà dell'amore di Dio che cerca "hametz" anche negli angoli più nascosti, il lievito che può contaminare la nostra vita. Anche in un capello può nascondersi un'insidia, come in una parola, in uno sguardo, in un pensiero: tutto è "contato" perché nulla manchi all'appello della sua misericordia che compie la nostra vita nella sua integrità. Tutto è passato al setaccio del fuoco dello Spirito Santo che purifica. 



Per accogliere questa attenzione per ogni dettaglio che coniuga l'amore di Dio è necessario il "timore", che è un dono dello Spirito Santo. Temere è il principio della sapienza: vivere sapendo che la Geenna esiste, che la libertà che si fa chiusura ostinata alla Grazia può condurre Dio a minacciare di uccidere... Non scandalizzatevi, è la serietà con cui Dio prende la nostra vita. Viene in mente l'episodio del sacrificio di Isacco; Abramo doveva passare per quella prova atroce, per conoscere la verità e fortificare la propria fede. Doveva legare Isacco per entrare nella libertà che genera l'amore e la parresia. Di fronte al cuore docile e obbediente di Abramo, Dio dirà: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio" (Ge. 22, 12). Il timore aveva reso libero Abramo, al punto di offrire il suo unico figlio, al di là di ogni ragionevolezza umana, nella fede che Dio lo avrebbe comunque riscattato dalla morte. Dio non aveva ucciso, lo aveva provato e per questo gli ha mostrato l'ariete che già aveva provveduto. Chi si chiude nell'orgoglio, invece, alla fine dovrà sacrificare davvero quello che ama, e non si accorgerà della misericordia di Dio che ha già consegnato Cristo per la sua salvezza. Quanti padri e madri, quando decidono di divorziare, sacrificano i propri figli sull'altare del loro egoismo. Il demonio ha chiuso i loro occhi, non hanno compreso che il Moria delle difficoltà era proprio il luogo che Dio aveva pensato per purificare e fondare sulla fede il loro matrimonio. E così hanno reso vana la Croce di Cristo, che era accanto a loro, bastava alzare gli occhi e lasciarsi crocifiggere con Lui... 

Anche per i discepoli, per ciascuno di noi, è preparato il Moria della prova dove vivere nel timore di Dio, come un letto d'amore sul quale offrire senza condizioni la nostra vita alla misericordia di Dio. Solo l'ipocrisia di un rapporto chiuso alla vita, che gli riserva solo una parte della propria vita nel compromesso con il mondo, tra la sua e la propria volontà, conduce irrimediabilmente alla morte e all'inferno. Solo il rifiuto del suo amore apre le porte della Geenna. E forse molti di noi la stanno già sperimentando... Per questo  Gesù invita a temerlo, a consegnargli la nostra vita perché ne faccia un'immagine autentica della sua, un annuncio credibile e senza paura del suo amore. La parresia scaturisce dall'abbandono confidente e dalla libertà incondizionata. Solo chi è rinato in Cristo vive come il vento, libero e autentico, e ha un cuore retto nel compiere, tra cadute e imperfezioni, la volontà di Dio. 

 Nella prova, nel dolore come nella gioia, gli amici di Gesù sono il segno profetico che desta nella folla che si accalca l'interrogativo capace di aprire il cuore a Cristo. Quell'interrogativo che l'ipocrisia dei farisei, come un lievito, voleva abortire, nella paura di perdere potere e prestigio. Davvero Dio mi ama? Nelle situazioni che sembrano negare l'esistenza di Dio ed il suo amore, i discepoli crocifissi con Cristo rivelano il segreto più intimo di Dio: Dio ama ogni persona così come è. Ognuno "vale" infinitamente, tu ed io, come il più grande peccatore "vale" il sangue di Cristo! Il mondo non lo sa, e per questo "vende cinque passeri per due soldi", depone la vita di vecchi e bambini, di moglie e mariti, di sani e malati, delle donne, soprattutto delle donne spose e madri, su un banco del mercato, e le "vende" per due spiccioli. Il mondo commercia corpi che valgono quanto decreta la Borsa dei bisogni e dei consumi; ci appiccica sopra un codice a barre e li getta nel carrello della spesa del demonio. Nel mondo gli uomini sono passeri indifesi, "valgono" solo in funzione di un capriccio, di una concupiscenza, cioè nulla. "Davanti a Dio" no, tutti i piccoli, i poveri, i disprezzati, gli incoerenti, i peccatori, sono custoditi nella sua memoria: Il nostro nome è nel cuore di Dio, proprio nelle viscere di Dio, come il bambino è dentro la sua mamma. Questa è la nostra gioia di essere eletti. Non si può capire solo con la testa. Neppure solo col cuore. Per capire questo dobbiamo entrare nel Mistero di Gesù Cristo" (Papa Francesco). 

E solo la memoria, che nella Chiesa diviene Memoriale di carne e sangue nell'Eucarestia dove la nostra storia è attirata nel Mistero Pasquale di Cristo, può fondare la fede, la speranza e la carità. La memoria del Padre si incarna nella memoria del Figlio per destarla in ciascun uomo: "Quando noi celebriamo l’Eucaristia, entriamo in questo Mistero, che non si può capire totalmente: il Signore è vivo, è con noi, qui, nella sua gloria, nella sua pienezza e dona un’altra volta la sua vita per noi. Questo atteggiamento di entrare nel Mistero dobbiamo impararlo ogni giorno. Il cristiano è una donna, è un uomo, che si sforza di entrare nel Mistero. Il Mistero non si può controllare: è il Mistero! Io entro. Quanto ha fatto il Signore per me! Con quanta tenerezza mi ha accompagnato, come si è abbassato; si è inchinato come il papà si inchina col bambino per farlo camminare" (Papa Francesco).

Da sempre pensati e amati, ogni nostra lacrima è raccolta dalla mano di Dio per essere trasformata in un diamante purissimo e incorruttibile. In esse, infatti, vede il sangue del suo Figlio colare per distruggere il male e la morte. Nella vita dei cristiani risuona "in piena luce" proprio questa notizia: sono loro le lacrime risplendenti dell'amore di Dio che, come il lievito, con il potere umile della Croce, fermenta e apre il mare della disperazione alla massa degli uomini che giacciono schiavi in Egitto. Con Gesù anche noi siamo chiamati a condurre questa generazione nell'esodo dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, dal mondo al Cielo.  




APPROFONDIMENTI

Cattoliche, irachene, 80 anni. Ma davanti ai jihadisti non hanno tremato: «Per la nostra fede siamo pronte a morire qui e ora»




Quando lo Stato islamico ha invaso ad agosto il villaggio di Caramles, nella piana di Ninive, tutti i cristiani sono scappati di notte verso il Kurdistan. Invece Victoria (nella foto, © Aid to the Church in Need), 80 anni, non si è accorta di niente. Quando la mattina seguente si è alzata, come ogni giorno si è recata in chiesa e per la prima volta l’ha trovata chiusa. Vedendo le strade deserte, la vedova cattolica si è allora resa conto che i jihadisti erano arrivati.
La vedova è rimasta chiusa in casa per quattro giorni insieme alla sua vicina, Gazella, «sostenute dalla fede». Una volta finite le scorte di cibo e acqua, sono state costrette ad uscire e si sono imbattute nei soldati del Califfato. I jihadisti hanno subito chiesto loro di convertirsi e davanti a un primo rifiuto le hanno aiutate, distribuendo cibo e acqua. Dopo pochi giorni, i terroristi sono tornati a prenderle e le hanno portate al santuario di santa Barbara, dove si trovavano già un’altra dozzina di persone, gli ultimi cristiani rimasti in città. «Dovete convertirvi – i terroristi hanno detto loro – la nostra fede può promettervi il Paradiso». Victoria e Gazella hanno risposto senza paura: «Noi sappiamo che se mostriamo amore e gentilezza, perdono e misericordia possiamo portare il regno di Dio sulla terra. Il Paradiso riguarda l’amore. Se voi volete ucciderci per la nostra fede, allora siamo pronte a morire qui e ora».



αποφθεγμα Apoftegma





I cristiani devono essere testimoni di Cristo,
della sua Croce, della sua Resurrezione,
della sua fede, della sua speranza, della sua carità.
Ecco questo è il lievito.
Ed è una bella cosa se questo lievito vuole espandersi,
oltre i limiti della propria parrocchia
per portare il fermento del Vangelo anche ai non cristiani,
per essere lievito in quelle masse,
affinché tutta l'umanità sia raggiunta dal lievito evangelico
e diventare Regno di Dio.

Giovanni Paolo II , alla Parrocchia romana di Sant'Ippolito, 12 febbraio 1984


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