XXVIII Domenica del Tempo Ordinario. Anno A





Il fuoco nascosto è come spento
sotto la cenere di questo mondo…

scoppierà e incendierà divinamente

la corteccia della morte.

San Gregorio di Nissa






L'ANNUNCIO
In quel tempo, rispondendo Gesù riprese a parlare in parabole ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e disse: 
«Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. 
Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. 
Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono gia macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. 
Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 
altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 
Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 
Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; 
andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. 
Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. 
Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, 
gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. 
Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. 
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». 
(Dal Vangelo secondo Matteo 22, 1-14)





“Tutte le genti” sono avvolte da una “coltre” di menzogna.  Un “velo” copre la “faccia” di “tutti i popoli”. Così Isaia vedeva le grandi civiltà allora conosciute. Per quanto sviluppata e capace di opere meravigliose, qualsiasi cultura giace nell’oscurità, perché non ha la risposta alla questione fondamentale dell’esistenza: la morte. Essa esiste, e quando arriva riempie di “lacrime ogni volto”.

Certo, si può arrivare addirittura a definirla dolce, quando la si sceglie per mettere fine alle sofferenze. Ma rimane morte, il nulla che ingoia la vita. E non si tratta solo della morte fisica. Filosofie, ideologie e politiche si sono inutilmente affacciate sul mistero del dolore e del male, senza riuscire a offrire una soluzione alla morte interiore.

Anche se uno sciopero riesce a far ottenere condizioni migliori ai lavoratori, esso non elimina il tradimento di mio marito. Anche se ottengo giustizia e chi mi ha fatto del male sconta in prigione i suoi giorni, questo non mi restituisce quanto ho perduto. Niente può “asciugare le mie lacrime”.

Nessuno ha saputo mai insegnare la vera sapienza,  cioè a saper vivere nella pace sia “essendo ricco” che “essendo povero”. Lo studio e il progresso, infatti,  hanno come obiettivo “la sazietà” e “l’abbondanza”, per sconfiggere “fame” e “indigenza”.  Ma tralasciano di cercare l’origine del male, e così, anche se abbiamo sconfitto gravi malattie, ebola ci terrorizza. La creazione giace incompiuta, perché esiste il peccato, che genera la morte.

Per questo la fame aumenta, la povertà vomita carni stremate sulle spiagge dell’Europa, la crisi economica stritola le famiglie. E il cuore, oggi è più “indigente” che mai, preda dell’angoscia e della solitudine. Il tuo, il mio. Siamo fragili, i nostri figli sono incapaci di reggere l’urto delle difficoltà. Non “possiamo” nulla. Ed entriamo nella sfiducia, nelle depressioni, nella disperazione. Come Israele in Egitto, schiavo del faraone, costretto a fare mattoni per un altro, sempre di più, senza riposo. 

Ma come nella notte di Pasqua quando Dio scese a liberare il suo Popolo, in ogni generazione la Chiesa è uscita fuori a cercare gli uomini schiavi della paura della morte, inoltrandosi ai “crocicchi” della strade. Questo termine in greco indica la fine delle strade urbane, dove esse sboccano nei campi.

In quegli incroci si sedevano i poveri, gli zoppi, gli impuri a chiedere l’elemosina. Proprio come ciascuno di noi. Non ti ha incontrato il Signore proprio lì, agli “di-exodos” della tua storia, sulla soglia di un esodo che avresti voluto iniziare ma non ne avevi la forza? Gli “apostoli” del Signore ci hanno “chiamato” proprio mentre, come il cieco disteso ai crocicchi di Gerico, chiedevamo in elemosina brandelli di vita e felicità, senza riuscire a saziarci.

Non eravamo “degni” di tanto amore. Non facevamo parte della corte del Re; tra di noi nessun dignitario, parente o amico: infatti, “non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto, è debole, è ignobile, - letteralmente di natali incerti, i figli abbandonati - e disprezzato e ciò che è nulla”.

Sarebbe dovuta andare come con il matrimonio di un principe reale: ti hanno invitato? No, ovviamente. Mentre sei andato a quello di tua sorella, o di tuo cugino. Perché sei dello stesso sangue. Eppure è accaduto che la chiamata giungesse proprio a te e a me, pagani per nascita e cuore, figli del padre della menzogna. Ma Dio sapeva che suo Figlio aveva versato il suo sangue per donarcelo, per farci suoi familiari: "Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi perché tali sono nella carne per mano di uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo".


E siamo entrati nella Chiesa, anche perché qualcuno che era “degno” di esserci ha rinunciato. E’ un mistero grande quello della “chiamata”. Essa esprime l’amore infinito e incondizionato di Dio per tutti, “buoni e cattivi”: "Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito"

La "chiamata" è dunque un “work in progress”, per divenire dimora di Dio; occorre che la costruzione della nostra vita "cresca ben ordinata", perché sia il Tempio nel quale celebrare una liturgia santa, segno del Cielo per ogni uomo. La "chiamata" quindi non garantisce di potersi sedere al banchetto di nozze.

E infatti, proprio quelli che ne avevano diritto per censo o per posizione sociale o per amicizia, non vi sono entrati. Perché mai hanno rifiutato l’invito del Re di partecipare a un avvenimento così importante?

In essi vi era una indifferenza colpevole, che in alcuni si è trasformata in violenza assassina. Segni di una ribellione verso l’autorità del Re, indizi di un golpe che covavano in un cuore indurito nell’incredulità: “il dio di questo mondo aveva accecato la mente incredula, perché non vedessero lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio”. Un “velo” di orgoglio serrava i loro occhi sull’amore di Dio, impedendo la maturazione della chiamata, che consisteva proprio nell’accogliere l’invito a partecipare alla gioia intima del Re.

“Tutto era pronto”, il Messia era arrivato, ed era quel Figlio che li attendeva alle nozze. Dio aveva ormai compiuto in Lui ogni “sacrificio” per “preparare” il loro cuore alla salvezza. Bastava accogliere Gesù. Però Israele “non ricercava la giustizia dalla fede, ma come se derivasse dalle opere”.

Avevano da lavorare nei “campi” e “curare i propri affari”, come potevano curarsi di quel Figlio e delle sue nozze? Così hanno perduto la “dignità”, perché “chi non odia suo padre, sua madre, i suoi fratelli e perfino la propria vita non è degno di Gesù”.

Accadeva loro come alle città che avevano rifiutato l’annuncio dei discepoli inviati da Gesù, destinate a una sorte peggiore di quella di Sodoma, immagine di chi non accoglie gli inviati di Dio: finire distrutti tra le “fiamme”, perché “la malizia uccide l’empio”.

Ma un cuore perverso può celarsi anche in quanti sono stati “raccolti” per “riempire la sala di commensali”. Non basta essere entrati nella Chiesa. La parabola di oggi è anche una sintesi di ecclesiologia. E ci aiuta a comprendere molto di quanto si sta discutendo al Sinodo sulla Famiglia.

La Chiesa accoglie tutti, ma per adempiere alla missione che le ha dato il Signore, di essere cioè un sacramento di salvezza. Dio “chiama” misteriosamente senza tener conto delle qualità morali. Ma “chiama” perché i “chiamati” siano formati e trasformati in “eletti”, perché diventino “sale, luce e lievito” per il mondo. Nella libertà di ciascuno: per questo “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”.

Vi è in questa affermazione di Gesù l’eco del cammino che conduceva i catecumeni al battesimo. La “chiamata” aveva rivelato in essi la “scelta” di Dio e generato il desiderio della vita di Cristo.

La “chiamata” aveva però bisogno di farsi carne trasfigurata, candida come la “veste battesimale” lavata nel sangue di Cristo; era l'immagine della nuova natura ricevuta nel catecumenato, che li rendeva “degni” di partecipare al banchetto di nozze dell’Agnello che li aveva redenti.

L’eucarestia, infatti, era l’ultimo atto dell’iniziazione cristiana: con essa i neofiti erano accolti nell’intimità di Cristo. Attualizzava ciò che il sacramento significa, che cioè si erano uniti indissolubilmente a Cristo:  “spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni” e avevano “rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore”.

Come d’uso in Israele ai tempi di Gesù, lo Sposo aveva donato loro il “kittel”, una veste speciale da indossare per il suo matrimonio, intessuta di “sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza”.

Solo rivestiti della “giustizia” di Dio i cristiani possono compiere la loro missione. Essi sono più che invitati. Nel seno materno della Chiesa sono preparati per divenire la Sposa di Cristo! La “veste” immacolata, infatti, significa che sono ormai “alter Christus”, testimoni della luce pasquale. In ogni pensiero, gesto e parola, incarnano la risurrezione di Cristo: per questo “possono tutto in Colui che dà loro forza”. Possono perdonare, rinunciare a se stessi, obbedire al marito, alla moglie, ai genitori, al Vescovo. Alla storia, perché su ogni monte doloroso come il Golgota che essa presenta, i cristiani sanno che Dio ha preparato un banchetto, come provvide l'ariete sul Moria. 

Anche quando sono chiamati a sacrificare se stessi e i propri criteri, l'idea di matrimonio, l'immagine del coniuge, sanno che è Cristo ad essere immolato in quel sacrificio, e proprio così trasformerà in Grazia e felicità autentica quella situazione.

Per questo annunciano con la propria vita la Buona Notizia a chi, oggi, ha visto il suo matrimonio sgretolarsi a causa del peccato. Non c’è situazione nella quale Cristo risorto non abbia potere! Non c’è incomprensione, tradimento, chiusura alla vita,  che non possa sanare dal profondo.

Per tutti è pronta una veste nuziale, la Grazia del battesimo, come quella del matrimonio o del presbiterato. Ma per riceverla è necessaria una comunità, come le piccole “sinagoghe” nelle quali i “servi” hanno “raccolto” i “chiamati”. Un luogo dove, a poco a poco, lasciarsi togliere il lievito vecchio dell’ipocrisia perché cada il “velo” che impedisce di contemplare con fede lo Sposo, la causa del rifiuto di Israele e di chi, allo stesso modo, indurisce il suo cuore nell’orgoglio.

Il banchetto nuziale, come quello della parabola, avveniva alla fine delle nozze; dopo la liturgia nuziale, si prolungavano, infatti, per sette giorni, nei quali lo sposo e la sposa restavano soli in una stanza per consumare il matrimonio. Alla fine essa usciva finalmente senza “velo”: non doveva più temere il “disonore”, era “degna” dello Sposo, gli apparteneva.

Anche noi, nella comunità cristiana, “a volto scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore”.

Guai allora se, “visitati dal Re” - attraverso i fatti della vita, la Parola di Dio, i pastori e i catechisti - siamo “trovati senza “l’abito nuziale”. Significherebbe che, nonostante i tanti segni e prodigi compiuti da Dio in nostro favore, non siamo ancora preparati per indossare la “veste di lino fino, splendente e puro”. E forse è proprio così, non appaiono in noi “le opere giuste dei santi”, ma siamo scandalo per il mondo che ha diritto di vedere Cristo riflesso nella vita della sua Sposa.

"Se non ho la carità, non serve a nulla. Ecco l'abito delle nozze! Esaminate voi stessi: se lo avete, avvicinatevi sicuri al banchetto del Signore" (S. Agostino). Ma se non lo abbiamo e il Re ci scopre senza carità, coraggio, non temiamo! La verità ci fa liberi. Nonostante tutto siamo ancora suoi "amici". Non chiudiamoci nell'orgoglio come Giuda, ma "ammutoliamo" umilmente come Giobbe. Cerchiamo un cammino nella Chiesa, accorriamo all’iniziazione cristiana post-battesimale che si inaugura proprio in questo tempo in tante parrocchie; lasciamoci accogliere in una comunità dove siano "legati mani e piedi" del nostro uomo vecchio perché, crocifisso con Cristo, sia "gettato" nella "notte" del sepolcro.

Solo così potremo risorgere con Lui a vita nuova, e ricevere la “veste nuziale”, la Grazia che ci fa cristiani: sposi cristiani, genitori cristiani, preti cristiani, vittoriosi sul peccato. E’ questa la risposta della Chiesa ai gravi problemi in discussione al Sinodo: la comunità cristiana che cammina nella fede per far riscoprire ai cristiani il proprio battesimo. Esso è la fonte alla quale tornare e attingere perché la vita eterna zampilli ogni giorno e risani e ricrei quello che il demonio vorrebbe distruggere.



APPROFONDIMENTI






αποφθεγμα Apoftegma





Che cos'è l'abito di nozze di cui parla il vangelo? Esso è senza dubbio l'abito che hanno solo i buoni, che devono partecipare al banchetto… Sono i sacramenti? È forse il battesimo? Senza il battesimo nessuno arriva a Dio; ma non tutti quelli che hanno il battesimo arrivano a Dio… Forse è l'altare o ciò che si riceve all'altare? Ma ricevendo il Corpo del Signore certi mangiano e bevono la propria condanna (1 Cor 11,29). Che cos'è dunque? È forse far digiuno? Fanno digiuno anche i cattivi. È forse frequentare la chiesa? Ma la frequentano anche i cattivi…

    Che cos’è dunque quest'abito di nozze?  L’apostolo Paolo ci dice: “Il fine dei precetti è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera” (1 Tm 1,5). Questo è l'abito di nozze. Non si tratta però d'una carità qualsiasi, poiché spesso sembra che si amino tra loro anche individui che hanno in comune una cattiva coscienza…, ma non hanno la carità “che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera”. È questa carità l'abito di nozze. 
      
    “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, - dice l'Apostolo - sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. … E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla” (1 Cor 13, 1-2)… Se avessi tutti questi doni, dice, senza Cristo, “sono nulla”… Quanti beni diventano inutili se ne manca uno solo! Se non ho la carità, anche se distribuissi tutti i beni e per rendere testimonianza al nome di Cristo arrivassi fino a versare il mio sangue (1 Cor 13,3), non servirebbe a nulla, perché posso agire così  per amore della gloria … “Se non ho la carità, non serve a nulla”. Ecco l'abito delle nozze! Esaminate voi stessi: se lo avete, avvicinatevi sicuri al banchetto del Signore.

S. Agostino

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