In questo brano del Vangelo Gesù in persona commenta la sua parabola: con semplicità e chiarezza, senza giri di parole. Non annacqua, non trucca, non cede ai compromessi. Per i suoi discepoli la Parola delle parabole diviene chiara come un alba, non è possibile sbagliare: la Parola non è come quei disegni appena abbozzati che si trovano nei settimanali enigmistici, il cui esito definitivo è lasciato all'abilità dei lettori. Non si tratta di aggiungere, togliere, correggere, colorare a proprio piacimento. La Parola del Signore è una spada, arriva diritta al cuore, senza sconti. Per questo è Verità che genera libertà. "Per mezzo delle realtà comuni [Gesù] vuole indicarci il vero fondamento di tutte le cose e così la vera direzione che dobbiamo imboccare nella vita di tutti i giorni, per seguire la retta via. Egli ci mostra Dio, non un Dio astratto, ma il Dio che agisce, che entra nella nostra vita e ci vuole prendere per mano" (J. Ratzinger - Benedetto XVI). La Parabola della zizzania illumina la natura della Chiesa e l'identità dei cristiani: sono figli di un Regno che non è di questo mondo, ma vi camminano giorno dopo giorno. Nel mondo ma non del mondo si trovano gomito a gomito con la zizzania, con i figli del maligno; e qui Gesù precipita inesorabilmente nel politicamente scorrettissimo: esistono i figli del demonio. Coloro che ne compiono i desideri, che obbediscono a un padre che è nemico acerrimo di Dio. Figli del maligno, assassini che cercano di uccidere Cristo. Spesso travestiti da figli di Abramo, battezzati chissà, ma con tra le mani opere che di Abramo non hanno neanche l'ombra. "Se, con l’incarnazione del Verbo, la figliolanza divina fosse attribuita immediatamente a ogni uomo, il mistero della scelta o elezione e quindi la fede, il battesimo e la Chiesa non avrebbero più alcun ruolo costitutivo per la salvezza: la missione della Chiesa nel mondo sarebbe solo quella di far prendere coscienza a tutti gli uomini di questa salvezza già presente nella profondità di ognuno. Insomma, ogni uomo, in virtù dell’incarnazione del Verbo, acquisirebbe automaticamente, anche se inconsapevolmente, “l’esistenza in Cristo” ricevendo così, in virtù della sua trascendenza come persona umana, gli effetti salvifici della redenzione operata da Gesù Cristo. Sarebbe un “cristiano anonimo”. (Ignace De La Potterie). Ma non è così. Nelle parole del Signore emerge, come una saetta, una verità incontrovertibile: esistono i figli del Regno ed i figli del maligno. Vivono fianco a fianco, e la missione della Chiesa non è, come nell'Islam, sradicare la zizzania malvagia, ma, semplicemente, vivere secondo la propria natura. Si comprende così come alle fonti della missione della Chiesa e di ciascun cristiano vi sia una tenace e perseverante difesa della primogenitura, della misteriosa elezione ad essere, per il mondo, sale, luce e lievito, segno autentico e credibile del Regno di Dio. I cristiani sono eletti per vivere in pienezza la cittadinanza celeste, lasciando che Cristo, Primogenito dei figli del regno, mostri in ciascuno la sua natura; pur tra le debolezze e le imperfezioni della carne, sono chiamati a lasciare brillare la bellezza del Signore, riflesso della bellezza di una vita secondo la volontà del Padre: "La natura corrotta dal peccato genera perciò i cittadini della città terrena, mentre la grazia che libera la natura dal peccato genera i cittadini della città celeste. Perciò i primi sono chiamati vasi d’ira; gli altri sono chiamati vasi di misericordia. Se ne ha un simbolo anche nei due figli di Abramo. L’uno, Ismaele, nacque secondo la carne dalla schiava Agar, l’altro, Isacco, nacque secondo la promessa da Sara, che era libera. Entrambi sono stirpe di Abramo, ma un rapporto puramente naturale ha fatto nascere il primo, invece la promessa che è segno della grazia ha donato il secondo. Nel primo caso si rivela un comportamento umano, nel secondo caso si rivela la grazia di Dio" (S. Agostino, De Civitate Dei). Dietro le parole della parabola emergono in filigrana quelle del salmo 37, che traducono concretamente l'atteggiamento proprio dei cristiani nel mondo:
Non adirarti contro gli empi non invidiare i malfattori.
Come fieno presto appassiranno, cadranno come erba del prato.
Confida nel Signore e fa il bene; abita la terra e vivi con fede.
Cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore.
Manifesta al Signore la tua via, confida in lui: compirà la sua opera;
farà brillare come luce la tua giustizia, come il meriggio il tuo diritto.
Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui;
non irritarti per chi ha successo, per l'uomo che trama insidie.
Desisti dall'ira e deponi lo sdegno, non irritarti:
faresti del male, poiché i malvagi saranno sterminati,
ma chi spera nel Signore possederà la terra.
Ancora un poco e l'empio scompare, cerchi il suo posto e più non lo trovi.
I miti invece possederanno la terra e godranno di una grande pace.
Conosce il Signore la vita dei buoni, la loro eredità durerà per sempre.
Non saranno confusi nel tempo della sventura e nei giorni della fame saranno saziati.
Il Signore fa sicuri i passi dell'uomo e segue con amore il suo cammino.
Se cade, non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano.
I giusti possederanno la terra e la abiteranno per sempre.
Occhi aperti dunque, e un abbandono sconfinato e audace alla fedeltà del Signore. Intorno a noi il male esiste, esiste il demonio che, come annuncia l'Apocalisse, cerca il bambino per divorarlo, per farci rinunciare alla primogenitura, l'immagine di Cristo in ciascuno di noi, figli del Regno. E gli attacchi non sono solo quelli del sesso, del denaro, del potere. Esistono i fendenti più subdoli, quelli con cui il demonio cerca di ancorare la menzogna nella mente attraverso l'evidente ragionevolezza della lotta all'ingiustizia. La parabola è come il bozzetto del quadro che Gesù stesso dipingerà con il colore del suo sangue. Con i tratteggi del grano e della zizzania il Signore stava profetizzando l'episodio che sarebbe andato in scena davanti a Pilato, anticipando indirettamente ai discepoli la domanda che il Procuratore avrebbe rivolto al Popolo: "chi volete che vi liberi, Gesù o Barabba?". Il grano o la zizzania? La Chiesa sarà sempre posta al fianco di Barabba, come ciascuno di noi, ogni giorno. E sempre seguirà le orme del suo Signore; di fronte al dilagare delle persecuzioni e del male, ascolterà di nuovo le parole che Gesù rivolse a Pietro nel Getsemani: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada; Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?" (Mt. 26, 52-54). Il grano è accanto alla zizzania per compiere la Parola, perché si realizzi la volontà di Dio per ogni uomo di tutte le generazioni. E così è stato, e la "spada" che ha fatto rimettere nel fodero, è caduta su Gesù, per colpire in Lui tutto il male che la zizzania ha provocato. Il grano è accanto alla zizzania per proteggerla sino alla "fine del mondo", per dare occasione di convertirsi ai "figli del maligno" "seminati dal diavolo". Non tralasciamo un punto importante: il "campo" è "suo", è di Gesù. Il "mondo" è del Signore, non del demonio. Anche se questi ne è il principe, non significa che abbia su di esso un potere indefinito. Sopra di lui c'è "uno più forte", che può legarlo e liberare coloro che satana tiene in suo potere. Il diavolo è stato precipitato sulla terra ed è furioso perché sa che gli resta poco tempo (cfr. Ap. 12). Questo tempo che ci separa dalla "fine del mondo", il tempo in cui il "grano" cresce accanto alla "zizzania". Ma la Chiesa ha l'esperienza di essere stata, per pura grazia, seminata nel mondo come un "seme buono"; sa che è i "figli del Regno" sono stati amati mentre erano peccatori e meritevoli della "spada" che Dio ha rivelato al profeta Ezechiele: "Così dice il Signore Dio: Eccomi contro di te. Sguainerò la spada e ucciderò in te il giusto e il peccatore. Se ucciderò in te il giusto e il peccatore, significa che la spada sguainata sarà contro ogni carne, dal mezzogiorno al settentrione. Così ogni vivente saprà che io, il Signore, ho sguainato la spada ed essa non rientrerà nel fodero... Spada, spada aguzza e affilata, aguzza per scannare, affilata per lampeggiare! L'ha fatta affilare perché la si impugni, l'ha aguzzata e affilata per darla in mano al massacratore!... Perché i cuori si struggano e si moltiplichino le vittime, ho messo ad ogni porta la punta della spada, fatta per lampeggiare, affilata per il massacro... Poiché voi avete fatto ricordare le vostre iniquità, rendendo manifeste le vostre trasgressioni e palesi i vostri peccati in tutto il vostro modo di agire, poiché ve ne vantate, voi resterete presi al laccio... mentre tu hai false visioni e ti si predicono sorti bugiarde, la spada sarà messa alla gola degli empi perversi, il cui giorno è venuto, al colmo della loro malvagità" (Ez ). E questo "giorno" ebbe inizio proprio nel podere chiamato Getsemani. Gesù sapeva che quella spada era preparata per Lui, e non per quelli che lo volevano morto. La "spada" era per Lui, l'unico "seme buono" che il Padre aveva seminato nel seno della Vergine Maria, l'unica "terra buona". Gesù sapeva che "proprio per quello era giunto a quell'ora", perché "se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv. 12, 24). Doveva portare frutto e moltiplicare il "seme buono": con la sua morte e la sua resurrezione, infatti, avrebbe seminato nel mondo i "figli del Regno", perché "completassero in loro quello che sarebbe mancato alla Passione di Gesù" in ogni generazione, ovvero carne e sangue da versare per salvare il mondo, la Chiesa martire del suo amore. La "spada" destinata a "sradicare la zizzania" dal mondo era sguainata, aguzza e affilata, come il flagello che gli ha straziato le carni, le spine infilate nella testa, i chiodi penetrati nelle mani e nei piedi, e la lancia giunta nelle sue viscere. Sulla Croce aveva attirato tutti a sé, i peccatori e anche chi, innocente, ha sofferto l'espandersi del male. Sul Golgota era scesa, violenta la "spada" che doveva colpire e purificare il mondo giunto al "colmo delle sue malvagità". Ma il Golgota è preparato anche per noi, "figli del Regno" rinati dall'acqua e dal sangue zampillati dal costato di Cristo trafitto dalla "spada". Anche per noi è pronto il flagello: proprio come la zizzania che cresce e si distende quasi a soffocare il grano, ci percuoteranno le ingiustizie, ci feriranno le calunnie con cui ci toglieranno l'onore, ci batteranno rubandoci quello che ci appartiene; quelli di casa saranno i nostri nemici, coniuge, figli, e poi amici, colleghi, e poi i professori che vorranno imporre le loro vuote ideologie, e il governo che vorrà impedirci di annunciare la verità, e la cultura, e i media, e i social, tutto come fu già contro Gesù, e, nei secoli, contro la sua Chiesa. E di fronte a tutto questo, la Chiesa sarà ancora dalla parte di Gesù, l'Agnello muto di fronte ai suoi tosatori; e il mondo sceglierà Barabba, e lo lascerà libero, illudendosi di avere ragione delle ingiustizie con la violenza. E gli aborti si moltiplicheranno, e i divorzi e le guerre. E la "spada" giungerà ancora sulla terra, e colpirà ancora i cristiani, come accadde a Nagasaki, dove la bomba atomica fu gettata attraverso l'unico spazio che s'era aperto tra le nuvole, e precipitò sul quartiere cristiano, distruggendo la cattedrale e mietendo migliaia di vittime. E' il Mistero Pasquale di Cristo nel quale siamo stati salvati e che si compirà in noi, perché la pazienza di Dio si estenda anche a tuo figlio, a quel collega che ha appena divorziato, a quella cugina che ha abortito, ai signori della guerra e ai mafiosi. Sappiamo bene che, giudei o greci non importa, tutti eravamo peccatori, "ma siamo stati lavati, santificati, giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!" (1 Cor 6,4). E' un mistero insondabile "disegno di Dio" che ci ha chiamati a far parte della sua Chiesa, insieme a San Francesco, a Santa Caterina, agli Apostoli e ai martiri: e "quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati" (Rm 8, 28-30). La misericordia di Dio ci ha "seminati nel campo" per "fiorire e fruttificare": è un immagine profetica del battesimo, "per mezzo del quale siamo stati sepolti con Cristo nella morte, e siamo risuscitati con Lui per camminare in una vita nuova" (Rm 6,4). La morte è vinta, esiste il Regno dei Cieli, ed esiste un giudizio! Il male non trionferà, non si scherza. Lo sappiamo per esperienza... Ma proprio perché scampati alla "spada" per la misericordia di Dio, siamo ora inviati ad annunciare a tutti e a testimoniare la stessa misericordia prendendo su di noi i colpi della "spada". Per questo sappiamo che "la nostra lotta non è contro le creature di sangue e di carne, ma contro il nemico" che ha seminato con la menzogna i suoi figli nel mondo: anche oggi, uniti a Cristo e "attingendo forza in Lui e nel vigore della sua potenza" attraverso la Parola e i sacramenti, siamo inviati a non opporre resistenza "ai figli del maligno"; non andremo a sradicarli dal mondo. Il Signore ci invita a tornare al nostro battesimo, è l'unico modo per crescere accanto alla zizzania e dare frutto, nell'attesa della "mietitura": "Gesù ci avverte che, dopo la semina fatta dal padrone, “mentre tutti dormivano” è intervenuto “il suo nemico”, che ha seminato l’erba cattiva. Questo significa che dobbiamo essere pronti a custodire la grazia ricevuta dal giorno del Battesimo, continuando ad alimentare la fede nel Signore, che impedisce al male di mettere radici. Sant’Agostino, commentando questa parabola, osserva che “molti prima sono zizzania e poi diventano buon grano” e aggiunge: “se costoro, quando sono cattivi, non venissero tollerati con pazienza, non giungerebbero al lodevole cambiamento” " (Benedetto XVI). Per questo risuonano oggi per noi le parole che San Paolo ha dettato per i cristiani di Efeso: "Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito cioè la parola di Dio" (Ef. 6,10-17). Ecco la "spada" che ci viene consegnata, la Parola di Dio! Ascoltiamola, celebriamola, scrutiamola, meditiamola, e chiediamo incessantemente che si faccia carne in noi. Esiste un combattimento, ed inizia nel nostro cuore, dove anche si annidano semi velenosi deposti dal nemico. E' fondamentale saper discernere il bene ed il male, per non cadere in stolte semplificazioni. La lotta appare allora per quello che in realtà essa è, una difesa strenua, sino al sangue, contro il peccato, contro gli inganni macchinati dal demonio. E' una lotta d'amore, stringersi sempre più come pietre vive a Cristo, nella quale lasciarci amare, colmare, perdonare, consolare, deliziare da Lui. E cercare in Lui la nostra gioia, cioè vivere in Cristo, di Cristo, per Cristo. Come vasi di creta, portare con gioia il tesoro immenso dell'amore di Cristo: "Questo tesoro fa di tutta la vita un cammino, un progredire, sempre preceduti e accompagnati da quei fatti di grazia operati dal Signore che tornano a sorprendere il cuore nutrendo così la fede" (De la Potterie). Questo cammino di fede rinnovato ogni giorno, sulle tracce della penitenza e della conversione, diviene esso stesso un annuncio, un grido che chiama ogni uomo alla Verità, alla salvezza. I figli del maligno non sono distrutti, ma lasciati accanto ai figli del Regno perchè, sino all'ultimo istante della loro vita, possano alzare lo sguardo e implorare la misericordia, quell'amore impresso nei fratelli di Cristo: "L’esperienza della figliolanza è tutta piena solo di gratitudine, per il dono immeritato, e di speranza nei confronti di tutti. Per cui non si tratta di giudicare i miscredenti, i lontani, o addirittura quelli che possono sembrare avversari. Anche perché ognuno di loro può, quando meno se lo aspetta, incontrare il fatto cristiano"... Questa gratitudine non giudica nessuno, ma è magnanima e misericordiosa anche davanti all’errore e al peccato. Come accadde a san Francesco Saverio, il discepolo prediletto che Ignazio di Loyola aveva mandato a evangelizzare il lontano Oriente. Davanti ai peccati anche turpi dei pagani, Francesco Saverio si stupiva che senza la fede, i sacramenti e la preghiera filiale non ne facessero di più gravi. Come scrive in una lettera inviata ai suoi compagni da Cochin, nel 1552: «Io non mi meraviglio per i peccati che esistono fra bonzi e bonze, quantunque ve ne siano in grande quantità. Anzi, mi meraviglio che non ne facciano più di quelli che fanno…». I figli del regno come il miele per le api, come la dolcezza dell'amore di Cristo tra i pungiglioni della morte che sono i peccati di ogni generazione. L'amore infinito come miele che cola dall'arnia della scuola, del lavoro, del condominio, del mercato; della malattia e della precarietà, di ogni istante donato ai figli del Regno. Miele dolcissimo, capace di salvare, per sempre, anche il peggior figlio del maligno, perché non cada nella fornace ardente ed eterna. Il miele di Cristo, che ci attrae e ricrea ogni istante: "Il grano seminato da Cristo, seminato da Dio nel mondo, giungerà a maturazione, e cioè nessuna egregia impresa, nessun desiderio o sforzo per dare al bene la sua energia ed espansione andrà perduto: giacché il premio eterno è assicurato a coloro che porteranno il buon frumento nei granai celesti" (Paolo VI).
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