Mercoledì della XV settimana del Tempo Ordinario. Commento completo e approfondimenti


Le parole oranti del Signore che si rivolgono al Padre in un'estatica benedizione ci schiudono oggi una finestra sui sentimenti più intimi di Dio, la relazione di profonda comunione tra Padre e Figlio, la conoscenza reciproca che è, secondo il linguaggio della Scrittura, un' unione profonda e indissolubile. Il Padre e il Figlio sono uniti nell'esultanza e nella gioia di fronte al Mistero rivelato ai piccoli, gli infanti secondo la traduzione in latino della Vulgata, colui che non ha ancora l'uso della parola. Dio rivela il suo cuore a chi ancora non sa parlare. Le sue parole sono per chi non ha parole

E invece noi siamo imbottiti di parole, spesso vuote a cercare di razionalizzare pensieri irrazionali. Non abbiamo posto per le parole di Dio. La sapienza e l'intelligenza mondane, figlie del principe di questo mondo, affogano il nostro cuore  e strozzano la nostra mente. Siamo impermeabili alla Parola fatta carne. Ci crediamo adulti perché presumiamo di condurre le nostre esistenze attraverso le parole. Chiacchiere, per giustificare, per legare, per sciogliere, per ingannare, per sedurre, per vincere, per vendicare, per uccidere. 


La Scrittura mette in guardia dal troppo e dal vano parlare: "Le parole della bocca dell'uomo sono acqua profonda... con la bocca l'uomo sazia il suo stomaco, egli si sazia con il prodotto delle sue labbra. Morte e vita sono in potere della lingua, e chi l'accarezza ne mangerà i frutti" (Pr. 18, 4. 20-21). C'è come un'ingordigia nelle nostre parole, non ce diamo conto, le accarezziamo credendo di trovarne beneficio, ma ne gustiamo gli amari frutti. Divisioni, liti, invidie, passioni. Un laccio è la nostra lingua e ci tiene imprigionati, una delle radici più profonde della nostra infelicità: siamo schiavi delle nostre parole. 

Ma il Signore viene anche oggi al nostro incontro, la sua preghiera illumina la nostra tenebra, e ci chiama a conversione. Ci prende per mano come ha fatto con Giobbe, intrappolato anch'egli nella rete delle sue troppe parole e nei lacci delle insensate parole dei suoi amici pseudo-sapienti. E ci conduce in un cammino di verità sulla nostra piccolezza, lampante di fronte alla grandezza del suo amore. Siamo piccoli, nonostante ci atteggiamo a grandi. E, non a caso, sono proprio i bambini che imitano gli adulti, che cercano di essere come loro. Così anche noi, adulti per l'anagrafe, ma con un inguaribile cuore di bambini, ci trucchiamo, mascheriamo, cercando di sollevarci una spanna sugli altri, per apparire maturi, saggi, affidabili. I migliori insomma. 


Quando scopriamo d'essere così, quando i nostri figli cercano l'indipendenza, quando i pensieri ci vogliono spingere verso una stolta autonomia, non c'è nulla di strano e di cui stupirci. E' vero, siamo infantili, capricciosi come i bambini. Siamo "piccoli". Bene, quando gli eventi e le persone ce lo mostrano senza lasciarci scampo, è il momento propizio per accettare d'essere "piccoli", senza giudicarci e disprezzarci. Occorre solo fermarsi e non ricominciare a scappare e a metterci baffi e barba finte o quintali di rossetto e fondotinta. 

Quando la storia ci smaschera è una "benedizione". Benedetti i giorni così come "piacciono" a Dio, perfetti per la nostra conversione alla santità. Benedetti coloro che non ci lasciano navigare tranquilli a cento metri d'altezza; benedetta nostra moglie quando ci dice la verità e ci scopre a cercare consolazioni effimere di carne malsana davanti al computer; benedetto nostro marito quando ci svela intrappolate nella vanità; benedetti i genitori che sanno rimproverare e richiamare alle responsabilità e all'obbedienza i propri figli; benedetti i mal di denti che ridimensionano i muscoli cesellati in palestra; benedetto il capoufficio che non ci fa sentire unici e indispensabili; benedetta la fidanzata che ci richiama al rispetto; benedetto chiunque incarna il vignaiolo che ci viene a potare perché, "rimpiccioliti", possiamo dare più frutto.

Allora, spogliati della presunta grandezza, saremo capaci di prestare ascolto alle confidenze del Signore, le Parole con le quali ci rivela i misteri del Regno, ci fa conoscere suo Padre, ci mostra la Croce. Dove c'è già qualcosa di "grande", la "sapienza" e l'"intelligenza" della carne, non c'è spazio per la "grandezza" delle "cose" di Dio e di Gesù. La Trinità si ferma dinanzi alla superbia, si "nasconde", tace e occulta i suoi segreti. Solo chi è piccolo per adagiarsi sugli spazi angusti della Croce può intuire l'ampiezza infinita dell'amore celato in essa; è così che vanno le cose con Dio, solo alle frequenze bassissime, impercettibili Egli può comunicare se stesso; solo nella piccolezza alla quale Dio conduce gli apostoli si può ascoltare e accogliere la sua Parola ed essere rapiti nell'"esultanza benedicente" di Gesù che trasforma la vita in un rendimento di lode nella comunione intima della Trinità: Padre Figlio e Spirito Santo attendono solo di donarsi ai piccoli per colmarli dell'amore che li unisce. 

Finalmente piccoli, finalmente così come siamo, mettiamo, come Giobbe, la mano sulla bocca, e impariamo il silenzio stupito dell'infante. E' tutto troppo più grande di noi. Non sappiamo. Non conosciamo. Non capiamo. Accettiamolo. Conosciamo Dio per sentito dire, impariamo a conoscerlo attraverso gli occhi di un cuore puro, piccolo, infante. Tu ed io, oggi, siamo "quelli ai quali" il Padre "vuole rivelare suo Figlio". Scopriremo che, nella nostra vita, anche quando l'evidenza che ci sfiora la pelle e ci fa tremare il cuore ci dice il contrario, "tutto è stato dato a Gesù". Nulla di noi, neanche il momento più buio, è fuori del suo controllo amorevole: "tutto" è suo, nulla escluso. E in questa esperienza del suo potere infinito, della misericordia che "tutto" copre e "tutto" perdona, conosceremo il Figlio, una persona viva, un fratello che non ci giudica mai, un pastore che ci cerca senza stancarsi. Non è la carne, non è la volontà umana, non sono gli sforzi a farci "conoscere il Padre": "nessuno se non il Figlio" e ciascuno di noi ai quali, nella Chiesa e per pura Grazia, giorno per giorno, ci rivela la bellezza e la pienezza di una vita da figli liberi, perdonati, sanati, amati. Come aveva sperimentato Francesco, che si sentiva "il più piccolo e più vile tra i frati", e per questo ha conosciuto Cristo sino a diventargli conforme, crocifisso nel suo amore infinito.



APPROFONDIMENTI

Sant'Ilario di Poitiers (circa 315-367), vescovo, dottore della Chiesa 
Trattato sulla Trinità 2, 6-7 

« Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il figlio lo voglia rivelare »
       
Dal Padre viene tutto quanto esiste. Lui in persona, in Cristo e per Cristo, è all'origine di tutto. Del resto, è in se stesso il suo essere, e non riceve da nessuno quello che è... È infinito perché non sta in qualche luogo, ma tutto è in lui... È prima del tempo, il tempo viene da lui. Il tuo pensiero corra dietro a lui, se credi di giungere ai limiti del suo essere, sempre lo ritroverai, perché mentre avanzi senza sosta verso di lui, la meta verso la quale ti dirigi si allontana sempre di più... Tale è la verità del mistero di Dio, tale è l'espressione della natura impenetrabile del Padre... Per esprimerla, la parola può soltanto tacere, per scrutarlo, il pensiero rimane inerte, e per  afferrarlo, l'intelligenza si sente allo stretto.

Eppure, questo nome di Padre indica la sua natura : egli è in tutto Padre. Infatti non riceve da nessuno, come gli uomini, il fatto di essere Padre. Egli è l'Eterno non generato... È conosciuto soltanto dal Figlio poiché : « Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare », e « Nessuno conosce il Figlio se non il Padre ». Tutti e due si conoscono l'un l'altro e questa conoscenza mutua è perfetta. Perciò, poiché : « Nessuno conosce il Padre se non il Figlio », riteniamo dal Padre il solo pensiero conforme a quello che è stato rivelato a noi dal Figlio, l'unico « testimone fedele » (Ap 1, 5).

È meglio pensare a quanto riguarda il Padre che parlarne. Infatti ogni parola è incapace di tradurre le sue perfezioni... Possiamo soltanto riconoscere la sua gloria, avere di essa una certa idea, e provare di precisarla con l'immaginazione. Ma il linguaggio degli uomini prova la sua impotenza e le parole non spiegano la realtà così come è... Perciò, per quanto riconosciamo Dio, dobbiamo rinunciare a chiamarlo : qualsiasi siano le parole usate, non potranno esprimere Dio così come egli è, né tradurre la sua grandezza... Dobbiamo credere in lui, provare di comprenderlo e adorarlo ; facendo questo, parleremo di lui.


Nessun commento: