αποφθεγμα Apoftegma
Giuseppe abbracciava il Figlio in quanto neonato,
lo serviva in quanto Dio.
Gioiva di lui in quanto buono
e aveva soggezione di lui in quanto giusto.
Grande paradosso!
Chi mi ha dato che tu diventassi figlio mio,
o figlio dell'Altissimo?
Volevo licenziare tua madre.
Non sapevo che nel suo utero c'era un gran tesoro,
che avrebbe arricchito in un istante la mia povertà.
Il re Davide è sorto dalla mia tribù
e ha cinto il diadema.
A un gran abbassamento sono giunto io:
invece che re sono carpentiere.
Mi è toccato però un diadema:
nelle mie braccia sta il Signore dei diademi.
Mosè portava le tavole di pietra
che il suo Signore aveva scritto.
E Giuseppe scortava solennemente la tavola pura,
nella quale dimorava il figlio del Creatore.
S. Efrem
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Matteo 1,16.18-21.24
Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo.
Oggi è una solennità
meravigliosa, perché da Giuseppe possiamo implorare la grazia di una morte
santa. Non solo quella che ci aprirà le porte del Cielo, ma anche quella che ci
attende oggi e ogni giorno. La Grazia di morire a noi stessi come Giuseppe, per
accogliere e custodire l'opera dello Spirito Santo nel prossimo. Come lui,
infatti, anche noi siamo stati scelti per un compito importantissimo: dare il
nome a Gesù che è gestato nella vita di chi ci è accanto. Che significa essere,
come Giuseppe, il padre terreno del Figlio celeste che è generato nel grembo
dei fratelli. Come Gesù, che per salvare ogni uomo doveva nascere nella carne
in una famiglia santa che lo rendesse parte della discendenza di Davide, così
chi ci è affidato deve poter essere accolto da una comunità che lo gesti alla
fede adulta dei figli di Dio. E certo, questa missione suppone un travaglio
profondo, attraverso il quale abbandonare i propri schemi e criteri e,
soprattutto, la propria "giustizia". Che significa questo concretamente?
Vediamo: puoi oggi tu "chiamare" Gesù tuo marito, tua moglie, i tuoi
figli, i fratelli della comunità cristiana, i colleghi o gli amici? Puoi,
nonostante le apparenze dicano tutto il contrario? Perché proprio le apparenze
avevano gettato Giuseppe in un'angoscia profonda e nello scandalo tipico di chi
non riesce a comprendere il mistero che bussa alla propria vita. Giuseppe
era giusto nella rettitudine di fare tutto per
"ag-giustarsi" in ogni circostanza alla volontà di Dio. Forse intuiva
che c'era qualcosa di misterioso e più grande, conosceva Maria e non la poteva
pensare capace di tradirlo. Ma l'eccezionalità e l'imprevedibilità di quella
gravidanza erano come uno tsunami, e la giustizia appresa dalla sapienza del
suo popolo non ammetteva deroghe, neanche per Lei. Il fatto era lì,
incontrovertibile. Maria era incinta e Giuseppe non c'entrava nulla. La ragione
umana era senza spiegazioni se non quelle rese dall'evidenza. E questa spingeva
inesorabilmente Giuseppe al ripudio di quella ragazza, proprio in virtù della
Legge alla quale aveva sempre adeguato la propria vita. Ma Dio appare dove
nessuno se lo aspetta. Senza preavviso, senza chiedere il permesso, e per
Giuseppe questo significava Maria incinta prima che andassero a
vivere insieme. Per accogliere questo evento occorreva un cuore capace di
dilatarsi in una giustizia che si coniugasse in un amore capace di trascendersi
ben al di là di ogni pensiero umano. Non bastava "rimandarla in
segreto", il massimo che i suoi "pensieri" avessero potuto
escogitare pur di salvarle la vita. A Giuseppe occorreva abbandonarsi
all'Autore della Legge, l'unico capace di declinarla in ogni istante della
vita, perché fosse Lui a schiudere mente e cuore per discernere
l'autentica "giustizia" e "decidere" di agire per
compierla. In quei momenti in cui si giocavano le sorti dell'umanità Dio
lo chiamava ad un salto più grande. E Giuseppe era lì, con quel dubbio a
bucargli lo stomaco e a lacerargli il cuore, la vita intera precipitata in un
"pensiero" come i tanti che sottraggono tempo e forze nell'inutile
tentativo di individuare modi e parole per ovviare all'imponderabile, per
mettere insieme amore e giustizia. Giuseppe era stato condotto dalla
Storia della Salvezza al bivio decisivo, e non poteva immaginare di trovarsi di
fronte all'alba di una rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre la vita
degli uomini. Doveva solo accogliere e custodire quella piccola vita deposta
nel grembo di Maria, Gesù, Dio fatto carne per salvare ogni uomo con la
Giustizia della Croce.
Anche noi ci troviamo
oggi dinanzi allo stesso bivio, in questo giorno decisivo per la sorte di
chi ci è accanto, di fronte al fratello che non comprendiamo e vorremmo
"rimandare in segreto" moglie e marito, smettere di polemizzare e
litigare, far finta di nulla per non peggiorare le cose. Ma sperimentiamo che
non basta. Vorremmo amare ma non sappiamo come fare senza mancare verso la
giustizia. Chi ha sbagliato deve in qualche modo pagare, e così capire e
cambiare, o no? Ma Dio non ha fatto così con noi, vero? Ha fatto come Giuseppe,
accogliendoci così come siamo, per risuscitare e custodire in noi l'opera dello
Spirito Santo che abbiamo tante volte frustrato; e lo ha fatto nella Chiesa,
dove ci sta rigenerando per imporci lo stesso nome di suo Figlio, per farci
"cristiani". Ecco perché, per salvare chi ci è accanto, ha scelto
proprio noi per accogliere e custodire l'opera della sua misericordia,
ripetendoci le parole che in Giuseppe hanno sciolto ogni dubbio:
"Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello
che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". Dice "tua
sposa" perché agli occhi di Dio la "promessa" sposa è
"già" pienamente sposa, ancor prima del suggello finale delle
nozze. Con il suo “amen” Maria si era consegnata alla volontà di Dio.
Mancava Giuseppe, che, per dare il suo "consenso" doveva
immergere il suo sguardo in quello di Dio. E la Grazia ha compiuto in Giuseppe
questo trapianto di occhi, e così il suo sguardo su Maria si è fatto
accoglienza di quanto lo Spirito Santo aveva operato nell'ombra del
mistero. La stessa parola dell'Angelo è rivolta oggi a ciascuno di noi:
"Non temere", non temiamo di prendere con noi Maria, la Figlia di
Sion, immagine di un Popolo e della sua storia, della nostra storia e di ogni
persona con la quale abbiamo relazione. In Lei siamo tutti generati, per questo
c'è nella nostra vita, come in quella del mondo e di ogni uomo un'opera
misteriosa del respiro di Dio, la vita divina è, come un seme, già deposta
dentro la nostra vita. Non temiamo le nostre debolezze, i nostri errori, i
peccati; non rifiutiamo l'astruso passato, il presente difficile, l'incerto
futuro. Non impauriamoci di fronte ai peccati di chi ci è accanto, e neanche
davanti al dolore di una malattia, all'insignificanza e alla solitudine, agli
eventi che ci umiliano. Anche se stiamo solo camminando nella
"promessa" di essere cristiani, anche se siamo pieni di
contraddizioni e cadiamo ogni due passi, agli occhi di Dio siamo
"già" sposati con il suo Figlio! E lo sono anche quelli che sembrano
più lontani da Lui, proprio nella storia che spesso vede scorrere sangue. Coraggio,
Egli ha dato la sua vita per riscattarci e imparare a guardare noi stessi e gli
altri con gli occhi del Padre, per "chiamare" tutti con il Nome del
Figlio che significa la "salvezza di Dio" che già sta operando in
loro. Ciò significa ascoltare l’annuncio della Chiesa e morire a noi
stessi con Cristo nella notte del sepolcro per destarci con Lui e obbedire alla
volontà di Dio. Solo chi è risorto, infatti, può camminare in una vita nuova
che accoglie e custodisce la vita di Gesù negli altri, senza appropriarsene,
nella castità di cuore e carne che si ferma sulla soglia della loro vita, per
servire umilmente l'opera di Dio in ciascuno, accompagnandoli nella lunga
gestazione dell'amore. Giuseppe si è abbandonato a Dio, ha obbedito e
accolto Maria e, pur non vedendo se non un timido abbozzo d'uomo, ha permesso
che la salvezza giungesse fino a noi. Così anche noi, obbedendo",
offriremo la salvezza al mondo, in questa e nelle generazioni future.
QUI UN ALTRO COMMENTO E GLI APPROFONDIMENTI
Nella parte inferiore si trova Giuseppe rinchiuso anch’esso nel mantello dei propri pensieri, nel suo umanissimo dubbio di fronte al mistero. I vangeli apocrifi si dilungano dettagliatamente sui dubbi e sulle reazioni incredule di Giuseppe davanti al concepimento di Maria, e anche il Vangelo di Matteo lo dipinge mentre è in preda all’incertezza “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” ( Mt 1,19) Giuseppe, dunque, è l’uomo che si interroga davanti al mistero e di fronte a lui la tentazione del dubbio si materializza e si impersona in una figura di pastore coperto di pelli, la cui vera natura si rivela in alcune rappresentazioni, come in una cupola della Cattedrale dell’Annunciazione a Mosca, attraverso due piccoli corni che gli spuntano sul capo. La tradizione dà al pastore–diavolo il nome di Tirso, che è anche il nome del bastone di Dioniso e dei satiri.
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