αποφθεγμα Apoftegma
Chiamò lucerniere la santa Chiesa,
perché in essa risplende la parola di Dio
mediante la predicazione,
e così, con i bagliori della verità,
illumina quanti si trovano in questo mondo come in una casa.
San Massimo il Confessore
perché in essa risplende la parola di Dio
mediante la predicazione,
e così, con i bagliori della verità,
illumina quanti si trovano in questo mondo come in una casa.
San Massimo il Confessore
UN ALTRO COMMENTO
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Luca 8, 16-18
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.
Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».
"Come ascoltiamo"? Non è una domanda da poco conto. C'è una misura nell'ascoltare, una capacità di ascolto che, nelle parole di Gesù, appare decisiva. Perché ciascuno "ha" secondo come ascolta: si potrebbe coniugare le parole di Gesù dicendo che "a chi ha" ascoltato "sarà dato", ma "a chi non ha" ascoltato "sarà tolto anche ciò che crede di avere". Quindi, non tutti modi in cui si presta orecchio hanno lo stesso valore. Parole, musica, rumori, ci sfiorano senza lasciare tracce. E poi le parole di chi ci è accanto, non parliamone neanche... refoli di vento a sfiorare le orecchie, spesso fastidiosi, mai che giungano al cuore. A meno che non si tratti di lodi e riconoscimenti... Nulla riesce a penetrare la barriera che erigiamo per paura della morte, ovvero della verità che venga a scuotere il nostro torpore borghese. Anche la Parola di Dio resta confinata sulla soglia, sia essa la strada, la pietra o le spine. Il seme non scende, non ci feconda, e restiamo senza frutto, come il fico pieno solo di foglie, come una lampada coperta da un vaso e posta sotto un letto, come il talento nascosto nel fazzoletto o sotto terra. Così è buona parte della nostra vita, ed è ridicola oltre che stolta... "Nessuno" accende una lampada e la nasconde, eppure vi è qualcuno che fa esattamente così con la propria vita. Riceve da Dio doni immensi, neanche se ne accorge, e li mette nel cassetto. La vita stessa, un dono meraviglioso, "full optional", pronta a partire sui cammini della storia per amare e donarsi, e invece, preferiamo una bicicletta scassata, e lasciamo la vita vera chiusa in garage. Spesso ce ne vergogniamo, la riteniamo sfortunata, piena di aspetti da nascondere, impresentabile. Meglio un po' di ipocrisia, flash di parole e inganni per non farci coinvolgere davvero nei problemi, e così non dover perdere nulla di noi stessi. Tutto questo accade perché ascoltiamo male, superficialmente e con arroganza, con la sicumera di chi la sa lunga su tutto. Chi può parlarti? Pensi che vi sia qualcuno che abbia qualcosa da dirti? Forse un medico di fronte a dei sintomi che non sai di dove vengano. Ma così, repentinamente, nel bel mezzo del lavoro, o in famiglia o a scuola, qualcuno può parlarti? Chi c'è oggi nella tua vita che pensi abbia qualche parola da aggiungere alle tue, una profezia, una correzione, un annuncio.... Ne hai bisogno? Perché per ascoltare ci vuole tantissima umiltà, e riconoscere di avere molto da imparare e quindi molto da ascoltare. E accettare che sino ad ora abbiamo vissuto nell'illusione di "avere qualcosa" e invece, immancabilmente, facciamo ogni giorno la triste esperienza di vederci portar via quello che "crediamo di avere". La ragione nelle questioni e nelle discussioni innanzi tutto e poi i criteri, i valori, sino alle persone e agli affetti più cari. Ma guarda un po', tutto è legato all'ascolto... Perché la fede, il fondamento dell'esistenza, viene dall'ascolto del Kerygma, dell'annuncio. Allora, una cosa sola è necessaria e buona e bella, ascoltare bene come Maria, ai piedi di Gesù istante dopo istante, per ricevere la fede che nessuno potrà toglierci; ciò significa riconoscere nelle parole che ci arrivano l'annuncio della Buona Notizia. Anche in quelle irritate della moglie, o ribelli del figlio, o ingannevoli dei colleghi. Ogni parola contiene l'annuncio più importante, quello che dona e fa maturare la fede. Se non lo intercettiamo saremo condannati a vivere follemente: pur avendo ricevuto in dono la vita colma di amore, la strangoleremo nell'egoismo, regalo del demonio che non ci lascia mai in pace. Ascolta male, infatti, chi ascolta il padre della menzogna e, come Adamo ed Eva, riempie i giorni di ipocrisie, falsità e fughe, schiavo del proprio io. Chi ascolta male si nasconde, e che fatica....
Allora, chiederci "come ascoltiamo" significa interrogarci su "chi ascoltiamo". Perché per riconoscere una buona notizia in un responso medico che ti annuncia un cancro, beh, bisogna aver visto il Signore risorto e avere la certezza che sia Lui a parlarci, e metterci in ascolto di Lui; altrimenti ascolteremo il demonio, e lui di certo non ci presenterà la Croce come la salvezza e l'amore di Dio. Dunque, chi stiamo ascoltando? È facile rispondere: ascoltare in ebraico significa anche obbedire. Si tratta dell'obbedienza a ciò che fonda e dirige l'esistenza, alla parola che ci ha creati e che ci dona ogni istante la vita, anche ora. La Parola del demonio rende schiavi, quella di Gesù libera per amare. Chi è stato liberato vive liberamente. Chi è stato illuminato vive nella Luce. Chi è stato amato gratuitamente ama gratuitamente, perché in tutto ascolta la voce di Cristo. Per questo tutto diviene suo, e ogni giorno riceve qualcosa in più. La Croce, infatti, si rinnova sempre: "abbiamo" oggi la Croce? l'abbiamo ricevuta come un dono attraverso l'ascolto della parola del Signore? Allora "ce ne sarà data" ancora, e con essa più amore, più pace... Un insulto, un incomprensione, una difficoltà e un'umiliazione... Chi ha Cristo e la fede che lo riconosce in ogni circostanza e persona, vede moltiplicarsi l'intimità con Lui che solo si sperimenta sulla Croce, e in essa le consolazioni autentiche e non sentimentali, l'esperienza del suo amore. Chi scappa dalla Croce e difende la sua vita spegnendosi e occultando le grazie "sotto il letto", invece - rispondendo al male con il male ad esempio - perderà tutto, giorno dopo giorno. Chi si chiuderà all'ascolto di Dio che parla attraverso la sofferenza di un figlio, il suo disagio che ci urta e scomoda, perderà suo figlio!!! E così, se non ascolteranno, accadrà a un prete con i suoi parrocchiani, a un professore con i suoi alunni, a un fidanzato con la sua fidanzata. Come è allora oggi oggi la nostra vita? Non possiamo dimenticare che nulla di quanto ci è stato dato, nessuna parola di vita che ci è stata predicata resterà nascosta: la predicazione che ci salva, ascoltata con "cuore buono e perfetto" e obbedita giorno dopo giorno, ci arricchisce ogni giorno di più, e fa della nostra vita qualcosa di bello, ma bello davvero; tanto bello da essere messo in vetrina, come il frutto più squisito e prezioso dell'amore di Cristo. L'ascolto umile e accogliente ci depone sul "lampadario", perché la nostra vita sia un riverbero della luce della Verità. Tutto quello che siamo chiamati a vivere ci issa sul lampadario che è la Croce, da dove filtra, misteriosamente, la luce della Pasqua e della vita tra le piaghe della morte. Ecco a cosa oggi ci chiama il Signore: ad ascoltare e a lasciarci attirare sulla Croce con Lui: "l’anima destinata a regnare con Gesù Cristo nella gloria eterna deve essere ripulita a colpi di martello e di scalpello, di cui l’Artista divino si serve per preparare le pietre, cioè le anime elette. Ma quali sono questi colpi di martello e di scalpello? Sorella mia, sono le ombre, i timori, le tentazioni, le afflizioni di spirito e i tremori spirituali con qualche aroma di desolazione e anche il malessere fisico" (San Pio da Pietralcina). Alla Croce dunque, può accedere solo chi "ha" molto e molto e molto di più, l'amore infinito di Dio, perché esso non ha misura e si dona senza misura. Sulla Croce, che è la verità della storia e della nostra esistenza, può salire solo chi ascolta senza misura, nella completa disponibilità, libero per accogliere i "colpi di di martello e di scalpello" che purificano l'dito. Sì, l'ascolto è l'ascensore che, attraverso la Croce, ci conduce al Cielo, insieme a tutti quelli che "entrando" - nella famiglia, la comunità, la Chiesa, o la nostra vita ovunque essa giunga - possono contemplarvi la luce che annuncia e illumina il destino eterno di amore e misericordia preparato per ogni uomo. Una vita stupenda dunque è quella di ciascuno, tanto più bella quanto più orientata all'ascolto; tanto bella da essere, ogni giorno, esposta davanti al mondo, come uno spettacolo, identico a quello di Cristo sul Calvario: ogni giorno siamo infatti, con Lui, come condannati a morte, come pecore condotte al macello. Questa è la Chiesa, legata a Cristo crocifisso come i rami al tronco dell'albero. E così offriamo noi stessi perché innestati a Cristo grazie all'ascolto, fondati nella certezza che questo è l'amore autentico e primizia inconfondibile di un Cielo che la terra non conosce. Aspetta, infatti, il candelabro su cui vedere risplendere la nostra vita, perché nulla di essa, bagnata dalla Grazia e dalla misericordia, potrà restare nascosta, neanche un istante, nemmeno quello che agli occhi della carne, appare insignificante. Tutto di noi, anche oggi, sarà rivelato; come una buona notizia se avremo accolto il Signore, come uno scandalo se lo avremo rifiutato. E, stiamone certi, lo capiremo subito, cominciando dalla nostra famiglia.
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I «social», palazzo di vetro senza pietà
Chiara Giaccardi. Avvenire 16 settembre 2016
Una giovane donna si suicida, dopo che il video di un suo rapporto sessuale viene diffuso da chi doveva tenerlo per sé, diventando virale. Rabbia, vergogna, incredulità per le parodie e la totale mancanza di solidarietà e sdegno per questa gogna digitale hanno spezzato una vita forse già fragile. Facile dire ora che non avrebbe dovuto lasciarsi filmare, e soprattutto non avrebbe dovuto condividere il filmato con quei pochi che poi non hanno esitato renderla zimbello del web. Diciamo anche a margine che non sempre, e questa ne è prova lampante, i contenuti generati dall’utente sono una conquista e un motivo di orgoglio: possono diventare «prodotti ad alto inquinamento sociale», con una efficace espressione di Leonardo Becchetti. Ma al di là dell’amaro impasto di tristezza, indignazione per la violenza simbolica (che ha sempre effetti molto concreti) e del «certo che poteva evitare» è necessario cercare di imparare qualcosa da questa triste vicenda, che non fa onore a nessuno. Fermarci a pensare. Thinking what we are doing, come invitava a fare Hannah Arendt, in tempi bui, per non soccombere al male intorno. Questo caso, nella sua tragica concretezza, ci può far riflettere su processi più generali, nei quali siamo immersi anche come parte attiva, ma spesso troppo poco consapevole.
Ne menziono tre, sui quali questa vicenda, e troppe altre che le somigliano, devono farci meditare. Il primo è quello che tra gli studiosi viene definito il 'collasso dei contesti'. È stata la Tv a dare inizio a una riconfigurazione della geografia della vita sociale, sganciando l’esperienza dal luogo, riscrivendo i modi della vicinanza e della lontananza, rendendo pubblico il privato. Con i social media questo processo si radicalizza: desideriamo raccontarci (l’atteggiamento di 'estimità' ed estroflessione che è il contrario dell’intimità) e pensiamo di essere in una stanza a parlare coi nostri amici, mentre invece siamo su un palcoscenico senza confini. Viviamo di fatto come in un palazzo di vetro, dove tutti vedono tutti. E questo crea un problema. Noi negoziamo infatti le nostre identità nelle relazioni con gli altri, in contesti diversi che richiedono una capacità di sintonizzarsi e assumere comportamenti appropriati; e questo implica la possibilità di rivelarci selettivamente ai diversi 'pubblici'. Non è, si badi bene, una forma di ipocrisia, bensì di consapevolezza delle differenze. Non si sta in famiglia come sul lavoro, non ci si comporta a una festa come a un funerale.
Oggi la gestione consapevole del nascondere/mostrare è diventata molto più difficile. E non è un caso che l’universo social stia privilegiando le applicazioni che consentono un’interazione più 'privata', più intima, più simile ai tradizionali contesti faccia a faccia: il tentativo è quello di suddividere di nuovo in stanze separate l’open space creato dai social media, di ripristinare la pluralità dei contesti. Ma siamo ancora lontani, e i rischi non mancano comunque. Con i social media, in ogni caso, ilbroadcasting del sé raggiunge una scala molto ampia, lasciando tracce permanenti e recuperabili nel tempo, la cui accessibilità è al di fuori del nostro controllo. Esserne consapevoli è fondamentale. E introduce il secondo punto cui prestare attenzione: quello della comunicazione socialè un mix tra self-generated (prodotto dall’utente) e other-generated content (immagini 'taggate', commenti ai post etc.). Le audience per i contenuti creati e condivisi sono multiple, interconnesse e invisibili, potenzialmente illimitate. E non controllabili. Ciò che noi produciamo non ci appartiene più e può essere usato contro di noi. L’illusione di essere 'proprietari' di ciò che abbiamo postato, delle nostre tracce nel web è davvero pericolosa, come si dimostra.
E infine, anche se le questioni sarebbero ancora molte, il rischio della perdita di realtà, che ci rende disumani. La mediazione del dispositivo che 'documenta per condividere' rischia di anestetizzarci, se ci adeguiamo semplicemente alla logica della fattibilità. Dove tutto è possibile, niente esiste davvero, scriveva Benasayag. Dove tutto è trasformabile in post e capitalizzabile in likes, nulla esiste davvero fuori di questa logica. Il 'capitalismo delle emozioni' ci porta a produrre, anche cinicamente, contenuti che possano diventare rapidamente virali, senza altro ordine di considerazioni se non quello quantitativo, in prospettiva autoreferenziale. Sì perché tutto questo, anche se non ci piace sentirlo dire, è figlio di un individualismo radicale dove niente conta più veramente, al di là di me. Dunque, non c’è solidarietà, compassione, rispetto che tenga. Nessuna ragione per mettere un limite alle nostre azioni. Perdita di realtà, anestesia, sé 'quantificato': non sono effetti necessari ma rischi in cui si cade senza accorgersene, se non si pensa a quel che si sta facendo. Se non si esce dalla logica di ciò che il dispositivo rende possibile, diventando puri esecutori di istruzioni scritte da altri, in preda al bisogno smodato di essere visti.
Ecco perché, per citare un altro caso su questa scia, si arriva fino a filmare, sghignazzando, l’amica violentata nel bagno della discoteca. Probabilmente, pensando a quanti rilanci avrà il video. Perché del riconoscimento, della relazione il nostro io ha bisogno. E nella cornice dell’individualismo assoluto questo bisogno assume forme pervertite e disumane. È cronaca di questi giorni. Le donne, vittime, arrivano a farsi stolidamente complici dei carnefici. La tecnologia non libera affatto, se non ne capiamo il senso, ma anzi può essere piegata a forme subdole e sempre più perverse di umiliazione e violenza. Pensiamo a quel che stiamo facendo, a dove stiamo andando, a dove sta il senso. Per far sì che il dolore non sia inutile. Per non rendere vana questa triste morte. Che Tiziana, ora, riposi in pace.
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