I 26 martiri crocifissi a Nagasaki |
αποφθεγμα Apoftegma
I cristiani devono essere testimoni di Cristo,
della sua Croce, della sua Resurrezione,
della sua fede, della sua speranza, della sua carità.
Ecco questo è il lievito.
Ed è una bella cosa se questo lievito vuole espandersi,
oltre i limiti della propria parrocchia
per portare il fermento del Vangelo anche ai non cristiani,
per essere lievito in quelle masse,
affinché tutta l'umanità sia raggiunta dal lievito evangelico
e diventare Regno di Dio.
Giovanni Paolo II
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Luca 12,1-7
In quel tempo, radunatesi migliaia di persone a tal punto che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisìa. Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti.
A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla. Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri».
L'AMORE DI DIO E' IL SEGRETO SVELATO DALLA NOSTRA VITA SALVATA DALL'IPOCRISIA
Un discepolo di Cristo non ha «segreti», la sua vita è destinata a risplendere «in piena luce» come una parola di speranza «annunziata sui tetti». L’amore di Dio infatti è un talento che non può restare «nascosto» nell’ipocrisia di chi cerca in esso la propria gloria; l’amore invece è fecondo e «svela» all’«esterno» le opere della fede che colmano l’«interno». Ė come tra due sposi: con pudore «nascondono» nell’intimità della «stanza più interna» effusioni e sguardi in un linguaggio di parole e corpi che solo loro comprendono. Ma ognuno di quegli istanti d’amore, pur restando un «segreto» sigillato tra i due, è destinato a fissarsi scolpito nella vita dei loro figli. Così Gesù rivela il suo mistero «anzitutto» ai suoi discepoli, scegliendoli come primizie perché «stiano con Lui» sperimentando il suo amore per farlo poi «conoscere» al mondo. Nell'intimità della comunità, nella comunione della liturgia, nel segreto della preghiera essi si uniscono allo Sposo, per poi offrire al mondo i frutti della Grazia e della Parola che hanno accolto. Così la Chiesa ha fatto da sempre con i suoi figli attraverso l’iniziazione cristiana. Così ha accolto e gestato noi, feriti e «calpestati» dall’egoismo che muove il mondo; ci ha annunciato «all’orecchio» la Parola di vita che illumina le «tenebre» del peccato; ci ha lavato nelle sue viscere di misericordia per ricolmarci di Spirito Santo; ci ha introdotto nella «cella del vino», nutrendoci con il Pane del Cielo. E ora ci invia a «predicare sui tetti» le parole che il Signore ci ha confidato nel «segreto» del talamo dove si è donato a noi, la Croce con cui ha dischiuso il Cielo. Non c’è nulla da temere, siamo il suo «corpo» consegnato nel martirio a chi ci è accanto perché veda in noi il «valore» immenso di ogni vita «davanti a Dio», e possa credere che oltre la morte esiste un «dopo» di gioia e pienezza dove il demonio «non potrà fare più nulla». Unico pericolo, l’«ipocrisia» che rende vana la Croce di Cristo, il «lievito» di una vita doppia che «nasconde» sotto terra il talento. Da essa dobbiamo fuggire, rifugiandoci nel «santo timore di Dio», Colui che ha il potere di gettare all’inferno chi rifiuta il suo amore.
-----
COMMENTO COMPLETO
Tra la "folla" anonima che "si accalca e calpesta a vicenda", i discepoli sono come il lievito nella massa: non si vede, ma esercita una forza capace di sprigionare vita e fermentare tutta la pasta. Proprio perché sciolto come sale e lievito può illuminare il mondo intero. E' il paradosso cristiano nel quale siamo stati coinvolti con la chiamata che ci ha raggiunti: come il nostro Signore ci aspetta un torchio dove essere spremuti sino all'ultima goccia, perché il sangue di Cristo giunga ad ogni uomo; la missione della Chiesa, infatti, è lasciarsi impastare nel mondo per presentare i pagani a Dio come un'oblazione pura. I martiri ci indicano il cammino, come quelli di Nagasaki, crocifissi mentre cantavano i salmi che facevano risuonare, proprio per i loro carnefici, le melodie che gli angeli cantano in Cielo per l'eternità. A questo canto tra le fiamme della fornace ardente delle tentazioni e delle persecuzioni siamo chiamati fratelli; per questo la Chiesa ci sta insegnando come innalzare nel mondo l'inno di lode per il Dio bestemmiato e dimenticato. Unico pericolo, l’"ipocrisia", peggiore de peccati stessi, perché rende vana la Croce di Cristo e frustra la missione della Chiesa; il "lievito" di una vita doppia che infetta tutta la pasta, perché "nasconde" l'idolatria come fece il Popolo di Israele sorprendentemente sconfitto in battaglia ad Ai: "Israele ha peccato. Essi hanno trasgredito l’alleanza che avevo loro prescritto e hanno preso ciò che era votato allo sterminio: hanno rubato, hanno dissimulato e messo nei loro sacchi! Gli Israeliti non potranno resistere ai loro nemici, volteranno le spalle ai loro nemici, perché sono incorsi nello sterminio. Non sarò più con voi, se non eliminerete da voi chi è incorso nello sterminio. Orsù, santifica il popolo... Allora Acan disse a Giosuè: "In verità, proprio io ho peccato contro il Signore, Dio di Israele. Avevo visto nel bottino (di Gerico appena conquistata) un bel mantello di Sennaar, duecento sicli d'argento e un lingotto d'oro del peso di cinquanta sicli; ne sentii bramosia e li presi ed eccoli nascosti in terra in mezzo alla mia tenda e l'argento è sotto"... Giosuè allora prese Acan di Zerach e l'argento, il mantello, il lingotto d'oro, i suoi figli, le sue figlie, il suo bue, il suo asino, le sue pecore, la sua tenda e quanto gli apparteneva. Tutto Israele lo seguiva ed egli li condusse alla valle di Acòr. Giosuè disse: "Come tu hai portato sventura a noi, così il Signore oggi la porti a te!". Tutto Israele lo lapidò, li bruciarono tutti e li uccisero tutti a sassate" (cfr Gs cap.7). Fratelli, il Vangelo di oggi ci annuncia le stesse parole che ascoltò Giosuè: stiamo nascondendo un idolo nel cuore! Cercalo, e consegnalo a Cristo, altrimenti la tua vita sarà un fallimento, e scapperai pieno di paura davanti "a coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla": ti infilerai in ipocrisie sempre più sottili, aggiungerai menzogna a menzogna, con tua moglie, i tuoi figli, i tuoi fratelli e colleghi, perché nascondendo l'idolatria impediamo a Cristo di operare con potenza; essa infatti si manifesta pienamente nella debolezza, non nell'ipocrita autonomia dell'orgoglioso. Per questo Gesù si dirige "innanzitutto" a noi, "suoi amici", per metterci in guardia dall'ipocrisia, il vero pericolo per la Chiesa, che per sua causa diventa sale che ha perduto il sapore ed è "calpestato" come gli ipocriti tra i farisei, sepolcri di cui nessuno si avvede, e come noi, i discepoli, che perdendo la primogenitura profetica, torniamo ad essere folla anonima che si "calpesta" a vicenda: "Corruptio optimi pessima", ovvero "ciò che era ottimo, una volta corrotto, è pessimo" (San Gregorio Magno). Ma coraggio, il Signore ha preso il tuo posto! Tu hai portato sventura alla tua famiglia, alla Chiesa e al mondo con la tua idolatria, ma la morte che meritavi ha raggiunto Cristo sulla Croce. Accetta oggi quella che la storia ti presenta, dove puoi sperimentare il perdono di Dio che estirpa dal tuo cuore l'idolatria "nascosta" per deporvi la sua natura. Lasciati "attirare" da Cristo che ti vuol "condurre nel deserto": entra nella storia di aridità e solitudine che non sopporti, perché è proprio dove Lui vuole "parlare al tuo cuore" per salvarti: nel tuo deserto, infatti, Gesù "trasformerà la valle di Acòr (quella dove è stato lapidato e bruciato il colpevole della disfatta del Popolo di Israele) in porta di speranza". Ascolta che cosa dice il Signore di te attraverso il Profeta Osea: "Là (nel deserto, proprio dove hai nascosto l'idolatria e hai sperimentato il fallimento del peccato) canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. E avverrà in quel giorno che mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone. Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal (gli idoli dei popoli pagani), che non saranno più ricordati. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore" (cfr Os. cap 2).
Così sono salvati gli "amici" di Gesù, e per questo chiamati alla "parresia" di gridare la mondo che esiste "mio Dio", come la Maddalena dopo aver incontrato il Signore risorto lo ha annunciato con franchezza e gioia senza temere di non essere creduta. La "parresia" infatti, è il lievito che trasforma una massa anonima in una comunità, perché, attirando su di sé l'odio e la persecuzione di chi non accetta la Verità annunciata senza compromessi, semina con fecondità i cristiani attraverso il sangue sparso nel martirio. Solo dove risplende l'autenticità del Vangelo, infatti, le persone sono poste di fronte all'amore di Cristo, perché desti in loro il desiderio di vivere come i cristiani, beati nella fame e nella povertà, tra le lacrime e le persecuzioni. Sulla croce, infatti, ogni "segreto viene alla luce": se l'interno è stato purificato e colmato di fede, esso splenderà nell'amore più forte della morte; se invece è pieno di iniquità e incredulità, sarà svelata l'ipocrisia, con grave danno per i piccoli e i peccatori. Se stai perdonando il tuo nemico, oppure offrendo il dolore della malattia, allora significa che in te è vivo Cristo per mezzo della fede adulta. Come sappiamo dal primo rito del battesimo, essa ci dà la vita eterna, e chi ce l'ha non teme le persecuzioni più feroci: sa che "ogni suo capello è contato", perché la sua vita è custodita nel cuore di Dio. Per questo un cristiano può amare donandosi nel martirio, "svelando" così all'"esterno" le opere della fede che colmano l'"interno". Ė come tra due sposi: con pudore "nascondono" nell’intimità della "stanza più interna" effusioni e sguardi in un linguaggio di parole e corpi che solo loro comprendono. Ma ognuno di quegli istanti d’amore, pur restando un "segreto" sigillato tra i due, è destinato a fissarsi scolpito nella vita dei loro figli, che in quei momenti in cui sono concepiti, ereditano dai genitori la somiglianza. Così Gesù rivela il suo mistero "anzitutto" ai suoi discepoli, scegliendoli come primizie perché "stiano con Lui" sul talamo della Croce dove sperimentano il suo amore che li fa immagine somigliante dello stesso Padre; solo dopo potranno farlo "conoscere" al mondo. Come accadeva nella Chiesa primitiva quando ciò che gli apostoli predicavano "nel segreto" del catecumenato e delle assemblee delle comunità, una volta fatto carne e vita nei cristiani rinati da acqua e da Spirito, era "annunciato sui tetti". Quella Parola li spogliava dell'ipocrisia illuminando l'idolatria che si nasconde nel fondo del cuore perché fosse consegnata ai sacramenti insieme ai peccati che genera. Anche noi abbiamo bisogno di "stanze più interne" dove essere iniziati alla fede adulta, che è l'esperienza di vedere trasformate le nostre valli di Acor in porte di speranza; "stanze" come il Cenacolo, dove gli apostoli si erano "nascosti" per timore dei Giudei e hanno visto Gesù vivo passare oltre le porte della morte e della paura, lo hanno ascoltato annunciare la Pace, hanno mangiato con Lui e hanno ricevuto lo Spirito Santo. Grazie ad Esso, "nulla" di tutto questo che avevano ascoltato e sperimentato è "rimasto nascosto", ma è stato "svelato" dal loro annuncio e dalla loro testimonianza, sino al martirio! Per questo il Signore ci invita a "nasconderci" nel Cenacolo per passare dal "timore" di "coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla" - dal demonio e da chi lo incarna - al "timore di Dio", che è un dono dello Spirito Santo che scende, appunto, nel Cenacolo. Nella comunità cristiana, infatti, sperimentiamo "anche i capelli del nostro capo sono contati", perché l'amore di Dio cerca "hametz" (il lievito vecchio) anche negli angoli più nascosti; perfino in un capello può nascondersi un'insidia, come in una parola, in uno sguardo, in un pensiero: tutto è "contato" attraverso la predicazione della Parola di Dio alla quale non sfugge nulla, perché nulla manchi all'appello della misericordia. Tutto è passato al setaccio del fuoco dello Spirito Santo che purifica e ci dona il "timore", il "principio della sapienza" che ci fa vivere sapendo che la "Geenna" esiste, che la chiusura ostinata alla Grazia può condurre Dio a minacciare di "uccidere", proprio come dice Gesù nel vangelo di oggi. Non scandalizzatevi, è la serietà con cui Dio prende la nostra vita. Ricordate il sacrificio di Isacco? Per crescere nella fede Abramo doveva passare per quella prova atroce che lo chiamava a legare Isacco; per entrare nella libertà che genera l'amore e la parresia doveva obbedire al di là della propria ragione. Anche per noi è preparato il Moria della prova dove vivere nel "timore" di Dio, come su un letto d'amore dove donarci a Cristo e attingere in Lui lo zelo e l'amore per ogni uomo. Nella prova, infatti, gli "amici" di Gesù sono il segno profetico che desta nella "folla che si accalca" l'interrogativo capace di aprire il cuore a Cristo, quello che un cristiano senza fede diluirebbe nell'ipocrisia del buonismo: davvero Dio mi ama? Nelle situazioni che sembrano negare l'esistenza di Dio e il suo amore, i discepoli crocifissi con Cristo rivelano il segreto più intimo di Dio: Dio ama ogni persona così come è. Il mondo non lo sa, e per questo "vende cinque passeri per due soldi", disprezza le persone per le quali Gesù ha pagato il riscatto con la sua vita. Per la sapienza carnale, infatti, i "passeri", immagine dei piccoli e degli ultimi perché sono tra le creature più deboli e indifese, non valgono nulla. Per Cristo invece, tu spogliato della maschera ipocrita, tu così come sei, piccolo e debole, "vali" infinitamente, perché "vali" quanto il sangue che Cristo ha versato per te. Allora coraggio, lasciati spogliare, ed entra nudo nelle viscere di misericordia della Chiesa per rinascere come un Vangelo vivente annunciato sui "tetti" perché tutti possano ascoltarlo e salvarsi.
Cattoliche, irachene, 80 anni.
Ma davanti ai jihadisti non hanno tremato:
«Per la nostra fede siamo pronte a morire qui e ora»
Ma davanti ai jihadisti non hanno tremato:
«Per la nostra fede siamo pronte a morire qui e ora»
Quando lo Stato islamico ha invaso ad agosto il villaggio di Caramles, nella piana di Ninive, tutti i cristiani sono scappati di notte verso il Kurdistan. Invece Victoria (nella foto, © Aid to the Church in Need), 80 anni, non si è accorta di niente. Quando la mattina seguente si è alzata, come ogni giorno si è recata in chiesa e per la prima volta l’ha trovata chiusa. Vedendo le strade deserte, la vedova cattolica si è allora resa conto che i jihadisti erano arrivati.
La vedova è rimasta chiusa in casa per quattro giorni insieme alla sua vicina, Gazella, «sostenute dalla fede». Una volta finite le scorte di cibo e acqua, sono state costrette ad uscire e si sono imbattute nei soldati del Califfato. I jihadisti hanno subito chiesto loro di convertirsi e davanti a un primo rifiuto le hanno aiutate, distribuendo cibo e acqua. Dopo pochi giorni, i terroristi sono tornati a prenderle e le hanno portate al santuario di santa Barbara, dove si trovavano già un’altra dozzina di persone, gli ultimi cristiani rimasti in città. «Dovete convertirvi – i terroristi hanno detto loro – la nostra fede può promettervi il Paradiso». Victoria e Gazella hanno risposto senza paura: «Noi sappiamo che se mostriamo amore e gentilezza, perdono e misericordia possiamo portare il regno di Dio sulla terra. Il Paradiso riguarda l’amore. Se voi volete ucciderci per la nostra fede, allora siamo pronte a morire qui e ora».
Se dei cattivi pensieri ti tormentano, non nasconderli, ma dilli immediatamente al tuo padre spirituale; più si nascondono i propri pensieri, più essi si moltiplicano e prendono vigore. Come un serpente, uscito dalla sua tana fugge all’istante, così il cattivo pensiero, non appena manifestato, si dissolve.
Paolo Evergetinos († 1054), Sinagoga I, cap. 20
Paolo Evergetinos († 1054), Sinagoga I, cap. 20
È il segno, universale e evidente, che un pensiero è del demonio, quando ci vergogniamo di svelarlo al nostro anziano.
Giovanni Cassiano, De coenob. Insitutis, 4, 9
Giovanni Cassiano, De coenob. Insitutis, 4, 9
Dimmi, Padre, chi devo interrogare a proposito dei miei pensieri? – Occorre interrogare colui nel quale hai fede e che sai capace di portare i pensieri; in lui devi credere come in Dio.
San Barsanufio, Lettera 885
San Barsanufio, Lettera 885
Tra la "folla" anonima che "si accalca e calpesta a
vicenda", i discepoli sono come il lievito nella massa: non si
vede, ma esercita una forza capace di sprigionare vita e fermentare tutta la
pasta. Un discepolo di Cristo, infatti, non ha «segreti», la sua vita è
destinata a risplendere «in piena luce» come una parola di speranza «annunziata
sui tetti». Proprio perché sciolto come sale e lievito può illuminare il mondo
intero. E' il paradosso cristiano nel quale siamo stati coinvolti con la
chiamata che ci ha raggiunti: come il nostro Signore ci aspetta un torchio dove essere spremuti sino
all'ultima goccia, perché la missione della Chiesa è lasciarsi impastare nel
mondo perché esso sia trasformato e le persone possano essere presentate a Dio
come un'oblazione purificata nel sangue di Cristo. I martiri ci indicano il
cammino fratelli, come quelli di Nagasaki, crocifissi mentre cantavano i salmi
che facevano risuonare, proprio per i loro carnefici, le melodie che gli angeli
cantano in Cielo per l'eternità. A questo canto tra le fiamme della fornace
ardente delle tentazioni e delle persecuzioni siamo chiamati fratelli; per
questo la Chiesa ci sta insegnando come innalzare nel mondo l'inno di lode per
il Dio bestemmiato e cancellato. Unico pericolo, l’«ipocrisia» che rende
vana la Croce di Cristo; il «lievito» di una vita doppia che infetta tutta la
pasta, perché «nasconde» l'idolatria come fece il Popolo di Israele sorprendentemente
sconfitto in battaglia ad Ai: "Israele ha
peccato. Essi hanno trasgredito l’alleanza che avevo loro prescritto e hanno
preso ciò che era votato allo sterminio: hanno rubato, hanno dissimulato e
messo nei loro sacchi! Gli Israeliti non potranno resistere ai loro nemici,
volteranno le spalle ai loro nemici, perché sono incorsi nello sterminio. Non
sarò più con voi, se non eliminerete da voi chi è incorso nello sterminio.
Orsù, santifica il popolo... Allora Acan
disse a Giosuè: "In verità, proprio io ho peccato contro il Signore, Dio
di Israele, e ho fatto questo e quest'altro. Avevo visto nel bottino (di
Gerico appena conquistata) un bel mantello di Sennaar, duecento sicli d'argento
e un lingotto d'oro del peso di cinquanta sicli; ne sentii bramosia e li presi
ed eccoli nascosti in terra in mezzo alla mia tenda e l'argento è
sotto"... Giosuè allora prese Acan di Zerach e l'argento, il
mantello, il lingotto d'oro, i suoi figli, le sue figlie, il suo bue, il suo
asino, le sue pecore, la sua tenda e quanto gli apparteneva. Tutto Israele lo
seguiva ed egli li condusse alla valle di Acòr. Giosuè disse: "Come
tu hai portato sventura a noi, così il Signore oggi la porti a te!". Tutto
Israele lo lapidò, li bruciarono tutti e li uccisero tutti a sassate"
(Gs.cap.7). Ebbene fratelli, il Vangelo di oggi ci annuncia le stesse parole
che ascoltò Giosuè: stiamo nascondendo un idolo nel cuore! Cercalo, e
consegnalo a Cristo, altrimenti la tua vita sarà un fallimento, e scapperai
pieno di paura davanti "a coloro che uccidono il corpo e dopo
non possono far più nulla": ti infilerai in ipocrisie sempre più sottili,
aggiungerai menzogna a menzogna, con tua moglie, i tuoi figli, i tuoi fratelli
e colleghi, perché nascondendo l'idolatria
dissimuliamo la nostra identità di figli di Dio e impediamo a Cristo di operare
con potenza; essa infatti si manifesta pienamente nella debolezza, non
nell'ipocrita autonomia dell'orgoglioso. Per questo Gesù si dirige "innanzitutto" a
noi, "suoi amici", per metterci in guardia dall'ipocrisia, il
vero pericolo per la Chiesa, che per sua causa diventa come il sale che perde
il sapore ed è "calpestato"; come gli ipocriti tra i farisei,
sepolcri di cui nessuno si avvede e per questo "calpestati", e come
noi, i discepoli, che perdendo la primogenitura
profetica, torniamo ad essere folla anonima che si "calpesta" a
vicenda: "Corruptio optimi pessima", ovvero
"ciò che era ottimo, una volta corrotto, è pessimo" (San Gregorio
Magno). L'ipocrisia è l'ostacolo più grande alla
missione, peggiore anche dei peccati. Ma coraggio, il Signore ha preso il
tuo posto! Tu hai portato sventura alla tua famiglia, alla Chiesa e al mondo
con la tua idolatria, ma la morte che meritavi ha raggiunto Cristo sulla Croce.
Accetta oggi quella che la storia ti presenta, dove puoi sperimentare il
perdono di Dio che estirpa dal tuo cuore l'idolatria "nascosta" per
deporvi la sua natura. Lasciati "attirare" da Cristo che ti vuol
"condurre nel deserto": entra nella storia di aridità e solitudine
che non sopporti, perché è proprio dove Lui vuole "parlare al tuo
cuore" per salvarti: nel tuo deserto, infatti, Gesù "trasformerà
la valle di Acòr (quella dove è stato lapidato e bruciato il colpevole della
disfatta del Popolo di Israele) in porta di speranza". Ascolta che cosa
dice il Signore di te attraverso il Profeta Osea: "Là (nel deserto,
proprio dove hai nascosto l'idolatria e hai sperimentato il fallimento del
peccato) canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando
uscì dal paese d'Egitto. E avverrà in quel giorno che mi chiamerai:
Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone. Le toglierò dalla
bocca i nomi dei Baal (gli idoli dei popoli pagani), che non saranno
più ricordati. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella
giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò
con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. Io li seminerò di
nuovo per me nel paese e amerò Non-amata; e a Non-mio-popolo dirò:
Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio" (cfr Os. cap 2).
Così sono salvati gli "amici" di Gesù, e per questo
chiamati alla "parresia" di gridare la mondo che esiste "mio
Dio", come la Maddalena dopo aver incontrato il Signore risorto lo ha
annunciato con franchezza e gioia senza temere di non essere creduta. La "parresia"
infatti, è il lievito che trasforma una massa anonima in una comunità. La
parola del Vangelo infatti è destinata ad essere rivelata a tutti. Quello che
gli apostoli predicavano "nel segreto" del catecumenato e delle
assemblee delle comunità sparse nel mondo, una volta fatto carne e vita nei
cristiani rinati da acqua e da Spirito, era "annunciato sui tetti",
sino al martirio. E così è stato durante tutta la storia della Chiesa. Anche
oggi la lucerna accesa dalla predicazione sarà posta sul candelabro: l'annuncio
sarà rivelato, ovvero autenticato dalla croce. Per questo Gesù
incoraggia i suoi amici - coloro che hanno sperimentato l'amore
più grande che si è chinato e ha lavato i loro piedi, l'amore sino alla
fine - a non temere il mondo e il suo principe: non hanno alcun potere sul
Vangelo. Esso è splendore della Verità; è la Buona Notizia che la morte è stata
vinta ed esiste il Cielo, il dopo sul quale il demonio non può far
nulla. Per questo è necessario che la Verità venga messa alla prova
nel crogiuolo della croce. L'odio del mondo è il liquido di contrasto che
rivela la purezza del Vangelo. Sulla croce,
nella persecuzione, nel rifiuto, nel martirio ogni segreto verrà alla luce:
se l'interno è stato purificato esso splenderà nell'amore; se invece è pieno di
iniquità sarà svelata l'ipocrisia. I "segreti" dei discepoli
sono le cose nascoste ai sapienti e agli intelligenti, ovvero i
segreti del Regno, della vita celeste che, nella debolezza e nella precarietà,
essi vivono già qui sulla terra, come primizie, lievito e profezia del destino
a cui è chiamato ogni uomo. Se frequentare la Chiesa non è una vernice di
ipocrisia spalmata su una vita doppia, da una parte il culto e dall'altra la
condotta di ogni giorno, ma conduce alla fede adulta, questa fermenterà come
lievito ogni pensiero, parola e gesto, e saprà vincere il mondo. Per questo il
Vangelo di oggi viene a saggiare la nostra fede con la Croce, l'unica che la
misura senza sbagliare. Se stai distendendo le braccia perdonando il tuo
nemico, oppure offrendo il dolore della malattia, allora significa che in te è
vivo Cristo per mezzo della fede adulta. Come sappiamo dal primo rito del
battesimo, essa ci dà la vita eterna, e chi ce l'ha non teme le
persecuzioni più feroci: sa che ogni suo capello è contato, perché la sua vita
è custodita nel cuore di Dio. Per questo un cristiano può amare donandosi nel
martirio, come lievito che salva il mondo. L’amore di Dio
infatti è un talento che non può restare «nascosto» nell’ipocrisia di chi cerca
in esso la propria gloria; l’amore invece è fecondo e "svela" all'
"esterno" le opere della fede che colmano
l'"interno". Ė come tra due sposi: con pudore «nascondono»
nell’intimità della «stanza più interna» effusioni e sguardi in un linguaggio
di parole e corpi che solo loro comprendono. Ma ognuno di quegli istanti
d’amore, pur restando un "segreto" sigillato tra i due, è destinato a
fissarsi scolpito nella vita dei loro figli, che in quei momenti ereditano dai
genitori la somiglianza. Così Gesù rivela il suo mistero "anzitutto"
ai suoi discepoli, scegliendoli come primizie perché "stiano con Lui"
sperimentando il suo amore che li fa immagine somigliante dello stesso Padre,
per farlo poi "conoscere" al mondo. Nell'intimità della comunità essi
si uniscono allo Sposo, per poi offrire al mondo i frutti della Grazia e della
Parola che hanno accolto e li ha ricreati. Per questo è necessario avere "stanze più interne"
dove essere iniziati alla fede adulta; "stanze" come il Cenacolo, dove gli apostoli si erano
"nascosti" per timore dei Giudei e hanno visto Gesù vivo passare
oltre le porte della morte e della paura, lo hanno ascoltato mentre annunciava
la Pace, hanno mangiato con Lui e hanno ricevuto lo Spirito Santo vittorioso su
ogni timidezza che li ha spinti fuori sino agli estremi confini della terra, ad
annunciare quello che avevano visto e udito, anche a costo della propria vita.
"Nulla" di tutto questo che avevano sperimentato è "rimasto
nascosto", ma è stato "svelato" dal loro annuncio e dalla loro
testimonianza! Per questo il Signore invita noi, "i suoi
amici" per i quali ha dato la sua vita, a vivere nel "timore" di
Dio, che, nella Scrittura, significa abbandono completo e senza condizioni a
Lui e alla sua fedeltà. Ciò significa Concretamente, ciò significa
"nasconderci" nel Cenacolo per passare dal "timore"
di "coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla",
dal demonio e da chi lo incarna, al "timore di Dio", che è un dono dello Spirito Santo che scende, appunto,
nel Cenacolo, immagine delle piccole comunità dove i cristiani della
Chiesa primitiva si "nascondevano" nell'intimità con Cristo, come poi
in ogni casa sino a che esse sono diventate chiese e basiliche, nelle quali i
discepoli dell'Agnello si sono ritirati mentre infuriava la persecuzione,
per "ascoltare" e "dirsi" le Parole della fede. Perché
solo nel seno materno della comunità i cristiani possono ricevere lo Spirito
Santo che li conduce con letizia a lasciarsi oltraggiare e uccidere per amore
del Nome di Gesù. La Chiesa, infatti, ci è donata per insegnarci ad
avere uno sguardo di fede su ogni evento, a non temere perché non vi è
centimetro calcato dai nostri piedi in cui Cristo non sia con noi. "I
capelli del nostro capo sono contati", e non è solo un modo di dire: è la
realtà dell'amore di Dio che cerca "hametz" (il lievito vecchio)
anche negli angoli più nascosti. Anche in un capello può nascondersi
un'insidia, come in una parola, in uno sguardo, in un pensiero: tutto è
"contato" perché nulla manchi all'appello della sua misericordia che compie la
nostra vita nell'amore dello Shemà senza trascurare nulla. Tutto è passato al
setaccio del fuoco dello Spirito Santo che purifica e ci dona il "timore, principio
della sapienza". Temere, infatti, è vivere sapendo che la
"Geenna" esiste, che la libertà che si fa chiusura ostinata alla
Grazia può condurre Dio a minacciare di "uccidere", proprio come dice
Gesù nel vangelo di oggi. Non scandalizzatevi, è la serietà con cui Dio prende
la nostra vita. Viene in mente l'episodio del sacrificio di Isacco; per conoscere
la verità e fortificare la propria fede Abramo doveva passare per
quella prova atroce. Doveva legare Isacco per entrare nella libertà che
genera l'amore e la parresia. Di fronte al cuore docile e obbediente di Abramo,
Dio dirà: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun
male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il
tuo unico figlio" (Ge. 22, 12). Il "timore" aveva reso
libero Abramo, al punto di offrire il suo unico figlio, al di là di ogni
ragionevolezza umana, nella fede che Dio lo avrebbe comunque riscattato dalla
morte. Dio non aveva ucciso, lo aveva provato e
per questo gli ha mostrato l'ariete che già aveva
provveduto. Chi si chiude nell'orgoglio, invece, alla fine dovrà sacrificare
davvero quello che ama, e non si accorgerà della misericordia di Dio che ha già consegnato
Cristo per la sua salvezza. Anche per noi è preparato il Moria
della prova dove vivere nel "timore" di Dio, come su un letto d'amore
dove donarci a Cristo e attingere il Lui lo zelo e l'amore per ogni
uomo. Nella prova, infatti, gli "amici" di Gesù sono il
segno profetico che desta nella "folla che si accalca"
l'interrogativo capace di aprire il cuore a Cristo, quello che un
cristiano senza fede diluirebbe nell'ipocrisia del buonismo: davvero Dio mi
ama? Nelle situazioni che sembrano negare l'esistenza di Dio e il suo amore, i
discepoli crocifissi con Cristo rivelano il segreto più intimo di
Dio: Dio ama ogni persona così come è. Ognuno "vale"
infinitamente, tu ed io, come il più grande peccatore "vale" il
sangue di Cristo! Il mondo non lo sa, e per questo "vende cinque passeri
per due soldi", disprezza le persone per le quali Gesù ha pagato il
riscatto con la sua vita. Nella società che si definisce civile, come
purtroppo a volte anche nelle nostre case e nei nostri cuori, gli uomini sono
passeri indifesi, "valgono" solo in funzione di un capriccio, di una
concupiscenza, cioè nulla. "Davanti a Dio" no, tutti i piccoli,
i poveri, i disprezzati, gli incoerenti, i peccatori, sono custoditi nella sua memoria: "Il nostro nome è nel cuore
di Dio, proprio nelle viscere di Dio, come il bambino è dentro la sua mamma.
Questa è la nostra gioia di essere eletti. Non si può capire solo con la testa.
Neppure solo col cuore. Per capire questo dobbiamo entrare nel Mistero di Gesù
Cristo... Questo atteggiamento di entrare nel Mistero dobbiamo
impararlo ogni giorno. Il Mistero
non si può controllare: è il Mistero! Io entro" (Papa Francesco). Entriamo
attraverso la Chiesa, dove sperimentiamo che ogni nostra lacrima è raccolta
dalla mano di Dio per essere trasformata in un diamante purissimo e
incorruttibile. In esse, infatti, il Padre vede il sangue del suo Figlio colare
per distruggere il male e la morte. Nella vita dei cristiani risuona "in
piena luce" proprio questa notizia: sono loro le lacrime risplendenti
dell'amore di Dio che, come il lievito, con il potere umile della Croce,
fermenta e apre il mare della disperazione alla massa degli uomini che
giacciono schiavi in Egitto.
Nessun commento:
Posta un commento