La migliore comprensione del Nuovo Testamento può essere solo una conseguenza indiretta di uno studio disinteressato dell'ebraismo, studio che trova in se stesso la propria giustificazione. È ciò che vorrei mostrare in questo capitolo presentando una tradizione rabbinica secondo la quale il yod non può scomparire dalla Torah. Qui non si tratta di proporre un commento teologico o halakico all'espressione di Matteo: «Non passerà neppure un iota dalla Legge»,2 ma di mostrare che il tema della lettera più piccola che non può scomparire è un tema classico nella letteratura ebraica antica, nella quale viene illustrato in un modo che sarà certamente per molti di noi piuttosto inaspettato. Il tema compare in quattro haggadot che si trovano, con varianti, in vari testi antichi,3 tre di queste unità hagga-diche sono generalmente associate nelle fonti. La quarta, che non ha parallelo, si trova nel Talmud.
Anche se le versioni di queste tradizioni sono piuttosto numerose, qui ci atterremo, per quanto possibile, a quella di Levitico Rab-bah,4 che è probabilmente la più antica, salvo certe varianti o dettagli degni di nota che si trovano solo nei testi paralleli.
L'intero passo del midrash vuole mostrare che nessun dettaglio della Torah è inutile o insignificante. Il midrash si sofferma a lungo sull'utilità di quelli che esso chiama qotsim. Il termine significa «spine». Nel contesto, indica le «punte» che compaiono nella scrittura di certe lettere. I qotsim, dice Levitico Rabbah, sono talmente importanti da garantire la continuazione della creazione. Infatti, spesso sono questi piccoli segni a distinguere le une dalle altre lettere che hanno una forma pressoché identica e la cui confusione provocherebbe, secondo le nostre fonti, il crollo del mondo. Seguono vari esempi:
Se trasformi daleth (i) in resh ("i), distruggi il mondo intero, come [in]: «Ascolta, Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è UNO: ITO» (Dt 6,4).
Per chi conosce la lingua ebraica, la cosa è talmente evidente che l'autore del midrash non ha bisogno di dimostrarla, il che lo porterebbe del resto a fare lui stesso ciò che condanna. Comunque forse non è inutile fornire una spiegazione: la confusione fra daleth e resh provocherebbe la sostituzione di «uno» (IR) con «altro» (IR), il che equivarrebbe a negare il monoteismo e quindi ad aprire la porta all'idolatria.
È vero anche il contrario, come mostra l'esempio seguente:
Se trasformi resh (i) in daleth (i), distruggi il mondo, come [in]: «Non ti prostrerai davanti a un altro dio» (Es 34,14).
Qui la confusione fra le due lettere porterebbe a leggere: «davanti a Dio uno» invece di «davanti a un altro dio».
Se trasformi beth (n) in kaf(3), distruggi il mondo intero, come [in]: «Essi rinnegano il Signore» (Is 8,17).
Qui beth è il prefisso che precede «il Signore»; sostituirvi un kaf equivarrebbe a sostituire «il Signore» con «come il Signore».
Se tu trasformi kaf (2) in beth (n), distruggi il mondo intero, come [in]: «Non c'è santo come Dio» (ISam 2,2).
Qui, la sostituzione di kaf con beth farebbe dire al testo che non c'è nulla di santo in Dio!
Se trasformi beth (n) in he (n), distruggi il mondo intero, come [in]: «Non profanate il mio santo Nome» (Lv 22,32).
La sostituzione di he a het equivarebbe infatti a sostituire «profanare» ['p'n] «lodare» [^n].
Se trasformi he (n) in heth (n), distruggi il mondo intero, come [in]: «Tutto ciò che respira lodi [^nn] il Signore, alleluia» (Sai 150,5).
Qui il risultato sarebbe l'opposto di quello precedente: «lodare» diventerebbe «profanare».
I testi paralleli contengono altri esempi che non è necessario riferire qui in dettaglio.5 Ma prima di continuare mi sembra utile fare un'osservazione. Non fraintendiamo il senso e l'importanza di questi commenti. Con la nostra mentalità occidentale potremmo vedervi un semplice gioco gratuito. In realtà, essi esprimono il rispetto del popolo di Israele per le Scritture e la convinzione che la Torah non solo è ispirata per le verità che contiene, ma è sacra anche nella sua espressione letterale, per cui ogni modifica del testo è una profanazione che mette in pericolo tutta la creazione. Non si può mancare di rispetto alla parola del Creatore senza mettere a repentaglio la creazione. Non dobbiamo dimenticare che, secondo la tradizione rabbinica, il mondo è stato creato mediante le lettere della Torah.6
Questo passo riporta anche due haggadot che mostrano, in un modo particolarmente pittoresco, che nulla, neppure il più piccolo dettaglio, può scomparire dalla Torah.
Esse sono introdotte da una citazione del Cantico dei cantici: «I suoi riccioli sono grappoli di palma,7 neri come il corvo» (Ct 5,11). Il collegamento stabilito dal midrash fra il corvo e il yod, a prima vista inatteso, si spiega con il fatto che tutto questo passo del Cantico viene interpretato allegoricamente in relazione alla Torah.
Rabbi Alexandri Bar Agri e rabbi Alexandri Karovin8 dicono: «Anche se tutti gli uomini si riunissero9 per sbiancare un'ala del corvo non vi riuscirebbero; e se tutti i popoli del mondo si riunissero per strappare un elemento dalla Torah, non vi riuscirebbero».10 Da dove lo impari? [Dalla storia] del re Salomone, dal fatto che egli volle strappare un elemento della Torah e quest'ultimo salì [al cospetto di Dio] per accusarlo. E chi fu questo accusatore? Rabbi Yehoshua ben Levi dice: «L'accusatore fu il yod di yirbeh».11 Shimon ben Yohai insegnò: «II libro del Deuteronomio [Sefer Mishne Torah] salì e si prostrò davanti al Santo, benedetto egli sia, e disse davanti a lui: "Signore del mondo, Salomone mi ha strappato e mi ha annullato, infatti ogni testamento nel quale sono cancellati due o tre elementi è interamente annullato. Ed ecco che il re Salomone vuole strapparmi un yod"».
Perché il re Salomone avrebbe voluto togliere un yod dalla Torah? Perché la presenza di un yod in un passo del Deuteronomio gli impediva di avere molte donne. Ma continuiamo a leggere Levitico Rabbah:
Sta scritto: «[il re] non abbia molte [lo' yirbeh: Turno] mogli» (Dt 17,17) ed egli ebbe molte mogli; «non abbia molti cavalli» (v. 16) ed egli ebbe molti cavalli; «non abbia molto argento e oro» (ibid.) ed egli ebbe molto argento e oro... Il Santo, benedetto egli sia, gli rispose:12 «Va! Salomone e cento come lui scompariranno, ma mai un yod scomparirà da te».
Nel passo del Deuteronomio che qui viene citato, tutta la forza del divieto sta nella presenza del yod ('), che, in ciascun caso, è il segno di un futuro con valore di imperativo: lo' yirbeh: (n:rs"p), «non moltiplicherà», cioè «non moltiplichi». Scompaia questo yod e il divieto non varrà per Salomone. Prima di proseguire, evidenziamo in Esodo Rabbah una variante non priva di interesse:
II Santo, benedetto egli sia, gli disse: Salomone e mille come lui scompariranno, ma io non ti toglierò mai una punta.13
Esodo Rabbah (6,1) aggiunge una riflessione sul comportamento di Salomone: ha voluto «fare il sapiente» riguardo alla decisione di Dio. Il Deuteronomio dice infatti: «Non dovrà avere un gran numero di mogli e sviare il suo cuore» (Dt 17,17). Secondo il midrash, Salomone si è chiesto: «Perché il Santo, benedetto egli sia, ha detto: "non moltiplichi le mogli"?, per "non sviare il suo cuore". Moltipli-cherò [le mogli], ma il mio cuore non si svierà». Avendo compreso la motivazione del divieto, ha creduto di poterne non tenere conto, ma ha sopravvalutato le proprie forze.14
Perché la tradizione ha scelto di illustrare con la storia di Saio-mone queste affermazioni sul carattere intangibile della più piccola lettera della Torah? Forse a causa della flagrante contraddizione fra le disposizioni di Dt 17,14-20 - la tradizione sottolinea che si tratta di comandamenti che riguardano solo il re - e il reale comportamento di Salomone, che ha trasgredito tutti questi avvertimenti. Forse anche perché si trova per ben due volte nel Deuteronomio il solenne divieto di togliere qualsiasi cosa dalla Torah: «Non aggiungerete nulla alle parole dei comandamenti che io vi do e non ne toglierete nulla» (Dt 4,2); «Non vi aggiungerai nulla e nulla ne toglierai» (Dt 13,1). Probabilmente per questo, nella nostra haggadah, è lo stesso libro del Deuteronomio e non solo il yod ad andare a lamentarsi davanti al trono di Dio per il comportamento di Salomone che vuole togliergli una lettera.
In Levitico Rabbah, la storia di Salomone è immediatamente seguita da una doppia haggadah relativa al yod. Riguarda il yod che compariva nel nome di Sarai, la moglie di Abramo, prima di diventare Sara.
Il primo commento si basa sul valore numerico delle lettere:15
Rabbi Huna dice in nome di rabbi Aha: «II yod che il Santo, benedetto egli sia, aveva tolto dal nome di Sara, lo divise in due: metà per Abramo e metà per Sara».
Poiché yod vale dieci, si può pensare che sia stato diviso in due, sotto forma di due he, lettera il cui valore numerico è cinque. Uno di questi due he è stato dato ad Abram quando è diventato Abraham (Gen 17,5) e l'altro a Sarai quando è diventata Sarah (Gen 17,15). Yod non è quindi scomparso.
Nella haggadah che segue immediatamente lo stesso yod protesta per la sua temporanea esclusione dalla Torah:
Rabbi Yehoshua ben Korkha dice: «II yod di Sara salì e si prostrò davanti al Santo, benedetto egli sia. Disse davanti a lui: "Signore del mondo, tu mi hai strappato dal nome di una [persona] giusta". 11 Santo, benedetto egli sia, gli disse: "Va! Prima tu eri nel nome di una donna e al termine della parola. Ora, io ti metto nel nome di un uomo e all'inizio della parola, come è detto: 'Mosè chiamò Hoshea [stìin, Osea], figlio di Nun, Yehoshua [stivr, Giosuè]' (Nm 13,16)"».
Il yod scomparso dal nome di Sarai è quindi diventato la prima lettera di Yehoshua, Giosuè. Il fatto che una lettera possa andare a lamentarsi davanti a Dio non deve stupirci: «Ogni lettera, scrive Y. Heinemann, ha una vita indipendente»16 e il caso di yod non è che un esempio, fra molti altri, di questo carattere in qualche misura personale che si riconosce alle lettere della Torah.
Notiamo ancora in Genesi Rabbah una variante che ci avvicina al testo di Matteo e nella quale yod chiede a Dio: «Signore di tutti i mondi, è forse perché sono la più piccola di tutte le lettere che tu mi hai tolto dal nome di Sarah, la giusta?».
Resta da presentare infine un'ultima haggadah, che si trova nel Talmud babilonese, nel trattato Sanhedrin 107a. Si tratta di un mi-drash sul salmo 19. Secondo un procedimento classico nelle fonti, il testo biblico viene inserito in un racconto e scomposto in modo tale che ogni versetto o frammento di versetto sia interpretato come un elemento di un dialogo. Ecco anzitutto i passi del salmo che saranno ripresi dal midrash: «Chi nota i suoi smarrimenti involontari? Perdonami le colpe nascoste. Perdona al tuo servo anche i peccati di orgoglio; che essi non abbiano potere su di me; allora io sarò perfetto, sarò puro dal grande peccato» [vv. 13-14].
Il Talmud immagina un dialogo fra Davide e il Santo, benedetto egli sia. In questo dialogo, i versetti del salmo sono oggetto di un vero mercanteggiamento - è lo stesso Talmud a presentare le cose in questo modo - nel corso del quale Davide formula richieste sempre maggiori; l'obiettivo è ottenere da Dio la soppressione di un intero passo della Scrittura: il racconto del peccato commesso da Davide con Betsabea.
Rabbi Destai de Biri fece questo commento:
«A chi è paragonabile Davide? A un mercante samaritano.17 Davide dice davanti al Santo, benedetto egli sia:
"Signore del mondo, chi nota i suoi smarrimenti involontarii" (Sai 19,13). Gli rispose: "Ti sono perdonati".
- Perdonami le mie colpe nascoste (ibid.)
- Ti sono perdonate.
- Perdona al tuo servo anche i peccati di orgoglio (ibid., 14).
- Ti sono perdonati.
- Essi non abbiano potere su di me, allora io sarò perfetto (ibid.): i saggi non abbiano nulla da dire su di me.
- Ti sono perdonati.
- E io sarò puro dal grande peccato (ibid.). Il mio peccato non sia scritto».
Qui il «grande peccato» è l'affare Betsabea ed è lì che Davide voleva arrivare. Ma Dio rifiuta ogni altra concessione!
Gli rispose: «È impossibile! Se il yod che io ho tolto a Sarai ha continuato a gridare per anni, finché non giunse Giosuè al quale l'ho aggiunto, come è detto: "Mosé chiamò Osea [stìin],figlio di Nun, Giosuè [xnim]" (Nm 13,16), a maggior ragione un intero capitolo!».
La conclusione di questo passo del Talmud ci fa ritrovare il re Sa-lomone, ma questa volta nelle vesti del moralista che moltiplica i consigli di prudenza:
«Sarò puro dal grande peccato». Disse davanti a lui:18 «Signore del mondo, perdonami tutto questo peccato». Gli rispose: «Tuo figlio Salomone dirà nella sua sapienza: "Qualcuno prende del fuoco su di sé senza che i suoi vestiti brucino?" O, se cammina su carboni ardenti, i suoi piedi non si bruceranno? Così accade a colui che va verso la moglie del suo prossimo: chiunque la tocca non ne uscirà indenne (Pr 6,27-29)». (Davide) gli disse: «Quest'uomo19 sarà quindi rigettato?». Gli rispose: «Addossati le tue sofferenze». Ed egli se le addossò.
Questa conclusione ci conduce a un'ultima osservazione: queste haggadot su Davide e Salomone hanno un elemento comune: vogliono stabilire una relazione diretta fra il rispetto dell'integrità della Scrittura e la condotta morale del credente. Per gli autori di questi commenti il rispetto della Scrittura è un principio che non tollera concessioni. Non lo si può prendere e lasciare. Trascurare o sopprimere anche una sola lettera della Torah equivale a trasgredire i comandamenti e quindi la volontà del Creatore.
Quale accostamento si può fare fra queste tradizioni e l'espressione di Gesù sul iota e sui più piccoli segni della Legge che non passeranno? Il problema dell'età delle tradizioni haggadiche è una questione cui spesso è impossibile rispondere con certezza.20 Perciò, ci si guarderà bene dall'affermare che l'autore del primo Vangelo avrebbe potuto conoscere queste haggadot nella forma in cui ci sono pervenute. Ma sarebbe ugualmente imprudente affermare il contrario.
In compenso, la presenza nel primo Vangelo del tema del iota che non può scomparire21 - abbiamo visto quale importanza esso rivesta
1 Questo capitolo riproduce il testo di una relazione tenuta al Centre Ratisbonne il 27 ottobre 1999, in occasione di una giornata in onore di Pierre Lenhardt.
2 Mt5,18.
3 P Sanh. 2,8; Sanh 107a; Gen R 47,1; Es R 6,1; Lv R 19,2; Nm R 18,21; Ct R 5,11; Haggadat Bereshit 76; Tank. Wa'era 5; Tank. Qorah 12; Tank. B Wa'era 2; Midrash Hehafets Gen 17,15; Leqakh Tov Gen 17,15; Midrash Shir-Hashirim 5,11.
4 Salvo indicazione contraria, le traduzioni dei testi rabbinici, qui e in tutto il volume, sono quelle dell'autore. Cf., inoltre, la nota 16, p. 32.
5 Cf. anche Shab. 103b, che sottolinea la necessità di scrivere le lettere con la mg-giore precisione possibile per evitare qualsiasi confusione.
6 Cf., in particolare, Ber. 55a; Men. 29b; Gen R 1,10-11. Cf. Eb 1,3 sulla parola che sostiene il mondo.
7 Cito dalla TOB, la cui nota spiega che i frutti di certe palme sono neri.
8 I nomi dei due rabbi presentano molte varianti nelle fonti.
9 «Se tutti gli uomini si riunissero»: formula relativamente classica. Cf. Gen R 39,14 su Gen 12,5: «Se tutti gli uomini si riunissero per creare una zanzara, non potrebbero darle la vita».
10 II Midrash Shir Hashirim (5,11) spiega questo accostamento fra l'ala del corvo e il yod: «"Nere come un corvo": sono le lettere [della Torah]»; è impossibile sbiancare, cioè cancellare, una lettera della Torah come è impossibile sbiancare l'ala di un corvo.
11 Togliere il yod da yirbeh, in Dt 17,17, cambia il senso della frase. Cf. sotto.
12 Al Deuteronomio.
13 Cf. anche Men. 34a, che ricorda la «punta» (qots) di un yod.
14 Es R e Tank. Wa'era continuano con un piccolo midrash sul nome di Me, che compare in Pr 30,1 e può essere interpretato come «Dio è con me». Salomone significa, secondo il midrash, «Dio [o la forza] è con me, io potrei [resistere alla tentazione]». Secondo rabbi Yitzaq, il senso dei precetti della Torah non è stato rivelato perché, negli unici due casi in cui la loro motivazione viene indicata nella Scrittura, sono stati trasgrediti da «uno dei grandi del mondo», Salomone: in questo caso specifico e nel caso del divieto che precede immediatamente («Non dovrà possedere molti cavalli e far ritornare il popolo in Egitto», Dt 17,16); Salomone ebbe molti cavalli che provenivano dall'Egitto (IRe 10,26-28) [Sanh. 21b; BM 115a; Qo R 1,1; 8,17; Yalq. II, 195],
15 Nell'ebraico rabbinico, le lettere dell'alfabeto vengono occasionalmente usate come numeri (la prima lettera,a/e/, vale 1 ; la seconda, beth,2, ecc.), il che da luogo a quelle speculazioni sul valore numerico delle parole che vanno sotto il nome di gematria.
16 Y. HEINEMANN, Darekhei haaggadah (I metodi della haggadah), Magnes, Gerusalemme 1954,103.
17 Letteralmente, cuteo.
18 È Davide a riprendere la parola.
19 Davide parla di se stesso.
20 Cf. il capitolo precedente.
21 Questo tema del yod o del iota che non può scomparire si ritrova nei padri della Chiesa. Cf., ad esempio, il commento di Afraate a Mt 5,18: «Ecco ciò che dice nostro Signore: Nessuna lettera yod passerà dalla Torah e dai profeti finché tutto non sia accaduto» (Aphraate le sage persan. Les Exposés [Sources chrétiennes 349 e 359], 2 voli., Cerf, Paris, 1,1989,245-246). Cf. anche la nota 27, ibid. Afraate interpreta il yod in base al suo valore numerico, vedendovi un'allusione ai dieci comandamenti. Per ORICENE (Filocalia XI, 1-3) nessun dettaglio della Scrittura è insignificante; cf. B.L. VISOTZKY, «Jots and Tittles: On Scriptural Interpretation in Rabbinic and Patristic Literatures», in Prooftexts 8(1988), 257-269; l'autore cita anche Gregorio di Nazianzo, Girolamo e Crisostomo.
nella tradizione ebraica posteriore - non si può spiegare con una semplice coicidenza. Il Vangelo di Matteo attesta chiaramente che, fin dall'epoca del Nuovo Testamento, il rispetto del yod e delle punte delle lettere era già considerato il segno del carattere intangibile della Torah, dalla quale non si può togliere nulla.22
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