Giovedì della XII settimana del Tempo Ordinario. Commento completo e approfondimenti






Passaporto valido per il Paradiso è quello che dimostra la nazionalità del possessore: non bastano i dati anagrafici, l'importante è che non sia scaduto; deve avere il timbro che ne attesti la validità, mentre la fotografia non può essere quella di troppi anni prima. Fuor di metafora, Il battesimo ricevuto, le Grazie che hanno accompagnato la vita, i luoghi della storia che Dio ci ha donato, devono avere il sigillo del "compimento della Volontà del Padre che è nei cieli", l'unica prova certa della cittadinanza celeste: "Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo" (Ef. 2,10). "In quel giorno", quello del Giudizio, i cittadini del Cielo busseranno alla "dogana" del Paradiso e potranno esibire il "documento" valido per entrarvi, mentre quelli che non l'avranno rinnovato, resteranno fuori. Nel Cristianesimo nulla è magico! Ci si può convertire in un momento, certo, come quando uno si salva miracolosamente da un incidente stradale. Ma poi il seme di quella conversione va curato, difeso e fatto crescere. Occorre "rinnovare" giorno per giorno il documento che ci ha resi cristiani, il battesimo che ci ha rigenerati come figli di Dio: "La persona umana non è padrona assoluta di se stessa. Essa è creata da Dio. Il suo essere è un dono: ciò che essa è e il suo esserci stesso sono dono di Dio. “Siamo, infatti, opera sua, creati in Cristo Gesù”. Ricevendosi continuamente dalle mani creatrici di Dio l’uomo è responsabile davanti a lui di ciò che compie. Quando l’atto compiuto liberamente è conforme all’essere della persona, è buono" (Giovanni Paolo II). Le opere di vita eterna che ci faranno "riconoscere" dal Signore sono le opere libere e conformi alla nuova natura ricevuta dall'intimità con Lui. Per questo il Signore conclude il Discorso della Montagna nel verbo "conoscere". Lo affermava il catechismo di San Pio X circa il fine per il quale ogni uomo è creato: ""Per conoscere, amare e servire Dio in questa vota e goderlo per tutta l'Eternità". Dal primo istante della creazione sino ad oggi, Dio ha fatto tutto per farsi conoscere e attirarci nella sua intimità. Ha creato l'uomo per il Paradiso, il luogo della conoscenza innocente, pura, senza barriere. Ma, istigato dall'invidia e dalla gelosia del demonio, non gli è bastato conoscere nell'abbandono fiducioso della creatura. Ha voluto essere come Dio ma è precipitato sulla terra, il luogo della non conoscenza di Dio. Il mondo, infatti, giace sotto il potere dell'anticirsto, del demonio che ha rifiutato l'intimità con il Creatore. Ma Dio non ha abbandonato la sua creatura, e ha fatto della terra il luogo della conversione, aprendo per ogni uomo un cammino per ritornare alla perfetta intimità con Lui. Leggete la Scrittura e vi renderete conto come ogni pagina trasudi di gelosia e misericordia, nell'Antico come nel Nuovo Testamento. Dio ci ama e non può rassegnarsi a vedere l'uomo lontano da Lui. Per questo, dopo una lunga preparazione dove con amore infinito ha attirato a sé il Popolo di Israele, nella pienezza dei tempi ha inviato sulla terra suo Figlio, perché vedendolo potessimo vedere il Padre, e accogliendolo fossimo riaccolti nella sua intimità. La vicenda umana di Gesù culminata sul Calvario è stata la porta del Paradiso che il Padre ha dischiuso dinanzi a ogni uomo. Il destino celeste della nostra vita si gioca, quindi, sul rapporto che abbiamo con Gesù: se lo abbiamo accolto, se da Lui ci siamo lasciati perdonare. Per "entrare" nella Gerusalemme celeste occorre aver vissuto nella Gerusalemme terrestre, immersi nel sangue di Cristo colato sulla "Roccia" del Calvario. Entrerà in Cielo chi, sulla terra, avrà vissuto ai piedi della Croce, "rimanendo nell'amore" di Cristo che bagna e lava, istante dopo istante, ogni colpa; chi avrà "fondato" la sua vita sulla Roccia del perdono, restando umilmente aggrappato alla speranza e alla fede nell'amore Cristo, che "ha tolto di mezzo il documento scritto della nostra colpa, inchiodandolo alla croce” (Col 2, 14). Per questo, al termine del Vangelo, Gesù chiederà a Pietro: "mi ami tu più di costoro?". In questa domanda possiamo leggere le severe parole di Gesù al termine del Discorso della Montagna. Quando dichiarerà "non vi ho mai conosciuti", Gesù in effetti starà chiedendo se lo abbiamo amato, se in quel momento avremo amore a Lui più di coloro che non lo hanno mai conosciuto. "In quel giorno", quello del giudizio, ci sarà chiesto che cosa ne abbiamo fatto dell'infinito amore con il quale Lui ci ha amati. Perché esso, se accolto, non può restare infruttuoso; è uno tsunami inarrestabile, afferra chi inonda e lo spinge ad amare. Nella debolezza certo, nell'infedeltà che ha ferito anche Pietro. Ma anche e soprattutto nell'umile abbandono che ama non per i propri meriti, ma nella forza dirompente dell'amore di Cristo. "In quel giorno" i santi, i cristiani umili e sconosciuti, non avranno da esibire altro che peccati e debolezze, perché sanno bene che il bene compiuto non è opera loro. Ma proprio quei peccati immersi e lavati nel sangue di Cristo saranno il passaporto valido per entrare nel Paradiso. Perché Cristo lo si conosce laddove Egli ci conosce: nei peccati dove Lui è sceso per amarci. I "molti" che "in quel giorno" si appelleranno alle proprie opere compiute "nel nome di Cristo" non hanno capito nulla: ogni pensiero, parola e gesto che non sia mosso dall'amore, infatti, è solo concupiscenza e orgoglio, segno di una vita mondana e contraria alla natura divina deposta in essa, con la carne a guidarne le scelte. Essi non hanno "conosciuto" il Signore, impedendo a Lui di "conoscerli" nelle loro debolezze. Sono come il fariseo salito al Tempio per pregare e che, esibendo la propria pretesa giustizia, torna a casa senza essere giustificato. Come auspicava San Paolo per se stesso, era stato "trovato in Cristo, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede" (Fil 3,9). Quel pubblicano - non stupitevene... - ha "compiuto la volontà di Dio", e per questo è tornato a casa giustificato, ovvero è entrato nel Regno di Dio. Era entrato nel Tempio come Cristo è entrato nel Getsemani, con un cuore contrito e umiliato, consapevole della propria debolezza, e confidando completamente nell'amore del Padre. E' il rovesciamento dell'attitudine superba di Adamo ed Eva di fronte alla tentazione del demonio. Gesù stesso, infatti, ha detto che la volontà di Dio è che conoscano Dio e Colui che il Padre ha mandato. In questa conoscenza intima, nell'abbandono senza riserve, si accoglie e si compie la volontà del Padre. Per questo la porta del Regno dei Cieli si affaccia sul Getsemani. E' qui che il vuoto e tronfio "Signore, Signore" è trasformato in "Abbà, Papà, non come io voglio, ma come vuoi tu". E' qui che si gioca, giorno per giorno, il nostro entrare nel Cielo. Dopo il combattimento nel Getsemani Gesù è entrato sereno in tutto quello che lo aspettava, ed era già Regno dei Cieli. Tra colpi, sputi, insulti, menzogne e calunnie, flagello e corona di spine, già si respirava l'atmosfera fresca dell'amore eterno. Proprio la sua Passione dimostrava che Gesù era Figlio di Dio: nell'Uomo dei dolori che aveva accolto la volontà de Padre, sceso sino a quel limite estremo dove l'umanità era precipitata, il Padre ha conosciuto il Figlio. Aveva infatti lo stesso cuore infiammato d'amore, aveva a cuore quello a cui il Padre teneva di più, le due volontà rimbalzavano l'eco una nell'altra. Così anche per noi, il "mettere in pratica la Parola" sarà un frutto della consegna al Padre che faremo con Cristo ogni giorno: "il cristianesimo non è un moralismo, non siamo noi che dobbiamo fare quanto Dio si aspetta dal mondo, ma dobbiamo innanzitutto entrare in questo mistero ontologico: Dio si dà Egli stesso. Il suo essere, il suo amare, precede il nostro agire e, identificati con Lui, nobilitati con il suo Sangue, possiamo anche noi agire con Cristo" (Benedetto XVI). Per questo è fondamentale l'intenzione retta del cuore, che nasce dallo stare con Cristo nel Getsemani, come i piccoli dei passeri che si nascondono nel nido, allungano il collo e aprono la bocca per ricevere il cibo dalla madre. Non compiremo la volontà di Dio perché preti, o suore, o missionari, o padri e madri sposati in Chiesa, ma perché "poveri di Spirito, afflitti e affamati" che si abbandonano a Dio. Non entreremo nel Regno se continueremo a confidare in noi stessi e nel nostro "fare" in parrocchia e ovunque. Già Geremia, non a caso alla porta del Tempio, immagine della porta del Paradiso, ammoniva il Popolo di Israele: "Ascoltate la parola del Signore, voi tutti di Giuda che attraversate queste porte per prostrarvi al Signore... non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo! Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni... io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre. Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà... Ora, poiché avete compiuto tutte queste azioni e, quando vi ho parlato con premura e sempre, non mi avete ascoltato e, quando vi ho chiamato, non mi avete risposto, io vi scaccerò davanti a me" (Ger 7,1-15). Uno può "profetare" e "cacciare demoni", può anche "fare miracoli nel Nome di Gesù" - perché Lui ama gli uomini e, per salvarli, si fa presente anche nelle mani indegne dei presbiteri che, nascostamente, si trovano in peccato mortale - ma se non è mosso dallo stesso Spirito non gli appartiene; se le parole e i gesti non sorgono dall'intima conoscenza di Cristo non servono per "entrare nel Regno dei Cieli". Rimangono profezie, esorcismi, miracoli che beneficano chi li riceve, ma lasciano fuori dalla gioia e dalla pace chi li compie. Perché nel Cielo entra chi il Cielo ha cominciato a viverlo sulla Terra. Chi, giorno dopo giorno, ha lasciato che il Padre scolpisse in lui l'immagine del Figlio. Non dimentichiamo che, come i maghi e gli indovini del faraone al tempo di Mosè, anche il demonio compie i suoi miracoli... Solo una cosa però non può fare, perché schiavo della superbia: compiere la volontà di Dio. E' questa la profezia autentica che i falsi profeti non annunceranno né compiranno mai; è l'esorcismo che strappa le persone alle tenaglie dell'egoismo; è il miracolo che pianta il Cielo sulla terra. Nessuno può compierla se non è strettamente unito a Cristo. Per questo tutti scappano dalla sofferenza e dalla morte; tutti fuggono inorriditi dalla Croce. E' opera della Grazia, della vita divina ricevuta nel battesimo, cresciuta sino a una statura adulta attraverso l'Iniziazione Cristiana, e custodita dalla formazione permanente con cui la Chiesa accompagna i suoi figli. Il Discorso della Montagna ha dipinto l'uomo nuovo rinato in Cristo, identificato con Lui, immagine dell'uomo celeste; l'uomo che vive i suoi giorni come un anticipo del Paradiso, nell'intimità con il Padre che si incarna nell'obbedienza alla sua Parola; i cristiani che si offrono con Cristo nel Gestemani, restano con Lui crocifissi, per entrare nel Regno di Dio. Come te e come me, oggi. "Quel giorno", infatti, è quando si avvicina la moglie stanca e nervosa, il figlio che ha smarrito la bussola, il collega insopportabile, quando in banca ci rifiutano un prestito, quando qualcosa ci spezza il cuore e stravolge i nostri piani. E' il giorno di oggi che ci è dato per rinnovare nell'amore che ci fa donare senza riserve, il nostro passaporto per il Cielo, anche perché non sappiamo se oggi saremo chiamati e dovremo lasciare la terra. Ogni giorno siamo di fronte a un bivio: o Cristo che ci salva e ci fa figli dello stesso suo Padre, o noi e le nostre illusioni figlie dell'inganno del demonio; o il bene che è la volontà di Dio, o il male, che è la nostra volontà. Non si può costruire la vita su altre fondamenta. Per questo urge convertirsi, e provvedere all’olio dello Spirito Santo quali vergini "sagge" e prudenti. Chi lo avrà entrerà nel Banchetto; chi, stoltamente e superficialmente, avrà dimenticato di procurarselo, resterà fuori. Il Signore ci chiama oggi a ricorrere senza paura alla Chiesa perché ci doni la "Sapienza" celeste; a camminare in essa per imparare ad "ascoltare" per "mettere in pratica". Il Discorso della Montagna è un seme deposto in ciascuno di noi attraverso l'ascolto della predicazione, ma senza le cure della Chiesa esso non può crescere e compiersi nella nostra vita. La Chiesa, infatti, è la "casa costruita sulla Roccia": nelle sue assemblee "queste sue parole" sono proclamate e annunciate, lo Spirito Santo vi scende copioso come il giorno di Pentecoste per coniugarle nelle diverse lingue che parliamo, illuminando così le nostre storie passate e le vicende presenti per farci aprire e accoglierle umilmente; attraverso i sacramenti le sigilla realizzandole nel nostro intimo; e così potremo "metterle in pratica" nella porzione di mondo dove siamo stati chiamati a vivere. "Costruire la casa sulla Roccia" significa allora rimanere nella Chiesa e lasciarsi guidare da lei. "Costruire la casa sulla sabbia" significa, invece, preferire il mondo e uscirne, lasciandosi condurre dal principe di questo mondo. "I venti" dei pensieri e delle tentazioni, delle parole che ci diranno, "la pioggia" dei nostri desideri mondani che ci bagneranno e ci sembrerà di affogare, "i fiumi" delle avversità, delle malattie, delle persecuzioni si "abbatteranno" e "strariperanno" su di noi, perché siamo ancora sulla terra; ma "non cadremo", perché la Chiesa, da duemila anni, nonostante quanto le sia occorso, non è mai "caduta". Ha vacillato, ma non è "caduta", perché fondata sulla Roccia che è Cristo, sul suo amore più forte della morte e del demonio. Al mondo, invece, bastano quattro gocce per farlo rovinare in macerie. Ma proprio per offrire al mondo una certezza che lo accompagni nel "Regno dei Cieli", il Signore ci ha chiamato nella Chiesa; perché chiunque ci incontri possa scoprire in noi la "casa" incrollabile che li aspetta per salvarli. 



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