Mercoledì della XXII settimana del Tempo Ordinario


Affresco bizantino nella città di Mistra


αποφθεγμα Apoftegma

Gesù sa toccare con cura le vene, sa scrutare nei segreti del male. 
Non tocca le orecchie, non tocca la fronte, 
né tocca alcuna altra parte del corpo: 
tocca soltanto la mano. 
Quella donna, infatti, aveva la febbre, 
perché non aveva opere di bene
Prima viene dunque sanata nelle opere 
e poi viene liberata dalla febbre. 
Non può liberarsi della febbre se non è guarita nelle opere. 
Quando la nostra mano opera il male, 
è come se fossimo costretti a stare a letto; 
non possiamo alzarci, non possiamo camminare: 
è come se fossimo ammalati in ogni parte del corpo.
«E la fece alzare prendendola per la mano»: 
con la sua mano prese la mano di lei. 
O beata amicizia, o dolcissimo bacio! 
La fece alzare dopo averla presa per mano: 
la mano di lui guarì la mano di lei. 
La prese per mano come medico, 
sentì le sue vene, costatò la violenza della febbre, 
egli che è medico e medicina. 
Gesù tocca, e la febbre fugge. 
Tocchi anche le nostre mani, 
per rendere pure le nostre opere. 

San Girolamo









L'ANNUNCIO

Dal Vangelo secondo Luca 4,38-44. 

Uscito dalla sinagoga entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei.
Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò. Levatasi all'istante, la donna cominciò a servirli.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva.
Da molti uscivano demòni gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e volevano trattenerlo perché non se ne andasse via da loro.
Egli però disse: «Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.





SALVATI NELLA COMUNITA' CI CHINIAMO CON CRISTO SU OGNI UOMO PREDA DELLA FEBBRE DEL PECCATO 


Dalla sinagoga alla casa: dopo aver scacciato il demonio che affligge la comunità, e averla purificata, Gesù si dirige a casa. Prima dell'intimità vi è la "bonifica" dell'ambiente. Senza la "sinagoga" - comunità non vi può essere autentica e profonda guarigione, perché solo in essa i demoni vengono alla luce per essere scacciati. Nel mondo essi si camuffano e nessuno li disturba... Per questo i discepoli, forti dell'esperienza vissuta nella sinagoga, possono pregare “insieme” per la suocera di Simone. La fede, infatti, non è mai una questione privata. Le fughe intimistiche sono sempre malsane e precludono qualsiasi guarigione: "non isolatevi, rinchiudendovi in voi stessi, come se foste già giustificati, ma riunitevi insieme cercando quello che è di vantaggio per tutti" (Dalla "Lettera" detta di Barnaba"). Vediamo, quale è l’atteggiamento di fronte al fratello quando è "in preda a una grande febbre"? Cosa penso, dico e faccio, insieme ai fratelli di fronte alla sua impossibilità di alzarsi dal letto "servire"? Mi fermo all'esterno della coppa e comincio a riempirlo di catechesi e consigli nello stolto tentativo di purificarlo, oppure accompagno il Signore con una preghiera intrisa di fede perché "si chini" sul suo cuore malato? Attenzione, perché quando cominciamo a investire l'altro con moralismi e consigli, significa che abbiamo dimenticato che "ciascuno di noi è febbricitante. Quando sono colto dall’ira, ho la febbre, e ogni vizio è una febbre" (San Girolamo). Così, come recita il salmo 41 nell'originale ebraico, "quando lo visitiamo diciamo il falso" perché "nel nostro cuore accumuliamo malizia" e "fuori sparliamo" di lui con "accuse inique"; abbiamo su di lui il pregiudizio mondano che condanna il peccatore e non il peccato, perché lo riteniamo causa della sua "febbre". Per questo, con le nostre parole "religiosamente corrette", in fondo "tramiamo la rovina per il fratello" perché convinti che, essendo "preda" di "una parola di Belial", "colui che giace mai si rialzerà". Etimologicamente "Belial" potrebbe essere reso con "non serve a nulla" (Ravasi). Ed è proprio così, perché in fondo quello che speriamo è che l'altro ci "serva", e quando ciò non accade lo cancelliamo. Per questo i nostri atteggiamenti nei confronti del fratello infermo sono ipocriti, ispirati dal giudizio di condanna piuttosto che dalla compassione. 




Gesù, invece, non rivolge una sola parola alla suocera, ma "intima" alla febbre, come in ogni esorcismo. Lui "si china" su di lei con amore perché, come dicevano i rabbini, "la Shekinah (presenza) di Dio si trova sopra la testa del malato"; non la giudica per condannarla perché sa che Dio non l'ha abbandonata, anche se il demonio l'ha ingannata e la tiene schiava a letto. Non esige nulla come facciamo stoltamente quando pretendiamo che il fratello infermo faccia cose che nemmeno noi facciamo. Gesù si umilia per entrare nella sua malattia, si carica con la sua "febbre" per vincere il demonio che la causa con la sua parola fatta carne. Così noi siamo chiamati a fare, perché "per questo siamo nati" in Cristo sperimentando la guarigione nella Chiesa. Solo con gli occhi della fede che vedono la "presenza" di Dio in tutti, “chinati” accanto al fratello sino a portare con lui la sua "febbre" potremo "intimare" alla sua "febbre" nel Nome di Gesù. Nella libertà dell'amore gratuito siamo "mandati" nel mondo perché tutti possano "levarsi all'istante", risuscitare e tornare a "servire". Ma, per non “lasciare parlare i demoni”, cioè per non cadere nelle trappole affettive e non farci "trattenere" dalla carne che esige sempre gratitudine, "sul far" di ogni "giorno" dobbiamo alzarci (risuscitare) nell'intimità con Cristo, ovvero pregare prima di ogni cosa per non dimenticare il suo amore che ci ha salvato. Ci aspetta, infatti, ogni giorno “un’altra città”, un’altra persona verso la quale "uscire": attraverso i modi più diversi, ci porteranno "infermi colpiti da mali di ogni genere" perché "li conduciamo a Cristo", l’unico che, "imponendo loro le mani" nella Chiesa, li possa guarire









Dalla sinagoga alla casa: dopo aver scacciato il demonio che affligge la comunità, e averla purificata, Gesù si dirige a casa. Prima dell'intimità vi è la "bonifica" dell'ambiente. L'esorcismo libera i fratelli per ascoltare e obbedire, per lasciarsi "prendere per mano" e così "guarire". Senza la "sinagoga" - comunità non vi può essere autentica e profonda guarigione. I discepoli, forti dell'esperienza vissuta nella sinagoga, possono pregare insieme per la suocera di Simone. 

La fede, infatti, non è mai una questione privata. Troppo spesso si privilegia l'aspetto verticale e si dimentica quello orizzontale. Le fughe intimistiche senza il riscontro della comunità sono sempre malsane e precludono qualsiasi guarigione. Sentimenti ed emozioni tante, chissà, ma niente di serio. La "febbre" non si affronta solo con gli antistaminici. Anzi, sarebbe preferibile lasciare che faccia il suo corso, anche perché è, di norma, il sintomo di qualcosa più grave.

Ed è proprio quello che fa Gesù: la affronta prendendola in mano, come scrive Marco nel parallelo! Gesù "si china" per giungere sino al focolaio dell'infezione. La vita, infatti, o si prende tra le mani senza sentimentalismi e buonismi, oppure si scioglierà come neve al sole, lasciandoci prostrati e senza vita. Gesù "intima" alla febbre, perché essa altro non è che il vestito del demonio. 

Bisogna avere discernimento, e saper vedere oltre le apparenze. La misericordia, infatti, non scende mai a compromessi. Bisogna imparare a diffidare dai medici pseudo-pietosi, di quelli che per pietà uccidono. Quale è il mio atteggiamento di fronte alla febbre di mia moglie o di mio marito? Quello di una pietà così subdola da somministrare loro il veleno ipocrita del "non ti preoccupare, vedrai passerà"? O forse quello più malvagio dell'indifferenza celata in un falso interesse? Cosa penso, cosa faccio, cosa dico di fronte alla sua incapacità di "servire"? E' questa infatti l'infezione che aveva colpito la suocera di Pietro, così come ce la presenta il Vangelo. 

Ciò significa che la donna era quasi morta, perché la vita vera è servireE a un morto non puoi chiedere nulla. Quante volte invece ci intestardiamo e non riusciamo a comprendere che chi abbiamo davanti non può nulla. Cominciamo a riempirlo di moralismi, catechesi e consigli che sanno di rancido, parole morte gettate su un cuore che ha smesso di battere. Ma è del tutto inutile.

Gesù, invece, non rivolge una parola alla suocera. Gesù "intima" alla febbre, come fa sempre negli esorcismi. Quanti genitori, quanti sposi, quanti preti si perdono in lunghe chiacchierate con figli, coniugi, fedeli dei quali non hanno capito nulla. Cerchiamo di convincere, di persuadere, di vendere il prodotto nel miglior modo possibile. Ma, molto spesso, questo significa che si ha più a cuore l'esito positivo dei nostri tentativi che la salvezza di chi è davanti. Gesù non fa così, mai! 

Gesù "si china" sulla suocera perché sa che è sepolta, senza vita. Scende al suo livello, entra nella sua morte. E lì la guarda in faccia e la caccia via. Così siamo chiamati a fare anche noi, dopo averlo imparato e sperimentato nella comunità, nella Chiesa dove i fratelli pregano per noi e, ogni giorno, siamo liberati per liberare a nostra volta. Il Signore ci invita a "chinarci" sul marito, a scendere al livello del letto dove giace nostro figlio e, innanzitutto a non giudicare

E poi, a costo di sembrare scorbutici, non accettare le provocazioni sentimentali ma, completamente abbandonati a Cristo, "intimare" la "febbre" nel suo Nome. La verità, infatti, è che "ciascuno di noi è febbricitante. Quando sono colto dall’ira, ho la febbre, e ogni vizio è una febbre" (San Girolamo). Allora in certi casi - quando appare l'ira per esempio, o il rancore non si spegne, o l'invidia e la gelosia stravolgono parole e sguardi - non si tratta di parlare con il prossimo, ma di discernere la sua malattia e rivolgerci ad essa con fermezza e autorità, senza temere. 

Questo significa abbandonare ogni pregiudizio mondano sul perché l'altro si trovi in quella condizione. Ci sarà tempo per guardare alla storia sotto la luce del perdono. Siamo, invece, chiamati, a cacciare i demoni perché chi abbiamo vicino possa "levarsi all'istante", risuscitare, e tornare a "servire", ad amare, cioè a vivere.

Se questa è la missione di Gesù alla quale siamo chiamati, allora non possiamo che alzarci "sul far del giorno" e "uscire" da noi stessi. "Per questo siamo nati", "mandati" a ogni uomo, dalla casa, alla metropolitana, all'ufficio e alla scuola. Ovunque a raccogliere il dolore e la morte e a "guarire" cacciando i demoni. Ovunque e sempre lottando contro di essi, restando profondamente uniti alla Chiesa e a Cristo. 

"Senza lasciare il demonio parlare", assecondandolo nelle sue mezze verità che irretiscono e fulminano; non si entra in dialogo con lui, ma solo gli si "intima" di uscire. Quando si impossessa di un'anima, subito la colma di tristezza. E' questo il segnale che non è più il tempo di the e pasticcini, ma imbracciare l'artiglieria... Ebbene che facciamo? Andiamo al cinema, allo stadio o ci droghiamo per sfuggire la tristezza? 

No, al contrario, guardiamo la febbre, l'accidia, la pigrizia, l'anoressia spirituale e "intimiamo" al demonio che vi si nasconde di uscire senza fiatare. Esso, infatti, "tante volte viene travestito da angelo di luce: a lui piace imitare Gesù e si fa buono, ci parla tranquillamente, come ha parlato a Gesù dopo il digiuno nel deserto. Abbiamo bisogno della saggezza del discernimento per conoscere quando è Gesù che ci dà la luce e quando è proprio il demonio, travestito da angelo di luce" (Papa Francesco). 

Per questo, occorre "uscire" senza fermarci e mettere radici nella carne, per raccogliere i frutti e trasformare l'opera di Dio in povera vanagloria, cibo avariato per l'uomo vecchio. Così facendo stringeremmo una mortale alleanza con i demoni, astuti molto più di noi. Perché il vero obbiettivo non è mai la guarigione, ma il "servizio". Certamente non possiamo fare a meno di ringraziare Dio e benedirlo per la sua misericordia. 

Ma fermarsi, "trattenersi" per saziarsi del miracolo, della liberazione e della guarigione è pericolosissimo; sappiamo che, una volta uscito, il demonio cerca alleati e fa di tutto per tornare da dove è venuto. E, purtroppo, spesso trova la casa indifesa, perché si è dimenticata troppo in fretta la schiavitù e la sofferenza, avendo saziato la carne e non essendosi preoccupati dello spirito.

Il Signore, invece, ci invita a pregare e a cercare il Padre come Lui, nella solitudine della stanza più segreta. La garanzia della guarigione e della risurrezione del prossimo è, infatti, il non lasciarci "trattenere", anche se ci piacerebbe.... Come Gesù fa con la Maddalena, la mattina di Pasqua: "Non mi trattenere, ma va dai miei fratelli è dì loro che li aspetto in Galilea". 

Ecco, questa è la relazione autentica, libera e sana con chiunque, anche con il coniuge e i figli: Nella consapevolezza che ci aspettano ogni giorno nuove "città", dove annunciare il Vangelo, non fermarsi alla carne, ma andare più in là di chi ci è accanto. Non per lasciarlo e abbandonarlo, ma per chiamarlo a seguire il Signore con noi, verso la Galilea, il luogo dove Lui appare e sigilla la fede e ci apre al "servizio". In fondo, il più grande "servizio" è proprio annunciare la Buona Notizia, l'unica che guarisce davvero. 

Niente ricompense, niente abbuffate affettive, ma solo l'obbedienza all'urgenza di salvare chi ci è stato affidato, sempre in un' "altra città",  "Per questo siamo stati mandati", per essere itineranti senza borsa né denaro, nella precarietà totale che ci fa abbandonare a Cristo. "Uscire" e andare sempre, camminare, verso chi ci aspetta "al calar del giorno", sulla soglia della disperazione. Non ce ne siamo ancora accorti? Basta aprire gli occhi e vedremo accanto a noi tanti che ci portano "infermi colpiti da mali di ogni genere" perché "li conduciamo a Cristo". Ecco la nostra missione, indubitabile: portare tutti a Cristo perché "imponga loro le mani" nella Chiesa della Parola e dei sacramenti, e li guarisca


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