Portando a compimento la legge ebraica (F. Manns. Voi, chi dite che io sia?)

Più di una volta Gesù aveva avuto l'occasione di interpretare la legge. Ma Gerusalemme aveva i suoi esperti della legge che non sempre condividevano le innovazioni del maestro di Nazareth. Uno scontro con i farisei diventava inevitabile.

L'ideale dei farisei era quello della santità. Siate dunque santi, perché io sono santo (Lv 11,45), diceva il libro del Levitico. La santità esigeva irrimediabilmente la separazione dal mondo e da tutti coloro che rifiutavano la legge. Essa era garantita dall'osservanza meticolosa delle regole di purità. In effetti il Levitico enumera le categorie fondamentali dell'ebraismo: il puro e l'impuro, il sacro e il profano, il consentito e il proibito. Questo codice proponeva una scala da percorrere per raggiungere la santità. Per essere in grado di osservare quelle leggi complesse era necessario aiutarsi e raggnipparsi in comunità di amici. L'autosegregazione del gruppo fariseo comportava il pericolo di sviluppare nel suo seno un complesso di superiorità in rapporto a tutti coloro che non osservavano la legge, quegli ignoranti che essi trattavano da maledetti. Anche in rapporto ai sacerdoti i farisei non avevano complessi: l'osservanza della legge doveva assicurare loro lo stesso tipo di santità di coloro che si santificavano con il culto del Tempio. Solo l'obbedienza scrupo

Iosa alla legge definiva l'appartenenza al popolo di Dio. Ma tale obbedienza aveva come condizione essenziale la dipendenza dalla loro interpretazione della legge. «Un ignorante non può essere pio», amavano ripetere. Questa trovata escludeva il povero dall'accesso alla vita futura.

Per il fatto stesso di accettare che la legge scritta fosse commentata e completata dalla legge orale, essi l'inserivano in un dinamismo che contrastava con il carattere statico che i sacerdoti le avevano attribuito. Essi erano sostenitori dell'adattamento della legge alle circostanze nuove. Senza aggiornamento la legge era difficilmente vivibile. Era preferibile che una lettera sparisse dalla legge ma che fosse salvata la Torah nel suo insieme.

D'altra parte i farisei erano favorevoli a innalzare una barriera attorno alla legge per impedire che essa fosse per inavvertenza violata. È preferibile peccare per eccesso che per insufficienza. 613 comandamenti avevano la funzione di dettagliare la legge per la vita concreta. Il giogo della legge, lungi dall'essere facile da portare, diventava opprimente. Ma accettato e vissuto con amore — perché c'era il fariseo che agiva per timore come Giobbe e quello che agiva per amore come Abramo —, questo peso diventava leggero. Non solo, la legge costituiva un criterio dell'identità etnica che permetteva di coltivare un sentimento larvato di autonomia nazionale. Ma puro e impuro, sacro e profano, consentito e proibito non potevano essere confusi.

Uomini di grande sensibilità religiosa, i farisei pregavano parecchie volte al giorno e digiunavano due volte alla settimana. Inoltre si esercitavano a imitare Dio con le opere di misericordia. La santità si misurava secondo l'ordine del merito. La salvezza la si doveva meritare. Per ogni colpa occorreva compensare con un merito supplementare. Una mentalità come questa poteva comportare nel fariseo calcolatore uno spirito commerciale: Do ut des: do perché tu mi dia. La gratuità era presa in nessuna o in scarsissima considerazione.

Gesù si rifiuta di entrare nel labirinto della tradizione degli uomini che interpretano la legge. Lui che non ha studiato nelle scuole rabbiniche vuole ritrovare la radicalità di questa parola quale fu pronunciata sul Sinai. Non basta pagare la decima degli ortaggi. È più importante osservare la giustizia e l'amore di Dio. Gli alimenti che entrano nell'uomo non possono renderlo impuro. A renderlo puro o impuro è ciò che esce dal cuore dell'uomo. Ciò che è permesso fare il giorno del sabato deve essere valutato in funzione dei bisogni dell'uomo. Davide stesso non è forse entrato il giorno del sabato nel Tempio dove ha mangiato il cibo riservato ai sacerdoti? Puro e impuro, consentito e vietato, sacro e profano sono soggetti a un'interpretazione nuova da parte di Gesù. Se il cuore dell'uomo è puro, allora tutto è purificato. Occorre andare alla radice del problema.

Il tempo messianico è un periodo di compimento. Ma ciò è possibile solo se l'uomo risponde all'iniziativa divina. La venuta del Messia esige il pentimento e le buone azioni degli uomini. I farisei insistevano sulle opere di misericordia che dovevano garantire all'uomo la buona coscienza.

Nelle sinagoghe si ripeteva l'insegnamento dei maestri: Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro (Le 6,36). La misericordia, per il semita, ha un equivalente nelle viscere materne che reagiscono di fronte a certe situazioni. Dio non è insensibile, afferma la Bibbia. Egli non è solo il primo motore che mette in movimento l'universo. Egli sente il grido del povero e dei bambini: prende le difese della vedova e dell'orfano.

Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: [...] Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo, senza distogliere gli occhi dalla tua gente? (Is 58,6-7). E in questi termini che il terzo Isaia (Isaia, capitoli 56-66) si esprime dopo l'esilio di Babilonia. Israele viene dall'esperienza della povertà in terra straniera. Ha capito che deve tutto a Dio. L'azione di grazie a Dio non basta, essa deve essere completata da un'imitazione di Dio. To-bit, l'ebreo pio, cerca di mettere in pratica questo ideale, memoria della duplice dimensione dell'alleanza. Egli riconosce che ha spesso fatto l'elemosina, che ha dato il pane ali' affamato e vestiti a coloro che erano nudi, che ha sotterrato i cadaveri dei suoi compatrioti.

Le omelie sinagogali orchestravano spesso questo messaggio. Occorre essere misericordiosi come Dio è misericordioso. La partecipazione al popolo dell'alleanza esige questo atteggiamento. Quando leggeva il racconto della morte di Mosè l'omerista aggiungeva un commento conosciuto dal Targum: «Dio ci ha insegnato a vestire coloro che erano nudi per aver egli stesso rivestito Adamo ed Èva; egli ci ha insegnato a unire fidanzati e fidanzate per aver unito Èva ad Adamo; ci ha insegnato a visitare i malati dopo che è apparso nella pianura di Mamre ad Abramo che soffriva del taglio della circoncisione; ci ha insegnato a consolare coloro che sono in lutto dopo che è apparso a Giacobbe, al suo ritorno a Paddan nel luogo dove era morta sua madre; ci ha insegnato a nutrire i poveri per aver fatto scendere il pane dal ciclo sui figli d'Israele; ci ha insegnato a seppellire i morti dopo la morte di Mosè».

Questa elencazione è importante in quanto ci offre la motivazione delle opere di misericordia. Dio stesso ne è la fonte e l'origine. L'uomo non fa che imitare il comportamento di Dio. Paolo riassume in modo magistrale questa morale quando scrive: Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto (Rm 12,15). È da notare che la lista ingiunge anche di partecipare al matrimonio, in quanto Dio ha unito Adamo ed Èva. Gli esegeti hanno notato che il primo miracolo compiuto da Gesù è il segno di Cana realizzato nel corso di un matrimonio. Gesù approfitta della sua presenza in mezzo agli uomini per proporre un insegnamento superiore. Moltiplica il pane e da un insegnamento sul pane di vita. Consola le sorelle di Lazzaro e parla loro della risurrezione. Assiste al matrimonio e mostra che egli è lo sposo che realizza l'alleanza definitiva. In occasione del giudizio ultimo Gesù ricorderà che aveva fame, sete, che era nudo, prigioniero.

Il fariseo ricercava la santità. Ma come vivere la santità in un paese in cui comandano i pagani? Un gruppo di farisei proporrà una soluzione radicale: se si crede nel regno di Dio occorre opporsi fortemente al «regno dell'impertinenza». La resistenza si organizzerà proprio in Galilea.

Terra essenzialmente agricola, la Galilea era anche l'itinerario obbligatorio tra il porto di Cesarea e Damasco. La Via Maris passava vicino al lago di Galilea. I pescatori del lago di Tiberiade costituivano una realtà economica importante della provincia. La città di Magdala era celebre per la sua industria di salatura del pesce. Erode Antipa costruì la città di Tiberiade nell'anno 18 d.C. sul posto in cui c'era un cimitero. Per tale motivo gli ebrei si rifiutarono a lungo di abitarvi. Questo fatto isolato prova da solo il grado di religiosità che animava i galilei. Questi costituivano in gran parte una popolazione ebraica proveniente da Babilonia e recentemente insediata in quella regione da Erode. Non stupisce che il moto di ribellione contro i romani si sia originato in Galilea. Non si tratta più della Galilea delle nazioni, ma della Galilea degli zelanti della legge. Atti 5,37 evoca la rivolta di Giuda il Galileo. La situazione doveva peggiorare fino alla guerra ebraica dell'anno 66.

L'insurrezione in Galilea, organizzata dagli zeloti dopo l'anno 50, si radica in una profonda tradizione religiosa: Dio è il re d'Israele e il padrone della storia. Il dono della terra è il segno dell'alleanza. Arrogarsi la proprietà della terra come fanno i romani significa dar prova di un orgoglio smisurato, dell'appartenenza al regno dell'impertinenza. Essendosi i romani imposti con la forza, occorre fare tutto il possibile per liberare la terra. Alla violenza bisogna rispondere con la violenza. La sete di libertà che animava i rivoltosi scaturiva dal più stretto monoteismo. Era lo zelo della legge a spingerli ad agire.

Il progetto di Gesù supera di gran lunga quello degli zeloti. Se Gesù annuncia il Regno di Dio, non rientra però assolutamente nella linea zelota. Il suo messaggio di non violenza è esplicitamente proclamato nel Discorso della montagna. Se purifica il Tempio è perché è animato dallo zelo di Dio per la dimora di Dio. È da profeta che Gesù protesta contro le pratiche commerciali che si erano infiltrate nel Tempio. Nel gruppo dei discepoli che Gesù sceglie uno porta il nome di zelota: Simone lo Zelota. Il carattere focoso dei discepoli galilei Giacomo e Giovanni richiama sicuramente un atteggiamento spirituale di tipo zelota. Essi chiedono che il fuoco celeste cada su un villaggio samaritano che non ha voluto accoglierli. Ma ciò non significa affatto che appartenessero al movimento di resistenza armata dei sicari.

Gesù supera il particolarismo degli zeloti limitato all'orizzonte di Israele. Non è prigioniero del particolarismo della legge, né del nazionalismo del Tempio. L'adesione di Gesù è al Padre. Il Regno viene incontro all'uomo senza che l'uomo abbia bisogno di prendere le armi per instaurare questo regno. L'impazienza degli zeloti contraddice la parabola del lievito che fa crescere la pasta lentamente. Gesù fu condannato e rifiutato dal suo popolo perché voleva far uscire Israele dal suo particolarismo ed aprirlo alla sua dimensione universalistica.

«La terra è comune a tutti gli uomini e, di conseguenza, gli alimenti che essa fornisce li fornisce per tutti comunemente. A torto si giudicano dunque innocenti coloro che reclamano per il loro uso privato il dono che Dio fece per tutti... In realtà quando noi doniamo ai miseri le cose indispensabili, non facciamo loro elargizioni personali: non facciamo che rendere loro ciò che è loro. Ben più che compiere un atto di carità, assolviamo un dovere di giustizia» (S. GREGORIO MAGNO, Pastorale 3,21).

«Tra tutte le piante che coprono il campo delle Scritture, distinguo un fiore meraviglioso. Esso ha cominciato a fiorire sulle labbra del Salvatore. Ha la sua radice nel cuore di Gesù: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5,7)» (S. MACARIO, Omelia 18).

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