VA', IL TUO FIGLIO VIVE! Commento di Silvano Fausti

4,43 Dopo due giorni

uscì di là per la Galilea.

44 Lo stesso Gesù testimoniò infatti

che un profeta non ha onore nella sua patria.

45 Quando dunque venne nella Galilea

10 accolsero i galilei,

avendo visto tutte quante le cose che fece a Gerusalemme nella festa; anch'essi infatti vennero alla festa.

46 Venne dunque di nuovo a Cana di Galilea,

dove dell'acqua fece vino. E c'era un certo (ufficiale) regio

11 cui figlio era infermo in Cafarnao.

47 Questi, udito che Gesù era venuto

dalla Giudea nella Galilea,

andò da lui e pregava

che scendesse e guarisse il suo figlio;

stava infatti per morire.

48 Disse dunque Gesù a lui:

Se non vedete segni e prodigi, non credete per niente.

49 Dice a lui (l'ufficiale) regio:

Signore, scendi

prima che muoia il mio bambino.

50 Gli dice Gesù:

Va', il tuo figlio vive! Credette l'uomo alla parola che gli disse Gesù e andava.

51 Ora, mentre egli già scendeva,

i suoi servi gli vennero incontro dicendo che il suo ragazzo vive.

52 Chiese dunque loro

l'ora in cui era stato meglio. Gli dissero dunque:

Ieri, all'ora settima, lo lasciò la febbre.

53 Conobbe dunque il padre

che era quell'ora

in cui Gesù gli disse: II tuo figlio vive!

e credette, lui e la sua casa intera. Ora anche questo secondo segno fece Gesù, venuto dalla Giudea nella Galilea.

1. Messaggio nel contesto

«Va', il tuo figlio vive/», dice Gesù al funzionario del re. E questi gli crede, sulla parola. Il racconto mostra che vivere è credere alla Parola. Essa infatti è vita di ciò che esiste e ha il potere di generare figli di Dio quanti l'accolgono (I,3b-4a.l2s).

Gesù torna a Cana di Galilea, dove aveva fatto quello che fu il «principio dei segni» (cf. 2,lss). Lo scopo della sua attività è far conoscere il dono di Dio: Dio che si dona all'uomo. È di ritorno dalla prima visita «tra i suoi», a Gerusalemme, dove non l'hanno accolto (1,11). Le istituzioni religiose - rappresentate dall'alleanza, dal tempio e dalla legge, di cui si è parlato nei capitoli precedenti - lo rifiutano. Le mediazioni di Dio sono infatti diventate fine a se stesse: la promessa sostituisce il promesso, l'alleanza l'alleato, la legge l'amore, il tempio Dio. In una parola: il segno si è sostituito al suo significato. È ciò che i profeti da sempre hanno denunciato. Le istituzioni, sedimentazioni della cultura, sono un po' come la tecnica: l'uomo l'ha inventata per difendersi dalla natura; ora il problema è come difendersi da essa e dai suoi effetti indesiderati.

La Parola, che genera dall'alto chi l'accoglie, nel brano precedente è acqua zampillante: ora è vita. Il dono di Dio, annunciato in Gerusalemme a Nicodemo, accolto a Salini dal Battista e a Sicar dalla Samaritana, ora si offre a un ufficiale regio, che sappiamo da Mt 8,5-13 e Le 7,1-10 essere un centurione, ovviamente pagano. Ma Giovanni tace questo particolare, perché vuoi completare il quadro dell'accoglienza che la Parola ha avuto in Galilea.

Questo «secondo segno», che l'evangelista narra (anche se ne conosce altri: cf. 2,23; 4,45), chiude un primo cerchio dell'attività di Gesù, tutta incentrata sulla fede. Il dono della vita fisica, accordato al figlio, è segno del dono della vita eterna, accordato al padre per la fede in Gesù.

La fede non chiede di vedere segni e prodigi; sa invece «leggere» il significato di quel segno che è la Parola, scoprendo cosa dice, chi la dice e perché la dice. La Parola del Signore, per il funzionario regio che sa leggerla, è certezza di vita. Anche noi, attraverso il racconto di ciò che è accaduto a lui, siamo chiamati a credere come lui, senza vedere il prodigio. Il vero prodigio che si narra è quello della fede del padre: la vita restituita al figlio ne è il riflesso speculare. Il funzionario del re è come Abramo, nostro padre nella fede: la sua vita è credere alla promessa del Signore.

Il racconto ci mostra come anche noi, che non abbiamo visto il Signore come la Samaritana, possiamo incontrarlo direttamente attraverso la fede nella Parola.

Questo racconto conclude la prima parte del «libro dei segni» e apre alla seconda, nella quale si compie l'esodo definitivo, alla sequela di Gesù. Per questo ci darà piedi per camminare (5,1-47), pane e acqua per vivere (6,1-71; 7,1-8,51), luce per illuminare le nostre tenebre e condurci verso la libertà (9,1-10,21). Al rifiuto da parte dei capi del popolo (10,22-42), il Signore risponderà con il dono della vita (11,1-54), che farà a prezzo della sua morte (12,1-50).

Si tratta del «secondo» segno, che specifica il significato del precedente, avvenuto pure a Cana (cf. 2,lss). I due segni si illuminano a vicenda, dando un senso compiuto all'opera di Gesù: la Parola da «il vino bello», l'amore, e questo amore è «la vita» stessa di chi l'accoglie.

I due racconti hanno una struttura simile: rispettivamente una madre e un padre presentano la situazione di un terzo (v. 47 = 2,3), Gesù da un ordine che è accolto (v. 50 = 2,7s), si constata il prodigio (v. 51s = 2,9s) e ne consegue la fede (v. 53 = 2,11). Anche l'argomento è simmetrico: Israele, la sposa di Dio senza vino e senza amore, corrisponde all'uomo davanti alla malattia e alla morte. Tutti, con o senza legge, siamo privi della gloria di Dio (Rm 3,23)! Il tema di fondo poi è il medesimo: Gesù opera il prodigio del vino bello e della vita mediante l'accoglienza della sua parola, il cui effetto produce la fede degli astanti, che vedono come la Parola sia viva ed efficace e operi ciò che dice in chi crede (cf. Eb 4,12; ITs 2,13).

II passo parallelo di Mt 8,5-13 e Le 7,1-10 (cf. anche il racconto della sirofenicia di Me 7,24-30 e Mt 15,21-28) sottolinea la fede nella Parola: essa, anche a distanza e in assenza di Gesù, fa ciò che dice. Questo vale, ovviamente, anche per Giovanni. Egli ha però un punto di vista particolare: si pone dalla parte del lettore, che, come il padre, non vede il segno, ma crede al racconto di esso (w. 51-53; cf. 20,30s). Di lui infatti si dice due volte che crede: prima da solo (v. 50), poi, dopo il racconto del segno avvenuto, con tutta la famiglia (v. 53). Giovanni quindi mette l'accento sulla fede che viene dal «segno raccontato»: la Parola narra ciò che Dio nel suo amore ha compiuto e compie anche per noi che gli crediamo. Mediante la fede, Gesù, ormai distante nel tempo e fisicamente assente, è presente e agisce ora. La fede non pretende di vedere segni e prodigi, per verificare se il Signore ci ama; crede invece al suo amore sulla sola Parola, che racconta i segni che già ha operato. Questa fiducia è la vita stessa dell'uomo.

Parola e fede, amore e vita sono inseparabili, come, d'altra parte, menzogna e diffidenza, infermità e morte. La fede è l'unico accesso alla Parola, che è vita. Cosai avverrebbe all'uomo se non potesse fidarsi di nessuna parola, neppure nel rappor- i to padre/figlio?

È da notare la pluralità di nomi con cui sono chiamati i due beneficiari dell'intervento di Gesù. Il funzionario «regio», che ha il figlio infermo e prega (vv. 46.49), diventa «l'uomo» quando crede alla Parola (v. 50) e infine «il padre» quando il figlio è guarito e lui crede in Gesù (v. 53); l'infermo/moribondo è chiamato «bambino» (pai-dìon - ragazzo o servo al diminutivo) dall'ufficiale regio (v. 49), «ragazzo» (pois = ragazzo o servo) dai servi (v. 51) e «figlio» dall'evangelista e da Gesù (vv. 46.47.50.53).

Queste variazioni di nomi suggeriscono un cambiamento di realtà: il funzionario del re diventa uomo e padre; il ragazzo, da servo, diventa libero e figlio. Infatti il I male comune a tutti, origine di ogni altro, è la cattiva relazione padre/figlio. La guarigione, che Gesù è venuto a portare, è la fede, che fa passare da un rapporto di dif-1 fidenza a un rapporto di fiducia. La guarigione che avviene nel rapporto padre/fi-1 glio, è segno di quella che avviene, per la fede nella Parola, nell'ufficiale regio nei I confronti del Padre.

Questo episodio - come l'inizio e la fine della seconda parte del «libro dei se-I gni» (cf. 5,lss; ll,lss) - è un contrappunto tra infermità/morte e guarigione/vita.I Dalla Giudea e dalla Samaria, il dono del Figlio passa alla Galilea e si offre a ogni I uomo che si confronta con i propri limiti, in termini di vita e di morte. Nessuno è I estraneo a Dio. Anzi, solo chi non accampa meriti può ricevere ciò che è puro dono. I Per tutti, vivere è credere all'amore con cui il Padre ama il Figlio: è lo stesso con cui I è amato ciascuno di noi (cf. 17,23; 15,9). Conoscere questo è la vita eterna.

A Cana, da dove era partito, termina il primo viaggio della Parola. Si è proposta al fariseo Nicodemo, al profeta Giovanni e agli infedeli samaritani, offrendo rispettivamente di rinascere, di riconoscere il Figlio di Dio e di incontrare il salvatore del mondo. Ora, all'ufficiale del re - il re rappresenta ciò che ogni uomo vorrebbe essere - offre un modo nuovo di essere uomo, libero dalla malattia mortale che lo insidia: la mancanza di fiducia, che rompe il rapporto vitale padre/figlio.

Gesù, salvatore del mondo, dona la vita a chiunque crede in lui. La vita infatti è aderire a lui, il Figlio amato dal Padre che ama i fratelli.

La Chiesa ha la sua origine nell'Israele che, come il Battista, lo riconosce. In questa radice sono innestati tutti gli uomini, mediante la fede nella Parola. Il centurione è come Abramo: figlio di pagani e padre dei credenti. Prototipo di ogni uomo che crede, è l'Adamo nuovo, guarito dalla diffidenza che a tutti procurò la morte.

2. Lettura del testo

v. 43: Dopo due giorni. Sono i due giorni che Gesù trascorre in Samaria (v. 40), dove è giunto dalla Giudea. Il primo segno a Cana avvenne «dopo tre giorni» (2,1). Giovanni sincronizza con esso non la guarigione del figlio, che avviene appunto «dopo due giorni», ma la fede del padre che, il giorno dopo, al racconto della guarigione del figlio fatto dai servi, credette con tutta la sua famiglia. Di essa facciamo parte anche noi, che come lui ascoltiamo il racconto fatto dall'evangelista e da quelli che sono i servi della Parola.

uscì di là per la Galilea. In Samaria Gesù si trova di passaggio: sta andando dalla Giudea alla Galilea (cf. vv. 3.47.54).

v. 44: un profeta non ha onore nella sua patria (cf. Me 6,4p). Per Giovanni la patria di Gesù è la Giudea, dove si concentrano le istituzioni di Israele. La Samaritana infatti lo chiama «giudeo», e riconosce che la salvezza viene dai giudei (4,9.22). La Parola è venuta nella sua casa; mentre samaritani e galilei la accolgono, i suoi la rifiutano (1,11; Ger 12,6-8). È dolorosa l'incomprensione dei familiari. Eppure, chi pretende di conoscere una persona, ne ignora il mistero più profondo.

v. 45: lo accolsero i galilei. All'ostilità incontrata a Gerusalemme (2,18.24s) si contrappone l'accoglienza ricevuta in Galilea, dove è preceduto dalla fama di ciò che ha compiuto.

v. 46: di nuovo a Cana di Galilea. Si sottolinea il ritorno a Cana per chiudere il racconto della prima attività di Gesù. Lì ha iniziato e i suoi discepoli, alla vista del segno operato dall'ascolto della sua parola, credettero in lui. Il vero prodigio è sempre l'accoglienza della Parola, principio di tutto.

dove dell'acqua fece vino. È ricordato il primo segno per collegarlo con questo secondo. Gesù, come rinnova l'alleanza con Israele mutando l'acqua in vino, così rinnova l'alleanza con ogni uomo mutando la morte in vita.

c'era un certo (ufficiale) regio. Nel testo c'è solo «regio»: un personaggio di corte, al servizio di Erode Antipa. È un subalterno al potere, che insieme subisce ed esercita.

il cui figlio era infermo. Non si tratta di «un» figlio: è «il» figlio, unico. Come può essere il figlio di un uomo di potere, se non mortalmente malato? È il primo incontro tra il salvatore del mondo e un uomo di mondo. Ed è il primo incontro tra Gesù e il problema di ogni uomo: l'infermità e la morte. Davanti ad essa, nonostante ogni pretesa, nessun potente ha potere: sperimenta l'impotenza e riconosce la realtà.

na che l'uomo costruisce - e che a sua volta costruisce l'uomo - per esorcizzare il male e la morte. La constatazione del limite rappresenta quel principio di realtà che da la vera conoscenza di sé e apre all'Altro. Si dice che il figlio è «in-fermo»: alla lettera significa «non sta in piedi» (vedi in 5,3 la massa di infermi che giacciono presso la piscina). Davanti al male e alla morte, nessuno regge: tutti vacilliamo, cadiamo a terra e diventiamo «umani», ossia «humandi» (= da mettere sotto terra) dalla pietà altrui.

v. 47: udito. La fede viene dall'ascolto (Rm 10,17) e ha sempre come oggetto la Parola.

che Gesù era venuto. Gesù viene ovunque arriva la Parola, che risuona ovun-que si parla di lui.

andò da lui. Noi possiamo andare a lui, perché lui viene a noi. Andiamo a lui mossi dal bisogno di vita, perché la Parola è vita degli uomini.

pregava. Il nostro rapporto con il dono è il desiderio, che si esprime nella preghiera. Uno desidera ciò che gli manca. La preghiera mette liberamente in comunione il desiderio e colui che può soddisfarlo.

che scendesse. Gesù è pregato di scendere da Cana a Cafarnao, che dista 26 chilometri, giù sul lago. Scendere non ha solo un senso geografico: indica la con-discen-denza del Figlio, disceso dal cielo (3,13).

e guarisse il suo figlio. Quest'uomo domanda, come chiunque, la salute, che conserva la vita mortale. Otterrà invece la salvezza, che dona la vita eterna.

stava per morire. È la prima volta che il Vangelo parla di morte fisica, limite ultimo dell'uomo. Egli avverte in sé una contraddizione ineliminabile: desidera felicità e pienezza di vita, ma sa che la sua esistenza è triste e breve (Sap 2,1), posta sotto l'ipoteca della morte. Per lui la vita è l'unica malattia incurabile, anzi mortale. Questa contraddizione è il motore stesso della cultura; la quale a sua volta, invece di risolvere, esaspera la tensione tra desiderio e limite, a meno che si anestetizzi la coscienza dell'uno e/o dell'altro. Ma questo non è mai un bene: distruggerebbe ciò che rende umano l'uomo. Ci sarà pure un'acqua che soddisfi la nostra sete, una via d'uscita che dia alla nostra vita un fine che non sia la fine!

v. 48: se non vedete segni e prodigi. Gesù si rivolge non solo al suo interlocutore, ma anche a coloro che ascoltano. Dietro il funzionario regio ci siamo tutti noi, che abbiamo il suo stesso problema e ascoltiamo ciò che avviene. «Segni e prodigi» (cf. Es 7,3) è un'espressione usuale per indicare ciò che il Signore ha compiuto per liberare il suo popolo. In quanto «segni» significano l'amore di chi interviene, in quanto «prodigi» rivelano il suo potere. Il ricordo di essi è il fondamento della fede e della vita di Israele.

Gesù rimprovera chi pretende un segno prodigioso e apodittico (cf. Mt 12,38sp). La fede non è chiedere un cumulo di segni, ai quali attaccarsi idolatricamente: è credere a Dio per quello che già ha fatto e che la Parola racconta. Il ricordo di ciò che ha compiuto nel passato, è motivo sufficiente per credere qui e ora a lui e camminare verso il futuro. L'intento del Vangelo di Giovanni è dichiaratamente questo: «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (20,30s).

Chiedere altri segni, o condizionare la fede all'esaudimento delle proprie richieste, significa non credere all'amore di Dio per noi. La salvezza non è la salute, la

to di qualità: il^prodigio non è guarire nel corpo, ma credere alla Parola.

v. 49: Signore, scendi. L'ufficiale regio esprime il desiderio di ogni uomo: che il Signore scenda e il suo potere di vita fecondi la terra. La sua preghiera sarà esaudita quando lui stesso, fiducioso nella Parola, scenderà verso il figlio (v. 51).

prima che muoia il mio bambino. L'ufficiale insiste. Chiede a Gesù di intervenire prima che il bimbo muoia, per mantenerlo in vita. È persuaso che finché c'è vita c'è speranza: chi imbocca la porta della morte, lascia ogni speranza. Non conosce ancora il dono di Dio: ignora che c'è una parola che vince la morte. Il figlio è chiamato «bambino», piccolo, che significa anche servo. Di fronte alla morte nessuno è libero: siamo tutti piccoli e impotenti, anche l'uomo del re e lo stesso re.

v. 50: va', il tuo figlio vive. Gesù non scende a guarire: dice solo che il suo «figlio vive». Ma il funzionario del re ha appena detto che «il bambino sta per morire»! È la parola di Gesù contraria all'evidenza, oppure l'evidenza contraria alla realtà? Gesù non da prove; semplicemente dice ciò che sa: vivere è credere alla Parola, che da la possibilità di diventare figli di Dio. La guarigione che seguirà sarà il segno del cambiamento avvenuto nel padre: la sua fede farà sì che l'infermità/morte del bambino/servo si trasformi nella nascita del figlio libero.

credette l'uomo alla parola. Il funzionario ora è chiamato uomo. Chi crede alla parola di vita non è più un funzionario del re, preso nell'ingranaggio mortale servo/padrone: è diventato uomo. Davanti alla morte ha visto il limite di ogni potere; eppure non ha perso il desiderio di vita. La fede nella Parola gli da la sua umanità piena e lo fa risorgere: da «funzionario», angosciato per la «morte» del «bambino/servo», diventa un «uomo», sicuro della «vita» del «figlio».

In Giovanni si parla della fede a vari livelli. C'è una fede idolatrica, che Gesù non approva, sempre in cerca di segni e prodigi (v. 48); c'è una fede, iniziale o solo imperfetta, che crede perché vede, come i discepoli a Cana (cf. 2,11), o addirittura solo se vede, come Tommaso (cf. 20,25.29a); c'è finalmente la fede dell'uomo che «crede alla parola» (v. 50) senza vedere segni e prodigi, che diventa, subito dopo, un «credere» al racconto del segno (v. 53), aderendo alla persona di Gesù senza vedere (cf. 20,29b). A questa fede l'evangelista vuoi portare il suo lettore.

v. 51: mentre egli già scendeva. È lui, e non Gesù (vv. 47.49), che scende verso il figlio, con la fede nella parola di vita.

i servi gli vennero incontro, ecc. I suoi servi (in greco c'è «schiavi») confermano quanto Gesù ha detto: «II tuo figlio vive!». Quest'uomo, come prima ha creduto alla parola di Gesù, ora crede alla medesima parola detta dai servi, che gli annunciano come si è avverata. Crede sia alla parola che promette, fidandosi della sola promessa, sia alla parola che racconta il compimento della promessa, senza vedere né segno né prodigio.

La fede, come viene dall'ascolto, è sempre e solo fondata sulla Parola, che, raccontando la salvezza avvenuta, la dona a chiunque l'ascolta. Ed è questa fede il vero «prodigio» che ci mette in rapporto di fiducia filiale con Dio, liberandoci dalla menzogna che uccide la verità, sua e nostra.

v. 52: chiese l'ora. È il tema dell'ora, caro a Giovanni, già uscito una prima volta a Cana (2,4).

ieri. Rispetto ai due menzionati all'inizio del racconto, siamo al terzo giorno, come nel primo segno di Cana (cf. 2,1). È trascorsa quindi la notte da quando l'uo

mo ha incontrato Gesù. Questa notte, illuminata dalla fede, conduce al terzo giorno, quello della risurrezione. Il segno avvenuto «ieri» produce «oggi» il prodigio del terzo giorno: la fede, che dona la vita a chi crede nel Figlio.

all'ora settima. È l'ora dopo la sesta (cf. v. 6!), quando inizia la glorificazione di Gesù, innalzato sulla croce (19,14-16). La parola di Gesù è stata efficace all'istante (v. 53). La fede in essa ha fatto passare dalla notte alla luce del terzo giorno quest'uomo, primizia dell'abbondante frutto che produrrà il seme deposto sotto terra (cf. 12,24).

v. 53: conobbe dunque il padre. Quest'uomo ora diventa padre, perché, per la fede nella Parola, è in cammino verso il figlio che vive. Ma è anche nostro padre nella fede, come Abramo, il primo che credette alla promessa. Di lui anche noi ci riconosciamo discendenti (cf. Gai 3,6-14).

Il rapporto padre/figlio è segno del rapporto Dio/uomo, rotto dalla diffidenza. La fede lo ristabilisce, integro e sano. Dio torna ad essere ciò che è, e noi ciò che siamo: lui è Padre nostro e noi figli suoi. Non è più un rapporto di violenza e schiavitù, ma di amore e libertà: non produce più morte, ma da vita.

era quell'ora in cui Gesù gli disse. L'ora della salvezza è la stessa della parola di Gesù: credere in lui è vivere, ritrovare la propria identità, perduta, di figli.

credette. Per la seconda volta si dice che il padre credette: prima alla parola di Gesù (v. 51) e ora al racconto dei «servi» che gli parlano del prodigio avvenuto. È, come già detto, la fede che il Vangelo propone al lettore. Il racconto di ciò che è avvenuto è sufficiente per operare il miracolo della fede, senza vedere. Questa fede in Gesù è appunto il passaggio dalla morte alla vita. È il miracolo che avviene al padre - e al lettore che, come lui, crede alla Parola che racconta il segno.

lui e la sua casa intera. L'uomo non è mai solo: è un tessuto di relazioni, malate o sane. La fede nella Parola guarisce il rapporto padre/figlio. La «casa» è il luogo primo dei rapporti, che condiziona gli altri. Essa è guarita dalla fede, perché finalmente l'uomo ritrova la sua casa ed è di casa con Dio. Lo stare insieme non è più un gioco di dominio/sudditanza, ma è quello di una famiglia, dove si rispecchia tra le persone il rapporto che ciascuno ha con il Padre. La fede non ci fa diversi dagli altri: ci fa semplicemente «casa», luogo vivibile e visibile, aperto a tutti gli uomini, generati dalla stessa Parola. Ora sia il padre che il figlio e i servi sono tutti fratelli nella fede.

v. 54: ora anche questo secondo segno fece Gesù. A Cana ci fu il primo segno che rivelò la sua gloria; ora il secondo. Nel primo credettero i suoi discepoli, che videro quanto aveva operato la Parola tramite coloro che l'avevano ascoltata. Ora un uomo crede direttamente alla Parola, anche senza vedere. Allora fu dato «il vino bello», ora «la vita». Giovanni, parlando del «secondo segno», ribadisce il legame stretto tra il vino bello e la vita (cf. anche v. 46): credere all'amore dello Sposo è la vita dell'uomo!

Dopo questo «secondo», Giovanni non numera più i segni. Questi due infatti contengono il principio e il fine di tutti gli altri, che è credere in Gesù per avere la vita. C'è un'allusione al libro dell'Esodo, quando il Signore opera due segni e dice a Mosè, incredulo sulla riuscita della sua missione presso gli egiziani: «Se non ti credono e non ascoltano la voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo. Se non credono neppure a questi due segni e non ascolteranno la tua voce, allora prenderai acqua del Nilo e la verserai sulla terra asciutta: l'acqua che avrai presa dal Nilo diventerà sangue sulla terra asciutta» (Es 4,8s). A chi non crede al segno dell'amore e della vita, sarà dato il misterioso segno dell'acqua e del sangue (cf. 19,34)!

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