19 marzo. Solennità di San Giuseppe



L'obbedienza che vede e ama Gesù in ogni uomo



Uscire da noi stessi,
dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili
se questi rischiano di diventare un ostacolo,
se chiudono l’orizzonte che è di Dio,
perché le nostre certezze possono diventare un muro,
un carcere che imprigiona lo Spirito Santo.
Card. Bergoglio 
Oggi è una solennità meravigliosa, perché da Giuseppe possiamo implorare la grazia di una morte santa. Non solo quella che ci aprirà le porte del Cielo, ma anche quella che ci attende oggi, e domani e ogni giorno. La Grazia di morire a noi stessi come Giuseppe, per accogliere e custodire l'opera dello Spirito Santo nel prossimo. Come lui, infatti, anche noi siamo stati scelti per un compito importantissimo: dare il nome a Gesù che è gestato nella vita di chi ci è accanto. Che significa essere, come Giuseppe, il padre terreno del Figlio celeste che è generato nel grembo dei fratelli. Perché come Gesù, per salvare ogni uomo, doveva nascere nella carne in una famiglia santa che lo rendesse parte della discendenza di Davide, così chi ci è affidato deve poter essere accolto da una comunità che lo gesti alla fede adulta dei figli di Dio. E certo, questa missione suppone un travaglio profondo, attraverso il quale morire a se stessi, ai propri schemi e criteri e, soprattutto, alla propria "giustizia". Che significa questo concretamente? Vediamo: puoi oggi tu "chiamare" Gesù tuo marito, tua moglie, i tuoi figli, i fratelli della comunità cristiana, i colleghi o gli amici? Puoi nonostante le apparenze dicano tutto il contrario? Perché proprio le apparenze avevano gettato Giuseppe in un'angoscia profonda e nello scandalo tipico di chi non riesce a comprendere il mistero che bussa alla propria vita. Giuseppe era giusto nella rettitudine di fare tutto per "ag-giustarsi" in ogni circostanza alla volontà di Dio. Forse intuiva che c'era qualcosa di misterioso e più grande, conosceva Maria e non la poteva pensare capace di tradirlo. Ma l'eccezionalità e l'imprevedibilità di quella gravidanza erano come uno tsunami, e la giustizia appresa dalla sapienza del suo popolo non ammetteva deroghe, neanche per Lei. Il fatto era lì, incontrovertibile. Maria era incinta e Giuseppe non c'entrava nulla. La ragione umana era senza spiegazioni se non quelle rese dall'evidenza. E questa spingeva inesorabilmente Giuseppe al ripudio di quella ragazza, proprio in virtù della Legge alla quale aveva sempre adeguato la propria vita. Ma Dio appare dove nessuno se lo aspetta. Senza preavviso, senza chiedere il permesso, e per Giuseppe questo significava Maria incinta prima che andassero a vivere insieme. Per accogliere questo evento occorreva un cuore capace di dilatarsi in una giustizia nuova, in un amore capace di trascendersi ben al di là di ogni pensiero umano. Non bastava "rimandarla in segreto", il massimo che i suoi "pensieri" avessero potuto escogitare pur di salvarle la vita. Come a noi non basta "rimandare" moglie e marito, smettere di polemizzare e litigare, far finta di nulla per non peggiorare le cose. A Giuseppe occorreva abbandonarsi all'Autore della Legge, l'unico capace di declinarla in ogni istante della vita, perché fosse Lui a schiudere mente e cuore per discernere l'autentica "giustizia" e "decidere" di agire per compierla.  In quei momenti in cui si giocavano le sorti dell'umanità Dio lo chiamava ad un salto più grande. Non era facile perché non si trattava di discernere una tentazione evidente del demonio. C'erano di mezzo la religione, la Legge e la giustizia, e allora si faceva tutto più complicato. La storia della salvezza iniziata da Dio con Abramo aveva condotto Giuseppe in quel momento decisivo: rinnegare se stesso e abbracciare la volontà di Dio oppure restare imprigionato in ciò che aveva già deciso nel suo cuore. E Giuseppe era lì, con quel dubbio a bucargli lo stomaco e a lacerargli il cuore, la vita intera precipitata in un "pensiero" come i tanti che sottraggono tempo e forze nell'inutile tentativo di individuare modi e parole per ovviare all'imponderabile, per mettere insieme amore e giustizia. Ecco, Giuseppe era stato condotto dalla storia al bivio decisivo, come noi oggi, dinanzi alla nostra storia a cui non riusciamo a dare senso e che vorremmo cambiare; di fronte al fratello che non comprendiamo e vorremmo "rimandare in segreto". Vorremmo amare ma non immaginiamo neppure come si possa farlo senza mancare verso la giustizia. Chi ha sbagliato deve in qualche modo pagare, e così capire e cambiare, o no? Giuseppe non immaginava di trovarsi di fronte all'alba di una rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre la vita degli uomini. Doveva solo accogliere l'embrione del compimento di ogni giustizia umana, accogliere e custodire quella piccola vita deposta nel grembo di Maria, Gesù, Dio fatto carne per salvare ogni uomo con la Giustizia della Croce. Anche noi ci troviamo oggi dinanzi allo stesso bivio, in questo giorno decisivo per la sorte di chi ci è accanto. Potremmo ripudiarli facendo così giustizia dei loro peccati. Ma Dio non ha fatto così con noi, vero? Ha fatto come Giuseppe, accogliendoci così come siamo, per risuscitare e custodire in noi l'opera dello Spirito Santo che abbiamo tante volte frustrato; e lo ha fatto nella Chiesa, dove ci sta rigenerando per imporci lo stesso nome di suo Figlio, per farci "cristiani". Ecco perché, per salvare chi ci è accanto, Dio scende anche oggi a cercare chi ha infranto la Legge dell'amore e soffre incapace di tirarsi fuori; e ha scelto proprio noi per accogliere e custodire l'opera della sua misericordia, ripetendoci le parole che in Giuseppe hanno sciolto ogni dubbio: "Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". Dice "tua sposa" perché agli occhi di Dio la "promessa" sposa è "già" pienamente sposa, ancor prima del suggello finale delle nozze. La Provvidenza di Dio, infatti, aveva precorso il tempo infrangendo ogni regola pur di trovare e riscattare tutti quelli che avevano tagliato ogni legame con Lui. Aveva da sempre disegnato un cammino di salvezza che passava ora per Giuseppe e Maria, le due braccia di Dio aperte ad accogliere ogni uomo in un abbraccio di misericordiaTutto era già pronto dall'eternità: Maria, piena di Grazia, Immacolata Concezione per dare alla luce il Messia Immacolato; Giuseppe, figlio della Giustizia misericordiosa di Dio per accogliere il "Giusto che si addosserà il peccato di molti". Con il suo eccomi Maria aveva accolto il mistero di un Dio nascosto nella carne dell'uomo. Mancava Giuseppe. Dio aveva deciso che la salvezza dovesse passare per la strettoia della sua angoscia, l'arduo cammino dell'amore. Lo stesso amore fatto carne nel seno di Maria era deposto, inerme, sulla soglia della sua libertà; come per Maria, la sofferenza di ogni uomo bussava ora alla sua porta; la sua angoscia non era un affare privato, ma era la stessa angoscia dell'umanità che gridava dentro di lui. Attenzione però perché anche Giuseppe agli occhi di Dio era già sposato con Maria, e per questo non poteva più rimandare l'ora del suo "consenso". Ma per farlo doveva immergere il suo sguardo in quello di Dio, perché solo i suoi occhi vedono "oltre" l'angusta prospettiva dell'uomo la misericordia e il riscatto già all'opera nel peccatore più turpe. E la Grazia ha compiuto in Giuseppe questo trapianto di occhi, e così il suo sguardo su Maria si è fatto accoglienza di quanto lo Spirito Santo aveva operato nell'ombra del mistero. La stessa parola dell'Angelo è rivolta oggi a ciascuno di noi: "Non temere", non temiamo di prendere con noi Maria, la Figlia di Sion, immagine di un Popolo e della sua storia, della nostra storia e di ogni persona con la quale abbiamo relazione. In Lei siamo tutti generati, per questo c'è nella nostra vita, come in quella del mondo e di ogni uomo un'opera misteriosa del respiro di Dio, la vita divina è, come un seme, già deposta dentro la nostra vitaNon temiamo le nostre debolezze, i nostri errori, i peccati; non rifiutiamo l'astruso passato, il presente difficile, l'incerto futuro. Non impauriamoci di fronte ai peccati di chi ci è accanto, e neanche davanti al dolore di una malattia, all'insignificanza e alla solitudine, agli eventi che ci umiliano. Anche se stiamo solo camminando nella "promessa" di essere cristiani, anche se siamo pieni di contraddizioni e cadiamo ogni due passi, agli occhi di Dio siamo "già" sposati con il suo Figlio! E lo sono anche quelli che sembrano più lontani da Lui, proprio nella storia che spesso vede scorrere sangue, e ci appare annegare nel male. Coraggio, Egli ha dato la sua vita per riscattarci e farci degni di Lui. Siamo il suo destino e le vicende della vita sono tutte come degli indispensabili pezzi del "puzzle" che, completato, ci fisserà per sempre nel suo amore. Dio vede già nato Gesù in noi, e pronto ad offrirsi di nuovo attraverso la nostra carne. Per questo possiamo imparare a guardare noi stessi e gli altri come Dio, per "chiamare" tutti con il Nome del Figlio che significa la "salvezza di Dio" che già sta operando in loro. Ciò significa ascoltare e obbedire morendo a noi stessi, per accogliere e custodire come Giuseppe la vita di Gesù negli altri, senza appropriarcene, nella castità di cuore e carne che solo l'esperienza della gratuità con cui Dio ci ama può donarci. Imparando a fermarci sulla soglia della loro vita, per servire umilmente l'opera di Dio in ciascuno, accompagnandoli nella lunga gestazione dell'amore. Giuseppe si è abbandonato a Dio, ha obbedito e accolto Maria e, pur non vedendo se non un timido abbozzo d'uomo, ha permesso che la salvezza giungesse fino a noi. Così anche noi, obbedendo", offriremo la salvezza al mondo, in questa e nelle generazioni future.





QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI


  






L'ANNUNCIO
Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo.
 (Dal Vangelo secondo Matteo 1,16.18-21.24)








Il timore di Giuseppe dinanzi a un Figlio, è simile al nostro di fronte a noi stessi, figli nel Figlio. In Maria abbiamo ricevuto le sembianze del Figlio, la stessa natura di Dio. Ma nonostante ciò, abbiamo paura di noi stessi, di essere quello che siamo per non essere rifiutati. Per paura siamo schiavi, soggetti a un padrone che, mostrandoci debolezze e difetti, ci induce a pensare male di noi stessi e di Dio che ci ha fatto così deboli. E' la paura e lo scandalo di un'infinita distanza tra la sublimità della nostra vocazione e l'inadeguatezza di ciò che siamo. Lo scandalo e la paura di Giuseppe, giusto della rettitudine di voler "ag-giustarsi" in ogni circostanza alla volontà di Dio, e per questo preda del dubbio e dell'angoscia dinanzi a qualcosa di straordinario, al di fuori della stessa Legge cui ha votato la vita. Forse intuisce, ma l'eccezionalità e l'imprevedibilità sono come uno tsunami. Giuseppe ama Maria, ma la giustizia appresa dalla sapienza del suo popolo non ammette deroghe, neanche per quella deliziosa fanciulla che attendeva di sposare. Il fatto era lì, incontrovertibile. Maria era incinta e Giuseppe non c'entrava nulla. La ragione umana era senza spiegazioni se non quelle rese dall'evidenza. E questa spingeva inesorabilmente Giuseppe al rifiuto di quella ragazza, proprio in virtù della Legge alla quale aveva sempre adeguato la propria vita. Ma Dio appare dove nessuno se lo aspetta. Senza preavviso, senza chiedere il permesso, al di là di ogni legge. Maria incinta fuori del matrimonio, promessa sposa, ma non ancora sposa. Per accogliere questa follia occorreva un cuore capace di dilatarsi e saltare fuori dallo stesso perimetro della Legge, e una giustizia che superasse quella dei farisei; un amore capace di trascendersi ben al di là della carne, il cui limite estremo era tutto nella struggente e triste decisione di Giuseppe, ripudiare in segreto Maria proteggendola così da un destino di morte, e caricarsi le conseguenze che avrebbero segnato anche la sua vita per sempre. L'amore aveva spinto Giuseppe sino a condividere la stessa sorte di Maria, ed era qualcosa di grande, il meglio che la carne avesse mai dato, ma in quell'istante in cui si giocavano le sorti dell'umanità Dio lo chiamava ad un salto più grandeE Giuseppe era lì, con quel dubbio a bucargli lo stomaco e a lacerargli il cuore, la vita intera precipitata in un "pensiero" come i tanti che sottraggono tempo e forze nell'inutile tentativo di individuare modi e parole per ovviare all'imponderabile. Come noi, oggi, dinanzi alla nostra storia, alle briciole di un'esistenza che vorrebbe avere capo e coda, e non ne trova in nessun percorso logico e umano. Anche oggi è un giorno decisivo per la sorte di nostra moglie, di nostro figlio, di quell'amico o di quel collega. Per salvare, Dio scende anche oggi a cercare chi è finito fuori legge, e ha scelto proprio noi per accogliere e custodire l'opera del suo amore. E ci ripete le parole che in Giuseppe hanno sciolto ogni dubbio: "Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". Tua sposala "promessa" sposa è "già" sposa agli occhi di Dio, ancor prima del suggello finale delle nozze, perché la Provvidenza di Dio aveva precorso il tempo, infranto le regole del mondo, la biologia del cosmo, disegnando, dall'eterno e per l'eterno, un cammino di salvezza tra le piaghe dell'umanità peccatrice, ed esso passa per Giuseppe e Maria. Essi sono le due braccia di Dio aperte ad accogliere ogni uomo in un abbraccio di misericordiaTutto era già pronto dall'eternità: Maria, piena di Grazia, Immacolata Concezione per dare alla luce il Messia Immacolato; Giuseppe, figlio della Giustizia misericordiosa di Dio per accogliere e il "Giusto che si addosserà il peccato di molti". Le loro nozze, già compiute nella volontà di Dio, si celebrano ora nel tempo e nella carne, perché la volontà di salvezza giunga nel tempo e ad ogni carne. Nella pienezza dei tempi Dio ha aperto il Cielo e ha inviato l'officiante, Gabriele, l'angelo dell'annuncio. Le nozze di Giuseppe e Maria, infatti, sono l'annuncio della Buona Notizia e l'umanità è in attesa del loro "consenso": “Dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano. Non sia che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso(San Bernardo, Omelie sulla Madonna).

E Maria ha aperto con il suo eccomi, e Dio ha preso finalmente dimora nel suo seno, Il mistero di un Dio nascosto nella carne dell'uomo, sembra peccato invece è amore. Anche Lei, Immacolata Concezione, senza peccato s'è fatta peccato per partorire al mondo il Dio fatto peccato. Per salvare i peccatori, e farli figli di Dio, ha fatto peccato la Madre e il Figlio. Manca solo Giuseppe, anche lui di fronte all'irruzione dello Spirito Santo, l'amore infinito che Dio aveva deciso dovesse passare per la strettoia della sua angoscia. L'arduo cammino dell'amore, accogliere il mistero di un amore così lacero, incomprensibile, come Gesù al Giordano, nella fila dei peccatori, e Maria incinta fuori del matrimonio. Lo stesso amore fatto carne nel seno di Maria è deposto, inerme, sulla soglia della sua libertà; come per Maria, la sofferenza di ogni uomo bussa ora alla sua porta, la sua angoscia non è un affare privato, è la stessa angoscia dell'umanità che grida dentro di lui. Anche Giuseppe è agli occhi di Dio già sposato con Maria, e non può più rimandare l'ora del suo "consenso"Solo gli occhi di Dio vedono "oltre" l'angusto sguardo dell'uomo; solo gli occhi di Dio vedono la misericordia e il riscatto nel peccatore più turpe. Per questo la Grazia dona a Giuseppe gli occhi di Dio, e il suo sguardo su Maria si fa accoglienza di quanto lo Spirito Santo aveva operato nell'ombra del mistero. La parola dell'Angelo è rivolta oggi a ciascuno di noi, come un balsamo di pace e di speranza: "Non temere", non temiamo di prendere con noi Maria, la Figlia di Sion, immagine di un Popolo e della sua storia, della nostra storia. In Lei siamo generati, e quello che è generato in Lei è opera dello Spirito Santo. Siamo dunque opera del respiro di Dio, la vita divina è dentro la nostra vita. La carne la sorregge a malapena, la tenda d'argilla che sono le nostre membra peccatrici, quelle zolle di terra che ci scandalizzano, impauriscono e paralizzano, non sono che la povera stalla di Betlemme dove Dio ha voluto nascere e prendere dimora. Non temiamo le nostre debolezze, l'astruso passato, l'incerto futuro. Quel che è in noi, quello che ci genera oggi a questo giorno come ad ogni giorno è il dito di Dio; il soffio del Suo Spirito dà vita alla nostra morte e a quella a cui siamo inviati. In Dio siamo "già" sposati con il suo Figlio, siamo suoi da sempre, da prima della creazione del mondo. Noi siamo il suo destino e Lui è la nostra Patria. In ogni evento che ci impaurisce si nasconde l'annuncio di salvezza per noi e l'umanità intera. La storia ci è data perché vi si compiano le nozze che diano alla luce il Salvatore del mondo. Siamo preziosi ai suoi occhi, perché, in noi, Dio vede il riscatto di questa generazione. I nostri occhi guardano la nostra vita come riflessa in uno specchio scheggiato e ombrato, gli occhi di Dio guardano, e amano, il suo Figlio in noi e in ogni uomo. Come hanno guardato Maria, e come, per la Grazia, hanno imparato a guardarla gli occhi di Giuseppe. Lo sguardo di Dio che ha chiamato e fatto crescere la Santa Famiglia di Nazaret nella comunione al punto che l'amore si è fatto viscere di misericordia per l'umanità; in essa si rivela il valore immenso e la missione decisiva di ogni famiglia cristiana: offrire al mondo la misericordia fatta carne, Cristo Gesù; per compiere questa missione occorre solo che viva abbandonata alla volontà di Dio, vivendo ogni istante nella certezza che ciascuno è un passo prezioso e decisivo per la salvezza del mondo. Non temiamo allora di accogliere lo straordinario amore di Dio, di incamminarci con Lui alla ricerca della pecora perduta, di prendere con noi quanto Egli sta operando, misteriosamente e al di là di ogni ragionevole limite imposto dalla stessa Legge religiosa che vorremmo seguire: attraverso la vicenda di Giuseppe il Signore ci chiama ad "uscire da noi stessi, dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è di Dio", perché "le nostre certezze possono diventare un muro, un carcere che imprigiona lo Spirito Santo" (Card. J Bergoglio, Intervista a 30 Giorni, Novembre 2007). Non temiamo di amare oltre la giustizia umana, oltre l'amore contenuto nella nostra povera carne. Non temiamo di lasciarci colmare dallo stesso Spirito che ha fecondato Maria, che sta operando in chi ci è accanto, affidato alle nostre cure di marito e padre e fratello. Non temiamo di lasciarci aprire gli occhi della fede per discernere l'opera dell'infinito amore di Dio anche e soprattutto in quanto appare, alla giustizia della Legge, ingiusto e malvagio. Che il Signore ci doni gli occhi della fede della Chiesa inviata alla ricerca della pecora perduta, dei peccatori, dei falliti; gli occhi di Giuseppe attratti in un amore più grande, infinitamente più grande della carne, occhi celesti sulla terra. Gli occhi che sorgono da un cuore rinnovato e trasformato nell'amore di Dio: "L’uomo e la donna che vogliono vivere il loro battesimo devono andare verso le periferie, verso le periferie geografiche, le periferie culturali, le periferie esistenziali, devono andare con questa proposta evangelica... vivere in questa tensione, una tensione tra l'interiorità dell’incontro con Gesù che vi spinge verso fuori e pone tutto in questione, tra un andare e un tornare continuo" (Card. J Bergoglio).






αποφθεγμα Apoftegma





Giuseppe abbracciava il Figlio in quanto neonato,
lo serviva in quanto Dio.
Gioiva di lui in quanto buono 
e aveva soggezione di lui in quanto giusto.
Grande paradosso!
Chi mi ha dato che tu diventassi figlio mio, 
o figlio dell'Altissimo?
Volevo licenziare tua madre.
Non sapevo che nel suo utero c'era un gran tesoro,
che avrebbe arricchito in un istante la mia povertà.
Il re Davide è sorto dalla mia tribù 
e ha cinto il diadema.
A un gran abbassamento sono giunto io: 
invece che re sono carpentiere.
Mi è toccato però un diadema: 
nelle mie braccia sta il Signore dei diademi.
Mosè portava le tavole di pietra 
che il suo Signore aveva scritto.
E Giuseppe scortava solennemente la tavola pura, 
nella quale dimorava il figlio del Creatore.

S. Efrem


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