C. Caffarra. Omelie sulla Parabola del Seminatore

DOMENICA XV per Annum [A]
Loiano-Visita pastorale, 13 luglio 2008


1. La parabola del seminatore, cari fratelli e sorelle, parla in primo luogo di Gesù, il nostro Salvatore. Egli vuole presentarci la sua missione e il senso della sua presenza fra gli uomini mediante il paragone del seminatore.

In un testo precedente a quello appena proclamato, l’evangelista Matteo scrive: "Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del Regno" [9,35].

Gesù dunque vede se stesso come chi è mandato a "predicare il Vangelo del Regno". Quando Gesù inizia la sua attività pubblica – narra l’evangelista Luca – attribuisce a se stesso un testo del profeta Isaia che dice: "Lo Spirito del Signore è sopra di me … e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio … e predicare un anno di grazia del Signore" [Lc 4,17-19]. Gesù afferma che queste parole profetiche si realizzano in Lui: Lui è stato mandato "per annunciare una bella notizia", per "predicare il tempo favorevole". È questo, carissimi, il significato profondo di questa parabola: come un seminatore sparge il seme così Gesù dice a tutti la bella notizia, il lieto messaggio di Dio che salva l’uomo.

Ma perché, ci potremmo chiedere, Gesù paragona la sua parola e la sua predicazione ad un seme? Un testo biblico ci dà la risposta. Esso dice: "la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito … e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" [Eb, 4,12]. La parola di Gesù non è come la nostra, che lascia chi l’ascolta normalmente come lo trova. La parola di Gesù ha in se stessa e per se stessa una forza ed una efficacia che la rende capace di trasformare chi la accoglie. Essa non è una parola meramente informativa, ma anche e soprattutto effettiva. Essa non informa semplicemente l’uomo che Dio intende salvarlo, ma nello stesso tempo in cui lo dice, realizza ciò che dice. Appunto, è come il seme: ha in sé la forza della vita.

2. C’è poi una seconda ragione per cui Gesù paragona la sua parola ad un seme.

Il seme ha in sé la forza della vita, ma per poterla esercitare e produrre il frutto, deve cadere in un terreno adatto, ed il terreno deve essere coltivato. Il seme non deriva la sua forza vitale dal terreno, ma questo è la condizione necessaria perché il seme si sviluppi.

La parola di Gesù "è viva, efficace … essa penetra" fin nelle profondità della nostra persona. Ma se la nostra persona non è ben disposta, non è docile, la parola di Gesù è impedita: non produce alcun frutto. La pagina evangelica, come avete sentito, ci presenta tre figure di indocilità: chi non presta alcuna attenzione; chi non medita la parola ascoltata ed è incostante; chi si lascia soffocare dalla preoccupazione del mondo e dall’inganno delle ricchezze.

Vi dico dunque con la S. Scrittura: "Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente" [Eb 3,12].

3. Carissimi fedeli, il Vangelo non è solo la narrazione di fatti passati. Quanto è narrato in esso, si realizza in sostanza anche fra di voi, oggi. In che modo?

L’apostolo Paolo scrivendo ai suoi fedeli di Tessalonica, dice: "noi ringraziamo Dio continuamente, perché avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete" [1Tess 2,13].

La parola di Dio continua anche oggi ad esservi detta. Il Signore, quando ha lasciato visibilmente la nostra terra, non è diventato muto con l’uomo: continua a parlarci. Come? Nella e colla predicazione dei pastori della Chiesa.

L’Apostolo ci dice che la parola della predicazione è "la parola divina". E come tale deve essere accolta.

Quindi, miei cari, siate fedeli alla partecipazione dell’Eucaristia durante la quale il vostro pastore vi dona "la parola divina della predicazione". Accoglietela "non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete". Curate la vostra istruzione nella fede, mediante la catechesi.

Abbiamo proclamato prima della lettura del Vangelo: "Il seme è la parola di Dio e il seminatore è Cristo: chiunque trova lui, ha la vita eterna".


XV DOMENICA PER ANNUM (A)
Lido Scacchi, Spina, Nazioni
14 luglio 2002

Per tre domeniche, ad iniziare da oggi, il Signore ci dona di ascoltare e meditare le "parabole del Regno". La descrizione cioè di sette [tante sono le parabole] situazioni o fatti che diventano, nella luce di Cristo, simboli/ immagini semplici mediante le quali siamo introdotti nella comprensione di ciò che Dio sta compiendo in mezzo a noi, del suo Regno cioè. Oggi ci viene donato di ascoltare la parabola del seminatore.

Attraverso di essa Gesù vuole donarci un duplice insegnamento: l’uno riguardante l’azione di Dio, l’altro riguardante la risposta dell’uomo. E così questa parabola ci dona una grande luce su come si costituisce l’Alleanza fra Dio e l’uomo: su come accade l’avvenimento della salvezza.

1. "Ecco, il seminatore uscì a seminare". Chi è questo seminatore che "esce" a donare all’uomo l’annuncio vero della salvezza? E’ Gesù stesso che "esce" dalla sua gloria divina e si veste dell’umiltà della nostra condizione umana. Per quale ragione? "a seminare". A spargere cioè nel terreno della storia umana la sua parola: "io come luce sono venuto nel mondo" dice Gesù di sé "perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre". Fra le tante parole umane, dentro al tessuto del discorso umano risuona anche una Parola che non è umana: è di Dio. Scrivendo ai cristiani di Tessalonca, l’apostolo Paolo dice "avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio che opera in voi che credete" [1Tess 2,13]. Carissimi fedeli, attraverso parola umane ogni domenica vi giunge la Parola di Dio: è Dio steso che vi parla. Se vi è difficile essere convinti di questo, sappiate che "è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione" [1Cor 1,21b].

La parabola di Gesù vuole in primo luogo mettere in risalto il primato della iniziativa di Dio nei nostri confronti. Ed anche la paradossalità di questa iniziativa. La parola di Dio è annunciata senza limitazioni: il grano è sparso ovunque. Ed è dotata di una sua propria forza. Dall’altra, questa Parola contiene una promessa, che non dice nulla a colui che è prigioniero della terra; parla in modo tanto semplice che l’uomo orgoglioso la ritiene insignificante.

2. "Voi dunque intendete la parabola del seminatore: …". Inizia così il secondo fondamentale insegnamento datoci dalla parabola: quello riguardante la risposta dell’uomo. La proposta divina non si impone: si propone alla nostra libertà. Ed il Signore prefigura le quattro possibili risposte, perché ciascuno di noi si confronti con questa parola e si specchi in essa.

Quando uno ascolta la proposta cristiana, ma non si sforza neppure di capire di che cosa si tratta e di come la sua persona ne sia interpellata, il maligno ha buon gioco: è semente seminata sulla strada.

Quando uno appare pieno di buona volontà, ma non consente alla proposta cristiana di scendere nel profondo del suo essere, allora, quando arriva il momento serio della vita, quello in cui "giunge una tribolazione o persecuzione", pensa e dice che aveva sì dato il proprio assenso alla fede, ma non pensava che le cose fossero così serie: e se ne va.

Quando la proposta cristiana scende sì nel profondo, ma il profondo è già occupato da altri interessi o legami – Gesù significativamente parla di "preoccupazione del mondo e inganno delle ricchezze" - il Vangelo viene soffocato e vanificato anche in chi aveva ben cominciato.

Alla fine, sta il discepolo vero. Egli è caratterizzato, come avete sentito, da tre fatti: "è colui che ascolta la parola, la comprende e porta frutto". La parola annunciata diventa la sorgente che determina le sue scelte.

Carissimi fedeli, avete sentito la beatitudine dettaci dal Signore: "beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono". Sia nel nostro cuore l’intima gioia di chi credendo ha potuto incontrare Colui che è luce e vita: l’intima consapevolezza che l’essere cristiani è la più grande fortuna che ci sia capitata.



XVI DOMENICA PER ANNUM (A)
18 luglio 1999

Domenica scorsa, colla parabola del seminatore, Gesù ha cominciato, a narrare la sorte che tocca al suo Vangelo annunciato all’uomo, la storia della sua proposta di vita quando viene ascoltata dagli uomini.

La pagina del Vangelo di oggi suppone dunque che l’annuncio evangelico sia già avvenuto dentro al mondo, e si chiede: in quale condizione viene a trovarsi dentro alla storia ed alla società degli uomini? E risponde con tre parabole: una più sviluppata, le altre due più brevi.

1. "Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon grano nel suo campo". Se avete seguito attentamente, avrete notato che la parabola di Gesù si basa su una serie di antitesi: il proprietario del campo ed il suo avversario, il grano e la gramigna, il tempo presente della semina dei due e il tempo futuro della mietitura, infine il granaio dove finisce il grano e il fuoco dove è bruciata la gramigna.

Attraverso questo procedimento letterario, il Signore ci guida ad una precisa comprensione della storia umana. Essa è come un tessuto intrecciato da tre libertà: la libertà del Padre che in Cristo propone all’uomo il suo progetto di salvezza: la libertà del Satana che menzognero ed omicida fin dal principio propone all’uomo il suo contro-progetto; la libertà dell’uomo che è chiamata a rispondere alla proposta evangelica e alla contro-proposta satanica. La storia umana è dunque una vicenda drammatica [non comica! non tragica!] narrata e rappresentata da tre attori: Cristo, Satana, l’uomo.

Quale è il "luogo" in cui queste tre libertà si incrociano? Il "palcoscenico" in cui questo dramma viene recitato? Leggendo con molta attenzione la pagina evangelica, possiamo dire- almeno a prima vista – che sono tre.

E’ il cuore di ciascuno di noi: il cuore di ciascuno di noi è abitato dalla luce del Cristo "che illumina ogni uomo" ed è sollecitato dalle suggestioni e dall’inganno della propria concupiscenza, del mondo in cui vive, e dalle tentazioni sataniche. Questa condizione dell’uomo è ben descritta dall’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: "io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto … Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rom 7,15-19).

Gesù dice: "il campo è il mondo", indicandoci così un secondo luogo in cui le tre libertà si incrociano. Esistono persone che seguono il Cristo nella loro esistenza; esistono persone che si chiudono al messaggio evangelico [ricordate, domenica scorsa, le varie classi di persone]. Esse convivono, non nel senso di una contiguità fisica: in un senso più profondo! Esse convivono nel senso che assieme – cioè nello stesso campo che è questo mondo – costruiscono due civiltà o culture che pur mescolate inestricabilmente, sono essenzialmente diverse. L’una infatti è frutto del buon seme seminato dal Cristo, l’altra della gramigna seminata nel cuore umano dal Satana. E il mondo è questo incrociarsi, questa profonda coabitazione della cultura della verità e dell’amore colla cultura dell’errore e dell’egoismo, in conflitto fra loro. "Ma non immaginiamo una simile opposizione come un’opposizione visibile tra due gruppi di uomini o di popoli … Ognuno di noi può essere di volta in volta abitante dell’uno o dell’altra città? In ognuno di noi le due città si combattono" (H. De Lubac).

Ma è anche vero, e l’evangelista Matteo ha compreso la parabola di Gesù anche in questa prospettiva, che anche la Chiesa è il luogo in cui convivono buon seme e gramigna. E’ questo un punto che dobbiamo chiarire bene.

Quando facciamo la nostra professione di fede, noi diciamo: "Credo la Chiesa una, santa…". Ed infatti, la parola di Dio al riguardo non lascia adito a dubbi: "Cristo" dice l’apostolo "ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei per renderla santa … vuole che la Chiesa compaia davanti a Lui tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché, ma santa ed immacolata" (Ef 5,25-27).

Ma se la Chiesa è santa, non ne deriva che chi ne fa parte sia sempre senza debolezze e senza peccati: al riguardo ancora, la parola di Dio non lascia dubbi. Forse, fratelli e sorelle, vi chiederete: "come fa ad essere santa, una società umana che si compone di uomini che sono tutti, più o meno, peccatori?"

La prima risposta data a questa domanda è la proposta fatta dagli apostoli: "vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?" cioè: è la proposta di chi pensa che la vera Chiesa sia solo quella dei "santi", dei "puri". In fondo, chi si scandalizza per i peccati degli uomini della Chiesa e non tollera – nel suo riguardo – che ciò avvenga, ha nel suo cuore la più antievangelica delle eresie.

La seconda risposta è di chi pensa e dice che la Chiesa non è santa, ma peccatrice, per cui si dovrebbe dire: "Credo … la comunione dei peccatori".

In realtà "tutte le contraddizioni scompaiono, se si comprende che i membri della Chiesa peccano, ma in quanto tradiscono la Chiesa: la Chiesa non è senza peccatori, ma è senza peccato. La Chiesa come persona prende la responsabilità della penitenza [per i suoi figli peccatori], non prende la responsabilità del peccato [dei suoi figli peccatori] ". (Ch. Journet, Théologie de l’Eglise, Paris 1958, pag. 235, […] aggiunta mia).

2. Ecco questa è la condizione in cui versa l’avvenimento cristiano dentro alla storia. Per concludere, come dobbiamo vivere questa condizione?

- Nessuno di noi si senta sicuro! Né il buon grano è assicurato di non tradire, diventando gramigna né la gramigna rinunci alla conversione. Nessuna frontiera invalicabile fissa per sempre una persona, prima della morte, in una parte o nell’altra: essere mescolati nello stesso campo significa paradossalmente poter cambiare nel cuore, convertirsi o pervertirsi (cfr. Agostino, PLS2,422: hic in agro fit aut de zizaniis triticum, aut de tritico zizzania).

- La pazienza magnanima è attitudine fondamentale in questa situazione: di chi sa che il giudizio di Dio sta già operando, poiché nei cuori di ogni vero credente "lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili … perché Egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio".

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