Nel cuore di questa seconda narrazione abbiamo uno dei pochi discorsi di Gesù presenti nel Vangelo di Marco, dove Gesù appare come il Maestro che parla in parabole: Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose in parabole (Mc 4,1-2).
Marco, che non riporta molte parabole di Gesù, ne presenta in questo discorso cinque: la parabola del seminatore con la relativa spiegazione e quattro parabole dette «di contrasto» per il fatto che rivelano qualcosa proprio attraverso immagini contrastanti: la luce e il buio; la misura per gli altri e la misura per sé; il seme e la crescita; il piccolo granello di senapa e il grande arbusto.
Al termine della prima parabola narrata, quella del seminatore, troviamo un'interessante annotazione: Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: "A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché: guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato" (Mc 4, 10-12).
Il tema di quelli che sono dentro e quelli che, invece, restano fuori, viene così riproposto e chiarito proprio attraverso la narrazione parabolica.
Il termine «parabola» traduce il vocabolo ebraico mashal con il quale si designa un racconto, spesso enigmatico che, attingendo a scene di vita quotidiana, vuole costruire un paragone volto ad illuminare una realtà altra, misteriosa e altrimenti inconoscibile. Era un genere letterario noto ai rabbini ed esistono parabole anche nei testi del primo Testamento. Mentre l'allegoria suppone che tutte le parti della narrazione trovino riscontro nella realtà che si vuole sottendere, la parabola mette a fuoco un insegnamento centrale cui mira tutta la narrazione andando, appunto, ad illuminare una realtà nascosta e sconosciuta. L'intento della parabola non è quindi didattico, ma teologico, perché vuole offrire un paragone di ciò che altrimenti, difficilmente si potrebbe conoscere. Le parabole, dunque, più che rispondere all'interrogativo «chi è Gesù», svelano qualcosa del mistero del Regno, sebbene il Regno, come espliciterà l'evangelista Luca, sia Gesù stesso.
L'enigma delle parabole viene rivelato solo a quelli che in qualche modo sono già dentro al mistero del Regno, a quelli che si sono sbilanciati seguendo Gesù, mentre agli altri, a quelli di fuori, resta insoluto. L'affermazione di Gesù, riportata da Marco, sorprende e pare ai nostri orecchi occidentali un'ingiustizia: "A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché: guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato"
Si cita qui, sia pure con qualche variante, un passo di Isaia che esprime in modo semitico come anche il rifiuto e l'incomprensione del progetto di Dio da parte del popolo è ordinato al bene dell'uomo e alla sua salvezza. Il fatto che alcuni non comprendano, li scagiona dalla responsabilità del rifiuto e rende possibile la loro salvezza. Quanti intendono però vengono compresi dal Mistero e perciò condotti a crescere e a rafforzarsi in esso, entrando nella logica del Regno.
La parabola del seminatore
Alla parabola del seminatore, che è la principale parabola del Vangelo di Marco, dedicò molta attenzione e molta riflessione il pittore olandese Vincent van Gogh. Il quale realizzò sul soggetto diversi disegni e tele.
Van Gogh nacque nel 1853 in un piccolo villaggio, di nome Goot Zundert, del Brabante olandese. Questa regione, situata ai confini con il Belgio, pur appartenendo ai protestanti Paesi Bassi, dal punto di vista religioso risentì delle influenze cattoliche delle Fiandre. Il padre e lo zio di Vincent erano pastori protestanti e appartenevano alla Scuola di Groninga, un movimento riformista sorto nell'Ottocento all'interno del calvinismo olandese che, aspirando al prevalere della religiosità sentita rispetto all'aridità del dogma, volentieri si ispirava all'Imitazione di Cristo di Kempis e al Viaggio del Pellegrino di Bunyan. Anche Vincent, dopo alcuni fallimenti nel lavoro e in amore, maturò in Inghilterra la vocazione religiosa decidendo di seguire le orme paterne. Il tentativo fallì, ma egli riuscì tuttavia a dedicarsi per un certo tempo alla predicazione come evangelizzatore laico. Esistono alcuni sermoni sul tema della semina dove egli paragona Dio a un seminatore che "infonde la sua benedizione nel seme del suo Verbo gettato nei nostri cuori (sermone del 1876)". Un'espressione che getta luce non solo sulla parabola marciana, ma anche su una delle prime tele di Vincent raffiguranti il seminatore (Figura 1).
Rileggiamo la parabola contemplando appunto, quest'opera (il Seminatore di Otterlo ND) realizzata nel 1888 ad Arles in Provenza, durante il suo soggiorno con Gauguin nella Casa Gialla.
Insegnava loro molte cose in parabole e diceva loro nel suo insegnamento: "Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra cadde fra i sassi, dove non c'era molta terra, e subito spuntò perché non c'era un terreno profondo; ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò.
Un'altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. E un'altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno". E diceva: "Chi ha orecchi per intendere intenda!" (Mc 4,2-9).
Il seminatore uscì a seminare. Quando uscì? Giornate e giornate di lavoro sembrano pesare sulle spalle di questo seminatore e quel sole all'orizzonte pare accompagnarlo da sempre.
La parabola evangelica è qui descritta con un unico sguardo: il terreno che attende il seme, il selciato, gli uccelli rapitori del seme e la messe che biondeggia già all'orizzonte. E il seminatore continua a seminare, instancabile. Nel suo andare ha ancora lo slancio della prima ora, getta il seme senza calcolo, non si attarda a considerare la qualità della terra, non bada agli uccelli, semina semplicemente e generosamente. Addirittura il suo abito ha i colori del terreno. É diventato tutt'uno con esso. Van Gogh ha lavorato per contrasto, proprio come Marco nelle sue parabole: i gialli accanto ai viola, la pennellata nervosa che riproduce le asperità del terreno, le zolle rimosse, la terra battuta del sentiero.
Come il seminatore è tutt'uno col terreno così Vincent è tutt'uno con la sua pittura. Il sole cocente del sud della Francia viene riletto in chiave mistica e tutta la scena è impregnata di simbolismo religioso. Van Gogh, del resto, aveva guardato al suo grande Maestro di Barbizon, papà Millet - noto per il misticismo presente nelle sue scene di vita contadina -, ma aveva rivestito i toni bruni e grigi dell'artista francese con i colori luminosi della Provenza.
L'intento di Gesù nel narrare la parabola del seme era dischiudere il mistero del Regno. Il seminatore che getta il seme con abbondanza senza risparmio, senza calcolare la qualità del terreno, è il Verbo di Dio che getta con liberalità la sua parola. Ha colto nel segno perciò van Gogh, riempiendo la scena della luce aurea del Padre che accompagna il lavoro del suo Verbo nel campo del mondo. Non sta all'uomo giudicare chi sia dentro o chi sia fuori al Mistero, ma è l'accoglienza del seme della Parola a deciderlo.
L'insegnamento sul mistero del Regno diventa pertanto anche un insegnamento sull'identità del vero discepolo, che è l'altra grande domanda a cui risponde il vangelo di Marco. Seguendo questa prospettiva Van Gogh darà alla parabola anche un'altra lettura, più personale identificandosi con il seminatore. Vincent si sentiva, attraverso la sua pittura, un seminatore della Parola di Dio tanto quanto lo fu da Evangelizzatore laico. La meditazione della Parola lo incoraggiava a non indietreggiare davanti al mancato riconoscimento della sua arte, ma a trasfondere tutto se stesso nel colore e nel soggetto che aveva dinanzi.
Questo lascia un grande insegnamento a noi, tentati spesso di giudicare un lavoro, un'opera, un impegno a partire dall'accoglienza trovata, dai risultati ottenuti, dall'efficienza. Cristo, narrando la parabola del seminatore, vuole invece preparare i suoi allo scandalo della croce. Uno scandalo del quale parlerà apertamente nei capitoli successivi del Vangelo.
Il mistero del Regno non obbedisce alla logica del successo, delle conversioni di massa, ma conosce la logica del seme, fatta di attese e di maturazioni, di inizi modesti e di sviluppi lenti ma costanti, fino alla piena manifestazione del Mistero e della Potenza nascosti i n esso. Colui che annuncia il Regno deve entrare in questa dinamica, deve assumere la pazienza del contadino senza arrogarsi il diritto di giudicare su quali terreni seminare, ma in tutto lasciare al seme di sprigionare la sua forza intrinseca. La potenza insita nel seme, infatti ha una sua evidenza che non verrà mai smentita.
Le parabole del contrasto che seguono la parabola del seme, narrano di questi paradossi: la lampada che non può che risplendere, la misura con la quale si misura che sarà quella usata per misurarci, il seme che spunta da solo senza il concorso di alcuno e il minuscolo granello di senapa che diventa un albero gigantesco.
La spiegazione della parabola
La parabola del seme viene spiegata nel Vangelo spostando l'attenzione dal seme ai terreni. Qui gli studiosi intravedono non tanto l'insegnamento di Gesù, quanto l'interpretazione della parabola da parte della prima comunità cristiana:
Continuò dicendo loro: "Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole?
Il seminatore semina la parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma quando l'ascoltano, subito viene satana, e porta via la parola seminata in loro.
Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l'accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono.
Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto. Quelli poi che ricevono il seme su un terreno buono, sono coloro che ascoltano la parola, l'accolgono e portano frutto nella misura chi del trenta, chi del sessanta, chi del cento per uno". (Mc 4, 13-20).
Van Gogh dedicò nel medesimo 1888, un'altra tela al tema del seminatore (Il seminatore di Winterthur CH) (Figura 2). In essa il panorama è profondamente mutato, siamo in autunno e il sole cocente dell'estate è scomparso. Ogni misticismo è spento e il cielo evidenzia il profilo di una comune cittadella. Anche la promessa di un generoso raccolto, rappresentata prima dal biondeggiare delle messi, è scomparsa e l'attenzione dell'artista è tutta concentrata sul terreno.
I rapporti con Gauguin con cui condivideva la Casa Gialla di Arles si erano a quel tempo già deteriorati e Vincent percepiva l'infrangersi prossimo dei progetti che aveva coltivato con l'amico. Questa tela esprime perciò la melanconia di un autunno dell'anima, in cui la percezione dell'avvicinarsi dell'inverno lascia spazio alla paura che il seme non maturi, non resista ai rigori del gelo e soccomba.
Per motivi analoghi l'interpretazione della prima comunità cristiana si spostò dal mistero del Verbo al mistero dell'iniquità che attraversa la Chiesa. Inevitabilmente il mistero di Cristo getta luce sul mistero dell'uomo, sulle sue contraddizioni e sui suoi ritardi. La tecnica del contrasto tra giallo e viola, così serrato e perciò luminoso, usata da Van Gogh nella tela precedente per dipingere le zolle, viene ancora utilizzata in questo dipinto, ma le pennellate più distanziate rendono meno marcato il contrasto e attutiscono la luminosità della scena, che nell'opera precedente era altamente caricata dal cielo immerso nei raggi solari. Qui volutamente Vincent lascia intravedere tra le zolle, il bianco della tela, quasi ad esprimere l'incompiutezza dell'uomo, la sua finitudine, il suo limite. Le zolle diventano allora la parabola dei rapporti umani con il seme del Verbo, rapporti imperfetti e inadeguati perché costretti dentro a un panorama quotidiano che non conosce l'ampio respiro della prospettiva divina, capace di vedere il Bene nelle pieghe oscure della storia.
Marco invita dunque il discepolo che si pone alla sequela di Gesù a saper attendere, a saper guardare, a non aspettarsi un Messia preconfezionato secondo i propri schemi, a non sognare una Chiesa di puri e di perfetti, ma ad aprirsi lentamente al Mistero proprio come il seme che nel buio della terra coltiva la speranza di un sole che, pur oscurato dal variare delle stagioni, c'è e rivelerà presto tutto il suo fulgore.
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